N. 66/15 R.G. RD n. 186/17 CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in

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1 N. 66/15 R.G. RD n. 186/17 CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero della Giustizia, in Roma, presenti i Signori: - Avv. Giuseppe PICCHIONI Presidente f.f. - Avv. Rosa CAPRIA Segretario - Avv. Francesco LOGRIECO Componente - Avv. Giuseppe Gaetano IACONA - Avv. Fausto AMADEI - Avv. Donatella CERE - Avv. Antonio DE MICHELE - Avv. Lucio Del PAGGIO - Avv. Angelo ESPOSITO - Avv. Antonino GAZIANO - Avv. Anna LOSURDO - Avv. Enrico MERLI - Avv. Carlo ORLANDO - Avv. Michele SALAZAR - Avv. Stefano SAVI - Avv. Carla SECCHIERI con l intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Francesco Mauro Iacoviello ha emesso la seguente SENTENZA sul ricorso presentato dall avv. [RICORRENTE] avverso la decisione in data 16/12/13, con la quale il Consiglio dell Ordine degli Avvocati di Milano gli infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall esercizio dell attività professionale per la durata di mesi due; Il ricorrente, avv. [RICORRENTE] è comparso personalmente; Per il Consiglio dell Ordine, regolarmente citato, nessuno è presente; Udita la relazione del Consigliere avv. Carla Secchieri; Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; Inteso il ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l accoglimento del ricorso o, in via subordinata, la riduzione della sanzione inflitta; 1

2 FATTO Il procedimento trae origine dall esposto inviato al COA di Milano dal Giudice Tutelare del Tribunale di Monza, che segnalava come nell ambito del procedimento per la nomina di amministratore di sostegno a favore del sig. [TIZIO], promosso dai di lui familiari, si fosse costituito nell interesse di quest ultimo l avv. [RICORRENTE], (N. A [OMISSIS] IL [OMISSIS] C.F. [OMISSIS]) che risultava essere difensore di fiducia della sig.ra [MEVIA], sottoposta ad indagini ed a misura cautelare per circonvenzione di incapace (artt. 81 cpv, 110 e 643 c.p., delitto commesso in concorso con altro soggetto) in danno dello stesso sig. [TIZIO] dalla Procura della Repubblica di Monza. La [MEVIA] era stata denunciata dai familiari del sig. [TIZIO] per essersi fatta consegnare dal loro congiunto ingenti somme di denaro, approfittando della sua precaria condizione psichica. Il COA di Milano apriva il procedimento disciplinare, formulando il seguente capo di incolpazione. Essere venuto meno ai doveri di lealtà probità e correttezza per avere difeso la sig.ra [MEVIA] nel procedimento penale a carico della stessa dinanzi la Procura della Repubblica di Monza (n. [OMISSIS]/10 R.G.N.R. e n. [OMISSIS]/11 R.G. GIP) in relazione al delitto di cui agli art.li 81, 110, 643 cpv in danno di [TIZIO] e per avere contemporaneamente difeso lo stesso [TIZIO] costituendosi nel procedimento n. [OMISSIS]/2010 A.S. (Amministrazione di Sostegno nell interesse di [TIZIO]. IN Milano- Monza dal gennaio L avv. [RICORRENTE] produceva difese scritte, riferendo di avere rivestito le vesti di difensore del Sig. [TIZIO], pur essendo già difensore della sig.ra [MEVIA], al solo fine di evitare che fosse nominato quale amministratore di sostegno un appartenente alla cerchia familiare dello stesso, rinunciando, subito dopo al mandato; contestava la sussistenza di motivi di incompatibilità che gli avrebbero impedito di assumere il duplice mandato. All esito del procedimento, il COA di Milano riconosceva la responsabilità dell incolpato, affermando che il il coinvolgimento del professionista in due contrapposte situazioni escludeva la terzietà richiesta dall art. 37 CDF e denunciava una inammissibile commistione e confusione di interessi e ruoli che avevano fatto venire meno i requisiti di imparzialità e indipendenza dell avvocato, oltre a concretizzare violazione del segreto professionale., e irrogava la sanzione della sospensione per mesi due. Con ricorso tempestivo l avv [RICORRENTE] impugnava la decisione, chiedendo a questo Consiglio di dichiararne la nullità, ovvero di annullarla non essendovi, nella sua condotta elementi di responsabilità deontologica; in subordine chiedeva l applicazione di una sanzione meno afflittiva. 2

3 L impugnazione è fondata sui motivi sia di rito che di merito: lamenta infatti l avv. [RICORRENTE] in via preliminare: di non essere stato mai chiamato a discolparsi personalmente, e l eccessiva brevità del procedimento; l assoluta genericità ed indeterminatezza del capo di incolpazione e la mancata indicazione delle norme violate; la difformità della decisione rispetto alla contestazione, dal momento che non gli era mai stata contestata la violazione dell obbligo di riservatezza e segretezza; nel merito, lamenta invece: il vizio di motivazione, la mancata violazione disciplinare, sottolineando l assoluta estraneità dei due procedimenti, la gratuità della sua prestazione, e la rinuncia al mandato subito dopo l udienza in cui era stato provveduto alla nomina dell amministratore di sostegno, mentre il procedimento penale che coinvolgeva la sig.ra [MEVIA] era ancora nella fase di indagini preliminari. DIRITTO Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. In rito. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del diritto di difesa per non essere egli stato ascoltato personalmente sia nella fase istruttoria che nel corso del dibattimento, nel corso del quale era stata data la parola solo al suo difensore, con conseguente violazione dell art. 50 R.D. 37/34. Censura inoltre l eccessiva brevità del dibattimento. Il motivo non ha pregio: Nella fase istruttoria del procedimento, l avv. [RICORRENTE], su invito del COA, ha depositato deduzioni scritte, rispettivamente in data 22/07/11 e in data 22/03/11, in uno con ampia documentazione intesa a comprovare l insussistenza dell addebito disciplinare. Nel corso del dibattimento è stato assistito da un difensore, l avv. Ballabio. Orbene, nel mentre è principio pacifico che la mancata audizione dell incolpato nella fase di indagini non è motivo di nullità del procedimento (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 151/2015), appare evidente come le circostanze di fatto sopra riportate dimostrino che sia nella fase istruttoria che nella fase dibattimentale egli ha compiutamente esercitato il suo diritto di difesa, le cui garanzie non hanno quindi subito alcuna menomazione. Parimenti infondato è il richiamo all art. 50 del RD 37/34, che, nella parte che qui interessa, così recita testualmente: «l incolpato ha per ultimo la parola, se la domanda». Non risulta, infatti, dal verbale del dibattimento, che l incolpato abbia chiesto la parola, e 3

4 che la sua istanza sia stata disattesa, né la circostanza viene in alcun modo dedotta nell impugnazione. La disposizione dell art. 50, (oggi sostituita dall art. 59, co. 1 lett. h, della L. 247/2012 che ha eliminato l inciso se la domanda ) è applicabile ratione temporis, trattandosi di procedimento celebrato anteriormente all entrata in vigore della modifica, con conseguente infondatezza del motivo di impugnazione, non sussistendo un obbligo del COA di dare la parola all'incolpato, ove lo stesso non ne avesse fatto richiesta. Parimenti infondata è la doglianza relativa all asserita eccessiva brevità del dibattimento, che avrebbe impedito al COA di apprezzare pienamente il comportamento dell incolpato: nessuna norma di diritto positivo dispone la durata minima (né massima) del dibattimento nel procedimento disciplinare. Il ricorrente, peraltro, non formula alcuna censura specifica relativa a eventuali limitazioni temporali disposte dal COA per la discussione. Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce l assoluta genericità e indeterminatezza del capo di incolpazione, che fa riferimento ai principi di lealtà, probità e correttezza senza tuttavia indicare specificamente le norme deontologiche contestate, con conseguente violazione del diritto di difesa e vizio di ultra petizione del provvedimento. Si osserva in proposito come la giurisprudenza di questo Consiglio, confermata in più arresti dalla Suprema Corte a SS.UU. sia costante nel ritenere che il vizio richiamato possa influire sulla validità della decisione solo qualora sussista incertezza sui fatti oggetto di incolpazione, laddove non siano menzionati con chiarezza e specificità gli addebiti contestati, e non sia così consentita all incolpato una adeguata difesa (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 223/15). Nel caso di specie, il COA ha contestato una condotta precisa, comprovata in via documentale, per cui l avv. [RICORRENTE] è stato posto in grado di difendersi compiutamente, senza incorrere nel rischio di essere condannato per fatti diversi da quelli contestati (Cass. SS.UU /15). L omessa indicazione specifica delle norme violate, peraltro, non comporta la nullità del procedimento qualora la contestazione indichi specificamente i comportamenti addebitati (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 150/15), in modo da garantire all incolpato la predisposizione di una difesa compiuta ed efficace. Il motivo, pertanto, non è fondato. Con il terzo motivo l avv. [RICORRENTE] censura la mancata contestazione della violazione dell obbligo di riservatezza e segretezza, di cui parla il COA di Milano nella motivazione della decisione. Deduce, pertanto, che la decisione sia viziata e sussista difformità tra il comportamento contestato e la decisione. La doglianza non coglie nel segno, dal momento che dalla lettura della decisione impugnata emerge chiaramente come il COA abbia sanzionato il ricorrente per avere agito 4

5 in una situazione di conflitto di interessi, vietata dall art. 37 del previgente codice deontologico (ora art. 24 NCDF), utilizzando l argomentazione della violazione del segreto professionale -cui peraltro fa espresso riferimento il canone I dell art. 37 (ora art. 24 comma 3)- esclusivamente, ad adiuvandum, ma non pervenendo per questo ad una autonoma ulteriore sanzione. Si deve pertanto escludere la sussistenza del lamentato vizio, non essendovi alcuna lesione del diritto di difesa, configurabile solo allorché si giunga ad affermare la responsabilità dell incolpato per una condotta diversa e mai contestata (in proposito Cass. civ., sez. Unite , n ). Nel merito l avv. [RICORRENTE] lamenta un vizio di motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che erroneamente il COA di Milano avrebbe affermato che ai fini della violazione della previsione di cui all art. 37 del previgente codice deontologico (ora art. 24 NCDF) sarebbe sufficiente un conflitto di interessi meramente potenziale, laddove invece la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la stessa sentenza n /09 richiamata dal COA di Milano a sostegno della decisione- richiedono invece che il conflitto sia concreto. Nel caso di specie afferma il ricorrente- non vi era alcun conflitto concreto, e a suo giudizio neppure potenziale, dal momento che l attività era stata prestata in due separati ed autonomi procedimenti, l uno di natura penale, e l altro relativo alla nomina di un amministratore di sostegno, privi di comunanza di interessi, seppure caratterizzati da una comunanza soggettiva. Alla data dell udienza per la nomina dell amministratore di sostegno, poi, non era ancora stato notificato l avviso di chiusura delle indagini, ed egli aveva prontamente dismesso il mandato ricevuto dal sig. [TIZIO] dopo l udienza nella quale era stato nominato un amministratore di sostegno,: la sua condotta era quindi stata ispirata alla buona fede e non aveva percepito dal sig. [TIZIO] alcun compenso per l opera prestata. Il motivo non può trovare accoglimento. Innanzitutto va premesso che giurisprudenza costante affida al Consiglio Nazionale il potere di integrare la motivazione della decisione impugnata, secondo il principio del libero convincimento, applicabile anche in sede disciplinare. Tanto precisato, si osserva come gli orientamenti giurisprudenziali richiamati dal ricorrente siano risalenti, ed oggi superati anche dalla Giurisprudenza della Suprema Corte, che si è allineata all interpretazione più rigorosa espressa da questo Consiglio, secondo cui la disposizione deontologica sul conflitto di interessi mira ad evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell operato dell avvocato e quindi, perchè si verifichi l illecito, è sufficiente che potenzialmente l opera del professionista possa essere condizionata da 5

6 rapporti di interesse con altra parte. Facendo riferimento alle categorie del diritto penale l illecito contestato all avvocato è un illecito di pericolo e non di danno (ex multis: Cons. Naz. Forense: sentenza del n. 265). In altre parole, affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall art. 24 ncdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell avvocato e quindi anche la sola apparenza del conflitto per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico. (Cons. Naz. Forense, sentenza 12 luglio 2016 n. 186). Orbene nel caso di specie non può revocarsi in dubbio come l avere assunto la difesa del Sig. [TIZIO], a lui presentato dalla sig.ra [MEVIA], pur essendo già difensore di costei nel procedimento penale che la vedeva imputata di circonvenzione di incapace in danno proprio del Sig. [TIZIO] integri la violazione dei principi sopra richiamati, creando una situazione di conflitto di interessi, poco importa se potenziale o effettiva. Correttamente, pertanto, il COA di Milano ha riconosciuto la responsabilità disciplinare dell avv. [RICORRENTE], la cui condotta non è scriminata dall invocata buona fede, dal momento che, come è noto, ai fini della configurazione dell illecito disciplinare è sufficiente la volontarietà della condotta. E a poco rileva anche la circostanza che, subito dopo l udienza nella quale il Giudice Tutelare di Monza aveva provveduto alla nomina dell Amministratore di sostegno al Sig. [TIZIO], dal momento che il conflitto di interessi si era già prodotto, con la semplice accettazione dell incarico. Da ultimo è necessario valutare la congruità della sanzione applicata dal COA di Milano anche alla luce delle disposizioni del nuovo codice deontologico e dell art. 65, comma 5 della L. 247/12, che prevede che al procedimento disciplinare si applicano le norme del nuovo codice deontologico forense, qualora risultino più favorevoli per l incolpato (v. anche Cass. SS. UU. 3023/2015). Come è noto il nuovo sistema deontologico (si veda in proposito la sentenza CNF 137/2015), risulta di tipo misto, non tipico ma improntato solo tendenzialmente alla tipicità, governato dall insieme delle norme, primarie (artt. 3 c.3-17 c.1, e 51 c.1 della L. 247/2012) e secondarie (artt. 4 c.2, 20 e 21 del C.D.), che dettano principi utili per circoscrivere il perimetro ordinamentale all interno del quale deve essere ricostruito 6

7 l illecito disciplinare non tipizzato. La violazione del dovere di non prestare attività professionale in conflitto di interessi con il proprio assistito è espressamente disciplinata nel nuovo CDF dall art. 24 nuovo CDF, che ricalca le disposizioni deontologiche previgenti. In particolare, l art. 24 prevede al comma 1 che: L avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale; e al comma 3 che: Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un altra parte assistita o cliente, l adempimento di un precedente mandato limiti l indipendenza dell avvocato nello svolgimento del nuovo incarico. Orbene, la condotta dell avv. [RICORRENTE] è certamente sussumibile nell ipotesi di cui al primo comma, per la quale è prevista la sanzione edittale della sospensione dall esercizio della professione forense da uno a tre anni. Ne consegue che la sanzione della sospensione dall esercizio della professione forense per mesi due comminata dal COA di Milano appare congrua. P.Q.M. visti gli artt. 52 e ss R.D.L. 1578/1933 e 43 R.D.L. 1578/1933; Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalita di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l indicazione delle generalita e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23 febbraio 2017; IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE f.f. f.to Avv. Rosa Capria f.to Avv. Giuseppe Picchioni Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense, oggi 24 novembre 2017 LA CONSIGLIERA SEGRETARIA f.to Avv. Rosa Capria Copia conforme all originale LA CONSIGLIERA SEGRETARIA Avv. Rosa Capria 7

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