CAPITOLO 1 INTRODUZIONE
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- Tommaso Zanetti
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1 CAPITOLO 1 INTRODUZIONE 1.1 TESSUTO OSSEO Il tessuto osseo è una varietà di tessuto connettivo, dotata di particolare consistenza. Esso, infatti, presenta un'abbondante sostanza extracellulare, o matrice ossea, nella quale le fibre collagene sono cementate da una sostanza organica calcificata, detta osseina. All'interno della matrice sono scavate delle cavità che contengono le cellule con i loro prolungamenti, i vasi, i nervi ed il midollo osseo. I sali inorganici (soprattutto fosfato di calcio), presenti sotto forma di cristalli di idrossiapatite, rappresentano il 50% in peso circa della matrice ossea. Dall interazione dei cristalli di idrossiapatite con le fibre collagene dipende la resistenza e la durezza dell'osso. I cristalli di idrossiapatite, oltre a contribuire alla durezza del tessuto, rappresentano la principale forma di deposito di sali di calcio (e di fosforo) cui l'organismo può attingere in casi di necessità. La matrice ossea è organizzata, nei vertebrati, in lamelle, per cui l'osso è detto lamellare. A seconda delle disposizione delle lamelle, distinguiamo (fig. 1.1): ossa spugnose e ossa compatte. 1
2 Nelle ossa spugnose, le lamelle si intrecciano, formando una rete tridimensionale di trabecole ossee, che delimita degli spazi, detti midollari, contenenti il midollo osseo rosso (che produce le cellule del sangue: globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). Nelle ossa compatte, le lamelle sono strettamente addossate, stratificate, formando dei particolari sistemi, disposti intorno ai vasi (sistemi di Havers delle ossa lunghe), alla superficie esterna o interna dell osso (sistemi fondamentali o circonferenziali esterno ed interno). Va ricordata un altra varietà di tessuto osseo: la dentina, costituente principale del dente. In base alla loro forma, al loro aspetto macroscopico, le ossa vengono divise in 3 gruppi: ossa lunghe, brevi (o corte) e piatte. Le ossa lunghe (fig. 1.2) presentano un corpo o diafisi, piuttosto allungato e di forma cilindrica, e due estremità, le epifisi, ingrossate, provviste di superfici articolari per la connessione con le altre ossa. 2
3 Le ossa brevi (o corte), sono formate da tessuto osseo spugnoso (che contiene midollo rosso), rivestito da un sottile strato esterno di osso compatto e da cartilagine ialina sulle superfici articolari. Le ossa piatte sono costituite da due lamine di tessuto osseo compatto, separate da un sottile strato di osso spugnoso, che può, talora, mancare. Tutte le ossa sono rivestite esternamente da un sottile strato connettivale, il periostio, riccamente vascolarizzato ed innervato, le cui cellule intervengono nella riparazione delle fratture, trasformandosi in osteoblasti. Dal periostio partono le fibre collagene dette fibre di Sharpey, che lo fissano all osso sottostante. 3
4 1.1.1 CELLULE OSSEE Nel tessuto osseo ritroviamo 3 tipi di cellule: osteociti, osteoblasti ed osteoclasti. Gli osteociti sono contenuti in cavità o lacune ossee, scavate nella matrice, tra una lamella e l altra o anche nello spessore delle stesse lamelle. Sono cellule appiattite, con un corpo a forma di mandorla, da cui si dipartono degli esili prolungamenti citoplasmatici, che percorrono sottili canalicoli che originano dalle lacune ossee. Tali prolungamenti permettono scambi di sostanze tra sangue ed osteociti, che, altrimenti, non potrebbero avvenire, poiché la matrice calcificata ne impedisce la libera diffusione. Gli osteociti non sono attivi produttori della matrice ossea; tuttavia essi intervengono nel regolare i fenomeni di deposizione e riassorbimento dei sali di calcio nell osso. Gli osteoblasti sintetizzano la matrice organica dell osso che, successivamente, subisce il processo di calcificazione. Essi si dispongono alla superficie del tessuto osseo, strettamente accollati tra loro, così da dare l impressione di un epitelio semplice. Di forma cubica, anch essi dotati di sottili prolungamenti, vengono progressivamente circondati dalla matrice ossea da loro stessi prodotta, vi rimangono intrappolati dentro e si trasformano in osteociti. Gli osteoclasti sono cellule giganti multinucleate, mobili. Esse intervengono nel processo di riassorbimento osseo: dobbiamo sottolineare, infatti, che l osso modifica continuamente la sua struttura, rispondendo alle sollecitazioni meccaniche cui è sottoposto; demolisce alcune lamelle per ricostruirne altre, orientate diversamente, per poter sopportare più agilmente il carico cui è sottoposto. Gli osteoclasti sono incaricati dell opera demolitiva, mentre sarà compito degli osteoblasti la ricostruzione del tessuto osseo. 4
5 1.1.2 FUNZIONI DEL TESSUTO OSSEO Come tutti i tessuti connettivi, anche il tessuto osseo svolge funzioni preminentemente di tipo meccanico: le ossa, infatti, sostengono e proteggono le parti molli (l encefalo nella scatola cranica; i polmoni e il cuore nella gabbia toracica etc.); agendo come leve, permettono la trasformazione delle forze meccaniche generate dalla contrazione dei muscoli (che si inseriscono sulle ossa mediante i tendini) in movimento. Inoltre nelle ossa è contenuto il midollo osseo, che produce le cellule del sangue, ha cioè funzione ematopoietica; infine, il tessuto osseo partecipa al metabolismo del calcio e del fosforo, dei quali rappresenta la principale forma di deposito per il nostro organismo [1]. 5
6 1.2 IMPIANTI ENDOOSSEI La sostituzione e rigenerazione dei tessuti ossei è da tempo discussa e studiata e riguarda la chirurgia ortopedica, la neurochirurgia, la chirurgia ricostruttiva e la chirurgia dentistica e maxillo-facciale. Nella chirurgia ortopedica, gli impianti ossei sono largamente usati nell'artoplasia dell'anca e del ginocchio (osteoartrite, fratture osteoporotiche e traumatiche, artrite reumatoide), chirurgia neoplastica, osteomielite (ematogenica, fratture aperte, impianti metallici), chirurgia spinale (erniazione discale, tumori, spondilodischiti). Attualmente l'obiettivo standard, in presenza di perdite ossee, sono gli innesti ossei. Gli autoinnesti hanno il vantaggio di non essere immunogenici e, cosa ancor più importante, sono i migliori per indurre la neoformazione di tessuto osseo nell'ospite. Gli svantaggi sono la quantità disponibile limitata e la resistenza, forma e dimensioni che non sono in grado di duplicare con precisione l'osso da sostituire. Essi richiedono interventi chirurgici aggiuntivi, più sofferenza per il paziente, rischi di infezione e costi addizionali per i più lunghi tempi chirurgici. Gli alloinnesti, d'altro canto, sono disponibili in quantità elevate, possono essere resistenti e duplicare le mancanze, presentano però certi problemi biologici: sfortunatamente sono immugenici e non sono così osteoinduttivi come gli autoinnesti, generando talvolta problemi di saldatura. Inoltre i problemi di trasmissione di malattie (HIV, epatiti) sono ben documentati. L'osso proveniente dalle cosiddette "banche" non è sempre pronto e disponibile: l'immagazzinamento è costoso e per di più altera le proprietà meccaniche ed il responso biologico, oltre che essere limitato nel tempo. Si deve altresì tener conto del fatto che le infezioni ossee postoperative aumentano grandemente la necessità di impianti e sostitutivi ossei. Un approccio innovativo per risolvere il problema di fornitura degli impianti ossei ed allo stesso tempo quello della rigenerazione ossea, è quello di sviluppare dispositivi costituiti di materiali a base di fosfati di calcio (osso artificiale, innesti simulanti l'osso naturale), caricati dei 6
7 farmaci necessari attraverso una matrice polimerica biodegradabile per ottenere un dispositivo da impianto capace di avere caratteristiche tali da sostituire l osso e contemporaneamente essere in grado di effettuare un rilascio modulato di farmaco. Per definire il volume del problema, i dati di mercato mostrano che il numero totale di sostituzioni di giunti, articolazioni, insieme alle emiartoplastiche eseguite per fratture del collo femorale, ammontano nel mondo ad 1 milione all anno. Negli Stati Uniti vengono eseguite ogni anno approssimativamente sostituzioni totali di giunti, l incidenza delle infezioni è stimata (dati 1994). In complesso l incidenza di infezioni ammonta all 1-2%. Il rischio di infezione balza a 3-6% nella chirurgia di revisione ed è aumentata da varie affezioni collaterali. Pertanto risulta di estremo interesse progettare un materiale che sia sostitutivo dell osso con funzioni di bioattività e che agisca contemporaneamente da sistema per il rilascio controllato in situ di farmaci antiinfiammatori o altri. L utilizzo annuale di impianti nel Regno Unito si calcola a circa teste di femore, 24 kg di osso a granuli e 55 ossa intere. Le procedure di revisione ora rendono conto fino al 30% di tutte le operazioni del comparto e spesso richiedono quantità sostanziali di alloimpianti unitamente alla somministrazione di antiinfiammatori. 7
8 1.3 RISPOSTA DEI TESSUTI AGLI IMPIANTI L impiantazione di materiali nel tessuto vivo causa ferite e reazioni al corpo estraneo. Come risultato di queste reazioni, le cellule infiammatorie (granulociti e fagociti mononucleari) inizialmente migreranno verso l impianto, infine si formerà un essudato. Se, comunque, l impianto è soggetto a dissoluzione, si formeranno dei prodotti di degradazione e l infiammazione acuta evolverà in una cronica. Di conseguenza, macrofagi e cellule multinucleate giganti rimarranno attive sull impianto. Il continuo rilascio dei prodotti di degradazione, la liberazione di enzimi litici e la produzione di fattori chemotattici, da parte dei macrofagi, attireranno nuove cellule infiammatorie. Queste nuove cellule produrranno agenti nocivi, che contribuiranno alla distruzione del tessuto circostante ed infine al fallimento dell impianto. L ideale impianto costituito di fosfati di calcio è quello per sostituzioni ossee, in quanto questi materiali sono gli stessi presenti nel tessuto osseo. Particelle e blocchetti di idrossiapatite impiantati nell osso, sono stati utilmente utilizzati, per la ricostruzione di mancanze ossee, per la sua non tossicità, biocompatibilità ed osteoconduttività [2]. Osteoconduzione I materiali osteoconduttivi non sono in grado di indurre la formazione di nuovo osso, ma la facilitano. Essi mettono a disposizione delle cellule ossee (preesistenti) il calcio ed il fosforo che sono necessari per il processo di mineralizzazione. Osteoinduzione Proprietà per cui un elemento è in grado di indurre un tessuto a mineralizzare. Nessun materiale fino ad ora studiato possiede tale caratteristica, a meno che esso non venga caricato con cellule ossee o con molecole, quali la proteina morfogenetica dell osso (BMP), la calcitonina o l ormone della crescita (GH) [3]. 8
9 1.4 SISTEMI IDONEI COME DISPENSATORI DI FARMACI Per la progettazione di un congegno capace di adsorbire e poi rilasciare un farmaco o un altra sostanza è indispensabile conoscere le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e strutturali di: 1) tessuto su cui andrà applicato il dispensatore 2) carrier (o impianto) della sostanza che verrà rilasciata 3) farmaco opportuno per quel problema 4) legami chimici tra carrier e farmaco, carrier e tessuto 5) meccanismo e cinetica di rilascio del farmaco In letteratura, soprattutto negli ultimi anni, si trovano un numero sempre crescente di questi sistemi, i quali utilizzano una vasta gamma di sostanze curative (antibiotici, antitumorali, proteine, ormoni, etc.). In base alla composizione chimica, i carrier vengono distinti in : POLIMERI NATURALI Il chitosano è un polisaccaride biodegradabile cationico composto di residui N-acetilglucosamino che possiede caratteristiche strutturali simili ai glicosaminoglicani, non è tossico e facilmente riassorbibile. Viene correntemente utilizzato come dispensatore di farmaco: microgranuli per somministrazione orale [4], sistemi spugnosi che rilasciano il fattore della crescita [5], microsfere che rilasciano agenti antineoplastici [6]. La gelatina è un polimero naturale (vedasi capitolo 3), non tossico, ottenuta mediante idrolisi controllata di una proteina insolubile, il collagene, che si trova abbondantemente nei tessuti connettivi, è il maggior costituente della pelle, ossa e tessuto connettivo molle. La gelatina presenta dei vantaggi rispetto al collagene, perché è estremamente difficile preparare una soluzione concentrata di collagene nativo, perciò la gelatina è molto più economica del collagene [7]. La 9
10 gelatina è stata utilizzata in microsfere come dispensatore dell ormone della crescita (GH) [8],[9], nel trattamento di infezioni (gentamicina) e recupero del tessuto osseo (ormone della crescita) [10], nei reni artificiali come carrier dell enzima ureasi [11]. Questi due polimeri naturali possono essere più o meno reticolati (crosslinked) usando degli opportuni agenti reticolanti come la formaldeide o la glutaraldeide. La cinetica di rilascio può essere così influenzata anche da questo parametro POLIMERI SINTETICI Sono stati effettuati studi di sistemi con rilascio controllato di farmaci sfruttando una vastissima gamma di polimeri sintetici. Ciò grazie al fatto che questi composti, immersi in liquidi fisiologici, subiscono un lento processo di erosione, portando così in soluzione il farmaco eventualmente miscelato al polimero. Alcuni networks polimerici tridimensionali tenuti assieme da legami covalenti e deboli forze coesive come i legami idrogeno (idrogel), possono essere utilizzati, ad esempio, come interfacce tra l osso e l impianto, con lo scopo di fornire un meccanismo di fissaggio della protesi alla cavità intramidollare. Fanno parte degli idrogel quella grande classe di materiali polimerici idrofilici che possiedono una grande abilità nel rigonfiarsi in acqua e altri solventi opportuni, capaci di imbibirsi e ritenere più del 10% del loro peso di acqua all interno della struttura gelatinosa [12]. Esempi di carrier polimerici utilizzati sono: dischetti di poli acido lattico (PLA) per il rilascio del chinolone pefloxacina [13], tetraidrofurfurilmetacrilato / poli etilmetacrilato (THFM/PEM) per il rilascio della clorexidina [14], microsfere di copoli (acido lattico / acido glicolico) / poli(ε-caprolattone) (PLGA/PCL) per il rilascio del fattore di crescita dei nervi (NGF) [15], poli idrossietilmetacrilato (PHEMA) per il rilascio di farmaci antiinfammatori non-steroidei (FANS) come 10
11 l ibuprofene ed il ketoprofene [16], cemento a base di poli metilmetacrilato (PMMA) per il rilascio dell ormone della crescita [17], impianti ossei a base di copoli acido lattico / acido glicolico (PLA/PGA) per il rilascio del fattore di crescita osseo (BMP) nei casi di fratture non unite [18], congegni monolitici di poli etilenossido (PEO) per il rilascio dell etofillina [19], dischetti di poli idrossietilmetacrilato (PHEMA) per il rilascio del farmaco antitumorale citosin arabinosidato (ara-c) [20] BIOVETRI Vetri porosi formati mediante processo sol-gel sono stati usati come applicazioni diagnostiche ed anche come sostituti ossei. Da una idrolisi del poli etossisilossano si possono infatti ottenere strutture simili a quelle di una spugna. Impianti costituiti sia da vetri sinterizzati con processo sol-gel (Na 2 O-CaO-SiO 2 ) contenenti l 85% di silice ed anche xerogels di silicio che contengono il 100% di SiO 2 sono biocompatibili e bioattivi. Nei tessuti molli o nelle ossa essi incrementano la formazione di fibroblasti o osteoblasti, con un conseguente aumento della formazione di collagene, che farà poi da legante tra il vetro e l osso o il tessuto molle [21]. Xerogels di silicio sono stati utilizzati allo scopo di adsorbire poi rilasciare, in vitro ed in vivo, toremifene citrato (un anti-estrogenico) [21]; granuli di xerogels di silicio per il rilascio dell inibitore della tripsina (TI) [22]; cemento a base di vetro ionomerico (polialchenoato) (GICs) per il rilascio di proteine del siero [23]. 11
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