Depenalizzazione, abolizione di norme incriminatrici e sorte delle obbligazioni civili nascenti da reato.

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1 Depenalizzazione, abolizione di norme incriminatrici e sorte delle obbligazioni civili nascenti da reato. di Anna de Maria Il diritto penale è concepito quale extrema ratio per tutelare determinati beni o valori di grande pregnanza. Tale principio è strettamente legato all esigenza di proporzionalità tra la condotta commessa e la sanzione irrogata. Alla luce di tali premesse, si spiegano i fenomeni della depenalizzazione e dell abolizione di norme incriminatrici. Si ha depenalizzazione quando un reato viene trasformato in illecito amministrativo. Ricorre, invece, abolitio criminis quando un fatto cessa di essere reato (art. 2, co 2, c.p.) perché una preesistente figura di reato viene abrogata totalmente oppure parzialmente, venendo così meno del tutto la rilevanza del fatto, oppure restringendo la portata applicativa della norma incriminatrice soltanto a taluno dei fatti in essa rientranti. Le ipotesi in esame si inquadrano, dunque, nel più ampio fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, retto non solo dal principio di irretroattività della norma penale (art. 25, co. 2, Cost.), assoluto e irrinunciabile, ma anche da quello di retroattività della norma penale più favorevole (art. 3 Cost.), relativo e derogabile in presenza di interessi di analogo rilievo costituzionale. A tal proposito va, però, precisato che affinché si possa parlare di successione di leggi penali nel tempo è necessario che un determinato comportamento conservi il carattere di illecito penale, ove oggetto di modifiche legislative. Ebbene, rientra sicuramente nella nozione di successione di leggi penali nel tempo l abolitio criminis (art. 2, co 2, c.p.), insieme all ipotesi di nuova incriminazione (art. 2, co 1, c.p.) e alla successione di norme modificative (art. 2, co 3 e 4, c.p.). Le ipotesi di depenalizzazione, invece, stanti tali definizioni, sembrerebbero non rientrarvi. Ed infatti, il reato depenalizzato perde il connotato della rilevanza penale. Tuttavia, la condotta descritta dalla norma incriminatrice per effetto della depenalizzazione non perde il carattere dell illiceità, ma il disvalore della stessa non rileva più sul piano penale, bensì su quello amministrativo. In altre parole, il fatto oggetto di depenalizzazione cessa di essere reato, ma continua ad essere illecito di natura amministrativa. Va, però, osservato che le ipotesi di trasformazione di reato in illecito amministrativo non configurano casi di successione di leggi modificative. Ed infatti, queste ultime ricorrono 1

2 allorquando un fatto, già prima considerato reato, continua ad essere considerato tale anche dalla nuova legge, che prevede un trattamento sanzionatorio diverso. Il fenomeno in questione è vicino, invece, all abolitio criminis poiché il fatto cessa di avere rilevanza penale. Tale precisazione non è frutto di un mero esercizio teorico, ma, al contrario è foriera di rilevanti ricadute applicative. Nello specifico, ai sensi dell art. 2, co 2, c.p. l abolitio criminis incide sul giudicato, scardinandolo, in virtù del principio di retroattività della norma più favorevole. Di conseguenza, il giudice dell esecuzione deve revocare la sentenza ex art. 673 c.p.p., dichiarando che il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Del resto, ciò trova conferma nell art. 8 del D.lgs. 8/16, recante disposizioni in materia di depenalizzazione, nonché nell art. 12 D.lgs. 7/16, intitolato disposizioni in materia di abrogazione di reati e di introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili. Entrambe le norme in questione sanciscono l applicabilità delle disposizioni relative, rispettivamente, alle sanzioni amministrative e alle sanzioni pecuniarie civili, anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dei decreti stessi, salvo che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. Tuttavia, se è già intervenuta sentenza o decreto irrevocabile di condanna, il giudice dell esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Dunque, tanto nel caso di reati depenalizzati quanto di reati abrogati, la condanna penale viene meno anche se passata in giudicato in virtù del principio di retroattività della legge più favorevole. Precisate le nozioni di depenalizzazione e di abolizione di norme incriminatrici e chiarita anche la tenuta del giudicato in tali ipotesi, occorre ora occuparsi delle maggiori questioni interpretative, poste dai recenti decreti legislativi n. 7 e 8 del 2016, con specifico riferimento alla sorte delle obbligazioni civili nascenti da reato. Per avere un quadro completo, occorre prima analizzare, seppur brevemente, tali testi normativi. Entrambi sono stati emanati in attuazione della legge delega 67/2014, espressione di una depenalizzazione che sta mutando veste in quanto, oggi, alla classica ipotesi, consistente in abolizione del reato e trasformazione dello stesso in illecito amministrativo con seguente sanzione, se ne aggiunge un altra, caratterizzata dall introduzione di nuove sanzioni pecuniarie civili, invece che di sanzioni amministrative. Ed infatti il D.lgs. 7/16 detta disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie. 2

3 Si registrano dubbi sulla natura (si sospetta punitiva) di tali sanzioni, ma tale dato è rilevante ai fini civilistici e riguarda l ammissibilità nel nostro ordinamento in via generale dei danni punitivi (id est condanna al ristoro dei danni maggiori rispetto a quelli causati). Ciò che maggiormente è opportuno è evidenziare le caratteristiche dei suddetti punitive damages. Nello specifico, questi sono connotati dalla graduazione su criteri oggettivi o soggettivi, dall irrogazione ad opera del giudice civile e dalla circostanza che la loro irrogazione è subordinata all apposita domanda di parte, nonché dalla devoluzione del relativo importo alla cassa delle ammende. A tal proposito, si nota una criticità data dal fatto che la persona offesa è gravata dell onere di presentare domanda per la sanzione pecuniaria civile e di provare l elemento soggettivo (il dolo), nonostante poi il provento di tale sanzione non sia ad essa destinato. É facile immaginare allora che nella prassi l irrogazione della sanzione pecuniaria civile troverà scarsa applicazione. Inoltre, considerato che da un reato possono sorgere obbligazioni civili restitutorie e risarcitorie (art. 185 c.p.), occorre indagare la sorte degli effetti civilistici in presenza di una depenalizzazione che introduca sanzioni civili pecuniarie. È necessario, però, distinguere a seconda che sia o meno intervenuta una condanna definitiva. Allorquando si sia formato il giudicato, non ci sono dubbi che il giudice procede con la revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p. per intervenuta abolizione del reato, ma gli effetti civili restano fermi poiché l abolitio criminis incide sui soli effetti penali, per espressa previsione dell art. 2, co 2, c.p. I problemi interpretativi si sono posti, invece, con riferimento alla sorte delle obbligazioni civili nascenti da reato in caso di sentenza di condanna non definitiva. In questo caso il giudice dell impugnazione deve certamente pronunciare sentenza di assoluzione per intervenuta abolizione del reato; tuttavia è controverso se lo stesso possa disporre in ordine alle statuizioni civili. Con riferimento ai casi di depenalizzazione non sorgono problemi poiché il dato dell art. 9 del d..lgs. 8/16 è chiaro. Ed infatti, l art. 9 d.lgs. 8/16 oltre a disciplinare i casi di trasmissione degli atti all autorità amministrativa competente ad irrogare la sanzione amministrativa, al terzo comma prevede espressamente che quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. In altre parole, tale disposizione attribuisce al giudice dell impugnazione penale il potere di pronunciarsi in merito agli effetti civili, nonostante competente ad irrogare la sanzione amministrativa sia l autorità amministrativa. 3

4 Tale disposto è analogo a quello contenuto nell art. 578 c.p.p., ai sensi del quale il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o prescrizione, decidono sull impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. La ratio ispiratrice di tale previsione va individuata nell esigenza di assicurare una tutela certa e rapida alla persona offesa dal reato, evitandogli di essere gravata dell onere di proseguire l azione in sede civile. La medesima ratio è alla base dell art. 9, co 3, D.lgs. 8/16. Precisato ciò, va rilevato che problemi esegetici si pongono con riferimento al D.lgs. 7/16. Nello specifico, poiché tale decreto legislativo non contiene una disposizione analoga a quella dell art. 9, co 3, D.lgs. 8/16, ci si interroga circa la possibilità per il giudice penale dell impugnazione, nel pronunciare sentenza di assoluzione per intervenuta abolizione del reato, di disporre in ordine alle statuizioni civili, applicando analogicamente l art. 578 c.p.p. Sul punto si sono contrapposti due orientamenti. Secondo una prima impostazione, non va riconosciuta al giudice dell impugnazione tale facoltà per una serie di ragioni. Innanzitutto perché l art. 578 c.p.p. è norma eccezionale di stretta interpretazione, non suscettibile di applicazione analogica. Inoltre, il giudice civile è competente a conoscere non solo dell azione di risarcimento, ma anche della sorte degli effetti civili conseguenti alla commissione dell illecito. In conclusione, tale ricostruzione non ammette la conservazione dei capi della sentenza penale di condanna riguardanti gli effetti civili. Di avviso contrario è altra parte della giurisprudenza, che riconosce al giudice dell impugnazione la facoltà di pronunciarsi in merito degli effetti civili quando pronuncia la sentenza di assoluzione per intervenuta abolizione del reato. Particolarmente degne di nota sono le argomentazioni a sostegno della tesi. Punto di partenza è il dato letterale dell art. 2, co 2, c.p., secondo cui l abolitio criminis determina la cessazione degli effetti penali della condanna e non riguarda, invece, le obbligazioni civili nascenti da reato che, pertanto, non cessano. Inoltre, viene in rilievo la considerazione che il diritto del danneggiato dal reato deve essere garantito sempre ex art. 24 Cost., anche quando intervengono importanti modifiche legislative, tra cui rientra certamente l abolizione di norme incriminatrici. Senza considerare poi che la caducazione della decisione sui capi civili determinerebbe una possibile violazione del principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., nonché il rischio della formazione di giudicati contrastanti, dovendo la parte civile proseguire poi il giudizio in sede civile. 4

5 Infine, vi sarebbe una irragionevole disparità di trattamento fra il danneggiato che ha ottenuto una condanna al risarcimento in un processo penale che si conclude nella fase dell impugnazione con una declaratoria di abolitio criminis, ed il danneggiato che ha ottenuto la stessa condanna con una sentenza irrevocabile. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite e, dunque, si attende la loro pronuncia per chiarire tali dubbi interpretativi. 5

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