San Martino: storia, leggenda, tradizioni ed etimologia

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1 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 1 San Martino: storia, leggenda, tradizioni ed etimologia Più o meno tutti conoscono San Martino. Al catechismo ci insegnano la sua storia di uomo generoso che alla presenza di un mendicante tagliò in due con la spada il suo mantello e ne diede una metà al povero perché potesse ripararsi dal freddo. Ma la sua vicenda si confonde spesso in un passato non meglio precisato. Martino proveniva da Sabaria Sicca (l'odierna Szombathely), dove nacque nel 316 o 317. Sabaria era un avamposto dell'impero Romano alle frontiere con la Pannonia, l'odierna pianura ungherese. Il padre, tribuno della legione, gli diede il nome di Martinus in onore di Marte, il dio della guerra. Ancora bambino, Martino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in quella città trascorse l'infanzia. A quindici anni, in quanto figlio di un militare, dovette entrare nell'esercito. Come figlio di veterano fu subito promosso al grado di circitor e venne inviato in Gallia, presso la città di Amiens. L'episodio del mantello Il compito del "circitor" era la ronda di notte e l'ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l'episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall'iconografia). Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era

2 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 2 integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per "mantello corto",cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella. Il battesimo e la lotta all'arianesimo Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno, venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Martino rimase ufficiale dell'esercito per una ventina d'anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alae scolares (un corpo scelto). Giunto all'età di circa quarant'anni, decise di lasciare l'esercito. Iniziò la seconda parte della sua vita. Martino si impegnò nella lotta contro l'eresia ariana, condannata al Concilio di Nicea (325), e venne per questo anche frustato (nella nativa Pannonia) e cacciato, prima dalla Francia e poi da Milano, dove erano stati eletti vescovi ariani. Nel 357 si recò quindi nell'isola Gallinara ad Albenga in provincia di Savona, dove condusse quattro anni di vita eremitica. Tornato quindi a Poitiers, al rientro del vescovo cattolico, divenne monaco e venne presto seguito da nuovi compagni, fondando uno dei primi monasteri d'occidente, a Ligugé, sotto la protezione del vescovo Ilario. Vescovo di Tours Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero loro vescovo, anche se alcuni chierici avanzarono resistenze per il suo aspetto trasandato e le origini plebee. Come vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua semplice casa di monaco e proseguì la sua missione di propagatore della fede, creando nel territorio nuove piccole comunità di monaci. Avviò un'energica lotta contro l'eresia ariana e il paganesimo rurale. Inoltre predicò, battezzò villaggi, abbatté templi, alberi sacri e idoli pagani, dimostrando comunque compassione e misericordia verso chiunque. La sua fama ebbe ampia diffusione nella comunità cristiana dove, oltre ad avere fama di taumaturgo, veniva visto come un uomo dotato di carità, giustizia e sobrietà. Martino aveva della sua missione di pastore un concetto assai diverso da molti vescovi del tempo, uomini spesso di abitudini cittadine e quindi poco conoscitori della campagna e dei suoi abitanti. Uomo di preghiera e di azione, Martino percorreva personalmente i distretti abitati dai servi agricoltori, dedicando particolare attenzione all'evangelizzazione delle campagne. Nel 375 fondò a Tours un monastero, a poca distanza dalle mura, che divenne, per qualche tempo, la sua residenza. Il monastero, chiamato in latino Maius monasterium (monastero grande), divenne in seguito noto come Marmoutier. Nelle comunità monastiche fondate da Martino non c'era comunque ancora l'attenzione liturgica che si riscontrerà successivamente nell'esperienza benedettina grazie all'apostolato di San Mauro: la vita era piuttosto incentrata nella condivisione, nella preghiera e, soprattutto, nell'impegno di evangelizzazione.

3 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 3 Martino morì l'8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. La sua morte, avvenuta in fama di santità anche grazie a numerosi miracoli, segnò l'inizio di un culto nel quale la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l'attività missionaria erano associate. Il santo viene celebrato il giorno 11 novembre, anniversario del suo funerale svoltosi a Tours in questo giorno. Questa data è diventata una festa straordinaria in tutto l'occidente, grazie alla sua popolare fama di santità e al numero notevole di cristiani che portavano il nome di Martino. Nel Concilio di Mâcon era stato deciso che sarebbe stata una festa non lavorativa. Tradizioni L'11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania e dell'austria, nonché dell'alto Adige, partecipano a una processione di lanterne, ricordando la fiaccolata in barca che accompagnò il corpo del santo a Tours. Spesso un uomo vestito come Martino cavalca in testa alla processione. I bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l'oca. Secondo la leggenda, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche; il rumore fatto da queste rivelò però il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando. In anni recenti la processione delle lanterne si è diffusa anche nelle aree protestanti della Germania, nonostante il fatto che la Chiesa protestante< non riconosca il culto dei santi. In Italia il culto del Santo è legato alla cosiddetta estate di san Martino la quale si manifesta, in senso meteorologico, all'inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari. Nel comune abruzzese di Scanno, ad esempio, in onore di San Martino si accendono grandi fuochi detti "glorie di San Martino" e le contrade si sfidano a chi fa il fuoco più alto e durevole. Nel veneziano l'11 novembre è usanza preparare il dolce di San Martino, un biscotto dolce di pasta frolla con la forma del Santo con la spada a cavallo, decorato con glassa di albume e zucchero ricoperta di confetti e caramelle; è usanza inoltre che i bambini della città lagunare intonino un canto d'augurio casa per casa e negozio per negozio, suonando padelle e strumenti di fortuna, in cambio di qualche monetina o qualche dolcetto. A Palermo si preparano i biscotti di San Martino "abbagnati nn o muscatu" (inzuppati nel vino moscato di Pantelleria), a forma di pagnottella rotonda grande come un arancia e l aggiunta nell'impasto di semi d anice (o finocchio selvatico) che conferisce loro un sapore e un profumo particolare.

4 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 4 In molte regioni d'italia l'11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio "A San Martino ogni mosto diventa vino") ed è un'occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti (salvo nei paesi dove san Martino è protettore), la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale. Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto, mezzadria, ecc) avevano inizio (e fine) l'11 novembre, data scelta in quanto i lavori nei campi erano già terminati senza però che fosse già arrivato l'inverno. Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l'11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all'altro, facendo "San Martino", nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord "fare San Martino" (Fàa Sàn Martéen o fàa Sàn Martín in lombardo, fèr Sàn Martèin in modenese-emiliano, far San Martìn in veneto) mantiene il significato di traslocare. La storia dell oca di San Martin Nelle nostre campagne l 11 novembre coincideva con la fine dell anno lavorativo dei contadini e se il padrone non chiedeva di restare a lavorare anche l anno dopo, questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò fare San Martino diventò un modo di dire. Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d oca e biscotti.

5 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 5 La tradizione di cibarsi dell oca nel giorno dedicato a S. Martino affonda le proprie origini nei secoli. L oca costituì per secoli, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante l inverno del povero contadino che si cibava comunemente solo di cereali e di grandi polente. Dagli Egiziani e passando per Omero, l oca fu sempre tenuta come allegro compagno d infanzia e come guardiano (le famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio). Le oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano iecor il fegato e iecor ficatum quello grasso, da cui deriva l italiano fegato. I barbari, che saccheggiarono Roma nel 390 a.c. sotto la guida di Brenno, consideravano il palmipede simbolo dell aldilà e guida dei pellegrini, ma anche Grande Madre dell Universo e dei viventi. La zampa dell oca era usata come marchio di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano Jars, che in francese vuol dire appunto oche. L oca fu sempre allevata, anche nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell oca furono attorno al 1400 alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall Europa del nord, nelle regioni settentrionali della penisola e quindi anche nel Veneto. Non potendo consumare carne di maiale per motivi religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d oca. L oca era, infatti, il cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell Ottocento. Già di tradizione celtica, l 11 novembre entrò a far parte anche delle feste cristiane proprio grazie a S. Martino e fu da sempre collegato alle oche. La leggenda racconta, infatti, che Martino, nonostante l elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri. Ma nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l oca fu anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali. In fatto di tradizioni culinarie per la festa di San Martino esistono due punti fermi che nessuno mai metterebbe in dubbio. Quanto è vero infatti che in Romagna Par Sa Marten u s imbariega grend e znèn (per San Martino si ubriacano grandi e piccini), in Sicilia A San Martino ogni mustu diventa vinu. Il vino, insomma, l 11 novembre unisce tutta Italia, così come le castagne. Quello che invece ci ha destabilizzato quando ci siamo messi alla ricerca di ricette e piatti tipici di questa festivitá è stato scoprire che in Veneto Chi no magna l oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin! (Chi non mangia l oca a San Martino non fa il becco di un quattrino). Oche a San Martino: una questione padana Per quanto su un campione di 8 veneti, 7 non conoscano l esistenza dell oca a San Martino, abbiamo appurato che l 11 novembre il nostro animale è presente sia nelle tavole di alcune città della Pianura Padana che del Friuli. La prima prova

6 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 6 tangibile la troviamo a Padova, dove per San Martino, nei ristoranti della provincia, viene ancora oggi mangiata e celebrata l oca padovana. Altra testimonianza ci arriva da Marsano al Tagliamento, in provincia di Pordenone, dove ha una sua storica sagra che dura per quasi tutto il mese di novembre e che tocca il suo apice proprio per la cena dell 11 novembre, che prevede un menù interamente a base d oca. Ma è soprattutto in Lombardia che la tradizione dell oca a San Martino resiste, sbandierando la sua ricetta tipica: il bottaggio, altrimenti detto cassoeula (ricetta solitamente preparata con la carne di maiale, che però conosce anche questa variante), consociuto anche come ragò d oca, nonché oca con le verze, ingrediente che attenua alla perfezione il sapore intenso della carne di questo animale. Da alcuni ricettari che sono stati recuperati si può ben affermare che anche nel nostro territorio fosse usanza cucinare l oca. In Paitone, dove le origini celtiche e la devozione a San Martino è certa, in alcune locande si poteva mangiare il patè d oca, preparato con cura e devozione. Dopotutto, la Lomabardia è la patria dei salumi d oca: è in provincia di Pavia che troviamo infatti la città dell oca, Mortara, in cui viene prodotto il cosiddetto salame ecumenico, un salume d origine ebraica, prodotto con il metodo Koscher. La consuetudine, in realtà, non riguarda la sola Pianura Padana ma coinvolge molti paesi europei, Svezia e Danimarca in primis. Leggenda vuole infatti che gli abitanti di Tours (a cui sono legate le origini del santo) volessero nominare quello che poi diventò San Martino vescovo senza la sua approvazione e che lui, venutone a conoscenza, si fosse nascosto nel pollaio di un convento vicino per sfuggire alla nomina. A scoprire il nascondiglio sarebbero state proprio le oche che, starnazzando, attirarono l attenzione degli altri abitanti facendolo scoprire: e da allora, per punizione, i pasti dell 11 hanno come piatto principale l oca arrostita. Metteteci poi che la nostra amica oca, fino ad un paio di decenni fa, era considerata tra i contadini padani il maiale dei poveri. Di lei, insomma, non si buttava via nulla, tanto meno l 11 novembre, data che coincideva con la fine dei contratti agricoli annuali e il pagamento delle tasse e dell affitto da parte dei contadini ai proprietari terrieri: era quello il momento scoprivano se sarebbe rimasti o se, licenziati, sarebbe toccato fare San Martino, ovvero, traslocare.

7 COMUNE DI PAITONE, CONF. STAMPA 6 LUGLIO Pag. 7 Note poetiche: San Martino di Carducci Non si può inoltre non citare la celebre poesia di Carducci, che intitolata al Santo ci parla di mosto, di nebbia, di autunno e caldarroste, tutto ciò che il nome San Martino evoca nella tradizione. La nebbia a gl'irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de' tini va l'aspro odor dei vini l'anime a rallegrar. Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando su l'uscio a rimirar tra le rossastre nubi stormi d'uccelli neri, com'esuli pensieri, nel vespero migrar.

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