La morte e l elettricità. Esperienze di elettrofisiologia tra XVIII e XIX secolo

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1 La morte e l elettricità. Esperienze di elettrofisiologia tra XVIII e XIX secolo di Lucia De Frenza Alla ricerca del dottor Frankenstein Nel 1753 una notizia inquietante fu riportata dalle gazzette scientifiche e commentata nelle adunanze delle accademie: Georg Wilhelm Richmann ( ) era stato ucciso da un fulmine a San Pietroburgo durante un esperimento con l asta frankliniana (Heilbron, 1979, p. 352). La scienza elettrica aveva il suo primo martire. Durante un temporale Richmann si era recato di corsa in laboratorio per registrare, con un nuovo apparato, la variazione dell elettricità atmosferica. Era accompagnato da Solokow, incisore dell Accademia delle Scienze, che doveva illustrare l evento. Il testimone, invece, ne raffigurò la morte. Una scarica fortissima partì dall asta dello gnomone (una sorta di elettrometro) e colpì la fronte dello scienziato, folgorandolo all istante (Rabiqueau, 1753, pp. 1-14; Watson, 1753, pp ; Sigaud de La Fond, 1785, pp ). Schegge di strumenti e fili bruciati volarono dappertutto, la detonazione sfondò la porta ed il laboratorio si riempì di fumo. Quando fu soccorso, il corpo di Richmann non mostrò ferite, eccetto una lieve bruciatura alla testa e una più grande al piede, ma l analisi autoptica attestò il danneggiamento di vari organi ed il travaso di sangue dai polmoni. La morte di Richmann arrestò la smania, che aveva preso appassionati e sperimentatori dopo il successo di Marly-la-Ville, di catturare l elettricità del fulmine con strumenti approssimativi. Mentre deboli scariche erano state già utilizzate per uccidere animali di piccola taglia, non erano chiari gli effetti che poteva avere l elettricità naturale sostituita a quella artificiale. Ed ecco la sorpresa di sapere di uno scienziato che pagava con la vita la sua incauta passione per la ricerca. Dopo la morte di Richmann i frankliniani voltarono pagina, ripiegando sullo studio degli apparati per proteggere gli edifici dalla caduta dei fulmini, abbandonando l idea di padroneggiare un elemento naturale tanto imprevedibile e pericoloso. La morte per folgorazione divenne un tema di ricerca. Su questo s interrogò Felice Fontana ( ) nelle sue Ricerche filosofiche sopra la fisica animale del 1775, sostenendo la specificità della morte provocata dal fulmine rispetto a quella per asfissia, ferita o arresto cardiaco. L elettricità, uccidendo, toglieva l irritabilità ai muscoli: Ogni cosa era morta in essi, il principio del moto era distrutto (Fontana, 1996, p. 129). I corpi folgorati andavano in putrefazione prima degli altri, a dimo- 251

2 Fig. 1 Anon., Morte del fisico Georg Wilhelm Richmann (1753). strazione del fatto che l elettricità, alterando la tessitura del muscolo, dissolveva le sue proprietà congenite e tenaci, in primis quella del movimento. Un corpo colpito dal fulmine restava ancora organizzato, ma perdeva l organizzazione necessaria alla vita, perché senza movimento non c era vita. Restava sconosciuto il modo in cui questo si verificava. Quello che era certo, invece, era la disinvoltura e quasi ovvietà del passaggio dal campo della fisica a quello della fisiologia. Lo sviluppo successivo, l elettricità considerata come motore della vita, seguiva a breve distanza. In realtà, esso derivava dal fatto che i due paradigmi alternativi, vitalismo e meccanicismo, non essendo ancora rigidamente differenziati, potevano dare adito a teorie che si collocavano in maniera incerta tra i due termini. Questo si riscontra molto bene nel dibattito tra Galvani e Volta sulla natura dell elettricità animale: entrambi gli scienziati misero in atto un fecondo interscambio tra ricerca fisica e fisiologica, che permise di vagliare alternative valide in un campo, prendendo ispirazione da ciò che apparteneva all altro, e di confrontarsi su uno stesso even- 252

3 to, proponendo soluzioni, che o propendevano per un ambito o per l altro senza barriere incolmabili (Piccolino, Bresadola, 2003, pp ). L ipotesi di un elettricità degli esseri viventi venne coniugata in modi diversi: da un lato, in senso teorico, come tentativo di chiarire l azione dell elettricità nei corpi, dall altro in senso applicativo, come definizione di una terapia per alcune malattie, metodo per accertare la morte o, in qualche caso, tecnica di rianimazione. In queste indagini alcuni sperimentatori sentirono di avere in mano il segreto della vita, di poter riportare in qualche modo la vita nei corpi morti o di poterla dare alla materia inerte. L elettricità divenne la scintilla della vita, che entro certi limiti poteva dare all uomo la potenza di Dio. Dalla suggestione di tali esperienze derivava un ampia letteratura a connotati gotici, diffusa soprattutto in Germania, Inghilterra ed America, la cui espressione più nota, ma anche incline ad essere oggetto di molteplici interpretazioni, fu il Frankenstein di Mary Shelley. La creatura mostruosa, derivata dall assemblaggio di parti organiche sottratte a diversi cadaveri e animata Fig. 2 Mary Shelley, Frankenstein or the Modern Prometheus (ed. del 1831). 253

4 da un impulso scoccato da un apparato sperimentale probabilmente di tipo galvanico, ha affascinato per oltre due secoli un universo composito di lettori. La popolarità del romanzo, accresciuta dalle trasposizioni cinematografiche, ha fatto dell esito perverso di una creatività scientifica visionaria e senza interdizioni il prototipo dei risultati anche più recenti, che la scienza ha raggiunto al limite delle leggi della natura e dell etica (Turney, 2000). Il nome di Frankenstein nell immaginario collettivo identifica l essere mostruoso e non più il creatore, vittima quest ultimo della sua sete di conoscenza, schiacciato dalla responsabilità per l esito di ricerche sfuggitegli al controllo. La colpa di Victor Frankenstein fu quella, dopo aver scoperto la causa della generazione e della vita, di aver voluto escogitare il modo di ricreare un unità organica e di averla rianimata. Tutto il resto fu conseguenza del suo rifiuto e di quello della società civile per la creatura. Il dottor Frankenstein diventava l emblema di una scienza nuova, capace di valicare i limiti del noto e del lecito per volare ad altezze pericolose, una scienza che non era solo quella ufficiale, ma anche quella degli amatori, che nei laboratori domestici potevano saggiare le forze della natura con gli strumenti della nuova chimica, dell elettrologia e delle scienze della vita. Lo scenario scientifico della fine del settecento e dei primi decenni del secolo successivo era così animato da grandi entusiasmi per le potenzialità di un sapere che si ampliava in maniera esponenziale, ma anche da paure ancestrali per le novità che potevano emergere, soprattutto se queste toccavano i piani della vita e della morte (Simili, 2006, pp ). L ambizione di rianimare la materia morta si era impadronita in maniera più o meno palese di molti sperimentatori dell elettricità in ambito medico. Naturalmente quest idea assumeva connotazioni diverse, più o meno dissacrati rispetto a quella che era la deontologia professionale, nelle diverse figure impegnate in quelle ricerche. Non era il bisturi a rendere potente la mano del novello Prometeo, ma apparati, come la pila di Volta, capaci si presumeva d infondere nelle membra morte la scintilla della vita! Questo saggio si propone di seguire lo sviluppo di tali esperienze, partendo dalla neurofisiologia di Galvani fino a toccare alcune delle linee di ricerca emerse subito dopo nell ambito della fisiologia e terapia medica, che si servirono dell elettricità a fini diagnostici, riabilitativi o rianimatori. Questa traccia permette di cogliere il modo, in cui le nozioni elettriche mutarono l approccio di molti scienziati alla sperimentazione sulla vita e sulla morte. In questa ricostruzione si farà costante riferimento all emergere di una consapevolezza sempre più evidente negli scienziati, quella se si può usare questa espressione della permanenza della vita nella morte. Ponendosi in quest ottica, anche la storia del galvanismo appare nuova rispetto a quanto riporta la tradizione storiografica, perché la sperimentazione sulla morte, che coinvolse parecchi fisiologi e medici a cavallo tra i due secoli, non fu né un fatto casuale né un emergenza senza peso né ancora un espediente per carpire nuovi proseliti. La recezione estesa a livello popolare di questi esperimenti, grazie al clamore mediatico che suscitarono, esula, comunque, da questa narrazione. 254

5 Sperimentare la vita nei corpi quasi morti o appena morti L avvio rapido degli studi su un nuovo principio, che agiva in modo diverso sui corpi naturali, organici ed inorganici, determinò nella seconda metà del XVIII secolo un cambiamento di rotta evidente in diverse scienze. Se nel campo della fisica si trattò di riconoscere l azione di una forza che agiva a distanza di origine naturale, come quella che Franklin aveva catturato dai fulmini, o artificiale, come quella che fin dall antichità consentiva all ambra sfregata di attrarre pagliuzze e frammenti di materiali leggeri, poi estesa a tutta una gamma di altre sostanze, nel campo degli studi di fisiologia significò superare un principio radicato, quello degli spiriti animali, in favore di un altro attuale, ma già vigorosamente contestato, quello di un elettricità propria degli organismi, detta, quindi, animale. Fino alla metà del settecento l ipotesi che descriveva le funzioni fisiologiche, quali il movimento e la sensazione, chiamava in causa un sistema complesso di fluidi imponderabili che agivano nell organismo. Il meccanismo classico, di derivazione galenica, supponeva che gli spiriti naturali entrati attraverso il cibo divenissero spiriti vitali per l azione del calore del cuore e, raffinati nel cervello come spiriti animali, percorressero i nervi per produrre movimento e sensazione. La modalità di descrivere questo meccanismo differenziò le proposte elaborate nel corso dei secoli. In sintesi, due erano le principali alternative: o assegnare una natura in qualche modo immateriale agli spiriti animali o considerarli, come si fece nel XVII- XVIII secolo sulla scorta del meccanicismo cartesiano, delle entità materiali. Nel seicento alcune esperienze istituite per dare conferma a quell ultima posizione avevano avuto esito negativo, come quella di Jan Swammerdam ( ), che cercò invano di misurare l accrescimento volumetrico di un muscolo in contrazione. L apparato sperimentale che Swammerdam utilizzò nel 1658 era costituito da uno stantuffo di vetro, in cui era collocata una preparazione di muscolo e nervo di rana isolato dal resto del corpo: stimolando il nervo, si riusciva ad ottenere la contrazione, dimostrando che lo spasmo muscolare avveniva senza il passaggio di spiriti animali dal cervello, ma anche senza l azione di un qualsiasi fluido materiale, che altrimenti avrebbe provocato l aumento di volume del muscolo e, quindi, il sollevamento del tappo dello stantuffo (Clower, 1998, p. 205). Swammerdam lavorava su porzioni di corpi non più viventi in una configurazione sperimentale molto simile a quella che sarà messa in atto da Galvani con altri scopi alla fine del secolo successivo. La rana mostrava, comunque, proprietà particolari che la rendevano un idoneo strumento sperimentale: in particolare il fatto di poter essere sezionata con facilità, ottenendo un preparato integro di muscoli e nervi, e la prerogativa di conservare l eccitabilità abbastanza a lungo rispetto ad altri animali. Essa fu scelta dagli scienziati per le esperienze di fisiologia nervosa, con l ammissione che i risultati ottenuti su questo organismo potevano essere estesi a tutti gli altri (Holmes, 1993, pp ). Alla metà del settecento l interpretazione delle principali funzioni fisiologiche si appoggiò in via privilegiata alle idee dello svizzero Albrecht von Haller ( ). La sua teoria dell irritabilità separava distintamente la funzione del movi- 255

6 mento, che conseguiva alla contrazione dei muscoli, da quella della sensibilità, trattata come reazione al dolore, che aveva sede nei nervi. Le fibre muscolari avevano la capacità di contrarsi per una proprietà intrinseca (vis insita), che non derivava dall impulso nervoso. D altronde, Haller rifiutò d identificare il fluido nerveo con quello elettrico, con il quale già all epoca si era trovato che avesse alcune caratteristiche in comune (Home, 1970). Le sue conclusioni derivarono da una serie di esperimenti su animali vivi sottoposti a stimoli di natura meccanica, come punture o tagli, e chimici, come il contatto con alcool o sostanze irritanti (Monti, 1990). Contro l idea che le funzioni della sensibilità dovessero essere ricondotte ad un centro cerebrale, che organizzava e dirigeva tutto ciò che arrivava dal sistema nervoso, Robert Whytt ( ) rese noti diversi esperimenti condotti su animali decapitati, ed in particolare rane, i quali, dopo lungo tempo dall essere stati vittima della rescissione del cervello, dove si presumeva avesse sede volontà e sensazione, continuavano ad esibire un coordinato movimento involontario (Frixione, 2007). Rane decapitate utilizzò anche Marshall Hall ( ) negli anni trenta del XIX secolo, sulla scorta delle osservazioni di Whytt, per definire la teoria dei movimenti riflessi (Manuel, 1980). L impiego di questi animali per lo studio delle funzioni nervose continuò almeno fino agli inizi del XX secolo, per il fatto che essi apparivano vitali a lungo, fino a quattro giorni dopo che la testa era stata staccata dal resto del corpo. Così, un tronco dell anfibio, se non perdeva molto sangue nella decapitazione, continuava a mostrare per ore le contrazioni dei suoi muscoli, spontanee o indotte; aperto il torace, poteva vedersi pulsare il cuore ed il sangue fluire in tutti i vasi, come se l animale fosse ancora vivo. Per gli esperimenti sulla irritabilità animale, gli studi sul sistema nervoso e la circolazione del sangue, le rane furono ampiamente sacrificate dai fisiologi del XVII-XIX secolo. La vitalità degli organi o dei preparati organici era, comunque, una proprietà destinata man mano ad esaurirsi. I risultati sperimentali più evidenti dovevano, quindi, essere ottenuti con e- semplari osservati poco prima del trapasso o subito dopo il suo verificarsi. Per lo studio di altre funzioni, invece, furono utilizzati di preferenza piccoli animali a sangue caldo, i cui organi erano più simili a quelli dell uomo, come cani, gatti, conigli o polli. Questi furono impiegati nel XIX secolo soprattutto per le ricerche sulla fisiologia della digestione, ma anche per l esame autoptico dei tessuti muscolari e, dopo l avvio del dibattito sul galvanismo, per gli esperimenti sugli effetti prodotti dall elettricità sull essere vivente. Comparazioni furono condotte anche su mammiferi più grandi. In questi casi l osservazione del corpo doveva avvenire immediatamente dopo il decesso, procurato in laboratorio, senza convulsioni e senza perdita di sangue, perché entrambe queste circostanze riducevano il tempo d utilizzo sperimentale del cadavere. La differenza delle ricerche sulla fisiologia muscolare rispetto a quelle sulla digestione, come emerse meglio nella seconda metà del XIX secolo, era nella durata in vita dell organo da studiare: uno stomaco estratto da un animale ucciso rilasciava nell acqua anche dopo alcuni giorni gli stessi acidi gastrici, che avrebbe prodotto all interno dell organismo vivo durante la digestione, mentre un cadavere doveva essere fresco, per permettere lo studio della contrazione muscolare. 256

7 Per le ricerche d anatomia funzionale in questo stesso periodo continuò ad essere praticata anche la sperimentazione sul vivente. Studiare le relazioni tra i processi organici, che per loro natura non possono prescindere dalla vita, implicava, però, quando ci si focalizzava sul sistema vegetativo, escludere la sensazione, cioè evitare che il dolore potesse alterare il comportamento del soggetto sperimentato. Questo si otteneva attraverso la somministrazione di dosi massicce di narcotici. Quando, invece, si doveva osservare il movimento volontario, occorreva mantenere attivo il sistema nervoso centrale. La pratica più diffusa fino al XVIII secolo fu quella della vivisezione: rapida, cruenta e in alcuni casi impropria. Squartati i corpi, infatti, si potevano esaminare gli organi in funzione, solo finché non s interrompeva la respirazione: un lasso troppo breve di tempo per una completa osservazione sperimentale. A partire dalla prima metà dell ottocento si comprese che era possibile immobilizzare l animale ed escluderne la sensibilità attraverso il troncamento dei gangli nervosi nel canale spinale, quindi, ripristinare la respirazione, insufflando ossigeno artificialmente nei polmoni, e riattivare la circolazione. Con questa tecnica potevano essere osservati in funzione, fino a qualche ora dopo la morte, l apparato digerente, quello circolatorio o urinario. Gli esperimenti di Jean Legallois ( ) nei primi anni dell Ottocento con conigli decapitati, riportati momentaneamente in vita con il ripristino di un limitato circolo sanguigno, segnarono un passaggio cruciale nei metodi d indagine fisiologica. A parte le considerazioni che potevano nascere sul significato di una nuova unità organica sperimentata in questo modo nel vivente, dal procedimento usato da Legallois derivavano sconcertanti conseguenze in ordine alla possibilità di prolungare artificialmente la vita o, meglio, di generare un interruzione controllata tra la vita e la morte per l osservazione sperimentale (Legallois, 1812). Il francese andava oltre le scelte dei fisiologi che l avevano preceduto, perché non si limitava ad utilizzare organismi, che per la loro specifica natura consentivano l osservazione delle funzioni vitali per un certo tempo oltre la morte, ma modificava questo limite in maniera artificiale. La resurrezione era lo scopo dei suoi esperimenti, ma la vita, ripristinata con la circolazione sanguigna in corpi acefali, consisteva solo in una reazione condizionata dallo stimolo del medico. Questa era una delle estreme (o aberranti) conseguenze delle ricerche per definire l organizzazione dei processi vitali agli inizi dell ottocento (Cheung, 2013, pp ). Legallois, tuttavia, non sembra essere stato il moderno Prometeo, che ispirò a Mary Shelley il dramma della sua orrenda creatura. Protocolli sperimentali nelle ricerche elettrofisiologiche da Galvani a du Bois-Reymond La pubblicazione dell opuscolo De viribus electricitatis in motu musculari del medico bolognese Luigi Galvani ( ) segnò l avvio ufficiale delle ricerche elettrofisiologiche (Galvani, 1791). Benché l autore fin dalle prime battute avesse insistito sul carattere fortuito delle esperienze, che lo avevano portato a riconoscere un elettricità propria degli organismi, il problema non era nuovo e già altri ave- 257

8 vano compiuto ricerche per stabilire l analogia tra fluido nerveo ed elettrico. Ciononostante, l idea che le funzioni vitali fossero sotto il controllo di un principio di natura elettrica, al posto dei bistrattati spiriti animali, era rimasta a lungo al livello di ipotesi, perché difficilmente si riusciva a rimuovere le obiezioni che venivano sollevate. In questo agone l arma vincente non fu la reiterazione delle esperienze, ma la prova dell esistenza di esseri viventi (torpedini ed altri pesci elettrici), che vanificavano tutte le riserve avanzate contro l elettricità nella materia vivente, perché per loro naturale costituzione erano capaci di accumulare elettricità negli organi interni e rilasciarla in risposta ad una provocazione esterna. L inglese John Walsh ( ) era riuscito nel 1773 ad ottenere una scintilla da un anguilla del Surinam, dando la conferma finale all ipotesi dell elettricità contenuta nel pesce (Piccolino, 2003). Si trattava di chiarire come un simile sistema potesse essere ritrovato, mutatis mutandis, in tutti gli esseri viventi. Questo argomento era stato affrontato da diversi filosofi naturali negli anni settanta del XVIII secolo, portando anche halleriani della prim ora ad esprimere qualche velata propensione all identificazione del fluido nerveo con quello elettrico. Così aveva fatto Felice Fontana, per il quale il gimnoto elettrico e la torpedine rendono la cosa, se non probabile almeno possibile (Fontana, 1781, p. 244). Felice Fontana e Leopoldo Marc Antonio Caldani ( ) a Bologna avevano effettuato nel 1757 alcune esperienze con un apparato organico costituito dalla metà inferiore di una rana squartata (Haller, , III, pp ). Dopo aver messo allo scoperto i nervi crurali, avevano legato alla loro estremità un filo d ottone; quindi, seccati i nervi in modo da renderli incapaci di trasmettere qualsiasi fluido, avevano avvicinato al filo un bastoncino di ferro elettrizzato, facendo contrarre i muscoli collegati. In questo modo avevano concluso che il fluido elettrico funzionava come uno dei più potenti stimolanti dell irritabilità dei muscoli, perché era capace di risvegliare tale proprietà anche su membra morte e quando altre sostanze erano inefficaci (Fontana, 1980, p. 335; De Frenza, 2005, pp ). Tra l esperienza del 1757 di Fontana e Caldani e quelle realizzate da Galvani a partire dal 1780, nonostante l analogia del dispositivo, non sembra esistere un filo diretto: in mezzo ci furono gli stimoli apportati alla formazione del giovane Galvani da due figure di spicco della vita scientifica bolognese, Giuseppe Veratti ( ) e la moglie Laura Bassi ( ), che avevano aperto l Accademia delle Scienze alla discussione sulle ricerche attuali di medicina elettrica e sulle teorie riguardanti la natura dell elettricità, in particolare quella del fluido elettrico unico, avanzata da Franklin ed elaborata in una cornice newtoniana dal torinese Beccaria (Cavazza, 2006; De Frenza, 2006); ci fu l attività professionale intrapresa come membro del Collegio di medicina, anatomico dell Università e professore dell Istituto delle scienze, che l aveva obbligato ad una pratica e ad una ricerca costante in campi come l anatomia comparata e la patologica, oltre che nell ostetricia; vi era anche il confronto obbligato con l hallerismo, che insisteva negli ambienti accademici, anche dopo che i maggiori sostenitori, Fontana e Caldani, avevano lasciato la città. 258

9 Galvani nel De viribus electricitatis parlò del suo dispositivo sperimentale come se fosse già noto. Gli arti della rana, recisi a livello del busto, erano liberati dalla pelle e scoperti i nervi crurali, ai quali in qualche caso venivano lasciate delle vertebre. La condizione, che garantiva la replicabilità delle esperienze, era quella di utilizzare preparati anatomici con le caratteristiche segnalate, che da quel momento vennero identificati con la locuzione di rane preparate alla maniera di Galvani. Galvani scelse di esporre le sue ricerche nella forma del saggio scritto in prima persona, costruito come racconto della successione delle esperienze eseguite. Il confronto tra i diari autografi di laboratorio e il De viribus electricitatis permette di segnalare che, se l autore nell esposizione dei fatti seguì coerentemente la progressione delle sue esperienze, che furono svolte soprattutto negli inverni del , con qualche ripresa nel , non sempre si soffermò su ogni singola prova, ma preferì selezionare le più significative, ricostruirle, in modo tale che dalla sintesi scaturisse una maggiore evidenza (Bresadola, 2006; Id., 2011, p. 215). Questa intelligenza argomentativa costituì il plusvalore dell opera di Galvani. In effetti, al di là degli obiettivi e delle procedure sperimentali, che erano noti ai filosofi naturali, convincente fu il metodo usato nell esposizione dei fatti: si partiva da un esperienza, la si variava tenendo costanti degli elementi, finché, collazionando i risultati, non si giungeva ad una conclusione; quindi, si definiva un diverso contesto sperimentale, in cui, assumendo la precedente conclusione, si elaborava una nuova serie di osservazioni, e così ancora con altre disposizioni strumentali. Il sistema era aperto ad ulteriori ampliamenti. Il discorso di Galvani era così convincente, che passava tacitamente una difficoltà insita nella struttura stessa della sua ricerca, il fatto che per analizzare una proprietà che apparteneva stricto sensu al vivente, cioè il movimento, avesse scelto di sperimentare con animali morti, o meglio con strutture organiche manipolate di una singola specie di animali. Se n era accorto subito Alessandro Volta ( ), che, nel 1792, da filo-galvaniano aveva pubblicato un resoconto di esperimenti su animali vivi ed interi (rane, anguille, pesci, serpenti, topi ed uccelli) ad integrazione di quanto esposto da Galvani. Aveva notato che negli esperimenti su animali vivi occorreva stabilire regole sperimentali supplementari, ma qualsiasi specie animale poteva essere utilizzata per le prove, oltre al fatto che simili esperimenti erano più semplici da realizzare, perché non richiedevano alcuna pratica anatomica (Volta, , I, p. 35). Inoltre aveva indicato come riconoscere l azione sull organismo anche di quella circolazione minima di elettricità, che non è percepibile come scintilla o venticello alla punta del conduttore della macchina elettrica. La dimostrazione consisteva in una sensazione che era suscitata nel medesimo sperimentatore: un sapore sulla lingua, un tintinnio nelle orecchie o un lampo negli occhi (Volta, , I, pp ). In due modi Volta aveva smussato, quindi, la rigidità sperimentale di Galvani: 1) estendendo gli esperimenti agli animali vivi ed interi; 2) coinvolgendo nella reazione elettrica, oltre i nervi del movimento, quelli del senso. Non si trattava solo di riferire gli esperimenti a rane vive, anziché a rane morte, ma di validare una procedura di ricerca. Il dibattito, che di lì a poco avrebbe scaldato gli animi tra i sostenitori dell elettricità animale e quelli dell elettricità metallica (Pera, 1986; Piccolino, Bresadola, 259

10 2003), sembra abbia fatto passare in secondo piano quell altra difficoltà della teoria galvaniana. Ricostruire questo aspetto, significa far emergere il lato in ombra della storia della scoperta dell elettricità animale. Galvani non era giunto immediatamente alla scelta di servirsi di lacerti di rane per le sue esperienze. Come è ricordato nel Rapporto di Silvestro Gherardi, che apriva il volume delle Opere edite ed inedite di Galvani del 1841, prima del 1780, quando i protocolli sperimentali riportano l avvio delle esperienze con l elettricità, Galvani aveva già fatto delle osservazioni con le rane intere e vegete. Alcuni fogli manoscritti, infatti, riportano i dati ottenuti vivisezionando gli anfibi e sottoponendoli fino alla morte naturale a diversi metodi d irritazione, come nella più ortodossa prassi halleriana (Galvani, 1841, pp ). L indagine sulla fisiologia muscolare richiedeva, tuttavia, che si dovesse escludere dalla reazione allo stimolo dello sperimentatore la componente dipendente dalla volontà del soggetto sperimentale o da cause secondarie, che negli animali vivi costituiva un evidente fattore d errore. Galvani aveva provato ad eliminare nelle rane il controllo del movimento, somministrando, come si faceva all epoca, dosi massicce di oppio. Nel 1774 aveva presentato all Accademia delle Scienze una dissertazione, in cui riferiva la stranezza del risultato ottenuto, perché gli anfibi, a cui era somministrato l oppio o nello stomaco o nel cavo addominale o nel cervello, dopo essere caduti nel torpore, esplodevano in convulsioni frenetiche, quando appena erano sfiorati (Galvani, 1841, pp ). Quindi, rane sedate non potevano essere utilizzate per la stimolazione con l elettricità. Nel 1780 nella lezione conclusiva della funzione anatomica pubblica, che aveva dedicato all esame delle strutture interne e delle componenti dell organismo umano, Galvani dichiarò, distinguendo la morte dalla putrefazione, che molto probabilmente la causa della prima era l arresto o estinzione completa dell effetto provocato dal fluido elettrico sull individuo (Galvani, 1966, p. 137), proprio perché tale fluido regolava funzioni essenziali alla vita: movimento, sensazione e circolazione sanguigna. Quest affermazione escludeva assolutamente che si potesse ricorrere all osservazione su animali morti, per determinare gli effetti dell elettricità insita nell essere vivente, perché dopo la morte questa cessava di agire. Invece, alla fine di quell anno Galvani si era risolto ad usare negli esperimenti di neurofisiologia delle rane squartate in sostituzione di animali vivi. La sua esigenza prioritaria ora sembrava essere quella di determinare una procedura operativa semplificata, che riducesse le variabili dell esperimento. Era, quindi, una scelta di metodo. Due anni dopo ne indicava i vantaggi in questi termini: A tale effetto conveniva gli esperimenti intraprendere a mio parere su gli animali di già estinti, acciò si fosse certo, che l azione dell animo più luogo non vi avesse, e separare tutte le altre parti, ed i puri nervi co soli muscoli rimasti, per escludere ogni altra cagione (Galvani, 1967, p. 125). Sicuramente Galvani si rendeva conto del paradosso di cercare i fluidi della vita in animali morti. Nel De viribus electricitatis per sminuire tale forzatura usò degli 260

11 escamotage linguistici, scrivendo che occorreva prendere le rane, per quanto possibile uccise di fresco o animali di fresco uccisi e preparati e sperimentare subito o poco dopo la preparazione (Galvani, 1967, p. 269, 300, 287). Questi dettagli non erano anodini: le rane appena morte mantenevano ancora talune proprietà di quelle vive. Naturalmente, dopo aver descritto questi esperimenti e tirato le conclusioni, Galvani si riprometteva di passare a trattare di animali vivi ed interi, non solo rane, ma anche animali a sangue caldo, per generalizzare le scoperte: Fatti tanti e tanti esperimenti sulla elettricità animale in animali morti con i nervi tagliati e messi allo scoperto, nulla desideravamo di più che ottenere gli stessi risultati in animali viventi con nervi interi (Galvani, 1967, p. 187). A questi esperimenti Galvani si dedicò dopo il 1787, quando già aveva ottenuto tutte le prove sperimentali dell esistenza nell organismo di un elettricità propria dell animale (Bresadola, 2011, pp ). Non c è menzione di tali esperienze nei diari di laboratorio, ma è un dato certo che Galvani ritardò ancora di diverso tempo la comunicazione pubblica dei suoi risultati per il bisogno di maggiore riflessione. Non sono noti neanche i metodi da lui utilizzati per togliere agli animali il controllo dei propri movimenti senza ucciderli. Forse si serviva ancora dell oppio. Nella tavola IV del De viribus electricitatis (Galvani, 1791) mostrò un agnello placidamente addormentato, con i nervi crurali scoperti a livello della coscia, armati e posti su un quadro di Franklin. Uno sperimentatore creava il collegamento con delle Fig. 2 Luigi Galvani, De viribus electricitatis in motu musculari commentarius (1792), tav

12 bacchette conduttrici. È significativo che la stessa tavola nell edizione del 1792, indicata ora come tavola II, fosse l unica, nella quale ancora compariva lo scienziato all opera, anziché la semplice manina volante, quasi a catalizzare lo sguardo proprio su questa modalità di sperimentazione (Galvani, 1792). La conferma dei risultati su animali vivi ed interi restò un cruccio sempre presente nella mente di Galvani. Senza dilungarsi troppo, basterebbe dire che nel Supplemento al trattato dell arco conduttore del 1794 l autore si preoccupò di mettere in evidenza i vantaggi emersi dagli esperimenti sugli animali interi rispetto a quelli su parti sezionate, alle quali ultime di preferenza aveva indirizzato le sue indagini; nella Memorie quinta sull elettricità animale del 1797 riferì gli esiti di una serie di esperimenti condotti due anni prima su torpedini vive, per maneggiare le quali aveva intrapreso l unico viaggio della sua vita, che gli permisero di comprendere come si attuasse un circolo elettrico esclusivamente organico nel vivente e di verificare che per certi aspetti l elettricità dei corpi elettrici della torpedine, e l animale dei muscoli sono simili fra di loro (Galvani, 1937, p. 26). Nel 1798 Galvani era tornato a sperimentare con animali vivi ridotti all impotenza motoria: come riferì il suo primo biografo Alibert, faceva somministrare la mattina bocconcini d oppio e mercurio agli animali, per poi sperimentare di sera (Alibert, 1802, p. 122). Da questi nuovi tentativi con l oppio, che sospendeva l azione di contrazione dei nervi e illanguidiva le forze, dovevano scaturire novità per ritrovare quel vero, che solo cerchiamo, come scriveva Galvani in conclusione della Memoria quarta sull elettricità animale (Galvani, 1841, p. 386). Agli oppiati dedicò una dissertazione presentata all Accademia delle Scienze, che è andata purtroppo perduta (Galvani, 1841, p ). Per sperimentare su animali vivi, eliminando le reazioni coscienti, c erano altri sistemi. Lazzaro Spallanzani ( ) nel 1792 ne suggerì uno al patavino Floriano Caldani ( ), nipote di Leopoldo Marc Antonio, anche lui halleriano. Si trattava di sperimentare con rane letargiche. Questa condizione era ottenuta, portando gli animali per diversi minuti al rapido innalzamento o abbassamento della temperatura. Come aveva scritto Spallanzani, nel letargo i muscoli perdevano progressivamente l irritabilità e questa non poteva essere ridestata da alcun tipo di stimolazione. Le esperienze di Caldani confermarono che neanche l arco galvanico era in grado di svegliare le contrazioni dell animale (Bernardi, 1992, pp ). La conclusione appariva in linea con il punto di partenza del giovane anatomico: poiché il calore ed il freddo non potevano eliminare il fluido elettrico dall organismo, l inefficacia dell azione sperimentale era una prova della proprietà della fibra muscolare, che, unica ad essere stata modificata dalle temperature estreme, era la causa dell assenza di contrazioni. Caldani ribadiva che, nonostante si potesse riconoscere con Galvani l esistenza nell organismo di un elettricità in stato di squilibrio, questa poteva agire solo da stimolo alle contrazioni, causate in modo diretto dall irritabilità dei muscoli. Caldani, inoltre, lamentava il fatto che le esperienze di Galvani riuscissero abbastanza bene solo con le rane: Sempre rane, sempre rane non è egli vero? Ma l ho avvertito nella mia lettera che le salamandre, i pesci diversi, le lucertole si tentano in vano (Spallanzani, , III, p. 121). 262

13 Cambiando punto di vista le esperienze riuscivano. Eusebio Valli ( ) sperimentò la reazione all elettricità in animali ridotti in fin di vita in seguito ad esalazioni mefitiche o ad annegamento: essi non solo rispondevano con le contrazioni alla stimolazione galvanica, ma si rianimavano. Dimostrazioni pubbliche di rianimazioni aveva dato sia a Parigi che a Londra nel corso del 1792 (Bernardi, 1992, pp ). Il percorso sperimentale di un altro fautore dell elettricità animale, il fisico reggiano Leopoldo Nobili ( ), fu inverso rispetto a quello di Galvani: se quest ultimo era andato dagli animali morti ai vivi, il primo partì dai vivi, per tornare ai morti. La semplificazione illustra bene questa parabola scientifica. Nel 1825, dopo aver ideato il suo sensibilissimo galvanometro astatico, cercò di misurare nei diversi organi di animali vivi le correnti elettriche intrinseche. Il risultato fu negativo. Tuttavia, si convinse che esisteva una corrente propria dell organismo, perché notò che le rane preparate alla maniera di Galvani rivelavano una carica elettrica anche dopo aver perso la loro irritabilità, cosa che si giustificava solo ammettendo che questa elettricità non fosse da attribuire ad alcuna proprietà vitale. Tale elettricità non era di natura organica, ma termoelettrica, cioè generata dalla differenza di temperatura esistente tra muscolo e nervo. Comunque, Nobili si rese conto alla fine della sua esperienza scientifica dell esigenza di tornare al suo primo interesse, perché dimostrare l esistenza di un flusso elettrico intrinsecamente legato al vivente era di estrema importanza per gli sviluppi ulteriori della fisiologia (Dini, 1991, pp ). Negli anni trenta del XIX secolo Carlo Matteucci ( ) riprese a sondare gli organi di animali vivi per rintracciare i minimi segni di correnti intrinseche. I suoi esperimenti confermarono l esistenza nei tessuti di squilibri elettrici dipendenti dai processi vitali e non da reazioni chimiche, poiché il galvanometro, collegato a due organi secretori come stomaco e fegato di un animale vivo si spostava dalla posizione d equilibrio, mentre ritornava al suo posto, quando lo stesso era deceduto. Tra la fine del 1841 e l inizio del 42 Matteucci scoprì che questa elettricità derivava da un diverso stato elettrico tra interno e esterno del muscolo, dando ragione all intuizione di Galvani, che aveva visto il muscolo come una bottiglia di Leida ed attribuito lo squilibrio elettrico alle fibre muscolari nella loro singolarità. Matteucci modificò il cosiddetto terzo esperimento di Galvani (il collegamento del nervo col muscolo dell animale senza arco metallico), per verificare la direzione delle correnti muscolari. Collegato il filamento nervoso di una rana preparata alla maniera di Galvani, in modo tale che il capo del nervo toccasse l interno di un muscolo reciso di altro animale vivo o appena morto, mentre un secondo punto dello stesso nervo toccasse l esterno del muscolo, cioè si creasse un arco organico tra due punti diversamente carichi di un tessuto conduttore, gli arti della rana si contraevano. La rana, in questo caso, si utilizzava solamente come apparecchio sperimentale: da un lato era arco eccitatore per creare il collegamento e dall altra era elettrometro per segnalare l avvenuta scarica. Matteucci sospese il giudizio sull incerta identificazione di fluido nerveo ed elettrico, preferendo dichiarare che poteva essere trovata solo qualche analogia tra le due entità (Matteucci, 1844, pp ). 263

14 Il fisiologo tedesco Emil du Bois-Reymond ( ) diede, infine, un interpretazione complessiva ai fatti che erano emersi da Nobili a Matteucci. Stabilì nel 1844 che i nervi e i muscoli si trovavano entrambi in una condizione di polarità, che si estingueva con la vita; che esisteva nei muscoli una corrente continua, la quale s interrompeva solo con la contrazione, escludendo momentaneamente lo stato di polarizzazione della fibra muscolare (Lenoir, 1986). In tutto questo processo si era arrivati a dimostrare che l elettricità animale, cinquant anni prima annunciata da Galvani, aveva realtà sperimentale. A farne le spese furono solo le povere rane, che in tutto questo intervallo continuarono ad essere squartate, ma nel tempo persero gli onori della ribalta. Infatti, spostandosi l interesse dai corpi morti ai vivi, le rane da oggetto d osservazione passarono a mero strumento di rilevazione. Il galvanismo e la sperimentazione sull essere umano Le scoperte elettrofisiologiche di Galvani ebbero ripercussioni nel campo della pratica medica. Lo stesso Galvani effettuò osservazioni sulla reazione elettrica di arti umani amputati all ospedale S. Orsola di Bologna. Ne riferì Giovanni Aldini ( ) nella dissertazione introduttiva al De viribus electricitatis del 1792 (Galvani, 1967, pp ), sottolineando l utilità di raccogliere dati sperimentali sull uomo, oltre le congetture derivate dall analogia con gli animali. Galvani armò i muscoli di braccia e gambe recise e inumidite, calò nel mercurio i nervi scoperti ed, infine, fece arco metallico tra muscoli e nervi, ottenendo in pubblico movimenti visibili delle dita morte. Riuscì anche l esperimento di controllo, che consistette nel rivestire i nervi con isolanti, interrompendo il circuito. Da queste prime esperienze scaturirono novità, che collegavano la contrazione ottenuta con la fisiologia nervosa e lo stato di vitalità del cadavere. Scoprire i segni della vita residuale in un corpo morto era un obiettivo, su cui da tempo si erano spese parecchie energie sperimentali. A partire dall ultimo decennio del XVIII secolo fu messo a disposizione un bagaglio di tecniche e strumenti dall arco metallico, alle armature, ai condensatori e, poi, alla pila che si sostituirono alle pratiche vaghe del passato. Il campo d applicazione era di grande interesse, perché precisare con l elettricità l ordine spaziale e temporale di esaurimento in un organismo delle forze vitali significava poter distinguere la morte certa da quella apparente, ossia conoscere il punto di non ritorno. D altra parte, proprio la sperimentazione elettrica mostrò come fosse estremamente difficile individuare in modo assoluto questo limite, perché le condizioni particolari del trapasso e la fisiologia dell essere vivente erano tali che più che di un momento si doveva parlare di un ampio arco di tempo. La morte si dilatava e, forse, diveniva più difficile da definire. Nel limbo tra vita e morte c era spazio per intervenire, attuando procedure di rianimazione, che sfruttavano la reattività della fibra organica all elettricità. Nel 1792, Volta scrisse che, sezionando gli animali al modo di Galvani, aveva acquisito una precisa consapevolezza della vitalità elettrica dei corpi. Nella morte distingueva quattro momenti o stadi, ben separati ed estesi: il primo era l asfissia, 264

15 o morte apparente, l ultimo era la morte plenaria, che si avvicinava alla putrefazione, il secondo ed il terzo erano caratterizzati da diversi gradi di vitalità. Nel secondo si ottenevano forti contrazioni, creando il collegamento tra nervi e muscoli armati, per effetto dell elettricità animale; nel terzo, spenta ormai questa, era possibile ottenere ancora le contrazioni con l elettricità artificiale, per esempio grazie alla scarica di una bottiglia di Leida. Ognuna di queste fasi aveva una durata variabile da animale ad animale e poteva dipendere da diversi altri fattori, come età, taglia, ecc. e soprattutto causa della morte. Volta riferiva di aver preso nota di tutti i dati emersi dalle sue esperienze con animali diversi e diverse cause di morte e di voler continuare ad approfondire tale argomento. Nella sua mente era presente l idea di trovare un metodo o diversi metodi per riportare in vita un essere in uno dei primi tre stadi della morte (Volta, , I, pp ). Su questi argomenti Volta non tornò a riflettere. Il discorso s interruppe quando, abbandonando l ipotesi di un elettricità animale, riscattò solo la prodigiosa eccitabilità de nervi [ ], massime volontarj, per lo stimolo del fluido elettrico messo in corrente da cause esterne; che vuol dire una disposizione meramente passiva riguardo ad una elettricità sempre estranea (Volta, , I, p. 147). Volta, per dimostrare la validità della sua posizione, aveva ideato uno strumento, una colonna di soli conduttori dissimili, capace di mettere in moto una corrente elettrica: proprio la pila divenne paradossalmente nelle mani dei galvaniani il dispositivo privilegiato per risvegliare l elettricità animale, generando una nuova ondata di sperimentazioni. In effetti, la smania galvanizzatrice conobbe due picchi: il primo subito dopo l annuncio di Galvani ed il secondo intorno ai primi anni dell ottocento. Cambiarono gli strumenti utilizzati, costituiti nel primo momento da archi metallici e condensatori (elettricità statica) e nel secondo da pile sempre più potenti (corrente elettrica); ma cambiarono anche le finalità, perché lo spirito di parte si smorzò pian piano e rimase solo l interesse per una procedura sperimentale, che continuò ad essere usata, anche per gli aspetti che riguardavano la fisiologia della morte, per tutto il XIX secolo. Attraversò i due momenti, anzi ne fu uno dei massimi ispiratori, il nipote di Galvani, Giovanni Aldini, professore di fisica ed erede della cattedra di Sebastiano Canterzani, fisiologo ed inventore (Parent, 2004). Questi realizzò diversi esperimenti nel 1792 a Bologna sulla reattività degli arti umani amputati e sui cadaveri. L obiettivo era quello di rendere visibile il potere del galvanismo come eccitatore delle forze vitali. Uno dei suoi primi interessi fu lo studio della reattività degli apparati involontari, come cuore e vasi sanguigni, stomaco ed intestino, che Volta aveva confermato essere insensibili alla galvanizzazione. Nel 1792 Johann Behrends aveva utilizzato l arco galvanico per sostenere l ipotesi che il cuore non avesse nervi, perché indifferente allo stimolo elettrico (Trumpler, 1997). Su questo tema si erano cimentati alcuni componenti dell Accademia delle Scienze di Torino all interno di un Comitato galvanico appena istituito, effettuando nello stesso anno esperienze su animali a sangue caldo e freddo (Arecco, 2004). Carlo Stefano Giulio ( ) e Francesco Rossi ( ) lessero una memoria sull eccitabilità del 265

16 cuore, che fu pubblicata nel 1801 negli atti di quella Accademia (Giulio, Rossi, ). Intanto erano apparsi anche altri contributi. Il Comitato galvanico decise di riprendere le esperienze e i risultati furono descritti in un rapporto, questa volta subito pubblicato nel Journal de Physique a nome di tutti i collaboratori, Anton Maria Vassalli-Eandi ( ), Rossi e Giulio. Gli scienziati avevano osservato la contrazione del cuore umano su tre corpi di decapitati, praticando la galvanizzazione subito nell ospedale di S. Giovanni, vicino alla piazza di giustizia, ed il giorno dopo in pubblico nel teatro anatomico dell università. Il successo di queste prove, a loro parere, derivava dall aver ricevuto i corpi pochi minuti dopo la morte: il cuore, infatti, perdeva la propria reattività in un tempo relativamente breve, prima, comunque, degli altri organi (Vassalli-Eandi, Giulio, Rossi, 1802, p. 294). Aldini, che nei primi mesi del 1802 a Bologna aveva sperimentato su decapitati dopo mezz ora dall esecuzione, non aveva visto alcuna contrazione (Aldini, 1804, I, pp ). Lo stesso era successo a Bichat nel 1798, quando aveva realizzato alcune esperienze su ghigliottinati (Sue, , II, pp ). Tali indagini rimettevano in gioco l idea, sostenuta da Haller, che il cuore dovesse essere l ultimum moriens (Carol, 2012, p. 81). Il nodo teorico era annoso: decidere a quale organo attribuire il primato sulla vitalità, o al cuore o al cervello. Anche il medico belga Pierre Hubert Nysten ( ) si era occupato di stabilire la suscettibilità galvanica del cuore. Egli aveva effettuato le sue esperienze a Parigi nel 1802 sui ghigliottinati, applicando la corrente di una modesta pila dopo cinquanta minuti dall esecuzione. Ne aveva dedotto che il cuore conservava la sua eccitabilità più a lungo di quanto fosse stato accertato fino ad allora. Continuando le ricerche, nel 1811 dette la prima definizione scientifica del rigor mortis (legge di Nysten), a cui s ispirò Charles-Édouard Brown-Séquard ( ) quasi cinquant anni dopo per analizzare la relazione tra irritabilità muscolare, rigidità cadaverica e decomposizione. Dopo aver eseguito molte osservazioni con l applicazione della corrente su decapitati ed asfissiati, Brown-Séquard riferì che in questi soggetti la rigidità cadaverica interveniva alcune ore dopo che in individui morti per consunzione (Brown-Séquard, 1861). Aveva tentato già anni prima di risvegliare l eccitabilità muscolare in animali irrigiditi dalla morte attraverso trasfusioni di sangue arterioso. Nel 1851 eseguì l esperimento su un ghigliottinato, consegnatogli undici ore dopo l esecuzione con alcune parti già irrigidite: infondendogli il proprio sangue, riuscì a risvegliare i fasci muscolari del braccio, che risposero alle stimolazioni meccaniche ed elettriche. L esperimento più sconcertante fu, però, realizzato nel 1858, quando, iniettando sangue nella testa troncata di un cane, vide movimenti apparentemente volontari degli occhi e dei muscoli facciali. Questo risultato sembrava rendere possibile la rianimazione dell encefalo (Carol, 2012, pp ). La diffusione della ghigliottina come pena capitale alla fine del XVIII secolo sembrò un occasione fortunata per gli studi neurofisiologici. La lama troncava repentinamente i corpi, lasciando da una parte il cuore e dall altra il cervello: potevano così essere osservati gli effetti prodotti dalla privazione di una o dell altra delle funzioni vitali nelle due parti separate. Conveniente era il fatto di disporre di un 266

17 Fig. 3 Dimostrazione di galvanizzazione eseguita dal dott. Andrew Ure a Glasgow sul cadavere di Matthew Clydesdale (1818). corpo giovane, portato alla morte nel pieno delle sue forze vitali, cioè come scrissero Dujardin-Beaumetz ed Evrard nel 1870 un corpo che est entré vivant dans la mort (Bertrand, Carol, 2003, p. 67). Occorreva, però, arrivare a maneggiare il cadavere subito dopo l esecuzione, aggirando i regolamenti di polizia mortuaria o accelerando le autorizzazioni, perché la reattività del cadavere cambiava con il trascorrere delle ore. Aldini sostenne che i corpi di persone morte per cause naturali non erano buoni per la sperimentazione galvanica quanto quelli dei giustiziati, essendo questi ultimi più vivaci e dotati della stessa freschezza, che Galvani cercava nelle sue rane. Un altra ragione, che si opponeva alla sperimentazione con morti per cause naturali, era di natura etica, dovendosi in questo caso mettere a tacere le remore dei familiari. Per rendere la manipolazione meno brutale, Aldini adottò l accortezza di non sezionare quei corpi, ma di applicare la pila sulla pelle in corrispondenza dei nervi più superficiali. Esperienze sui cadaveri di defunti per malattia aveva avviato a Bologna e le aveva ripetute a Parigi insieme a Philippe Pinel ( ) nel complesso psichiatrico della Salpêtrière (Sue, , IV, pp ). Acquistò rilevanza all inizio dell ottocento un altro interesse: usare la galvanizzazione per indagare le tappe del passaggio dalla vita alla morte. Il soggetto sperimentale idoneo era l impiccato, il cui cadavere restava integro, benché il ghigliottinato fosse più disponibile. I prodromi di questa sperimentazione si trovano già all inizio della discussione sul galvanismo. Il tedesco Karl Kaspar Créve (

18 1853) aprì il dibattito, indicando una procedura elettrica per distinguere un ora dopo il decesso la morte reale da quella apparente. Occorreva incidere la pelle ed armare con due placche di zinco ed argento una fascia muscolare, il bicipite o il pettorale, facendo arco tra i metalli. Se il muscolo si contraeva, significava che l irritabilità non era completamente distrutta e, quindi, la morte non si poteva certificare; nel caso contrario la prova era risolutiva. La proposta di Créve lasciò interdetti gli stessi fautori del galvanismo, perché la suscettibilità allo stimolo galvanico poteva essere annientata in un muscolo, senza che fosse spenta l irritabilità generale (Sue, , II, pp ). Alexander von Humboldt ( ) si schierò contro i sostenitori del galvanismo come criterium della morte, convinto che non si dovesse usare una tecnica sola per intervenire su tante problematiche insolute della medicina. La sua obiezione si poggiava su esperienze condotte su animali e su se stesso. Tuttavia, al di là del risultato sperimentale, l idea di non limitare la vita ad una rigida reazione ad uno stimolo, in questo caso elettrico, portava Humboldt a ritenere che un corpo apparentemente morto potesse in qualche maniera essere rianimato. La linea vitalistica del galvanismo tedesco fu molto feconda. In essa si colloca Johann Wilhelm Ritter ( ), autore di significativi contributi in elettrochimica ed ottica, e, al contempo, esponente non ortodosso della scienza tedesca, visionario e romantico. Nel suo galvanismo magico come lo definì Wetzels tutti i processi vitali erano retti da una forza galvanica continuamente in azione (Wetzels 1973: 209). Ritter definì il cosmo intero come un corpo vivo e l elettricità, che era in grado di attivare processi chimici, dissolvendo e creando nuovi aggregati, divenne il motore della storia naturale. Spariva la demarcazione tra natura organica ed inorganica, tra vivo e morto. Poiché la polarità apparteneva a tutti gli esseri, i fenomeni della natura avevano un unità intrinseca, quella della legge che era alla base del loro esplicarsi, ossia del galvanismo, principio agente universale. La conoscenza delle leggi galvaniche dava speranza di poter invertire un giorno il processo chimico che s innescava negli organismi morti, riportando in vita l essere (De Frenza, 2005, pp ). Protocolli sperimentali di rianimazione con l elettricità furono definiti a partire dalla fine del XVIII secolo nel tentativo di arrivare alla reversibilità della morte (Barras, Panese, 2006). Gli esperimenti sull uomo furono tentati su una misera schiera di decapitati, impiccati ed annegati. Ed è a questo punto che gli esperimenti di Aldini diventavano più spettacolari. Non è sicuramente fuori luogo sostenere che in quelle esperienze fosse stata assecondata una certa curiosità macabra e che nelle dimostrazioni pubbliche giocò un ruolo dominante l esibizionismo e la teatralizzazione. Rispetto alla tipologia di performance scientifica che di lì a poco sarebbe divenuta canonica, riferendosi ad esempio alle Christmas Lectures di Faraday alla Royal Institution di Londra, e nella quale il centro focale sarebbe stato l apparecchio, nelle esibizioni di Aldini era ancora il corpo (insanguinato del giustiziato ed impassibile dell esecutore) ad essere messo in primo piano (Morus, 2010, p. 809). Peraltro, la progettualità di Aldini nell esperimento non emergeva: non era chiaro se stesse cercando ancora di dimostrare le ipotesi di Galvani o se fosse andato oltre (Carol, 2012, p. 84). D altra parte, proprio queste esibizioni gli erano ri- 268

19 chieste e l assecondarle era un espressione di cortesia verso quelle istituzioni che lo avevano invitato. Le esperienze con le rane passarono in secondo piano. Aldini aveva già galvanizzato i corpi di due decapitati a Bologna nel gennaio Aveva iniziato a sperimentare prima sulla testa, collegando a vari orifizi inumiditi con soluzioni saline i due poli di una pila, ed aveva ottenuto sorprendenti contrazioni facciali e l apertura degli occhi. Gli effetti più eclatanti li aveva avuti, però, quando piazzai dunque orizzontalmente su un tavolo le due teste dei giustiziati, in modo che le due sezioni comunicassero insieme con la sola umidità animale. Così disposte, feci arco con la pila dall orecchio destro di una testa al sinistro dell altra: fu meraviglioso, e insieme sconvolgente, vedere queste due teste farsi una alla volta delle orribili smorfie reciproche, tanto che qualcuno degli astanti che non si aspettava simili risultati, ne fu veramente scosso (Aldini, 1804, I, p. 72). Movimenti più o meno intensi aveva ottenuto con la galvanizzazione del tronco e degli arti. Posta una moneta nel palmo e chiuso il circuito tra l avambraccio ed il midollo, la mano si sollevava e ad una certa altezza scagliava lontano la moneta. Nella descrizione della mimica facciale o nel ripristino di un movimento finalizzato Aldini accentuava l intenzionalità del cadavere, destando vero terrore negli spetta- Fig. 4 Giovanni Aldini, Essai théorique et expérimental sur le galvanisme (1804), tav

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