LA CRISI DEL VERIFICAZIONISMO

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1 VERIFICABILITÀ E FALSIFICABILITÀ PROF. MAURO DI GIANDOMENICO

2 Indice 1 LA CRISI DEL VERIFICAZIONISMO IL PROBLEMA DELL INDUZIONE IL PROBLEMA DELLA DEMARCAZIONE di 8

3 1 La crisi del verificazionismo Il fondamento filosofico della verità ricercata ed espressa dalla scienza con il suo linguaggio matematizzato costituisce il punto di maggior discussione dell epistemologia del secolo scorso. Vedremo in questa lezione gli sviluppi più recenti di tale dibattito, ma prima ricapitoliamo rapidamente le posizioni neopositivistiche espresse nei primi decenni del Novecento con i loro pregi e difetti. Ricorderete che con l espressione principio di verificazione viene correntemente indicata l assunzione congiunta di queste due tesi seguenti: 1) un enunciato ha significato se, e solo se, è possibile la sua verifica; 2) il significato di un enunciato è il metodo della sua verificazione. Peraltro, talvolta con essa è stata intesa anche solo una delle due tesi, distinguibili in quanto la prima stabilisce un criterio di significanza, mentre la seconda è una definizione di significato. Wittgenstein, per la verità, nel Tractatus logico-philosophicus non ne tratta esplicitamente: la formulazione che più gli si avvicina si trova là dove si afferma che comprendere una proposizione vuol dire sapere che accada se essa è vera (prop ). In altri suoi scritti, però, esso viene semplicemente equiparato alle regole d uso di un espressione. Con Ayer, in Linguaggio, verità e logica, si considera verificabile un enunciato se da esso, in congiunzione con altre premesse, si possono dedurre enunciati di osservazione non deducibili dalle sole altre premesse. Questo criterio, però, risulta troppo largo, perché può essere soddisfatto, come ha fatto notare Carnap, da qualsiasi enunciato metafisico. Egli, conseguentemente, riconosce la necessità di sostituire al concetto di verificabilità con quello più debole di confermabilità. Ricorderete ancora - che egli considera confermabile un enunciato se alcune esperienze possibili possono contribuire (negativamente o positivamente) alla sua conferma. La sua soluzione consiste, conseguentemente, nella costruzione di un linguaggio formale che rispetti il requisito di confermabilità, in modo che risultino confermabili quegli enunciati in cui compaiono solo termini riducibili ad una base di termini osservativi. Ciò comporta che la significanza di un enunciato deve essere dedotto dalla sua stessa inclusione in un linguaggio formale costruito secondo i requisiti dell empirismo. Anche questa soluzione, però, non riesce a risolvere lo scottante problema relativo alla determinazione del momento in cui si possa dichiarare esaurita la serie di verifiche empiriche in maniera definitiva. 3 di 8

4 C è un altra considerazione da fare, che è questa. Benché il termine verificazione sia spesso definito come sinonimo di qualsiasi procedimento in grado di stabilire la verità o la falsità di un enunciato (empirico o formale che sia), il termine stesso indica che il procedimento in questione intende, in realtà, dimostrare la verità e solo secondariamente, in caso di insuccesso, la falsità: in breve la verifica di un enunciato di forma universale sottintende un procedimento induttivo. Abbiamo già esaminato nelle precedenti lezioni, come questo impianto induttivistico generi i problemi ora ricordati. La chiarificazione di questo punto, così come del fatto che gli enunciati di forma universale - e quindi le leggi fisiche - non possono essere conclusivamente verificati, (stabiliti come veri per sempre) è dovuta, in gran parte, a Popper. Nella sua prima fondamentale opera, pubblicata a Vienna nell autunno del 1934 con il titolo Logik der Forschung ( Logica della ricerca ), tradotta in inglese col titolo Logic of scientific discovery nel 1959 ed in italiano (Logica della scoperta scientifica) nel 1970 (tratteremo in seguito il senso della trasformazione del titolo, da ricerca a scoperta ), Popper prende di petto proprio la radice profonda della teoria verificazionista, e del suo presupposto induttivistico, e cioè la riduzione dell essenza della conoscenza (comune o scientifica) a puro e semplice linguaggio. Egli così pone la questione, nella prefazione alla prima edizione inglese: Gli analisti del linguaggio credono che non ci siano problemi filosofici genuini, o che i problemi della filosofia ammesso che ce ne siano siano problemi concernenti l uso linguistico, o il significato delle parole. Invece io sono convinto che esista almeno un problema al quale sono interessati tutti gli uomini dediti al pensiero. E il problema della cosmologia: il problema di comprendere il mondo, compresi noi stessi e la nostra conoscenza, in quanto parte del mondo. Sono convinto che tutta la scienza sia cosmologia, e per me l interesse così della filosofia come della scienza risiede unicamente nei contributi che queste due discipline hanno portato a questo problema. In ogni caso scienza e filosofia cesserebbero di esercitare su di me qualsiasi attrazione se dovessero rinunciare a proporselo. Non c è dubbio che il comprendere le funzioni del linguaggio sia una parte importante di questo compito; ma non lo è il liquidare i nostri problemi come semplici enigmi linguistici [.]. Il problema centrale dell epistemologia è sempre stato, e ancora è, il problema dell accrescersi della conoscenza. E l accrescersi della conoscenza può essere studiato, meglio che in qualsiasi altro modo, studiando l accrescersi della conoscenza scientifica. 4 di 8

5 Non credo che allo studio dell accrescersi della conoscenza si possa sostituire lo studio degli usi linguistici, o dei sistemi linguistici. (K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, tr.it., Einaudi, Torino, 1970, pp. XXI-XXII). Su questa base teorica, i cui aspetti e le cui conseguenze affronteremo in seguito, Popper sferra il suo attacco ai principi-base del neopositivismo, che sono l induttivismo ed il verificazionismo. 5 di 8

6 2 Il problema dell induzione Possiamo individuare il punto di partenza della riflessione popperiana nella discussione intorno al valore di quel metodo il metodo induttivo, appunto che la tradizione riconosce come il fondamento della scienza moderna, in quanto scienza empirica. Secondo questo punto di vista, lo scienziato, prendendo spunto dall osservazione della realtà, procede da asserzioni singolari (cioè da resoconti dei risultati di osservazioni o di esperimenti) ad asserzioni universali, che sono etichettate come ipotesi o teorie. Ad avviso di Popper il problema che qui si pone è di natura squisitamente logica: la presa d atto (è il suo classico esempio che tutti citano) che i cigni finora osservati siano bianchi può bastare a giustificare la conclusione necessaria ed universale che tutti i cigni, passati, presenti e futuri, sono e saranno bianchi? La risposta tradizionale, positiva, si ancorava al valore fondativo del principio d induzione, che, come ci ricorda Reichenbach, è accettata da tutta quanta la scienza e che anche nella vita di ogni giorno nessuno può mettere seriamente in dubbio. Ma è proprio vero? Ed il principio d induzione stesso da dove si ricava? Dall esperienza, forse? E come? Attraverso inferenze induttive, dal momento che l esperienza è sempre individuale, soggettiva, concreta? Facendo forse riferimento ad un principio induttivo di ordine superiore? Ma in tal modo il tentativo di basare il principio d induzione sull esperienza fallisce, perché la domanda diventa: quando si può dire razionale l accettazione di un enunciato generale sulla base di enunciati osservativi (enunciati- base ), la cui verità è presupposta? La risposta che è stata data dal neopositivismo classico è: Quando questi enunciati verificano l enunciato generale. E quando si dà il caso di una tale verificazione? Hume aveva risposto: mai : è logicamente impossibile derivare un enunciato universale da un insieme coerente, ma finito di enunciati singolari, giacché il contenuto di informazione empirica di un enunciato genuinamente universale trascende infinitamente il contenuto necessariamente finito di un gruppo coerente, finito di enunciati singolari. Per questa ragione al programma verificazionista viene sostituito quello, attenuato, dell induttivismo probabilistico: un enunciato generale deve essere accettato se la sua probabilità logica, sulla base degli enunciati osservativi, è sufficientemente alta. Ma come escludere che, dopo una ininterrotta catena di verifiche sui cigni (per riprendere Popper) tutti bianchi, all improvviso si possa presentare un cigno nero? Per tutti questi motivi Popper prospetta una teoria che 6 di 8

7 si oppone radicalmente a tutti i tentativi di operare con le idee della logica induttiva. Potrebbe essere descritta come la teoria del metodo deduttivo dei controlli, o come il punto di vista secondo cui un ipotesi può essere soltanto controllata empiricamente, e soltanto dopo che è stata proposta [ ] Il metodo consistente nel sottoporre le teorie a controlli critici e nello scegliere secondo i risultati dei controlli, procede sempre lungo le linee seguenti. Da una nuova idea, avanzata per tentativi e non ancora giustificata in alcun modo un anticipazione, un ipotesi, un sistema di teorie, o qualunque cosa si preferisca si traggono conclusioni per mezzo della deduzione logica. In un secondo tempo questa conclusioni vengono confrontate l una con l altra, e con altre asserzioni rilevanti, in modo da trovare quali relazioni logiche (come equivalenza, derivabilità, compatibilità o incompatibilità) esistano tra di esse [ ]. Con l aiuto di altre asserzioni già accettate in precedenza si deducono dalla teoria certe asserzioni singolari che possiamo chiamare predizioni : in particolar modo predizioni che possano essere controllate o applicate con facilità. Tra queste asserzioni scegliamo quelle che non sono derivabili dalla teoria corrente, e, più in particolare, quelle che la teoria corrente contraddice. In seguito andiamo alla ricerca di una decisione riguardante queste (e altre) asserzioni derivate, confrontando queste ultime con i risultati delle applicazioni pratiche e degli esperimenti. Se questa decisione è positiva, cioè se le singole conclusioni si rivelano accettabili o verificate, la teoria ha temporaneamente superato il controllo: non abbiamo trovato alcuna ragione per scartarla. Ma se la decisione è negativa, o, in altre parole, se le conclusioni sono state falsificate, allora la loro falsificazione falsifica anche la teoria da cui le conclusioni sono state dedotte logicamente. (K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, tr. it., Einaudi, Torino, 1970,pp. 9 e 11-13). Questa impostazione deduttivistica, commenta Popper, ha come conseguenza una ridefinizione di un punto fermo della visione della scienza neopositivistica, e cioè della distinzione tra scienza e metafisica, come ci apprestiamo ad esaminare. 7 di 8

8 3 Il problema della demarcazione Demarcare significa per Popper trovare un criterio che ci metta in grado di distinguere tra le scienze empiriche da un lato e la matematica e la logica, e così pure i sistemi metafisici dall altro. In primo luogo Popper considera dogmatica la divisione delle proposizioni in due classi, quella delle proposizioni significanti o scientifiche e quella delle proposizioni non significanti o metafisiche, in quanto questa divisione pretende di fondarsi sulla natura stessa delle proposizioni, riconoscibile una volta per tutte. Si tratta piuttosto, secondo Popper, di segnare una linea di demarcazione cioè di avanzare una proposta o di stabilire una convenzione opportuna per la demarcazione del dominio proprio della scienza. In secondo luogo, egli ritiene che l esperienza debba essere intesa non come un mondo di dati, ma come un metodo e precisamente come il metodo di sottoporre a prova o a controllo i diversi sistemi teoretici logicamente possibili. Su queste basi, egli propone di ado perare come criterio di demarcazione non la verificabilità, ma la.falsificabilità delle proposizioni: cioè di 'considerare come contrassegno di un sistema scientifico la possibilità di essere confutato dall'esperienza. Cosi l'asserzione «domani pioverà o non pioverà» non è empirica perché non può essere confutata, mentre è empirica l'asserzione «domani pioverà». La superiorità di questo criterio si fonda, secondo Popper, sulla asimmetria tra verifica bilità e falsificabilità : giacché mentre le proposizioni universali non possono mai essere derivate da quelle particolari, possono però essere smentite da una sola di esse: non basta avere verificato che «quest'uomo è mortale» per asse rire che «tutti gli uomini sono mortali»; ma basta avere verificato quell'as serzione per smentire la proposizione universale «gli uomini sono immor tali». Il metodo della falsificazione consente di fare a meno dell'inferenza induttiva sottoponendo alla prova della falsificabilità i sistemi deduttivi costi tuiti dalle trasformazioni tautologiche delle proposizioni ( The Logie of Scientific Discovery, 6). Da questo punto di vistà una teoria può essere detta empirica o falsificabile se divide senza ambiguità la classe di tutte le possibili proposizioni fondamentali in due sottoclassi: quella delle proposizioni con le quali è incompatibile e che costituiscono i jalsific atori potenziali della teoria e quella delle proposizioni che non la contraddicono o che essa permette. Piu brevemente «una teoria è falsificabile se la classe dei suoi falsificatori potenziali non è vuota» ( Ib., 21). 8 di 8

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