TUTELA GIURIDICA INTERNAZIONALE DEL PAESAGGIO MARINO SOTTO IL PROFILO ARCHEOLOGICO ED ECOLOGICO. Prof. Umberto Leanza
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- Anna Maria Roberti
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1 TUTELA GIURIDICA INTERNAZIONALE DEL PAESAGGIO MARINO SOTTO IL PROFILO ARCHEOLOGICO ED ECOLOGICO Prof. Umberto Leanza Sommario: 1. Il paesaggio marino nelle convenzioni internazionali, con speciale attenzione al Mare Mediterraneo: inscindibile connubio di elementi culturali e naturali; 2. La Convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio culturale subacqueo e le sue soluzioni innovative in materia di poteri funzionali riconosciuti agli Stati costieri; 3. L istituzione di zone di protezione ecologica italiane ripropone l interesse congiunto per il patrimonio culturale e quello naturale nell ambiente marino, in particolar modo nel Mediterraneo; 4. L insostituibile ruolo degli Stati costieri nel favorire l avanzamento della protezione giuridica dell ambiente marino, sotto il profilo sia culturale, sia naturale. Sintesi Il valore del paesaggio per le comunità umane è legato all inscindibile connubio, in esso, di elementi naturali e culturali, la cui esistenza indubbiamente si riscontra in situazioni di continuità e contiguità tra ambiente terrestre ed ambiente marino. Esiste, dunque, anche un paesaggio marino, che riveste la stessa importanza del paesaggio terrestre per la qualità di vita delle comunità umane, ma presenta profili problematici particolari con riferimento ai possibili regimi giuridici di protezione. Poiché, infatti, l esercizio della giurisdizione degli Stati sul mare è condizionato dagli equilibri raggiunti nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, la tutela dell ambiente marino deve essere realizzata nel rispetto dei limiti in tale Convenzione imposti alla giurisdizione degli Stati costieri, finché tali limiti trovano riscontro nell attuale atteggiamento della Comunità internazionale. Tuttavia, il ruolo svolto dagli Stati costieri nella protezione dell ambiente marino, sia sotto il profilo ecologico, sia sotto il profilo archeologico, è e rimane insostituibile. 1. Il paesaggio marino nelle convenzioni internazionali, con speciale attenzione al Mare Mediterraneo: inscindibile connubio di elementi culturali e naturali Riuscire a concordare, a livello internazionale, una definizione e regolamentazione del paesaggio che consenta l applicazione di un efficace regime giuridico di protezione dello stesso è certamente compito non facile, a causa delle complesse dinamiche che sono coinvolte nella formazione e trasformazione di ciò che comunemente è concepito essere paesaggio. Tuttavia, in considerazione dell importanza che il bene-paesaggio riveste per le comunità umane, tale sforzo normativo ha portato alla conclusione, in seno al Consiglio d Europa, della Convenzione europea del paesaggio, aperta alla firma degli Stati a Firenze, nell ottobre del 2000 ed entrata in vigore nel 2004 (per l Italia, che l ha recentemente ratificata il 4 maggio 2006, entrato in vigore il 1 settembre). Diversi sono gli aspetti di interesse, e le questioni problematiche, sollevati dalla Convenzione europea ma preme qui soprattutto ricordare come la Convenzione affermi, da un lato, che il carattere Professore ordinario di Diritto internazionale, Università di Roma Tor Vergata. 1
2 del paesaggio deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni e, d altro lato, che il suo ambito di applicazione comprende, oltre ai paesaggi terrestri, anche le acque interne e marine. Tale scelta definitoria e di regolamentazione non fa che rispecchiare due realtà importanti e direi quasi istintivamente da tutti percepite riguardo al paesaggio: l inscindibile connubio, in esso, di elementi naturali e culturali e la sua continuità e contiguità tra ambiente terrestre ed ambiente marino. Come è evidente, la differenziazione dei paesaggi in terrestri, marini e misti, come nel caso della particolarmente complessa e fragile situazione delle zone costiere, non comporta certamente alcuna aprioristica intenzione di categorizzarne l importanza o l urgenza di protezione, ma è indispensabile al fine di enucleare le caratteristiche distintive, sia ontologiche che giuridiche ed in particolare di individuazione degli ambiti giurisdizionali di pertinenza dei diversi Stati. Ecco perché, accanto al paesaggio terrestre, esiste certamente anche, in senso giuridico, un paesaggio marino, sebbene, a rigore, la Convenzione europea attribuisca il termine paesaggio esclusivamente alle realtà terrestri, pur estendendo il proprio ambito di applicazione anche alle acque interne e marine. Secondo la ricostruzione giuridica appena ricordata, il paesaggio, pur essendo ancorato ad elementi naturali del territorio, ha un significato culturale da due punti di vista: da un lato l accezione del paesaggio, la sua stessa individuazione, è di stampo culturale infatti "paesaggio" designa una specifica parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni -, d altro lato l esistenza stessa, le caratteristiche peculiari di un paesaggio sono determinate da una particolare commistione di fattori culturali e naturali, se è vero come è vero che il paesaggio deriva dall azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Ne discende che, a prescindere dalla estrema utilità di disporre di uno strumento giuridico, quale la Convenzione europea, specificamente dedicato al paesaggio, all efficace protezione dei paesaggi concorrono tutti gli strumenti giuridici applicabili in materia di protezione dei loro elementi naturali e/o culturali, come, peraltro, ricordato nel preambolo della Convenzione stessa, che si riferisce ad alcuni degli strumenti giuridici esistenti a livello internazionale nei settori della salvaguardia e della gestione del patrimonio naturale e culturale, della pianificazione territoriale, dell'autonomia locale e della cooperazione transfrontaliera. Vengono ricordate, tra le altre, la Convenzione sulla biodiversità (Rio, 5 giugno 1992) e la Convenzione sulla tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale (Parigi, 16 novembre 1972). Con riferimento alla tutela dei paesaggi marini nel Mediterraneo in particolare, va, però, innanzitutto ricordata la Convenzione di Barcellona del 1976 per la protezione del Mare Mediterraneo dall inquinamento, ed in particolare il suo Protocollo, concluso nel 1982 e poi modificato nel 1995, dedicato alla istituzione di aree specialmente protette. Il Protocollo, infatti, contempla sia ragioni naturalistiche, sia ragioni di protezione del patrimonio culturale alla base della istituzione di zone specialmente protette nel Mediterraneo; oltre che per la loro importanza biologica ed ecologica, le aree 2
3 specialmente protette possono essere caratterizzate in quanto siti di particolare interesse scientifico, estetico, storico, archeologico, culturale o educativo. L inclusione nella Lista, prevista dal Protocollo, di aree specialmente protette che rientrano nella giurisdizione di uno Stato membro è proposta dallo Stato interessato, che, oltre alla dichiarazione che ne giustifica l importanza mediterranea, deve fornire un rapporto introduttivo contenente informazioni sulla localizzazione dell area, sulle sue caratteristiche fisiche ed ecologiche, nonché sullo status giuridico, i piani di gestione ed i mezzi per la loro attuazione. Per quanto riguarda, invece, le aree che si trovano in parte, o completamente, in alto mare, la proposta di inclusione deve essere avanzata da due o più Parti contigue interessate. Così è stato per il Santuario dei mammiferi marini mediterranei, quindicesima area protetta istituita nel sistema di Barcellona, creata sulla base di un accordo concluso a Roma, il 25 novembre 1999, tra Francia, Italia e Monaco in una zona marina estremamente ampia compresa tra la Costa Azzurra, Monaco, la costa ligure e le isole di Corsica e Sardegna. Tutto il sistema di Barcellona, compreso il Protocollo in questione, è concepito per rispondere tempestivamente alle continue esigenze di aggiornamento nella rimodulazione ed applicazione delle regole comuni, che vengono concordate in riunioni periodiche delle Parti contraenti. Nell ultima di tali riunioni, svoltasi a Portoroz (Slovenia) dall 8 all 11 novembre 2005, si è, tra l altro, decisa l inclusione nella Lista dell area marina protetta di Portofino. La quasi totalità degli strumenti giuridici internazionali specificamente dedicati alla protezione dell ambiente marino, ad esclusione dell appena citato Protocollo di Barcellona, riguarda esclusivamente le caratteristiche naturali del paesaggio marino, nonostante la grande codificazione del diritto del mare, realizzata dai lavori della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare conclusasi a Montego Bay (Giamaica) nel 1982, avesse posto seppure molto sinteticamente le basi per la soluzione anche dei problemi legati alla protezione dei beni culturali sommersi. Sembra, dunque, particolarmente interessante analizzare i tratti principali della Convenzione conclusa nel 2001, in sede UNESCO, sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, al fine di comprendere la complessità delle problematiche sollevate, nel diritto internazionale del mare, dall approccio integrato, archeologico ed ecologico insieme, alla protezione dei paesaggi marini. Alla conclusione della Convenzione (ratificata, ad oggi, da, sei Stati - Panama, Bulgaria, Croazia, Spagna, Libia, Nigeria e dunque non ancora in vigore), peraltro, è seguita la proposta, avanzata dall Italia nel marzo 2003 agli Stati mediterranei, di un accordo regionale mediterraneo in materia, nel rispetto della Convenzione UNESCO, con l obiettivo di superare alcuni limiti della predetta Convenzione e di favorire l entrata in vigore, il prima possibile, di un efficace strumento di protezione del patrimonio culturale subacqueo del Mare Nostrum, tra i più ricchi e al mondo. 2. La Convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio culturale subacqueo e le sue soluzioni innovative in materia di poteri funzionali riconosciuti agli Stati costieri. 3
4 Il primo nucleo di previsioni normative specificamente rivolte al patrimonio subacqueo, contenuto nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare conclusa a Montego Bay nel 1982 (UNCLOS), non rappresentava un riferimento giuridico sufficiente ad assicurare l efficace tutela di tale patrimonio. L UNCLOS ha, tuttavia, rappresentato l'imprescindibile punto di partenza per un'analisi giuridica delle problematiche e soluzioni relative alla tutela internazionale del patrimonio culturale subacqueo, poiché ha collocato tali problematiche nel quadro generale del diritto del mare contemporaneo, di cui ha definito i nuovi equilibri. Due sono gli articoli della Convenzione di Montego Bay che riguardano espressamente gli oggetti di natura storica ed archeologica. Il primo concerne la conservazione e la destinazione degli oggetti trovati nell'area internazionale dei fondali marini, intesa come il suolo e il sottosuolo del mare e degli oceani al di là dei limiti della giurisdizione nazionale; il secondo prevede, invece, l obbligo generico di cooperazione per la protezione degli oggetti in questione trovati in qualsiasi parte del mare, nonché la possibilità di istituire un controllo, da parte dello Stato costiero, rispetto alla loro rimozione dalla zona contigua, mediante l istituzione di una cd. zona archeologica. In base alle previsioni appena analizzate, l UNCLOS individua, dunque, un quadro di riferimento per l istituzione di un regime di tutela del patrimonio culturale sommerso nei due ambiti spaziali dell Area internazionale e della zona contigua marittima, seppure lasciando insolute diverse questioni relative alle caratteristiche dei regimi operativi che è possibile sviluppare in tali zone e non predisponendo esplicitamente alcuna competenza di tutela, esercitata a titolo spaziale, per la protezione del patrimonio sommerso situato tra le ventiquattro e le duecento miglia. Le proposte, pur avanzate in sede di Conferenza, volte ad ampliare a tutta la piattaforma continentale tali competenze dello Stato costiero, infatti, non furono accolte e l analisi dei lavori preparatori induce, comunque, ad escludere che si sia voluto in qualche modo assimilare la ricerca di oggetti archeologici e storici sommersi alla ricerca scientifica pura od applicata, di cui alla Parte XIII della Convenzione del Sebbene, però, per i beni archeologici e storici collocati sulla piattaforma, o sui fondali della zona economica esclusiva, manchi nella Convenzione uno specifico regime di protezione, essi tuttavia non erano coperti da un totale vuoto normativo. Occorre, infatti, osservare al riguardo come l'obbligo degli Stati di proteggere tali oggetti scoperti in mare e di cooperare a questo fine, di cui all articolo 303(1), non si riferisce solo alla zona contigua, bensì a tutte le zone su cui lo Stato esercita la propria giurisdizione, compreso il mare territoriale, con riguardo alle attività di tutte le navi, siano esse nazionali o straniere; nonché alle zone dell'alto mare sottratte alla sua giurisdizione, con riguardo alle attività delle sole navi nazionali. Anche in considerazione della necessità di specificare regimi operativi, in grado di rendere effettivo l obbligo generale di protezione nelle zone non coperte dagli articoli 149 e 303(2), la Convenzione dichiara di non pregiudicare gli altri accordi internazionali e le norme generali relative alla protezione degli oggetti di carattere archeologico o storico. In tal senso dispone l articolo 303(4), che si 4
5 pone, quindi, quale clausola non soltanto di salvaguardia delle norme internazionali richiamate, ma anche di chiusura del sistema, per la compiuta realizzazione del quale si presuppone che debbano trovare applicazione regolamentazioni specifiche, anche autonomamente sviluppate. Sulla base di tale primo nucleo di norme è stato negoziato e concluso il testo della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottato dalla Conferenza generale dell UNESCO il 2 novembre 2001, che rappresenta il più recente e significativo progresso verso la definizione di un regime internazionale di protezione dei beni culturali sommersi. I negoziati si sono rivelati notevolmente complessi ed hanno confermato che alcuni tra gli aspetti più delicati per l'istituzione di un regime internazionale nella materia consistevano nell'individuazione dei poteri e dei diritti spettanti allo Stato costiero con riferimento al patrimonio culturale che si trova sulla piattaforma continentale o nella zona economica esclusiva, nei rapporti tra l istituendo regime di tutela ed il salvage law, nonché in aspetti relativi alla commerciabilità dei beni e nelle modalità della definizione di un regime speciale per le navi da guerra e di Stato. E, in particolare, il primo di tali aspetti che si vorrebbe qui approfondire, in quanto è proprio con riferimento alle questioni di giurisdizione che la tutela del patrimonio archeologico presenta difficoltà diverse e potenzialmente maggiori rispetto alla tutela dell ambiente naturale marino, poiché sembrerebbe non poter prescindere dalla delimitazione delle zone di rispettiva spettanza degli Stati frontisti o contigui, potendosi porre questioni rispetto alla appropriazione delle risorse archeologiche. Non è, tuttavia, in termini di appropriazione, ma solo di semplice protezione, dei beni culturali che si pone la Convenzione UNESCO del 2001, la quale predilige la conservazione in situ. Essa, per definire il patrimonio culturale subacqueo, fa riferimento ad un fattore temporale, in quanto si deve trattare di siti, strutture, reperti, oggetti, relitti di navi, aeromobili, etc., che siano sommersi da più di cento anni. E da sottolineare come non sia stata accettata la proposta, avanzata da taluni Stati, di includere nel concetto anche i siti "naturali, in quanto per la corretta protezione di siti così diversi si sarebbero dovute predisporre diverse direttive di comportamento. La Convenzione ha come suo scopo principale la protezione del patrimonio culturale subacqueo situato al di là delle acque interne, delle acque arcipelagiche e del mare territoriale, essa, tuttavia, è rivolta anche al patrimonio culturale subacqueo in tali zone di mare, al fine di sottolineare, ribadendo la competenza esclusiva dello Stato costiero in materia, la necessità di adattare tecniche e principi di archeologia alle peculiarità proprie dell'archeologia marina, conformemente a quanto sancito dalla Carta per la protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Sofia nel 1996 da parte del Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (ICOMOS). I contenuti della Carta, infatti, sono riprodotti nell Allegato alla Convenzione, che costituisce parte integrante del testo. Va, anzi, a tal proposito rilevato che la Convenzione lascia facoltà agli Stati di dichiarare se intendono applicarne i principi anche alle proprie acque interne non marittime, ampliando così ulteriormente, sebbene su base volontaria e non in modo uniforme, il proprio ambito di applicazione. 5
6 La principale novità della Convenzione consiste, dunque, nel predisporre un regime di protezione a carattere funzionale che si estende anche agli spazi, quale la piattaforma continentale, non coperti da precedenti accordi, affermando il diritto dello Stato costiero, in cooperazione con lo Stato della bandiera e gli altri Stati che hanno un legame verificabile con il bene, di esercitare determinati poteri di controllo sulle attività rivolte al patrimonio culturale subacqueo sito nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale. In merito alla previsione di poteri di autorizzazione e controllo in capo allo Stato costiero va ricordato che si sono avuti serrati dibattiti, durante i lavori del negoziato preparatorio della Convenzione, tra gli esperti governativi circa i diritti esercitabili dallo Stato costiero sul patrimonio culturale subacqueo situato nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale. Secondo alcuni Stati (come Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia, Norvegia, Paesi Bassi) un estensione dei diritti dello Stato costiero oltre le ventiquattro miglia (limite esterno della zona archeologica) sarebbe stato in contrasto con il principio della libertà dell alto mare e con il compromesso raggiunto nell articolo 303 della Convenzione sul diritto del mare del Secondo altri Stati (come Italia, Canada, Australia, Irlanda, Argentina, altri Stati latino-americani, Tunisia, Cina, Giamaica ed altri), nulla, invece, avrebbe vietato allo Stato costiero di tutelare il patrimonio culturale che si trova nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale. Al fine di risolvere la contrapposizione in atto, durante la Seconda riunione di esperti governativi si erano predisposti tre testi alternativi: il primo era favorevole ai diritti dello Stato costiero; il secondo era favorevole ai diritti dello Stato di bandiera ed il terzo, elaborato dal Presidente del competente gruppo di lavoro, intendeva costituire una posizione intermedia in base alla quale sia lo Stato di bandiera che lo Stato costiero potessero vietare le attività che non si conformassero alle regole previste dalla Convenzione. E stato, infine, adottato questo terzo tipo di soluzione, ma riconoscendo una preminenza di responsabilità del ruolo di protezione spettante allo Stato costiero. Tali proposte si basavano sul fatto che la Convenzione di Montego Bay non preclude che possano essere attribuiti determinati diritti allo Stato costiero relativamente alla protezione del patrimonio culturale subacqueo sito al largo delle sue coste tra le ventiquattro e le duecento miglia marine, sempre che tale attribuzione non si traduca in forme larvate di giurisdizione strisciante. Sarebbe così, ad esempio, ipotizzabile che agli Stati costieri debbano essere notificati tutti i ritrovamenti di oggetti storici subacquei avvenuti entro tale fascia di fondale e sottosuolo marini e/o che agli stessi possa essere attribuita la competenza ad autorizzare il recupero di questi beni. Lo Stato costiero potrebbe, dunque, esercitare, a titolo esclusivo e fino alle ventiquattro miglia marine, poteri di gestione e di controllo sul patrimonio culturale subacqueo, il cui ambito è necessariamente delimitato spazialmente; oltre le ventiquattro miglia marine ed entro i limiti della piattaforma continentale o della zona economica esclusiva, tali poteri dello Stato costiero sarebbero, invece, puramente funzionali e gli sarebbero riconosciuti esclusivamente a tutela dell interesse comune alla protezione dei beni, in ragione 6
7 del ruolo di controllo che esso può svolgere in modo privilegiato, data la posizione di contiguità geografica. Solo alla luce di una tale impostazione, di natura pienamente pubblicistica, diventa, infatti, evidente che i nuovi rispetto a quanto specificamente stabilito nella UNCLOS poteri da attribuirsi agli Stati costieri per la protezione del patrimonio non rappresentano uno sconvolgimento degli equilibri stabiliti nella Convenzione sul diritto del mare, bensì un suo completamento. Si tratta, in sostanza, di un compito svolto nell interesse comune, che può rivelarsi funzionale anche alla tutela di interessi propri solo là dove, ex post, si manifesti l'esistenza di un collegamento sostanziale tra tale Stato ed il bene ritrovato, consistente nella circostanza che detto Stato è anche lo Stato di origine culturale, storica o archeologica del bene, circostanza che giustificherebbe la tutela di interessi individuali dello Stato costiero come degli altri Stati che vantano titoli di origine. In altri termini, la protezione dei beni culturali, analogamente a quanto accade per la protezione dell'ambiente marino dall inquinamento, si costruisce attraverso l attribuzione a tutti gli Stati coinvolti, siano essi Stati costieri, di bandiera o altri Stati interessati, di compiti commisurati ed adeguati alla posizione ricoperta rispetto alle attività sottoposte a controllo. In tal senso è strutturato il regime previsto, per la piattaforma continentale e la zona economica esclusiva, dalla Convenzione UNESCO del 2001, in cui è evidenziata la necessità che allo Stato costiero sia attribuito un ruolo di coordinamento delle attività svolte tra questi diversi soggetti, nonché nei confronti dell adozione delle misure provvisorie di protezione, a meno che esso non dichiari espressamente di non voler svolgere tale ruolo 3. L istituzione di zone di protezione ecologica italiane ripropone la cointeressenza di patrimonio culturale e naturale nell ambiente marino, in particolar modo nel Mediterraneo. L entrata in vigore della Convenzione UNESCO del 2001 non sembra imminente ed il processo italiano di ratifica della stessa è tuttora in corso. Ma l Italia ha scelto di anticipare, in qualche misura, l applicazione, per quanto la riguarda, del regime convenzionale. Ad esso, infatti, esplicitamente si richiama un recente atto legislativo, dedicato alla previsione della instituibilità di zone marine di protezione ecologica (legge 61/2006). Tale legge, peraltro, occupandosi dell ambiente marino in funzione delle esigenze di protezione dall inquinamento non necessariamente di zone di particolare importanza internazionale a differenza del ricordato Protocollo sulle aree specialmente protette, va potenzialmente a coprire varietà di paesaggi marini non contemplati dal sistema di Barcellona ma previsti dalla Convenzione europea sul paesaggio, che si applica sia ai paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia ai paesaggi della vita quotidiana, sia ai paesaggi degradati. Il collegamento così operato, dal legislatore italiano, tra protezione degli aspetti naturalistici e culturali di determinate aree marine ripropone, inoltre, il tema della cointeressenza di patrimonio culturale e naturale nell ambiente marino, particolarmente rilevante nel caso di mari ricchi di siti archeologici quale è il Mediterraneo. 7
8 Va, inoltre, ricordato che il legislatore italiano ha, in tal modo, dato segno di una forte volontà di rendere velocemente più efficace la protezione del patrimonio culturale sommerso, anche precorrendo i tempi rispetto alla compiuta affermazione di un regime internazionale di riferimento, a differenza di quanto ha a lungo testimoniato la vicenda dei disegni di legge, arenatisi in Parlamento, volti alla istituzione della zona archeologica da parte italiana. Tale sbrigativa soluzione, tuttavia, pone diversi problemi in particolare con riferimento alle delimitazioni marittime, come si vedrà in seguito. La legge n. 61/2006 alla fine del suo lungo iter legislativo consta di due articoli, recanti rispettivamente l istituzione di zone di protezione ecologica ed il regime applicabile nelle zone. L articolo 1 autorizza l istituzione di zone di protezione ecologica, in conformità alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982, a partire dal limite esterno del mare territoriale italiano e fino ai limiti concordati in appositi accordi di delimitazione con gli Stati contigui e frontisti dell Italia. Il comma 3 dello stesso articolo precisa come, nelle more della stipulazione di questi accordi, detti limiti debbano seguire il tracciato della linea mediana, ciascun punto della quale è equidistante dai punti più vicini delle linee di base del mare territoriale italiano e di quello dello Stato interessato. Il comma 2 dello stesso articolo stabilisce che all istituzione di zone di protezione ecologica si provveda con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell Ambiente di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, sentito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, da notificare a cura del Ministero degli Affari Esteri, agli Stati contigui o frontisti dell Italia. In tal modo viene resa formalmente nota allo Stato interessato l effettiva istituzione di una zona di protezione ecologica al largo delle coste italiane e si predispone il campo ad una futura possibile attività negoziale ai fini della delimitazione. L articolo 2 sancisce che nelle zone di protezione ecologica l Italia esercita la propria giurisdizione in materia di protezione e preservazione dell ambiente marino, compreso il patrimonio archeologico e storico, conformemente ai disposti della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982 e della Convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo del In particolare, il comma 2 di questo articolo specifica come nell ambito di una zona di protezione ecologica saranno applicate a tutte le navi, comprese quelle battenti bandiera straniera e a tutte le persone, comprese quelle di nazionalità straniera, le norme pertinenti, di fonte internazionale, comunitaria ed interna, in vigore nell ordinamento italiano, relative alla prevenzione e repressione di ogni tipo di inquinamento marino, ivi compresi l inquinamento da navi e da acque di zavorra, l inquinamento da immersione di rifiuti, l inquinamento da attività di esplorazione e di sfruttamento dei fondi marini e l inquinamento di origine atmosferica, nonché in materia di protezione dei mammiferi, della biodiversità e del patrimonio archeologico e storico. Il comma 3 dell articolo in esame espressamente esclude dall ambito di applicazione del provvedimento le attività di pesca da chiunque, italiano o straniero, condotte. 8
9 Con l emanazione della legge n. 61/2006, l Italia si è dotata di uno strumento giuridico particolarmente efficace nella protezione dell ambiente marino dall inquinamento. L istituzione, infatti, di zone di protezione ecologica si caratterizza per la specificità dell obiettivo che persegue, che è per l appunto quello di creare un area sottoposta al potere di governo dello Stato costiero cui spetta, in luogo di quello della bandiera (come avviene nell alto mare), di controllare e soprattutto sanzionare le navi anche straniere che commettano delle violazioni alla normativa interna, internazionale e nel caso dell Italia, comunitaria, a tutela dell ambiente marino. Tuttavia, il raggiungimento di questi obiettivi potrà essere concretamente raggiunto solo quando saranno stati adottati i necessari decreti del Presidente della Repubblica, essendo la legge n. 61/2006 una legge delega, una legge ad applicazione progressiva nonché una legge quadro. In particolare, si tratta di una legge delega in quanto non procede essa stessa alla proclamazione della zona di protezione ecologica ma si limita ad autorizzare il Governo a porre in essere detta proclamazione, secondo il seguente iter: inserimento nell ordine del giorno del Consiglio dei Ministri della proposta di creazione della zona di protezione ecologica su istanza del Ministro dell Ambiente, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri e sentito il Ministro per i Beni e le Attività Culturali; deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri ed inserimento del provvedimento istitutivo in un decreto del Presidente della Repubblica. Ne consegue che dall entrata in vigore della legge n. 61/2006 non discende la possibilità di esercitare alcuna delle competenze in essa previste e nessuna attività di prevenzione, enforcement e repressione può essere legittimamente posta in essere dalle autorità italiane. A ciò si aggiunga che - come emerge anche chiaramente dal titolo della legge e dall articolo 1, comma 1, che usano l espressione di zone di protezione ecologica - il legislatore ha preferito la strada di una istituzione progressiva, per aree di interesse, di più zone di protezione ecologica intorno alle coste della penisola piuttosto che l istituzione di un unica zona. I decreti attuativi che procederanno a tali istituzioni dovranno anche determinare quali siano le autorità competenti ad esercitare la funzione di prevenzione e di repressione in materia, dato il silenzio della legge sul punto. Come si è accennato, per quanto riguarda l ambito spaziale di estensione delle zone di protezione ecologica italiane, nel pieno rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982, che al suo articolo 74 sancisce la necessità dell accordo tra gli Stati le cui coste siano frontiste o contigue per la delimitazione della zona economica esclusiva, la legge n. 61/2006 prevede che i limiti esterni delle istituende zone di protezione ecologica siano determinati sulla base di accordi con gli Stati interessati, e proprio in previsione di ciò stabilisce che i relativi decreti istitutivi siano notificati, a cura del Ministero degli Affari Esteri, agli Stati interessati. In tale modo, viene prevista una attività di informazione preventiva che metta in grado lo Stato terzo di negoziare la linea di delimitazione con l Italia. La disciplina della delimitazione di queste zone si completa con una regola provvisoria, quella della estensione pro tempore, nelle more della stipulazione dei citati accordi, delle zone di protezione 9
10 ecologica fino al tracciato della linea mediana. Tuttavia, qualsiasi eventuale contrasto con altri Stati limitrofi o contigui potrebbe essere evitato per il tramite di un iter procedurale di istituzione delle zone di protezione ecologica italiana che, senza violare il dettato dell articolo 1, comma 2, veda una attività negoziale parallela all adozione dei necessari decreti presidenziali. In altri termini, al fine di evitare l adozione provvisoria del limite della linea mediana nelle more della stipulazione degli accordi di delimitazione - che fa presumere una scansione temporale tra l atto normativo interno e l atto normativo internazionale si potrebbe seguire la strada di rendere contemporanee queste due fasi attraverso l attivazione del negoziato internazionale subito dopo la formazione, a livello interministeriale, della volontà di procedere all istituzione di una zona di protezione ecologica in una determinata area al largo delle coste italiane. In questo modo il decreto del Presidente della Repubblica potrebbe essere emanato contemporaneamente alla stipulazione dell accordo internazionale, eliminando la delimitazione provvisoria ed ancorando il decreto stesso alla delimitazione definitiva appena concordata a livello internazionale. Per quanto qui più ci riguarda, va infine ricordato che la legge 61/2006 è ispirata ad una concezione di protezione ecologica particolarmente ampia ed anche singolare nel panorama delle norme internazionali, interne e comunitarie nella materia. Infatti, questa concezione abbraccia una visione tipica di protezione ecologica, volta a prevenire e contrastare ogni comportamento che possa alterare o danneggiare, più o meno gravemente, l ecosistema marino, cui si aggiunge una concezione allargata di tutela dell ambiente marino, che comprende la protezione di alcune specie di risorse marine biologiche, particolarmente a rischio nel Mediterraneo, come i mammiferi marini e quelle caratterizzate da diversità biologica, nonché la protezione di una sorta di tertium genus di risorse marine: quelle né biologiche né non biologiche, bensì culturali, il patrimonio archeologico e storico. Ne consegue che i poteri esercitabili dalle competenti autorità italiane sono necessariamente più ampi di quelli necessari per la protezione strictu senso dell ambiente marino. Essi, infatti, da un lato si estendono anche alla protezione dalle attività di pesca, che indirettamente possano danneggiare quelle risorse biologiche non commerciabili quali i mammiferi marini e le specie portatrici di biodiversità, anche se la legge n. 61/2006 esclude espressamente la pesca dal suo ambito di applicazione, e d altro lato comportano delicatissimi profili applicativi imposti dalla concezione allargata di protezione dell ambiente marino in quanto comprensiva dei beni culturali subacquei che si è concretizzata in un secondo momento nel corso dell iter formativo della legge, alla luce di quella che si presumeva sarebbe stata una rapida ratifica della Convenzione UNESCO del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. Si è così inteso utilizzare lo strumento normativo in corso di elaborazione per dare esecuzione, sia pure indirettamente e parzialmente, alle previsioni della Convenzione UNESCO del 2001, anticipando quanto dovrà essere posto in essere dalla legge di formale esecuzione, con l evidente intento di utilizzare ab origine gli strumenti di cui alla Convenzione UNESCO per una salvaguardia effettiva del ricchissimo patrimonio culturale subacqueo dei fondali al largo delle coste italiane. 10
11 E tuttavia innegabile che in tal modo si sono operate alcune forzature rispetto ad una concezione classica di zona di protezione ecologica. Infatti, in primo luogo, ne discende che gli ambiti spaziali delle future zone di protezione ecologica non saranno limitati alla colonna d acqua sovrastante, ma necessariamente comprenderanno anche il fondale ed il sottosuolo marini, visto che in essi sono collocati i beni culturali subacquei. In secondo luogo, fino all entrata in vigore per l Italia della Convenzione UNESCO, il controllo esercitabile dalle autorità italiane su detti beni non potrà superare i limiti delle 24 miglia marine, corrispondenti alla zona archeologica di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982, al fine di assicurare la piena legittimità internazionale delle attività di prevenzione e controllo sul patrimonio culturale subacqueo. Ciò però determina uno scomodo sfalsamento di ampiezza delle zone di protezione ecologica nelle stesse aree di mare rispetto alla colonna d acqua sovrastante ed ai fondali marini, in quanto, mentre con riferimento alla colonna d acqua l estensione delle zone di protezione ecologica potrà arrivare fino a linee di delimitazione, provvisorie o definitive, distanti dalle coste italiane più di 24 miglia marine (se le condizioni geografiche lo permettono), con riferimento ai fondali marini, fino a quando non sarà vigente la Convenzione UNESCO, il limite massimo delle stesse zone non potrà mai superare le 24 miglia marine tipiche della zona archeologica di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite del Infine, avendo collegato l applicazione della disciplina contenuta nella Convenzione UNESCO alla legge n. 61/2006 al momento della entrata in vigore del testo convenzionale per l Italia, discende un ulteriore sfalsamento di portata, dal punto di vista soggettivo. Infatti, poiché questa Convenzione impone una serie di diritti ed obblighi di cooperazione agli Stati contraenti, l Italia, avendovi rinviato per il tramite di una legge diversa da quella di recepimento, si è obbligata in via unilaterale a permettere l esercizio dei diritti riconosciuti ai terzi Stati e a adempiere gli obblighi gravanti sullo Stato costiero nella protezione del patrimonio culturale indipendentemente dalla certezza dell apporto cooperativo degli altri Stati coinvolti in ciascun caso di specie ed anche nei confronti degli Stati non parte della Convenzione stessa. 4. L insostituibile ruolo degli Stati costieri nel favorire l avanzamento della protezione giuridica dell ambiente marino, sotto il profilo sia culturale, sia naturale. Se, per un verso, l operazione anticipatoria degli oneri previsti dalla Convenzione UNESCO del 2001 rispetto all entrata in vigore della Convenzione stessa ben evidenzia i limiti dell azione unilaterale degli Stati costieri, per quanto riguarda l aspetto della protezione dell ambiente marino sotto il profilo naturale, la legge italiana sull istituzione delle zone di protezione ecologica ben rivela l insostituibile ruolo che gli Stati costieri sono chiamati a svolgere nel favorire l avanzamento della protezione giuridica dell ambiente marino. L articolo 2, comma 2, della legge n. 61/2006 indica, infatti, quali norme trovano applicazione nelle zone di protezione ecologica e nei confronti di quali soggetti, ossia tutte le navi, quale sia la bandiera che esse battano e tutte le persone, quale sia la loro nazionalità. La novità ed il profilo di 11
12 pregio di questa disposizione risiedono nell espressa menzione delle categorie di norme applicabili, riferendosi ai tipi di inquinamento che si intendono prevenire e combattere, anche se l elencazione di questi tipi (inquinamento da navi e da acque di zavorra, inquinamento da immersione di rifiuti, inquinamento da attività di esplorazione e di sfruttamento dei fondi marini e inquinamento di origine atmosferica) non deve considerarsi esaustiva e nell avere ribadito l applicabilità delle normative in tema di protezione dei mammiferi marini, di biodiversità e di patrimonio archeologico e storico, in modo da eliminare ogni perplessità in sede interpretativa ed applicativa sulla portata delle zone di protezione ecologica. Quindi, con la creazione di zone di protezione ecologica si amplia l ambito di applicazione soggettivo di quel corpus normativo, di origine interna, ma anche e soprattutto, comunitaria ed internazionale, elaborato per una protezione efficace dell ambiente marino, di alcune specie biologiche e del patrimonio culturale subacqueo. Se infatti, nell alto mare questo corpus è vincolante ed applicabile soltanto alle navi battenti la bandiera dello Stato nel cui ordinamento giuridico lo stesso è stato adottato o recepito ed alle persone aventi la nazionalità del medesimo Stato, con la creazione di zone di sovranità funzionale, come lo sono le zone di protezione ecologica, questa applicazione diventa spaziale, ossia si verifica nei confronti di tutti coloro che in dette aree vengono a trovarsi e ad operare. Ora, se si considera che il mare Mediterraneo è un bacino di grande transito, frequentato da navi spesso battenti la bandiera di Stati non costieri dello stesso mare e se si considera che una gran parte delle disposizioni a protezione di questo mare trovano il loro fondamento nel diritto comunitario derivato od in una articolata rete di accordi regionali, quale il sopra ricordato sistema di Barcellona, appare evidente come il grande obiettivo che viene raggiunto è quello di rendere applicabile la normativa comunitaria derivata e il sistema convenzionale di Barcellona anche agli Stati terzi, utenti del bacino mediterraneo, per il tramite dell estensione delle aree di mare degli Stati costieri in quanto aree di sovranità funzionale nelle quali vigono le norme di origine comunitaria ed internazionale accettate dallo Stato costiero. Questo risultato appare ancora più considerevole se si pensa che il rischio di ingenti danni ecologici dovuti allo scarico incidentale o volontario di sostanze inquinanti è reso più elevato, come è ben noto, dalla facile concessione di bandiere c.d. di convenienza da parti di Stati i cui standards normativi in materia di sicurezza ambientale sono solitamente bassi e che comunque non esercitano alcun controllo sullo stato di manutenzione e sulle condizioni di sicurezza delle navi battenti la loro bandiera. Soluzioni territorialistiche di questo genere presentano dunque l indubbio vantaggio di raggiungere l obiettivo di eliminare il relativismo soggettivo proprio della protezione dell ambiente marino dell alto mare, derivante dalla natura convenzionale delle relative norme, e di rafforzare tale protezione nonché l obiettivo di non incidere fortemente sulle libertà dell alto mare, preservando soprattutto la libertà di navigazione. Altrettanto, purtroppo, non è possibile realizzare con riferimento alla protezione dell ambiente marino sotto il profilo culturale, a causa delle diffidenze manifestatesi, come si è visto, anche durante i lavori 12
13 preparatori della Convenzione UNESCO del 2001, nei confronti del riconoscimento di poteri diretti ed esclusivi allo Stato costiero per la protezione del patrimonio culturale subacqueo in zone ulteriori rispetto a quella archeologica. Tuttavia, l anticipazione volontaria dell applicazione degli standards internazionali indicati nella Convenzione alle acque entro le ventiquattro miglia dalla linea di base rappresenta già, di per sé, un significativo elemento della prassi, da valutarsi a livello internazionale, verso la compiuta affermazione delle norme internazionali di protezione, tanto più se l esempio italiano dovesse essere seguito da altri Stati, nelle more dell entrata in vigore della Convenzione UNESCO. 13
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