NOTA A CORTE DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE, SENTENZA 30 gennaio 2017, n. 2224
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1 NOTA A CORTE DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE, SENTENZA 30 gennaio 2017, n Autonomia negoziale ed accordi divorzili A cura di GIUSEPPINA VITIELLO Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall art. 160 c.c. Pertanto, di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione - specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio - potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio. Ne consegue, che la disposizione dell art. 5, comma 8, legge divorzile - a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell assegno divorzile può avvenire in un unica soluzione, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico - non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione non possono implicare rinuncia all assegno di divorzio. Sommario: 1. Premessa: il caso di specie; 2. Ambito applicativo dell art. 160 codice civile; 3. Autonomia negoziale e potere dei coniugi di stipulare accordi in vista di un futuro divorzio; 4. Conclusioni. * * * * * 1. Premessa: il caso di specie. Con la summenzionata sentenza la sez. I della Corte di Cassazione, torna ad analizzare la dibattuta natura degli accordi preventivi tra coniugi, in vista dell eventuale e futura crisi coniugale. Il caso di specie verte sulla validità di un accordo intercorso tra coniugi all atto della separazione, rivendicato poi in sede di divorzio, avente ad oggetto la corresponsione da parte del marito alla 1
2 moglie, in un unica soluzione, di un ingente somma di denaro a titolo anticipatorio dell assegno di mantenimento e di quello divorzile. In particolare, la donna aveva presentato ricorso avverso la sentenza d appello con la quale le era stato revocato il diritto all assegno divorzile. La Corte di merito, aveva ritenuto che il fatto che l ex marito in sede di separazione le avesse versato una somma di quasi 2 milioni di euro, attribuendole quanto le sarebbe spettato per assegno di mantenimento ed assegno divorzile, costituisse la ragione per la quale l assegno divorzile andasse revocato, dal momento che il versamento effettuato in sede di separazione, rispettava appieno gli elementi di moderazione dell assegno divorzile spettante all ex coniuge, così come previsti ex art. 5 l. n. 898/70. Con la decisione che oggi si commenta, gli Ermellini accolgono il ricorso della donna, ritenendo che l esclusione dell assegno in suo favore, disposta dal giudice di merito, fosse contraria ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza, che sanciscono la nullità degli accordi preventivi aventi ad oggetto l assegno di divorzio. 2. Ambito applicativo dell art. 160 codice civile. La materia dei patti in vista di un futuro divorzio costituisce il naturale portato di quelli che sono gli effetti del divorzio i quali a ben vedere sono, ancorchè indirettamente, effetti del matrimonio. Questi ultimi sono disciplinati dall art. 160 c.c., che impedisce ai coniugi di derogare ai diritti e doveri derivanti dal matrimonio, norma la cui ratio va ricercata nel divieto di contravvenire convenzionalmente al dovere di contribuzione, sancito dall art. 143 c.c.. Alla luce di tale disposizione, i coniugi non possono validamente pattuire in merito alla sussistenza ed alla misura di un futuro assegno divorzile, e questo deriva sostanzialmente dalla natura assistenziale dell assegno divorzile, come meglio si dirà in seguito. Ebbene, l art. 160 c.c., ritenuto per lungo tempo norma recante un dogma assoluto, rappresenta la punta dell iceberg di un annosa questione - tutt oggi ancora controversa - relativa alla possibilità o meno di una contrattualizzazione del diritto di famiglia. In passato contratto, dunque autonomia negoziale che ne costituisce il nucleo essenziale, e diritto di famiglia, erano strutturate come categorie logiche totalmente contrapposte. Ciò perché la famiglia doveva realizzare un interesse che sovrastava quello individuale ascrivibile ai singoli, ed una tale ricostruzione dell istituto comportava un azzeramento dell autonomia negoziale, con una conseguente indisponibilità degli interessi regolati. 2
3 Pertanto, vi era incompatibilità forte tra famiglia e dimensione contrattuale, anche perché gli interessi coinvolti nelle relazioni familiari mal si conciliavano con la natura economia del contratto, quale strumento di scambio. Non a caso, bastava leggere la vecchia formulazione dell art. 149, comma 1 c.c., in virtù del quale il matrimonio non si scioglie che con la morte dei coniugi, norma che fotografava esattamente la suddetta incompatibilità. In seguito, attraverso il passaggio da una famiglia di tipo istituzionale ad una famiglia di tipo costituzionale (come si evince dagli artt 2, 3 e 29 Cost.), culminata con la storica pronuncia della Corte Costituzionale del 1973, con cui è caduto il divieto di donazione tra coniugi, si è riconosciuta autonomia negoziale ai nubendi attraverso l applicazione dell art c.c., norma che legittima la conclusione da parte degli stessi sia di contratti patrimoniali che di pattuizioni non patrimoniali (id est convenzioni finalizzate alla cura dei figli minori). Nel nostro ordinamento vi sono alcuni esempi di tali accordi, e segnatamente: i. Accordi di separazione; ii. Accordi su come adempiere il debitum coniugale; iii. Accordi pre-crisi coniugale o addirittura pre-matrimoniali (cd. prenuptial agreements); iv. Accordi post omologazione; v. Contratti di convivenza conclusi dai conviventi more uxorio. È pertanto penetrata anche nel diritto di famiglia una libertà delle parti molto forte, facoltizzata dalle larghe maglie dell art c.c. (che consente di concludere contratti atipici purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico), seppur nei limiti tracciati dalla legge per esigenze di ordine pubblico normativo, soprattutto nell ottica della protezione dei figli minori e/o del coniuge che dovesse risultare debole. Tale libertà è stata ulteriormente rafforzata con la novella del 1975, a seguito della quale si è attribuita una forte autonomia negoziale ai coniugi, al fine di soddisfare bisogni familiari (ad es. accordi con cui i coniugi si ripartiscono i doveri di contribuzione (alla luce dell art. 143 c.c.), o semplicemente (tramite il combinato disposto degli artt. 159, 162 e 215 c.c.) la possibilità di regolare i loro rapporti patrimoniali, stabilendo un diverso regime rispetto a quello legale (ad es. optare per il regime alternativo della separazione dei beni in deroga alla regola che ne prevede la comunione come regime patrimoniale legale, con ciò che ne consegue in termini di ridistribuzione della ricchezza), o addirittura una forte autonomia anche ad uno solo dei coniugi (ad es. nel caso di scelta da parte di un coniuge solo di istituire un fondo patrimoniale ex art. 167, 1 comma c.c.). Ma v è di più! Nel 2014 il d.l. n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 162/14, ha introdotto anche nell ambito delle controversie di separazione e divorzio la c.d. convenzione di negoziazione assistita al fine di 3
4 raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, cessazione degli effetti civili del matrimonio, e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. 3. Autonomia negoziale e potere dei coniugi di stipulare accordi in vista di un futuro divorzio. Orbene, una volta riconosciuto che l autonomia negoziale ha invaso, seppur con i necessari temperamenti, la materia del diritto di famiglia, ci si chiede fino a dove possa spingersi la predetta autonomia. Il quesito nasce dalla difficoltà di contemperare due momenti distinti tra loro e, a parere di chi scrivi, quasi dicotomici: quello dell autonomia negoziale ossia della regolamentazione dell autonomia delle parti ispirata ad una logica patrimonialistica e quella del diritto di famiglia, che a tutto si ispira meno che ad una logica patrimonialistica, ma si ispira a principi di solidarietà, assistenza della parte debole, prevalenza degli interessi della prole. In materia di diritto di famiglia l autonomia negoziale riguarda soprattutto il momento patologico del rapporto (separazione e divorzio), autonomia tesa da un lato, a preventivare le conseguenze della fine del matrimonio, e dall altro favorire anche nel momento del divorzio, l accordo tra le parti, per far si che siano le stesse parti a regolamentare in maniera convenzionale i propri rapporti anche nel momento del divorzio. È appena il caso di anticipare che si tratta di un innovazione recente soprattutto per il divorzio perché nell ambito della separazione consensuale, si riconosceva pacificamente un autonomia negoziale, sin dalla nascita del diritto di famiglia, mentre l idea che le parti regolamentino pattiziamente l aspetto patrimoniale e quello della prole con il divorzio congiunto, rappresenta una recente conquista. Sulla base di ciò, ci si chiede se, alla luce dell opera pretoria le parti possano stipulare delle convenzioni, dei patti volti a regolamentare gli effetti dei momenti patologici del matrimonio ossia in sede di separazione o di divorzio? Orbene, dalla ricostruzione sin qui fatta si evince che in passato l art 160 c.c. aveva valore di dogma assoluto, per cui ne derivava che gli accordi in vista del divorzio rappresentassero un illecito mercimonio dello status coniugale, come se si vendesse il consenso al divorzio per cui erano considerati assolutamente nulli. A corroborare la tesi della nullità era anche il portato dell art. 5, comma 8 legge divorzile, che impone una verifica di equità da parte del Tribunale, affinchè abbia efficacia il patto raggiunto al momento del divorzio, con cui il coniuge debole rinuncia ad un assegno periodico ottenendo, in luogo di esso, una prestazione in un unica soluzione, per cui nessuna rinuncia definitiva a qualsiasi 4
5 domanda di contenuto economico relativa a pretese conseguenti al divorzio è possibile, se non effettuata al momento del divorzio e confemata dalla valutazione di equità compiuta ex ante dal tribunale. La norma fa si che non possa considerarsi valido ed efficace ogni patto in vista del divorzio (non verificato secondo equità dal giudice dello scioglimento del matrimonio), che abbia per oggetto l assegno periodico divorzile. A ben vedere, tale disposizione si ritiene applicabile a qualsiasi patto stipulato al momento del divorzio relativo all immodificabilità dell assegno stabilito in sentenza (art. 9 l. div.), al patto stipulato al momento della separazione, con cui si pattuisce su un probabile futuro divorzio, alle convenzioni con cui i coniugi - ancora serenamente conviventi - prefigurano il contenuto di un eventuale divorzio, ed infine alle cd. prenuptial agreement in contemplation of divorce, con cui i coniugi prima ancora di contrarre matrimonio, pattuiscono sull eventuale crisi matrimoniale. Di recente si è assistito ad un apertura giurisprudenziale in merito alla questione in oggetto, in virtù dei sempre più ampi spazi di autonomia riconosciuti ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici anche in seguito alla crisi coniugale. In verità la tendenza della giurisprudenza è stata quella di assumere una posizione nettamente differente rispetto al momento della separazione e quello del divorzio. Si ammetteva la validità degli accordi volti a regolamentare gli effetti della separazione e la nullità per quelli volti a disciplinare gli effetti del divorzio. Per i primi, considerati negozi atipici - i cui effetti andavano collegati al patto di separazione - vigeva un regime di scarso formalismo, e la possibilità stessa che vi potesse essere un ripristino della convivenza, data dalla non definitività della separazione, rendeva più ampio lo spazio di ingresso dell autonomia negoziale. Con riguardo agli accordi relativi agli effetti del divorzio invece, la giurisprudenza di legittimità, ha da sempre avuto una posizione di chiusura netta ritenendo nulli gli accordi con cui i coniugi al momento della separazione determinano gli effetti economici del futuro divorzio. Ciò sulla base di due motivazioni: in primis l indisponibilità dell assegno divorzile, derivante dalla sua natura assistenziale, ed in secondo luogo la nullità derivava da motivi di ordine pubblico, attinenti all idoneità dei patti a costituire una sorta di transazione non su meri profili patrimoniali, conseguenti al fatto che si possegga un determinato status, ma proprio sullo stesso status. I patti in vista del divorzio sarebbero nulli in quanto costituiscono il prezzo del consenso al divorzio e dunque lo strumento con cui un coniuge vende all altro il proprio consenso al divorzio. A tale interpretazione la dottrina ha replicato che nel nostro ordinamento i presupposti del divorzio così come previsti ex artt. 1, 2 e 3 legge divorzile, prescindono dal consenso dei coniugi, per cui 5
6 basta che sussistano determinati presupposti oggettivi (3 anni dalla autorizzazione a vivere separati pronunciata dal Presidente del tribunale, dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione), perché ciascuno dei due possa ottenere il divorzio, senza che ciò comporti un prezzo da pagare per ottenere il consenso dell altro. Questa impostazione è stata fatta propria da una pronuncia giurisprudenziale più risalente rispetto a quella che oggi si commenta ma comunque recente (Cass. Civ /2012), che ha ritenuto l art.160 c.c. suscettibile di un applicazione più flessibile, in modo tale da comportare il contemperamento tra autonomia negoziale e settore familiare. Ciò sulla base di alcune motivazione che si possono riassumere nella irragionevole distinzione con gli ammessi accordi in sede di separazione, con le convenzioni e con i diversi nuovi istituti che favoriscono gli accordi tra coniugi. Tuttavia quest apertura non era tesa a sdoganare tutti gli accordi prematrimoniali ma considerava illeciti solo quelli che determinavano un commercio di status ed incidevano su diritti come quello all assegno divorzile, posti a tutela di interessi pubblici, e come tali considerati indisponibili. 4. Conclusioni. Alla luce di tutto quanto sin qui dedotto, si è dunque assistito a due momenti diversi nell approccio ad un idea di autonomia negoziale: una molto più aperta e orientata a consentire alle parti di regolamentare ogni aspetto della vita in maniera negoziale, anche quelli attinenti al diritto di famiglia, l altra più recente, e oggetto della pronuncia de quo, contraria alla possibilità che il concetto di autonomia negoziale possa entrare all interno del diritto di famiglia. Tale posizione afferma l idea che gli accordi di divorzio siano nulli per violazione di norme di ordine pubblico poiché con gli accordi di divorzio si ha una cesura netta e definitiva, per cui con questi accordi il soggetto disporrebbe di uno status, come tale indisponibile. Qualche dubbio ha riguardato il suaccenato istituto del divorzio congiunto, che attualmente consente la possibilità di sviluppo convenzionale degli effetti del divorzio, ma la differenza sta nel fatto che alcuna violazione si realizza, passando il rispetto dello status coniugale attraverso la verifica giudiziale, mentre un accordo che interviene anche precedentemente non rispetta il momento di verifica giudiziale. Il fatto che si parla di indisponibilità comporta sempre e comunque la nullità dell accordo per violazione di norme imperative, ponendosi in netto contrasto con i principi di ordine pubblico di indisponibilità degli status e dell assegno divorzile 6
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