Profilo biografico di Niccolò Machiavelli NICCOLÒ MACHIAVELLI Le origini familiari Di fronte a Savonarola

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1 NICCOLÒ MACHIAVELLI Le origini familiari Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469, e viene battezzato il giorno seguente in Santa Maria del Fiore con il nome del nonno paterno. Il padre, Bernardo, è dottore in legge e, secondo una consolidata tradizione famigliare, appartiene allo schieramento antimediceo (cioè, contrario alla concentrazione del potere nelle mani della famiglia Medici); ma, per effetto di questo, si trova frequentemente in condizioni di isolamento e povertà, essendogli sbarrato l accesso alle cariche pubbliche. Circa l infanzia e la giovinezza di Machiavelli, nonché i suoi studi e la sua formazione culturale, pochissimo è noto. Da un Libro di ricordi del padre Bernardo si apprende che Niccolò, a partire dal 1476, inizia a seguire corsi di lingua e grammatica latina, secondo il tirocinio tipico per i giovani avviati alla carriera amministrativa e alla professione giuridica; tuttavia, per le difficili condizioni economiche della famiglia, non può accedere all università, e rimane estraneo ai circoli più avanzati e raffinati della cultura fiorentina dell epoca. L ambiente in cui cresce non è comunque privo di interessi letterari, dal momento che in casa Machiavelli era disponibile una non esigua biblioteca, comprendente le opere degli autori classici (Aristotele, Cicerone, Livio, Plinio il Vecchio) e dei moderni umanisti del XV secolo. Il giovane Niccolò, inoltre, legge e studia le opere della letteratura in volgare fiorentina: sia i grandi autori del Trecento, che i campioni dell età seguente (Lorenzo il Magnifico, Pulci, Poliziano). Di fronte a Savonarola Nel 1494, in occasione della discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII, la situazione politica di Firenze subisce un drastico ribaltamento. Infatti i cittadini fiorentini (o almeno la maggioranza di essi), commossi dalla predicazione del frate domenicano Girolamo Savonarola, che denunciava dal pulpito la corruzione del governo mediceo, profittando dei tumulti causati dal passaggio delle truppe francesi, rovesciano il debole Piero de Medici (figlio di Lorenzo il Magnifico, e alleato del re di Spagna), e instaurano il regime repubblicano. Per la forte influenza esercitata dal Savonarola, la città è quindi attraversata da radicali progetti di riforma morale, civile e religiosa, miranti a diffondere l austerità dei costumi, la democrazia politica e le pratiche devote. Risale a questo frangente il primo documento che illustri il coinvolgimento di Machiavelli nella vita pubblica del suo tempo. Si tratta di una lettera che egli scrive il 9 marzo 1498 a Ricciardo Becchi, l ambasciatore fiorentino presso la corte papale, che gli domandava informazioni sulle prediche e sulle azioni del Savonarola. Il giovane Niccolò ne fornisce una analisi lucida e spietata, sarcastica e dissacrante; senza nulla concedere alla buona fede o alla reale ispirazione del frate domenicano, egli lo definisce un bugiardo ingannatore, che nasconde dietro gli ideali religiosi un progetto finalizzato alla conquista del potere. La lettera di Machiavelli mostra tutto il freddo distacco e il radicale dissenso di Niccolò dalla politica e dalla personalità di Savonarola. Basterebbe citare le prime righe del testo per averne eloquente conferma: «Per darvi intero avviso de le cose di qua circa al frate, [...] sappiate che [...] predicò la domenica del carnasciale [carnevale], e dopo molte cose dette invitò tutti e suoi a comunicarsi el dì di carnasciale». Circa al frate: come esprimere meglio ha osservato, 1

2 al proposito, Ugo Dotti non solo il proprio disgusto, ma anche l intima contrarietà verso chi è reputato nient altro che un bugiardo e uno squallido opportunista? La Firenze del Savonarola Nel novembre del 1494, sotto la minaccia dell esercito francese di Carlo VIII, Piero de Medici fugge da Firenze e abbandona la città, incurante delle conseguenze del suo gesto. L improvviso vuoto di potere favorisce l emergere del frate domenicano Girolamo Savonarola. Egli da tempo infiamma gli animi dei fiorentini con i suoi sermoni dai toni apocalittici; e nella nuova situazione non esita a esercitare la propria influenza per promuovere una riforma dell assetto di governo. Assecondando le richieste popolari di maggiore democrazia, decreta la formazione del Consiglio Maggiore: un organismo elettivo di mille persone che, restando in carica per sei mesi, provveda all amministrazione della città. La prorompente personalità di Savonarola impone un nuovo clima, inflessibile e frugale, mettendo al bando ogni forma di lusso o scostumatezza. In occasione del carnevale del 1497, come gesto di simbolica rinuncia a tutte le seduzioni mondane, i fiorentini bruciano in un grande falò vestiti eleganti, profumi e rossetti, specchi e gioielli, carte e dadi, libri e dipinti preziosi. Molti divengono suoi discepoli, anche i grandi artisti del momento che, come Botticelli, si dedicano a realizzare solo opere ispirate alle sue prediche. Il successo di Savonarola a Firenze è in un primo tempo assoluto, e la città è percorsa da una euforia religiosa che non incontra resistenze. In questo contesto il frate domenicano alza il tiro delle sue critiche, indirizzandole contro il papato romano: il pontefice Alessandro VI viene accusato di essere ingordo, dissoluto e perverso, cupido e vizioso. In cancelleria Nel 1497 papa Alessandro VI colpisce Savonarola con la scomunica. Nel corso dell anno seguente, i suoi oppositori fiorentini, con l aiuto del clero, decidono di condannare il frate all esilio, ma, poiché questi indugia a partire, viene catturato, sottoposto a processo per eresia, impiccato e bruciato in piazza della Signoria, il 23 maggio Giunta così a tragica fine la sua dittatura spirituale, il governo della Repubblica viene assunto dall oligarchia dei cittadini più facoltosi. Di lì a pochi giorni, nel giugno del 1498, Machiavelli viene nominato segretario della seconda cancelleria: un incarico di notevole importanza nel quadro del sistema burocratico che gestiva l attività diplomatica e militare della città. La nomina di Niccolò, a tutti gli effetti un outsider privo di esperienza, resta ancora oggi sorprendente, dal momento che simile ruolo spettava, solitamente, a figure di solida reputazione, che già avessero dimostrato competenze amministrative. Fu, probabilmente, una scelta politica e partitica, ispirata dalla sua duplice militanza, antimedicea e antisavonaroliana. E a questo incarico se ne affianca presto un altro, poiché nel luglio del medesimo anno viene eletto anche segretario dei Dieci di Libertà e di Pace, che si occupano di questioni belliche e militari. Compito primo di Machiavelli è la stesura delle lettere, in volgare, indirizzate ai funzionari che operano sul territorio dello stato fiorentino; e d altro canto tocca a lui svolgere ambasciate e missioni per affari di guerra. Tra il 1499 e il 1500 egli compie vari viaggi per questioni inerenti la campagna militare che Firenze stava allora conducendo per la riconquista di Pisa. 2

3 Quindi nel 1500 svolge la sua prima missione in Francia, che, protrattasi per sei mesi, gli fornisce l occasione per studiare da vicino sia il carattere dei francesi, sia l organizzazione politica, amministrativa e militare del loro stato. Fu una esperienza fondamentale, perché fin da allora, evidenemente assecondando il proprio intuito, il giovane Niccolò apprese la necessità di desumere i principi teorici della scienza politica non dall astratta filosofia, ma dal terreno della concreta esperienza diplomatica. Nascono in queste circostanze i suoi primi scritti: il breve Discorso sopra Pisa (maggio-giugno 1499) e il De natura gallorum (Sulla natura dei francesi, poi rielaborato e ampliato negli anni seguenti). Al servizio del gonfaloniere Piero Soderini Nel 1502 il giovanissimo figlio di papa Alessandro VI, Cesare Borgia, detto il Valentino (dal nome del feudo di Valentinois, concessogli dal re di Francia), dopo avere conquistato Piombino, manifesta il proposito di accerchiare Firenze, per strappare alla Repubblica città e territori. Sobillate dalle promesse degli uomini del Valentino, subito Arezzo e la Valdichiana si ribellano al dominio fiorentino. Machiavelli viene quindi inviato, insieme al vescovo di Volterra Francesco Soderini, presso Cesare Borgia, e la missione si risolve in pochi giorni; per ben tre volte, tra agosto e settembre, Niccolò viene però mandato ad Arezzo, per verificare che la rivolta sia stata sedata. Le riflessioni elaborate in tale frangente l inducono a scrivere il discorso Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1503). Intanto, nell estate del 1502, per ovviare alla propria debolezza istituzionale, determinata dalla troppa rapida rotazione delle cariche, la Repubblica istituisce la figura del gonfaloniere a vita (mentre, fino a quel momento, i gonfalonieri restavano in carica solo per due mesi). Il gonfaloniere è il supremo capo dello stato. E a tale posizione viene eletto, nello stesso anno, Piero Soderini, il quale presto decide di fare di Machavelli il proprio braccio destro, al di fuori e al di sopra degli schieramenti. Si inaugura così la stagione più intensa e felice nella vita di Niccolò, che in questo periodo, in cambio di una fedeltà pressoché assoluta nei confronti del gonfaloniere, raggiunge una posizione di potere e prestigio notevoli. L arte nella Firenze di Soderini e Machiavelli Negli anni del gonfalonierato di Piero Soderini, la Repubblica di Firenze promuove la realizzazione di importanti opere artistiche, finalizzate a celebrare la libertà della città e il nuovo regime politico, affermatosi dopo la morte di Savonarola. Così nel 1503 Soderini conferisce a Leonardo e Michelangelo il compito di affrescare due scene di battaglia, sulle pareti del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, che inneggiassero al valore militare e al coraggio dei fiorentini: entrambe le opere tuttavia (la Battaglia d Anghiari di Leonardo e la Battaglia di Cascina di Michelangelo), rimaste incompiute, sono andate perdute in occasione dei tumulti popolari che, nel 1512, accompagnarono il crollo della repubblica soderiniana. Nell estate del 1504, inoltre, arriva per la prima volta a Firenze il giovane Raffaello, che realizza alcune delle sue opere più celebri, di soggetto sia sacro (come la Madonna degli Ansidei ora alla National Gallery di Londra), che profano (come gli strepitosi ritratti dei facoltosi coniugi Maddalena Strozzi e Agnolo Doni, conservati alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze). 3

4 Nel 1504, di fronte a Palazzo Vecchio viene collocato il David di Michelangelo: una grande statua (di indiscussa perfezione estetica) con cui l eroe biblico, trionfatore del gigante Golia, veniva assunto a emblema della Repubblica fiorentina, vincitrice dei Medici e di altri più potenti nemici, in virtù della propria sagacia e intelligenza, nonché della protezione divina. Un ambasciatore di fiducia A Machiavelli il Soderini stabilisce di affidare le missioni più delicate. Così nell ottobre del 1502 Niccolò è di nuovo inviato presso il Valentino, e l ambasciata si protrae fino al gennaio seguente. Dalle lettere che egli scrive in questi mesi traspare la sua ammirazione per l abilità politica e militare e, soprattutto, per la spregiudicatezza di Cesare Borgia. Niccolò ne segue con trasporto l azione quando, a Senigallia, con un tranello egli riesce a catturare quanti congiuravano contro di lui (Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Paolo e Francesco Orsini), subito decidendo di metterli a morte. Tale è la sua impressione che, alcuni anni più tardi (intorno al 1515), ne traccia un resoconto intitolato Il modo che tenne il Duca Valentino per ammazzar Vitellozzo, Oliverotto da Fermo, il signor Paolo e il Duca di Gravina Orsini in Senigaglia. Al marzo del 1503 risale un breve scritto, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, indirizzato al Soderini, e contenente una serie di indicazioni di cui il gonfaloniere avrebbe potuto servirsi per sostenere e difendere la propria azione fiscale. Quindi, in autunno Machiavelli è a Roma, per la sua prima missione presso la Santa Sede, con il compito di seguire le vicende del conclave, da cui esce eletto il nuovo pontefice, Giulio II. In queste settimane Niccolò incontra anche Cesare Borgia, nel momento in cui morto suo padre, il papa Alessandro VI inizia l inesorabile declino della sua parabola. Al principio dell anno seguente, trascorso a Firenze meno di un mese, parte per la Francia. Rientrato a Firenze, nel mese di ottobre del 1504, porta a termine una delle sue prime opere letterarie di qualche peso: il cosiddetto primo Decennale, un poemetto in terzine che narra i fatti salienti della storia italiana tra il 1494 e il 1504 (pubblicato nel 1506). Cesare Borgia, detto il Valentino Cesare Borgia nasce nel Il padre, Rodrigo, di nazionalità spagnola, è uno dei più potenti e influenti cardinali sulla scena europea: e nel 1492, col favore di Ludovico il Moro duca di Milano, diventa papa, con il nome di Alessandro VI. Cesare, benché giovanissimo, viene dapprima nominato arcivescovo di Valencia (1492) e poi creato cardinale (1493). Spregiudicato e crudele, nel 1498 rinuncia a tutte le cariche ecclesiastiche per perseguire i suoi sogni di condottiero e capitano. Così, con prontezza e abilità, e con ferocia inaudita, tra il 1499 e il 1501 conquista vasti possedimenti in Romagna, e nel 1502 inizia a estendere i propri domini verso l Italia centrale, mettendo in pericolo anche Firenze. La morte improvvisa del padre, nel 1503, e l elezione al pontificato di un suo acerrimo nemico, il cardinale Giuliano Della Rovere (Giulio II), pongono fine alle sue fortune. Il suo stato si disgrega rapidamente, ed egli è costretto a fuggire in Spagna, dove muore nel La sua parabola viene esemplarmente rievocata da Machiavelli nel capitolo VII del Principe. 4

5 Gli impegni militari Le negative esperienze connesse alla guerra contro Pisa inducono Machiavelli a meditare sulla necessità di affiancare alle truppe mercenarie le più affidabili milizie cittadine, reintroducendo la leva militare. Il progetto, già elaborato nel corso del XV secolo, è tuttavia avversato e criticato da eminenti cittadini della fazione oligarchica; ciononostante, nel dicembre del 1505 Soderini affida a Machiavelli il compito di procedere ai primi reclutamenti. Capitano viene nominato l ex luogotenente di Cesare Borgia, il temuto e crudele Miguel de Corella (detto don Micheletto). Tra l estate e l autunno del 1506 Niccolò è inviato in missione presso il papa Giulio II, che muove alla riconquista di Bologna. Machiavelli rimane fortemente colpito dall indole temeraria, imprudente e impulsiva del pontefice, che riesce a ottenere ciò che altrimenti, con il calcolo e l accortezza, sarebbe stato impossibile conseguire. Simile riflessione viene svolta in una lunga lettera a Giovan Battista Soderini, nipote del Gonfaloniere, nota come Ghiribizzi al Soderino, in cui sono anticipati temi poi ripresi nel Principe. Nel 1507 viene mandato in missione in Germania, presso l imperatore Massimiliano d Asburgo. La lunga ambasciata è l occasione per analizzare le caratteristiche socio-politiche, antropologiche e militari del mondo germanico, ricavandone la materia per tre densi scritti: il Rapporto di cose della Magna ( ), il Discorso sopra le cose della Magna e sopra l imperatore (1509) e il Ritratto delle cose della Magna (1512). Inoltre, in questi mesi, stringe profonda amicizia con l altro ambasciatore fiorentino, Francesco Vettori. Tra il 1508 e il 1509 è costantemente impegnato sul fronte militare, per provvedere alla selezione, all ordinamento e agli approvvigionamenti delle milizie schierate contro Pisa. Finalmente nel giugno del 1509 la città viene espugnata, e Machiavelli, per effetto di simile vittoria, può festeggiare un successo anche personale. Il crollo della Repubblica Gli anni tra il 1510 e il 1511 vedono il potere e l influenza di Machiavelli raggiungere il culmine, sia nell ambito della diplomazia che sul piano strettamente militare. Nel 1510, per effetto dei crescenti attriti tra il papa Giulio II e il re di Francia, Luigi XII, una guerra sembra di nuovo imminente. Allora Niccolò viene prima inviato in Francia, con il compito di temporeggiare; poi, rientrato in patria, riceve l ordine di procedere alla costituzione di una cavalleria leggera. Scrive così un Discorso sulla milizia a cavallo e una Ordinanza de cavalli, in cui viene regolamentata giuridicamente la nuova formazione militare. Compone inoltre il Ghiribizzo circa Iacopo Savello, per sollecitare la nomina di Jacopo Savelli a capitano della fanteria. Nell ottobre del 1511 viene stipulata la Lega Santa tra Giulio II, Venezia, il duca di Ferrara, il re di Spagna e il re d Inghilterra, contro Luigi XII, a cui si trova pericolosamente alleata soltanto Firenze. E mentre Machiavelli si dedica all organizzazione della milizia cittadina, giunge la notizia che i francesi sono stati sconfitti nella decisiva battaglia di Ravenna (11 aprile 1512); poco dopo Luigi XII perde anche Milano, e le truppe della Lega Santa si mettono in marcia verso Firenze. Il gonfaloniere Soderini dapprima tergiversa, rifiutando ogni proposta di accordo, e poi è costretto ad abdicare e fuggire, nella notte, dalla città. 5

6 Con il sostegno della Lega Santa, i Medici ritornano dunque a Firenze e, con un colpo di mano, impongono una radicale riforma costituzionale, che consente loro di riprendere il potere, attraverso l abolizione del gonfalonierato perpetuo. Tra ottobre e novembre, come documenta lo scritto Ai Palleschi (dal nome della fazione filo-medicea), Niccolò subito offre le proprie competenze ai nuovi signori: forse non solo per crudo opportunismo, come si sarebbe indotti a pensare. Da un lato egli vede se stesso come un tecnico, come un burocrate qualificato, e non come un politico di parte, e dunque non esita a mettersi a disposizione dei nuovi capi di Firenze, in nome del proprio alto e immutato amore per la città. E d altro canto gli sembra di scorgere, tra il governo di Soderini e la restaurata signoria della famiglia Medici, una sottile linea di continuità, che tende a emarginare dall azione di governo le grandi famiglie aristocratiche e a perseguire, invece, l accentramento e la stabilità del potere. Quali fossero le sue illusioni, e a dispetto di esse, il 7 novembre 1512 Machiavelli viene licenziato, rimosso dai suoi uffici, e condannato al confino per un anno e al pagamento di una cauzione di mille fiorini d oro. Il ritorno dei Medici a Firenze Dopo la battaglia di Ravenna, che lascia i soldati francesi stremati e depressi, i rappresentanti della Lega Santa si incontrano a Mantova e decidono di intervenire in Toscana per porre fine all esperienza soderiniana. Il promotore di simile disegno è un uomo di fiducia del papa Giulio II, ossia il cardinale Giovanni de Medici (figlio di Lorenzo il Magnifico). Le truppe confederate della Lega attraversano dunque la Toscana, e conquistano e saccheggiano Prato (quasi seimila pratesi secondo le cronache dell epoca furono trucidati per le vie della città), arrestandosi alle porte di Firenze. Il 31 agosto 1512 Piero Soderini, sotto la pressione della fazione filomedicea dei Palleschi (che ne domandano la deposizione), parte per l esilio e il 1 settembre Giuliano de Medici fa il suo ingresso in città, insediandosi al potere. Dall azione alla riflessione All inizio del 1513 viene scoperta a Firenze una congiura anti-medicea, ordita da Pietropaolo Boscoli e Agostino Capponi; in un elenco degli avversari dei Medici, compilato dagli stessi congiurati, viene trovato il nome di Machiavelli, che è dunque torturato e imprigionato. Può uscire dal carcere solo l 11 marzo, in occasione della generale amnistia concessa per festeggiare l elezione al papato, con il nome di Leone X, del cardinale Giovanni de Medici. Niccolò, che è ormai un personaggio politicamente scomodo e sospetto, si ritira fuori città, nella sua modesta proprietà dell Albergaccio, nei pressi di San Casciano. Di qui intreccia una fitta corrispondenza con l amico Francesco Vettori, che si trova a Roma come ambasciatore, diffondendosi in analisi, valutazioni e previsioni sulla situazione politica italiana. Improvvisamente escluso dalla diretta azione di governo, che aveva fino a quel momento costituito la sua ragione di vita, Machiavelli trova parziale riscatto dedicandosi alla riflessione e alla scrittura. Le idee e i convincimenti, che negli anni della cancelleria aveva potuto esprimere solo in pochi e brevi testi, connessi alle incombenze del suo ufficio, vengono sviluppati e approfonditi sia nelle pagine epistolari, sia nelle due grandi e nuove opere che dal 1513 inizia a comporre: il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. 6

7 Un sintomatico autoritratto Una lunga lettera a Francesco Vettori, del 10 dicembre 1513, costituisce il più importante documento dello stato emotivo, psicologico e intellettuale, in cui Machiavelli si trova, dopo avere perduto gli incarichi diplomatici e politici che gli avevano assicurato potere e prestigio. Niccolò descrive all amico la sua triste condizione, durante il forzato e ozioso soggiorno presso l Albergaccio: si sofferma sulle ristrettezze economiche, sulla solitudine, sulle vili e banali occupazioni che riempiono le sue giornate, sui triviali passatempi, sugli uomini rozzi e ignoranti che frequenta. Per risollevarsi da questa umiliante prostrazione, tuttavia, ogni sera dedica quattro ore allo studio e alla meditazione sulle pagine degli autori classici. In questo modo, per dare forma scritta alle proprie riflessioni, ha iniziato a comporre un opera intitolata De principatibus (Sui principati), che egli ha in animo di dedicare a Giuliano de Medici. Si tratta del primo e originario nucleo del Principe, un trattatello sulle arti della politica e del governo principesco, che, come Machiavelli confida al Vettori, dovrebbe risultare utile a chi, come Giuliano (nipote del pontefice Leone X), sembra destinato al dominio di Firenze. Niccolò afferma di essere intenzionato a trasmettere l opuscolo al dedicatario e, quindi, a tutta la famiglia Medici, anche come prova della sua fedeltà e delle sue competenze. Non è noto, tuttavia, quel che egli decise effettivamente di fare: pare probabile che, forse per gli inviti alla cautela da parte del Vettori, il testo, almeno in quel frangente, non sia uscito dalle sue mani. Giuliano e Lorenzo de Medici a confronto Giuliano de Medici ( ), figlio di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini, è stato giudicato una delle figure più attraenti del Rinascimento italiano: colto, generoso e conciliante, sapeva guadagnarsi in ogni frangente l altrui benevolenza. Il suo breve governo, a Firenze, tra il 1512 e il 1513, è caratterizzato da un consenso generale e diffuso, frutto della sua simpatia e della sua onestà. Tuttavia egli è ritenuto dal papa, Leone X, pericolosamente debole e accondiscendente, e quindi poco adatto a simile ruolo: promosso a Gonfaloniere dell esercito pontificio, Giuliano viene quindi costretto a trasferirsi a Roma, lasciando la guida di Firenze nelle mani del nipote, Lorenzo de Medici, figlio di Piero de Medici e Alfonsa Orsini. Ambizioso e passionale, però, Lorenzo riesce in breve a suscitare la disistima e l ostilità nei suoi confronti, e a scontentare Leone X a causa della propria cocciuta disobbedienza. Nominato Capitano generale dei fiorentini, governa ignorando la volontà del papa ed escludendo le più importanti famiglie della città. Nel 1516 conquista il ducato di Urbino, spodestando Francesco Maria Della Rovere. Ma la sua precoce morte, nel 1519, è accolta con gioia e soddisfazione dai fiorentini. Presso gli Orti Oricellari Nel 1514, terminato l anno di confino a cui era stato condannato, Machiavelli rientra a Firenze. Scrive in questi mesi il secondo Decennale che, in terzine, avrebbe dovuto narrare i fatti della 7

8 storia italiana dal 1504 al 1514; ma il testo viene lasciato interrotto all altezza del Niccolò continua frattanto ad adoperarsi per rientrare nelle grazie della famiglia Medici ed essere recuperato alla politica attiva: i suoi sforzi, però, risultano inutili di fronte alla radicale avversione nutrita nei suoi confronti, soprattutto, dal papa Leone X, dal cardinale Giulio e da Lorenzo de Medici. Ciononostante, morto Giuliano nel 1516, Machiavelli non esita a ridedicare l opera a cui sta lavorando (il Principe) proprio a Lorenzo, che nel maggio di quell anno è stato nominato Capitano generale della milizia fiorentina. Fra il 1515 e il 1517 egli inizia a frequentare gli Orti Oricellari, cioè i giardini della famiglia Rucellai, presso i quali si ritrovano umanisti, letterati e uomini politici, fedeli alla famiglia Medici. Fra loro Machiavelli trova amici e ammiratori, in grado di apprezzare le sue competenze politiche e le sue doti letterarie; e per converso proprio in questo ambiente, saturo di alta cultura classicistica, egli ha l occasione di approfondire e ampliare la propria formazione umanistica, con nuove letture e nuovi studi nei campi della letteratura greca e latina e della filosofia neoplatonica. Prendono così forma le nuove opere della sua maturità: la traduzione in prosa di una commedia di Terenzio, l Andria (1517); la composizione della Mandragola, una commedia di regolare impianto classico, in cinque atti, che, rappresentata per le feste di carnevale del 1518, riscuote un grandissimo successo; la stesura, tra il 1519 e il 1520, di un dialogo intitolato Arte della guerra, ambientato proprio presso gli Orti Oricellari; la conclusione dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Gli Orti Oricellari Agli inizi del Cinquecento l aristocratica famiglia Rucellai abita a Firenze in uno splendido palazzo disegnato da Leon Battista Alberti; e il connesso giardino (latinamente denominato Orti) diventa per impulso di Bernardo Rucellai il centro della vita intellettuale della città. Bernardo è persona assai colta, autore di un opera in latino (De bello italico), in cui sono ricapitolate le campagne militari condotte in Italia dagli eserciti francesi, tra la discesa di Carlo VIII (1494) e l ascesa al trono di Luigi XII (1498). Il suo giardino è il luogo in cui scrittori, filosofi e uomini politici si ritrovano a discutere sia questioni letterarie che problemi inerenti il governo di Firenze. Bernardo muore nel 1514; ma le riunioni presso gli Orti della famiglia continuano per impulso dei figli, Palla e Giovanni. Agli Orti Oricellari fanno capo gli esponenti dell aristocrazia fiorentina, accomunati dagli studi storico-umanistici, dal culto del mondo antico e della classicità romana, e dalla disponibilità a esaminare liberamente di ogni argomento: sicché come è stato rilevato da vari studiosi fra loro si intrecciavano e contrapponevano posizioni a volte divergenti, di orientamento ora filo-mediceo ora repubblicano. La reintegrazione politica e letteraria Morto (il 4 maggio 1519) Lorenzo de Medici, il papa Leone X delega il governo della città di Firenze, per conto della famiglia, al cardinale Giulio de Medici, uomo prudente e moderato. Subito gli amici degli Orti Oricellari si attivano per avvicinare Machiavelli al cardinale, 8

9 vantandone, più che le doti politiche, evidentemente ancora sospette (e da tempo non più esercitate), le qualità letterarie. Così l 8 novembre 1520 gli viene ufficialmente commissionata la stesura delle Istorie fiorentine, dietro compenso di cento fiorini: è il segno della avvenuta reintegrazione di Niccolò presso la famiglia Medici. E infatti dietro richiesta del medesimo cardinale, Giulio de Medici, subito (tra il novembre del 20 e il gennaio seguente) procede alla scrittura del Discursus Florentinarum rerum post mortem iunioris Laurentii Medices (Discorso sulla situazione fiorentina, dopo la morte di Lorenzo de Medici il giovane): un programma politico e, insieme, un progetto di riforma costituzionale, nel momento in cui morti Lorenzo e Giuliano a capo della famiglia si ritrovano due ecclesiastici (il cardinale Giulio e il papa Leone X), mentre gli altri eredi naturali maschi, Alessandro e Ippolito, sono appena bambini. Sui medesimi temi insiste anche una dettagliata Minuta di provvisione per la riforma dello stato di Firenze, stesa nel 1522, in cui viene suggerita la conciliazione del potere mediceo con il tradizionale assetto repubblicano. In questi mesi, inoltre, gli viene finalmente riaffidata una missione di tipo istituzionale, se pure piccola e secondaria: viene infatti inviato a Lucca, per curare gli interessi di alcuni mercanti fiorentini, vicini ai Medici, rimasti coinvolti in un fallimento. Durante la missione sono ideati e composti due brevi ma densi scritti: il Sommario delle cose della città di Lucca e la Vita di Castruccio Castracani. Nel 1521 viene quindi mandato a Carpi, per una serie di trattative con il Capitolo generale dei Frati Minori, riunito in quella città. Nel 1522 viene improvvisamente scoperta una congiura contro il cardinale Giulio de Medici, nata all interno degli Orti Oricellari: i capi della trama (Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni) riescono a fuggire in Francia, e Niccolò non è sfiorato da alcun sospetto, benché pare difficile che egli non ne fosse almeno informato. Entro la fine del 1524 è portata a termine la stesura delle Istorie fiorentine, e l opera viene presentata da Machiavelli a Giulio, divenuto papa con il nome di Clemente VII, a Roma, nel maggio del In quello stesso anno, in tempi brevissimi, compone una nuova commedia, la Clizia, la cui rappresentazione ottiene grande successo. Gli ultimi anni Gli ultimi due anni della sua vita come ha scritto F. Bausi sono «attivissimi e quasi frenetici: dopo tanto ozio forzato, dopo una così lunga e umiliante emarginazione, i suoi meriti letterari e la sua esperienza politica, insieme all appoggio degli amici più influenti (da Francesco Guicciardini a Filippo Strozzi), gli guadagnano finalmente la fiducia di Clemente VII». Viene inviato a Venezia per seguire gli interessi dei mercanti fiorentini, e poi incaricato di occuparsi del progetto di rafforzamento delle difese militari di Firenze; quindi svolge un importante missione, insieme militare e diplomatica, per riordinare le truppe fiorentine schierate a Marignano, per conto della Lega di Cognac (l alleanza stretta fra lo Stato della Chiesa, il re di Francia, Firenze e Venezia). Nel novembre del 1526 è mandato a Modena per studiare, insieme a Francesco Guicciardini, le misure per arginare l invasione dei Lanzichenecchi, i soldati di ventura al servizio dell imperatore Carlo V, che, dopo avere superato il Po, marciano verso Firenze e Roma. Nei primi mesi dell anno seguente svolge missioni a Parma, Bologna, Imola e Forlì, con analogo obiettivo. Ma ormai la discesa dei Lanzichenecchi è inarrestabile, e l avvicinarsi del pericolo scatena a Firenze l opposizione 9

10 cittadina, che vuole profittare dell occasione per scacciare i Medici. E così, mentre i soldati imperiali saccheggiano e devastano Roma, i Medici, nel maggio del 27, sono costretti a lasciare la città. Quando Machiavelli rientra in Firenze, è atteso dall ultima, amara delusione della sua vita. Si ripete infatti, con la paradossale inversione delle parti in gioco, quanto già si era verificato nel 1512: il nuovo governo repubblicano ostenta nei suoi confronti diffidenza e sfiducia, giudicandolo, a tutti gli effetti, ormai acquisito al partito filo-mediceo, e uomo di fiducia di Clemente VII. Viene quindi allontanato da tutti gli uffici. Lo smacco è tremendo, e la salute di Niccolò, già da tempo precaria, ne risente: egli muore il 21 giugno 1527, e il giorno seguente viene sepolto nella basilica di Santa Croce. Le costanti Ritratto di Machiavelli da giovane La parabola umana e artistica di Machiavelli è divisa in tre periodi: l età della giovinezza (ossia i primi trent anni della sua vita, dal 1469 al 1498), gli anni trascorsi come cancelliere della Repubblica fiorentina ( ) e la stagione dell estrema maturità, dopo il ritorno dei Medici al potere ( ). Tutti i suoi capolavori, politici e letterari, risalgono a quest ultima fase, quando, estromesso a forza dalle attività di governo, egli raccoglie come prima non aveva avuto tempo (e ragione) di fare le proprie riflessioni, frutto di oltre quattro decenni dedicati allo studio e all azione. Nel 1498, quando entra in Cancelleria, Machiavelli ha ventinove anni, la metà esatta di quelli che avrebbe vissuto. Che uomo è? Pochissimo è noto del suo giovanile carattere e delle sue prime passioni, e tuttavia è lecito ritenere che egli fosse, fino ad allora, «cresciuto nell ombra dell opposizione e della minoranza civile, non soltanto sotto il regime mediceo, ma anche e più sotto il predominio del Savonarola» (C. Dionisotti). Né avrebbe poi mutato tale orientamento originario, che determina il tratto sovversivo e anti-conformistico del suo pensiero e delle sue opere. Un altro aspetto sintomatico del suo temperamento emerge dalle testimonianze epistolari relative agli anni del segretariato. Machiavelli è figura di pungente ironia e vivacissima cordialità, oltre che di speciale tenacia e abilità nel disbrigo delle faccende. Egli tiene allegri quanti lavorano con lui, con la sua incandescente presenza, pronta alla scherzo e alla battuta, oppure quando è assente con le sue lettere salaci. «Le vostre lettere gli scrive infatti Bartolomeo Ruffini, il 23 ottobre 1502 sono a tutti gratissime, e i motti e facezie usate in esse muovono ognuno ad smascellare dalle risa, e dando gran piacere». La politica come prova di forza Ma assai presto Niccolò matura anche il suo peculiare orientamento ideologico, che lo avrebbe per sempre accompagnato. L esperienza fatta sul campo in quegli anni decisivi, tra il 1498 e il 1512 gli dimostra il divario di potenza esistente tra i piccoli stati italiani e le grandi monarchie dell Europa occidentale. E di fronte alle invasioni degli stranieri egli capisce che 10

11 l essenza della vita politica si risolve in una prova di forza (in una questione, cioè, di eserciti e di armi, di solidità istituzionale e di risorse finanziarie). La politica, nei rapporti personali e tra gli stati, è guerra (da combattersi, oltre che con i soldati, con il denaro); tutto il resto asserisce Machiavelli in un appunto del 1501 è «superfluo». Mancando la forza militare ed economica, la cultura, la saggezza morale e l abilità diplomatica, presto o tardi, si rivelano inutili, incapaci di risolvere i problemi. Perché egli aggiunge nel 1503 se «fra gli uomini privati [i privati cittadini] le leggi, le scritte, e patti fanno osservare la fede [la lealtà], fra e signori [i principi e i capi di stato] la fanno solo osservare le armi» E però, come il giovane Machiavelli intuisce, la forza da sola non basta: deve essere accompagnata dall astuzia, dalla scaltrezza, dall arte della frode e della dissimulazione. Trentenne, in una lettera dell ottobre 1499, egli scrive: «Fra molte cose che dimostrono l omo quale e sia, non è di poco momento el vedere o come egli è facile [disposto] ad credere quello che li è detto, o cauto [abile] ad fingere quello che vuole persuadere ad altri: in modo che ogni volta che uno crede quello che non debbe, o male finge quello che vuole persuadere, si può chiamare leggiere [irriflessivo] e di nessuna prudentia». Forza e astuzia sono i requisiti indispensabili della virtù politica, per sopravvivere nelle ambiguità e incertezze a cui ogni stato (e ogni uomo) è esposto dalla fortuna: è il nucleo concettuale su cui viene edificato il Principe. Bene e male nel pensiero di Machiavelli Il motivo più originale e sconcertante del pensiero di Machiavelli viene enunciato e ribadito sia nel Principe che nei Discorsi: un comportamento politico viene giudicato virtuoso o vizioso non in base a principi morali assoluti, bensì in relazione alle sue effettive conseguenze. Anche Niccolò ammette che, in astratto, sarebbe meglio che i principi fossero pietosi e generosi, sennonché Cesare Borgia per esempio che era ritenuto crudele e avaro, in questo modo riuscì a rendere unita e pacifica la Romagna, sradicando l anarchia. In altri casi invece, gli uomini di governo, mascherando di bontà la propria debolezza, hanno lasciato che i loro stati si consumassero nella cancrena delle guerre civili. Bene e male, dunque, dal punto di vista di Machiavelli, non sono definibili in quanto tali, in relazione a parametri trascendenti (a valori morali precostituiti), bensì solo in chiave storica e sociale, in funzione del benessere della comunità. Il metodo e lo stile di Machiavelli Le regole generali della scienza politica come viene detto nel terzo capitolo del Principe non ingannano quasi mai: e però esse non si imparano speculando astrattamente, nel mondo delle idee e della pura dottrina. Le regole si deducono dalla storia e dalla realtà contemporanea: da ciò che si è potuto apprendere leggendo le cronache e i resoconti delle età remote, e osservando i fatti di cui si è stati diretti testimoni. Solo la valutazione insieme fredda, razionale, e appassionata, delle proprie esperienze materiali e della lezione degli scrittori antichi, consente di formulare norme e criteri utili all acquisto, alla conservazione e all aumento del potere. 11

12 Bisogna ragionare sui particolari, sui casi specifici, sui singoli personaggi, e poi, mediante un processo di generalizzazione induttiva, ricavare una regola utile. Simile impianto metodologico costituisce la grammatica elementare che innerva le pagine dei due capolavori di Machiavelli, il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Tuttavia si tratta di una attitudine conoscitiva che, nella mente di Niccolò, prende forma a partire dalla missione diplomatica in Francia, nel corso del Allora Machiavelli sperimenta per la prima volta che, nel ragionamento politico, ciò che riguarda i sentimenti (l affetto, l amicizia) e i valori etici più nobili (la giustizia, la bontà, la lealtà...) è inutile e ingannevole. I quattro mesi trascorsi con Cesare Borgia (tra il 1502 e il 1503) ulteriormente rafforzano simile convinzione. Lo stile induttivo conferisce al pensiero di Machiavelli una sicurezza che tranne rarissimi casi esclude il dubbio o la perplessità. Si tratti di appunti privati o del Principe e dei Discorsi, egli procede sempre con parole recise e formule apodittiche, che non tollerano obiezioni da parte dei lettori o degli interlocutori. La necessità di gettare davanti ai loro occhi, scuotendone il torpore, le proprie amare, e spesso rivoluzionarie, verità alimenta una prosa vibrante e pugnace, sempre tesa a incidere sulla situazione storica del momento. La meschinità dei principi italiani e le speranze di Niccolò Nel settimo e ultimo libro dell Arte della guerra, Machiavelli afferma: «Credevano i nostri principi italiani [...] che a uno principe bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude [...] né si accorgevano, i meschini, che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava». L imputazione accusatoria è formulata con inusuale asprezza, ma si tratta di un tema che attraversa tutta l opera machiavelliana: la politica non si fa con le parole ma con la forza, non si fa con i valori ma con i gesti concreti. Contano i risultati, non le intenzioni. È la grande lezione che nei Discorsi viene ricavata dalla storia romana, e che nel Principe è applicata all Italia contemporanea: l eleganza dei costumi e lo splendore delle arti, tipici della civiltà umanistica italiana del XV secolo, paiono a Machiavelli non un vanto, ma un infezione che deve essere sradicata. Anzi, come egli scrive fin dal 1508 (nel Rapporto di cose della Magna), le qualità per cui i principi sono abitualmente lodati (la generosità, la rettitudine, la cura dei sudditi...) costituiscono la causa della loro rovina. L esempio degli antichi romani fornisce la prova indiscutibile che solo la ferrea organizzazione militare, con il coraggio, l amore per la patria e la baldanza che ne conseguono, mette lo stato (e il principe) al riparo dal pericolo. La solidità di uno stato, come Machiavelli ha appreso al tempo delle missioni francesi (e come viene ribadito nel Principe e nei Discorsi), si basa su tre elementi: il potere centralizzato, la fiscalità efficiente, l esercito possente. L incuria per questi fattori ha determinato la generale decadenza degli stati italiani, ora esposti alla minaccia delle invasioni straniere. Germina così, nel pensiero di Niccolò, la fiduciosa attesa di una guida che conduca la penisola al desiderato riscatto. La virtù del «Principe» A definire lo specifico significato che la parola virtù assume nella riflessione machiavelliana, come ha notato J. H. Whitfield, concorrono molteplici elementi: virtù è insieme coraggio 12

13 e forza di volontà, dedizione alla causa comune dello stato e capacità di sacrificio, realismo freddo e spietato e perpetua fiducia nelle proprie possibilità di riscatto. Pessimismo (e presunta immoralità) di Machiavelli La gravità della situazione e, in ogni caso, il bene (l utilità) dello stato, legittimano agli occhi di Machiavelli anche l impiego degli strumenti più abietti (la truce ferocia e la menzogna, la crudeltà e il tradimento). Per effetto di ciò il suo pensiero è stato accusato di rivoluzionaria immoralità e spietato cinismo. Tuttavia, a questo proposito, è opportuno evitare fuorvianti semplificazioni. Il punto di partenza di ogni riflessione machiavelliana è costituito dal suo radicale pessimismo antropologico. All inizio dei Discorsi, la sua opera forse più impegnativa a livello strettamente teorico, egli sinteticamente chiarisce che, nella vita politica, non si può prescindere da un dato di fatto elementare: tutti gli uomini sono malvagi ed egoisti, e sempre pronti ad assecondare questi impulsi, istintivi e negativi, finalizzati esclusivamente come viene dimostrato nella Mandragola al soddisfacimento del tornaconto personale. Si tratta di un idea formulata anche nel Principe: l uomo appare a Niccolò assai più simile a una creatura infernale che a un angelo, a un figlio di Caino che a un figlio di Dio. Non si può dunque guidare uno stato, con speranze di successo, senza tenere in conto la natura bestiale dei sudditi: ogni costruzione giuridica e amministrativa, anzi, persegue l educazione dei cittadini e la formazione di una società ordinata, arginandone (ora con le leggi, ora con la forza, ora con la religione) le spinte egoistiche e distruttive. L obiettivo del principe è l edificazione di uno stato solido e compatto, che sappia da un lato soffocare le lotte intestine e le forze centrifughe, e d altro canto resistere a ogni minaccia esterna. Viceversa, chi assecondasse a ogni costo i valori ideali dell etica classica e cristiana (la bontà, la giustizia, la sincerità e l onestà) come viene detto nel cap. XV del Principe è inevitabile che «ruini in fra tanti che non sono buoni». Simile argomentazione costituisce il baricentro di tutta l ideologia machiavelliana: se la virtù individuale intende non essere in balia della sorte e della fortuna, deve giovarsi di una capacità di riflessione e razionalizzazione delle circostanze storiche emancipata dai condizionamenti della morale tradizionale. L uomo politico, infatti, a differenza del filosofo, può e deve anzi attenersi al campo storico dell effettiva realtà, e non a quello ipotetico dell astratta, utopica idealità 13

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