IL COMPUTER NEL TASCHINO, IL NUOVO MONDO DELLE APP

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1 FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE CORSO DI LAUREA IN MANAGEMENT E COMUNICAZIONE D IMPRESA INDIRIZZO PUBBLICITÀ E MARKETING Tesi di laurea in Programmazione e scrittura del web IL COMPUTER NEL TASCHINO, IL NUOVO MONDO DELLE APP LAUREANDO Alessandro Angiolla Matr RELATORE Chiar.mo Prof. Luca Tallini Anno Accademico

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4 4 IL COMPUTER NEL TASCHINO, IL NUOVO MONDO DELLE APP Come sviluppare un App Android INTRODUZIONE L informatica è una scienza in continua evoluzione, così come la tecnologia. Un tempo i computer erano enormi macchinari grandi come una stanza difficili da programmare ed utilizzare, oltre che costosissimi, ora invece sono sempre più piccoli, potenti, intuitivi, semplici da programmare ed economici, ormai quasi ogni cosa di uso quotidiano risponde alle leggi dell informatica, dalle carte di credito ai frigoriferi, ormai quasi tutto contiene un chip elettronico, ed i computer ormai si sono evoluti nei dispositivi portatili che usiamo tutti i giorni, mi riferisco naturalmente agli smartphone e ai tablet, dispositivi che oggi usiamo praticamente per tutto e a cui spesso affidiamo i nostri dati più sensibili, infatti oggi possiamo utilizzare uno smartphone anche per fare acquisti online, o direttamente pagare con esso come fosse una carta di pagamento, ciò che prima si faceva con i normali computer, adesso lo si può fare anche con uno smartphone o un tablet, per cui essere in grado di programmare applicazioni per questi nuovi dispositivi, è di vitale importanza per un aspirante programmatore, dato che il mobile ormai rappresenta il futuro del mercato. Questo naturalmente non significa che i normali computer sono destinati a sparire, in quanto smartphone e tablet hanno anch essi i loro limiti, soprattutto riguardo lo spazio di archiviazione, ben più limitato rispetto ad un comune pc, sia per quanto riguarda la potenza grezza, dato che anche se c è da dire che questi dispositivi montano componenti sempre più all avanguardia, un tablet di fascia alta rimane comunque inferiore come prestazioni ad un pc di fascia alta, ma comunque in un ambito in cui portabilità ed efficienza energetica sono molto importanti, un dispositivo mobile risulta decisamente un ottimo compromesso e quindi un buon sostituto del pc.

5 5 CAPITOLO 1 Il nuovo mercato 1.1 I contendenti Il primo quesito che ci dobbiamo porre prima dell acquisto di un dispositivo mobile, tablet o smartphone che sia, è sicuramente il sistema operativo che esso monta, dato che esso va ad influenzare direttamente sia l offerta di software, che la nostra esperienza con il dispositivo, i tre principali concorrenti, possiamo dire essere gli stessi del mercato dei pc, infatti se i principali sistemi operativi per i computer sono Windows, OSX e Linux, i principali sistemi operativi per tablet e smartphone sono Windows RT, IOS e Android, dove Windows RT sta a Windows, IOS sta ad OSX ed Android sta a Linux, poiché proprio di versioni mobili di tali sistemi operativi si tratta, ma analizziamoli un attimo più nel dettaglio. Windows RT, ovvero la versione mobile del diffusissimo sistema operativo di casa Microsoft, dei tre a differenza del suo fratello maggiore non è il più diffuso, ed è installato principalmente sugli smartphone Nokia, la quale ha ormai da tempo abbandonato il sistema Symbian e sui tablet, l esperienza d uso è molto simile a quella che si ha con Windows 8, anche se c è da dire che è il sistema operativo del pc che si è uniformato con quello mobile e non il contrario, un chiaro segnale di quanto sia importante il nuovo mercato, la versione tablet soprattutto è praticamente indistinguibile dalla versione per pc, salvo che per la compatibilità dei programmi. IOS invece è il sistema operativo mobile di casa Apple, ha un interfaccia grafica piuttosto sobria, e proprio come OSX, punta principalmente all usabilità e all immediatezza a scapito della possibilità di personalizzazione, il sistema perfetto per chi non è un grande esperto di tecnologia, ma piuttosto limitato per chi vuole controllare ogni aspetto del proprio dispositivo, inoltre essendo un sistema operativo di casa Apple, sottostà alle rigorose regole della casa di Cupertino, quindi esso è installabile solo sui dispositivi Apple, ed è possibile installare solo la versione decisa da Apple per tale dispositivo, inoltre ci sono diverse limitazioni volute da Apple, tra cui l impossibilità di installare applicazioni al di fuori dell Apple store, l impossibilità di trasferire dati tramite il modulo Bluetooth e la necessità di utilizzare itunes per far interfacciare il dispositivo con il pc. Infine abbiamo Android, sistema operativo open source del colosso Google, basato su kernel Linux, nonostante Android sia decisamente più intuitivo di Linux, proprio come possiamo definire Linux l opposto concettuale di OSX, anche Android è

6 6 l opposto concettuale di IOS, se IOS puntava infatti alla semplicità di utilizzo a discapito della personalizzazione, Android invece punta alla personalizzazione, anche a discapito dell usabilità, certo non ai livelli di Linux magari, ma c è da dire che l utente finale ha molto controllo sul sistema, e volendo senza troppi problemi, se sa quello che fa, più anche ottenere pieno controllo sul sistema ottenendo i privilegi di root, ma anche senza i privilegi di root, già dal momento in cui togliamo il dispositivo dalla scatola, possiamo già installare un applicazione creata da noi. Il sistema operativo quindi non è assolutamente una caratteristica da sottovalutare in quanto determina l usabilità generale del dispositivo, il nostro spazio di intervento e la disponibilità di software. 1.2 Davide contro Golia, ARM contro x86 La battaglia tra Davide e Golia è forse ciò che rappresenta meglio il mondo della tecnologia, un mondo in cui vince il più piccolo, transistor sempre più piccoli garantiscono maggior efficienza, ma se questo è vero dal punto di vista della componentistica interna, non sempre è vero però se parliamo delle dimensioni generali degli smartphone, infatti uno smartphone troppo piccolo, può risultare scomodo nell utilizzo, mentre uno smartphone troppo grande può risultare troppo ingombrante, per questo infatti esistono smartphone delle più svariate dimensioni, per soddisfare varie esigenze. Parlando sempre di dimensioni ciò che salta subito all occhio è la differenza tra i computer e i tablet, ormai molto simili ai computer portatili, ma quali sono le differenze quindi? In primo luogo la potenza, poiché un tablet è di norma meno potente di un notebook di pari fascia come un notebook è meno potente di un desktop di pari fascia, inoltre un tablet è più sottile e leggero, ha una miglior autonomia della batteria e non necessita di ventoline per il raffreddamento, ma ha anche uno spazio di archiviazione nettamente inferiore ed un parco software diverso, queste differenze, sono date dalla differente architettura del processore e dal tipo di memoria di massa utilizzato. I normali computer montano infatti processori x86 con supporto ad istruzioni x64, mentre i tablet e gli smartphone utilizzano processori con architettura ARM, la principale differenza è che i primi sono più potenti, ma anche meno efficienti dal punto di vista energetico, cosa che si traduce in calore da dissipare, i processori ARM anche se meno potenti sono decisamente più efficienti dal punto di vista energetico, generando quindi pochissimo calore, non necessitando quindi di un sistema di raffreddamento attivo, ciò si traduce quindi in maggior durata della batteria, massima silenziosità, dimensioni e peso ridotti, ma c è comunque da dire che ARM non supporta i programmi compilati per x86 e viceversa.

7 7 Un'altra importata differenza è data dall unità di archiviazione di massa, ovvero la memoria non volatile in cui possiamo memorizzare i nostri files, i normali computer utilizzano prevalentemente memorie di tipo magnetico, ovvero i classici Hard Disk, da 3.5 pollici nei computer desktop e 2.5 pollici nei portatili, sono memorie molto capienti che possono arrivare contenere anche qualche Tera Byte (1 TB = 1024 GB) di dati, sono abbastanza veloci sia in lettura che in scrittura, ma non sono molto efficienti dal punto di vista energetico, inoltre soffrono del problema della frammentazione dei dati, in quanto trattandosi di un disco a tutti gli effetti con tracce e settori, bisogna scorrerlo alla ricerca ti tutti i frammenti dei files che vengono memorizzati spezzettati nei vari spazi vuoti lasciati dai files eliminati, i computer più costosi possono in alternativa o nel caso di desktop in aggiunta, montare una memoria di tipo SSD a stato solido, un tipo di memoria molto più costosa dei normali Hard Disk magnetici, ma anche molto più veloce ed energeticamente efficiente, inoltre non soffrono il problema della frammentazione, ma comunque hanno un costo elevato e minor capacità di memorizzazione rispetto ad un comune Hard Disk, gli SSD più grandi infatti non superano qualche centinaia di Giga Byte, infine abbiamo le memorie di tipo Flash, ovvero il tipo di memoria principalmente utilizzato per smartphone, tablet, memorie USB e memory card. Le memorie di tipo Flash sono molto compatte ed energeticamente efficienti, ma non sono molto veloci in fase di scrittura inoltre non sono molto capienti, e raramente superano i 64GB, ma di solito hanno tagli decisamente più piccoli (1, 2, 4, o 8 GB), spesso però è possibile espandere la memoria interna del dispositivo con una memory card esterna, ma non è possibile su tutti i dispositivi, per cui non sempre un tablet può sostituire un computer al 100%, alcuni tablet hanno anche un ingresso USB, ma comunque supportano solo memorie formattate in FAT o FAT32 mentre le memorie più grandi di 32GB sono di norma formattate in NTFS quindi resta comunque difficile gestire grandi quantità di dati senza un normale computer, anche se comunque è questa la direzione verso cui ci stiamo muovendo.

8 8 1.3 Il Cloud, i nostri files ovunque Abbiamo già realizzato che il principale problema dei nuovi dispositivi smart è dato dalle dimensioni della memoria di massa e dalla difficoltà di espansione della tale, ma c è anche da dire che oggi più che mai Internet non è mai stato così accessibile, soprattutto se abbiamo uno smartphone o un tablet, sicuramente dotato di Wi-Fi e connettività alle reti mobili 3g e 4g, quasi tutti i gestori di telefonia mobile ormai offrono nelle proprie promozioni oltre a chiamate ed SMS anche la connessione ad internet su rete 3g/4g, inoltre sempre più comuni stanno iniziando ad offrire copertura Wi-Fi gratuita in alcune zone, seppur con alcune limitazioni, basta quindi avere uno smartphone o un tablet per poter navigare in Internet anche se non si ha un abbonamento grazie appunto alle Wi-Fi zone gratuite. Per ovviare almeno in parte al problema della memorizzazione dei dati, si è deciso quindi di sfruttare la connettività dei suddetti dispositivi per poter memorizzare i dati in eccesso o che comunque si vuole avere disponibili su più dispositivi, nasce quindi il Cloud. Ma cos è il Cloud? Il Cloud altro non è che un server remoto su cui ci viene riservato dello spazio che potremmo utilizzare per memorizzare i nostri files per poterli poi recuperare da qualsiasi dispositivo connesso ad Internet semplicemente accedendo al server con il nostro account, metodo che ci permette di salvare memoria preziosa e rende inoltre disponibili i dati anche su altri dispositivi, posiamo anche utilizzare il Cloud come backup dei nostri dati più importanti, ma anche se sulla carta il Cloud presenta diversi vantaggi, non sono comunque esente da svantaggi, prima di tutto per poter salvare o recuperare i dati dal server è necessario l accesso ad Internet inoltre a meno che non stiamo utilizzando la linea di casa, praticamente ogni gestore mobile o Wi-Fi gratuito pongono dei limiti alla mole dei dati trasferibili tramite la connessione, ad esempio molti gestori mobile permettono un traffico di 1GB o 2GB di dati mensili, come somma di tutto il traffico in entrata e in uscita, dobbiamo poi considerare anche la velocità della nostra connessione ad Internet, ma soprattutto anche la velocità del server, che non di rado potrebbe rappresentare un non indifferente collo di bottiglia e rendere quindi il recupero o il caricamento di files di grosse dimensione decisamente lento, inoltre dobbiamo comunque sempre tenere in mente che si tratta comunque di server remoti e che quindi siamo comunque legati ad essi e anche se dal punto di vista della privacy sono sicuri in quanto i principali servizi di Clouding criptano i nostri dati, comunque siamo sempre in balia delle sorti dei server, se ci dovesse quindi essere un malfunzionamento o un problema tecnico, i nostri dati sarebbero inaccessibili fintanto che i server sono offline, inoltre se i server per qualche motivo dovessero chiudere, perderemmo anche i nostri dati.

9 9 CAPITOLO 2 Introduzione alla programmazione Android e Java 2.1 Perché Android? Come abbiamo potuto vedere nel capitolo precedente, il mercato degli smartphone e dei tablet è diviso tra IOS, Windows e Android, è benché l architettura dei processori montati nei dispositivi sia comunque la stessa indipendentemente dal sistema operativo installato, comunque le applicazioni compilate non sono compatibili con altri sistemi operativi se non con quello per cui è stata compilata l applicazione, un po quello che accade anche sui pc tradizionali, in quanto un programma compilato ad esempio per Windows, non è compatibile per OSX o Linux e viceversa, ed anche se i sorgenti dei software sono comunque gli stessi la differenza è data dalla compilazione, ovvero la traduzione da parte del compilatore del codice sorgente scritto in linguaggio di programmazione al linguaggio macchina. Per quanto riguarda i linguaggi di programmazione più comunemente usati abbiamo il C# o C++ su Windows RT, Objective C su IOS e Java su Android. Per quanto riguarda la produzione di applicazioni anche solo ad uso personale, la nostra scelta ricadrà sicuramente su Android, poiché è il sistema meno rigido, infatti per poter anche solo installare un applicazione su IOS dovremmo comunque firmarla con un account da sviluppatore che ha un costo annuo di 79 ma che ci permette anche di pubblicare l App sullo store, ma dobbiamo comunque rispettare le linee guida di Apple per poter firmare l applicazione, Microsoft è meno rigida, e ci permette di installare App non firmate a patto di installare una licenza da sviluppatore gratuita sul dispositivo della durata di 30 giorni, la licenza può essere rinnovata gratuitamente e senza limiti, ma Microsoft comunque controllerà l utilizzo che faremo della nostra licenza, inoltre se vogliamo pubblicare e firmare la nostra App avremmo bisogno di un account da sviluppatore dal costo di 37 annui per i privati, Android ha invece le politiche meno rigide, in quanto possiamo installare anche applicazioni esterne allo store semplicemente disattivando un impostazione di sicurezza, accorgimento necessario solo in fase di installazione, per distribuire le App sullo store però avremmo comunque bisogno di un account da sviluppatore, dal costo di 25$ una tantum.

10 L ambiente di sviluppo ed il linguaggio Per creare la nostra prima App Android, avremmo bisogno di due cose, un ambiente di sviluppo e una conoscenza anche di base del linguaggio di programmazione. Il linguaggio di programmazione principalmente utilizzato in ambito Android è il linguaggio Java, mentre i due principali ambienti di sviluppo sono Eclipse ed Android Studio, esiste anche un alternativa, ovvero Corona SDK un ambiente di sviluppo semplificato, disponibile in versione starter gratuitamente o in versioni più complete, pagando un canone mensile, Corona SDK utilizza un suo linguaggio di programmazione chiamato Luna, e la versione per MAC consente anche la creazione di App IOS, ma comunque non mi soffermerò oltre su Corona SDK in quanto prenderemo in analisi Eclipse ed il linguaggio Java. Prima abbiamo menzionato due ambienti di sviluppo Java, Android Studio ed Eclipse, e a dire il vero non ci sono molte differenze tra i due ambienti di sviluppo, la principale differenza sta nel fatto che Android Studio è un ambiente di sviluppo dedicato solo ed esclusivamente alla programmazione Android, mentre Eclipse è un ambiente di sviluppo Java completo, che però necessita di un plug-in detto ADT (Android Devolpement Tools) che ci permetterà di creare ed esportare applicazioni per Android, come già detto in precedenza non fa molta differenza scegliere l uno o l altro ambiente di sviluppo, in quanto analoghi, comunque sia io mi riferirò sempre ad Eclipse, in quanto ambiente di sviluppo Java completo ed anche se non realizzeremo alcuna applicazione che non sia per Android, con Eclipse avremo comunque la possibilità di poter sviluppare applicazioni Java al di fuori del mondo Android. Spendiamo ora qualche parola su Java, esso è un linguaggio di programmazione molto diffuso sviluppato dalla Oracle, quasi tutto il software di apparecchi di uso comune quali ad esempio navigatori GPS, decoder e televisori stessi è scritto in Java, questo perché Java è un linguaggio estremamente portabile, nel paragrafo precedete abbiamo menzionato il compilatore, ovvero il software che traduce il linguaggio di programmazione ad alto livello in linguaggio macchina, ma con il Java la situazione è leggermente diversa, in quanto il compilatore compila il sorgente Java non in linguaggio macchina, ma in Bytecode, ovvero un linguaggio intermedio tra il linguaggio di programmazione ad alto livello ed il linguaggio macchina, il dispositivo su cui verrà eseguito il programma deve avere installato un software detto Java Virtual Machine o JVM, che ha il compito o di interpretare il Bytecode o di compilarlo al volo al momento dell esecuzione con un compilatore Just-In-Time, il

11 11 compilatore Just-In-Time è sicuramente un metodo più efficiente dell interprete, ma comunque meno efficiente di un linguaggio propriamente compilato, ma con il vantaggio però di rendere le applicazioni estremamente portabili in quanto vengono compilate al momento dell esecuzione e quindi sono meno hardware dipendenti, ciò rende quindi il Java il linguaggio forse più diffuso al mondo, un motivo in più quindi per iniziare ad approcciarsi con Eclipse ed il Java. 2.3 Installiamo l SDK Prima di poter iniziare la nostra avventura nel mondo del Java e della programmazione per Android, dobbiamo prima procurarci alcuni software gratuiti ma indispensabili, prima di tutto abbiamo bisogno del Java Devolpement Kit o JDK, reperibile gratuitamente sul sito dell Oracle al seguente indirizzo: E scaricare la versione del JDK relativa al sistema operativo del computer da noi utilizzato, dopo aver installato il JDK, avremmo bisogno anche di un ambiente di sviluppo o SDK, qui la scelta è tra Android Studio, reperibile al seguente indirizzo: ed Eclipse, reperibile invece qui: i due ambienti di sviluppo sono molto simili quindi non ci dovrebbero essere grandi differenze, comunque sia prenderemo in analisi Eclipse. Ora se avete scelto Eclipse come vostro SDK, prima di poter iniziare a creare App per Android, dovremmo procurarci anche il plug-in Android Devolpement Tools o ADT che può comunque essere scaricato ed installato direttamente da Eclipse, avviando Eclipse e andando su Help>Install New Software comparirà una finestra su cui dovremmo cliccare su Add in alto a destra, come indirizzo inseriremo confermiamo ed installiamo l Android Devolpement Tools dalla lista, se invece abbiamo optato per Android Studio, possiamo ignorare quest ultimo passaggio in quanto Android Studio è un SDK pensato esclusivamente per lo sviluppo di applicazioni Android, quindi non necessita di plug-in aggiuntivi, comunque sia anche se il linguaggio Java rimane comunque lo stesso, come pure la struttura di un programma Android, d ora in avanti onde evitare confusione ci riferiremo solo ad Eclipse, comunque sia ciò non preclude l uso di Android Studio, in quanto molto simile ad Eclipse.

12 La nostra prima App Ora che abbiamo a disposizione tutto il necessario, non ci resta che creare la nostra prima applicazione. Prima di tutto avviamo Eclipse e se non lo abbiamo già fatto definiamo il nostro Workspace, ovvero la cartella in cui Eclipse andrà a salvare tutti i files relativi ai nostri progetti. Dopo aver avviato il programma e definito il nostro Workspace, clicchiamo su File > New > Other e selezionate Android > Android Application Project, vi apparirà la seguente finestra: Application Name Sarà il nome dell applicazione, quindi il nome che apparirà sotto l icona dell applicazione una volta installata, possiamo scegliere qualsiasi nome, Eclipse comunque ci darà un warning se iniziamo con una lettera minuscola. Project Name Sarà invece il nome del progetto che verrà salvato, non influisce in alcun modo sull applicazione finale in quanto è un parametro relativo solo alla fase di programmazione, comunque deve essere diverso dal nome dei nostri altri progetti.

13 13 Package Name: È invece il nome relativo al pacchetto, ed è comunque il vero identificativo dell applicazione, quindi deve essere univoco per ogni applicazione, l installazione di un applicazione con lo stesso Package Name, verrà vista da Android come un aggiornamento e quindi sovrascriverà l altra applicazione, la sintassi è di solito com.nomeazienda.nomeapp ma può anche essere a.b oppure a.b.c.d.e dove ad ogni lettera corrisponde una parola. Minimum Required SDK: La versione minima di Android necessaria per eseguire il Software, impostare un valore più basso migliora la compatibilità, ma riduce le funzionalità, Eclipse consiglia di impostare su Froyo (API 8) per rendere l applicazione compatibile anche con i vecchi device nulla però vieta di impostare un livello minimo più alto se si devono utilizzare funzionalità non supportate dai vecchi API. Target SDK: La versione di Android di riferimento, cioè la versione per cui è pensato il nostro software, dovrebbe essere la versione su cui andremo poi a testare l applicazione, quindi quella del nostro smartphone, tablet o del nostro emulatore, Eclipse suggerisce l utilizzo dell ultima versione disponibile, ma non è comunque necessario. Compile With: La versione dell SDK che utilizzeremo come compilatore, se non selezionabile dovremmo prima installarne una dall SDK Manager, consiglio comunque di installare l ultima versione disponibile, in quanto ha più funzionalità e può comunque essere usata anche per compilare applicazioni destinate a sistemi più vecchi. Dopo aver inserito tutte le informazioni vi verrà chiesto se creare un activity ed un icona personalizzata, possiamo premere direttamente Next> in quanto le caselle da spuntare saranno già spuntate. Verrà poi proposta la creazione di un icona personalizzata, possiamo anche lasciare l icona predefinita, ma è comunque sempre meglio creare un icona personalizzata, come icona possiamo utilizzare una qualsiasi immagine, ma comunque consiglio di utilizzare un immagine PNG a 32Bit con trasparenza per avere la miglior qualità grafica, ma si può anche utilizzare un icona predefinita cliccando su Clipart oppure utilizzare un testo. Dopo aver creato l icona dovremmo creare anche la prima activity, ossia la prima pagina della nostra applicazione, verranno proposti tre tipi di activity, scegliamo Blank activity, andando avanti ci ritroveremo la seguente finestra

14 14 Activity Name È il nome della nostra activity, deve essere diverso dal nome delle altre activity del progetto o di altre Classi Java presenti nel progetto in quanto un activity è a tutti gli effetti una Classe Java, il nostro progetto può avere anche più di un activity, ma deve avere almeno un activity, questa sarà l activity che verrà avviata al lancio dell applicazione. Layout Name Il nome del layout collegato all activity il layout è la parte grafica dell activity, il suo nome è importante solo ai fini della programmazione e non verrà mostrato all utente finale. Fragment Layout Name Il nome del fragment del layout, il fragment è una parte del layout introdotta con l API 11 Honeycomb, come per il layout dobbiamo definirne un nome, in alternativa come per il nome del layout anche il nome del fragment non verrà mai mostrato all utente finale.

15 15 Navigation Type Il tipo di navigazione utilizzato nell activity, lasciamolo pure su none. Il Progetto ora dovrebbe risultare così: Src è la cartella in è contenuto il pacchetto (il Package Name che abbiamo scelto) con all interno le varie Activity e Classi, per ora dovremmo avere solo la nostra prima Activity. Res Contiene invece tutte le risorse grafiche dell applicazione e non solo, si divide a sua volta in: \\ Drawable Contiene le icone e la grafica dell applicazione, si tratta in realtà di cinque cartelle diverse (hdpi, ldpi, mdpi, xhdpi, xxhdpi) che contengono le stesse immagini a risoluzioni diverse se disponibili, volendo possiamo anche mettere un immagine in una sola cartella, e verrà utilizzata per tutte le risoluzioni. \\ Layout Contiene i layout e i fragment del progetto. \\ Menù Contiene invece i dati relativi ai menù delle varie activity, di norma richiamabili con il tasto menù. \\ Raw Non presente di base, andrà creato manualmente se necessario, ha funzioni simili a drawable, ma non è diviso per risoluzioni, qui possiamo mettere le immagini con una sola risoluzione, anche se possiamo comunque metterle in una cartella drawable senza problemi. \\Values Contiene invece tutti i valori relativi alle stringhe ai numeri interi e alle dimensioni collegate alle relative parole chiave, utile soprattutto per localizzare le applicazioni in più lingue. AndroidManifest.xml Forse il file più importante, contiene tutte le informazioni relative all applicazione, tra cui nome, versione, API minimo, activity principale ed altro, se vogliamo cambiare uno dei valori inseriti alla creazione dell applicazione, possiamo farlo qui. Ora se abbiamo fatto tutto e stiamo utilizzando una versione recente dell SDK, andando ad aprire il file Java della nostra activity, che possiamo trovare nella cartella src, dentro il nostro pacchetto, che in questo caso abbiamo chiamato com.test.test,

16 16 con il nome che abbiamo dato alla nostra activity seguito da.java, nel nostro caso MainActivity.java, dovremmo trovarci dinanzi al seguente codice auto generato: package com.test.test; import android.support.v7.app.actionbaractivity; import android.support.v7.app.actionbar; import android.support.v4.app.fragment; import android.os.bundle; import android.view.layoutinflater; import android.view.menu; import android.view.menuitem; import android.view.view; import android.view.viewgroup; import android.os.build; public class MainActivity extends ActionBarActivity { protected void oncreate(bundle savedinstancestate) { super.oncreate(savedinstancestate); setcontentview(r.layout.activity_main); if (savedinstancestate == null) { getsupportfragmentmanager().begintransaction().add(r.id.container, new PlaceholderFragment()).commit(); public boolean oncreateoptionsmenu(menu menu) { // Inflate the menu; this adds items to the action bar if it is present. getmenuinflater().inflate(r.menu.main, menu); return true; public boolean onoptionsitemselected(menuitem item) { // Handle action bar item clicks here. The action bar will // automatically handle clicks on the Home/Up button, so long // as you specify a parent activity in AndroidManifest.xml. int id = item.getitemid(); if (id == R.id.action_settings) { return true; return super.onoptionsitemselected(item); /** * A placeholder fragment containing a simple view. */ public static class PlaceholderFragment extends Fragment { public PlaceholderFragment() {

17 17 public View oncreateview(layoutinflater inflater, ViewGroup container, Bundle savedinstancestate) { View rootview = inflater.inflate(r.layout.fragment_main, container, false); return rootview; Può sembrare complicato, ma analizzando brevemente le parti più importanti avremo un quadro generale della situazione, iniziamo con la prima parte del codice, ovvero il package e gli import: package com.test.test; import android.support.v7.app.actionbaractivity; import android.support.v7.app.actionbar; import android.support.v4.app.fragment; import android.os.bundle; import android.view.layoutinflater; import android.view.menu; import android.view.menuitem; import android.view.view; import android.view.viewgroup; import android.os.build; Package è il nostro PackageName, in questo caso com.test.test, da notare il ; alla fine di ogni istruzione, componente vitale della sintassi Java, in quanto indica il termine di un istruzione, infatti potremmo anche scrivere due o più istruzioni sulla stessa riga, separate solo dal ; e non avremmo comunque problemi, ma omettere il ; porterà ad un errore. Dopo il package, abbiamo gli import, ovvero l elenco di tutti gli oggetti che andremo ad utilizzare nel nostro progetto, trattandosi di una programmazione ad oggetti infatti, dovremmo andare ad importare ogni oggetto che andremo ad utilizzare, sia esso una casella di testo, un pulsante, un immagine od un semplice testo, più avanti analizzeremo più nel dettaglio i vari oggetti, per ora Eclipse ha importato solo gli oggetti essenziali. Andiamo ora ad esaminare il cuore del codice ovvero la classe:

18 18 public class MainActivity extends ActionBarActivity { // Dichiarazione Variabili protected void oncreate(bundle savedinstancestate) { super.oncreate(savedinstancestate); setcontentview(r.layout.activity_main); // Codice if (savedinstancestate == null) { getsupportfragmentmanager().begintransaction().add(r.id.container, new PlaceholderFragment()).commit(); Ho aggiunto due annotazioni, le annotazioni in Java sono precedute da // oppure contenute tra /* e */ la prima annotazione è // Dichiarazione Variabili, ovvero è la zona in cui dovremmo andare a dichiarare le nostre variabili, ma ne parleremo dopo, mentre // Codice indica la zona in cui dovremmo andare a scrivere il grosso del nostro codice, ora analizziamo brevemente il codice auto generato. public class MainActivity extends ActionBarActivity { Questa è la definizione della nostra classe, ovvero la nostra activity, extends ActionBarActivity invece indica che la classe estende un'altra classe ovvero la classe dell action bar, ossia la barra che troviamo tra la barra delle notifiche e l applicazione vera e proprio, infine abbiamo { che racchiude tutto il codice della classe fino all ultimo preceduto da ovvero il resto del codice abbiamo poi : protected void oncreate(bundle savedinstancestate) { super.oncreate(savedinstancestate); setcontentview(r.layout.activity_main); if (savedinstancestate == null) { getsupportfragmentmanager().begintransaction().add(r.id.container, new PlaceholderFragment()).commit(); // Codice Questa parte va a definire tutto ciò che accade all avvio dell activity, ovvero oncreate, prima di tutto abbiamo, ovvero andremo ad eseguire un override del metodo oncreate della classe madre ActionBarActivity e non un overloading, è buona prassi utilizzare prima di un metodo contenuto in una classe che estende un altra classe, salvo nei casi in cui l overloading sia voluto.

19 19 Protected definisce l accessibilità del metodo, e ne riparleremo quando parleremo della definizione delle variabili, void invece indica che il metodo non restituirà alcun risultato, in questa porzione di codice si fa riferimento ad alcuni metodi, questi non sono istruzioni Java di base, ma metodi della classe madre ActionBarActivity, che è appunto la classe che siamo andati ad estendere all inizio, ed è proprio l estendere la classe ActionBarActivity che fa della nostra classe un activity Android, permettendoci quindi di andare a richiamare i metodi di tale classe, altro metodo molto importante è setcontentview, che ci permette di richiamare il layout xml della nostra activity in questo caso activity_main.xml, ora possiamo notare la sintassi per il richiamo di una risorsa, ovvero R.cartella.risorsa senza estensione, in questo caso quindi R.layout.main_activity, il tutto tra parentesi in quanto si tratta di un parametro del metodo, più avanti entreremo maggiormente nel dettaglio per quanto riguarda i metodi, infine abbiamo un costrutto o statement, ovvero l if, che analizzeremo ben presto nel dettaglio in quanto parte importantissima di tutti i linguaggi di programmazione. Ora sempre all interno del metodo oncreate, dopo aver generato la View, possiamo scrivere il codice della nostra prima activity, ma non prima di aver analizzato il resto del codice auto generato, ed aver imparato almeno alcune basi di programmazione. Dopo aver chiuso il metodo oncreate, subito dopo la parentesi graffa che chiude oncreate, possiamo andare a definire i nostri metodi, ma andiamo prima ad analizzare il resto del codice: public boolean oncreateoptionsmenu(menu menu) { // Inflate the menu; this adds items to the action bar if it is present. getmenuinflater().inflate(r.menu.main, menu); return true; public boolean onoptionsitemselected(menuitem item) { // Handle action bar item clicks here. The action bar will // automatically handle clicks on the Home/Up button, so long // as you specify a parent activity in AndroidManifest.xml. int id = item.getitemid(); if (id == R.id.action_settings) { // Codice return true; return super.onoptionsitemselected(item); Questa parte è invece relativa al menù che verrà visualizzato alla pressione del tasto menù del nostro dispositivo, i files relativi ai menù, sono presenti in res\menu, ogni activity ha il suo file di menù, ma nulla vieta di condividere lo stesso file con più activity, ciò può essere fatto andando a modificare: getmenuinflater().inflate(r.menu.main, menu);

20 20 Sostituendo R.menu.main, con il file di menù desiderato. Questa parte di codice contiene l override di alcuni metodi della classe madre, noi non stiamo quindi creando un metodo da zero, ma stiamo facendo l override di metodi ereditati dalla classe madre, ecco perché è vitale estendere la classe ActionBarActivity, in alternativa sarebbe anche possibile estendere la classe Activity, ma ciò non porterebbe alcun vantaggio, la seconda parte del codice: public boolean onoptionsitemselected(menuitem item) { // Handle action bar item clicks here. The action bar will // automatically handle clicks on the Home/Up button, so long // as you specify a parent activity in AndroidManifest.xml. int id = item.getitemid(); if (id == R.id.action_settings) { // Codice return true; return super.onoptionsitemselected(item); Indica invece cosa accade al click di un opzione, le opzioni possono essere create nel relativo file di menù, di default abbiamo l opzione action_settings, ma possiamo crearne di altre, dove ho annotato // Codice, dobbiamo inserire il codice che vogliamo eseguire al click sulla voce del menù, se vogliamo inserire altre voci, dobbiamo aggiungere degli else if relativi alle nuove voci, ad esempio: if (id == R.id.action_settings) { // Codice 1 return true; else if (id == R.id.codice2) { // Codice 2 return true; else if (id == R.id.codice3) { // Codice 3 return true; Così facendo selezionando diverse opzioni verranno eseguiti diversi codici, infine abbiamo la parte relativa al fragment: public static class PlaceholderFragment extends Fragment { public PlaceholderFragment() { public View oncreateview(layoutinflater inflater, ViewGroup container, Bundle savedinstancestate) { View rootview = inflater.inflate(r.layout.fragment_main, container, false); return rootview; Per ora possiamo ignorarla.

21 Il Layout e i Fragments Dopo esserci fatti un idea di come funzioni la classe di un activity, andiamo ad analizzare la parte grafica dell activity, ovvero il layout. Andando in res\layout troveremo due file xml auto generati, uno per il layout base ed uno per il fragment, con i nomi che gli abbiamo assegnato in fase di creazione, se non abbiamo modificato nulla, di default dovrebbero essere activity_main.xml e fragment_main.xml, il fragment, avrà al suo interno una TextView, ossia un testo semplice, con scritto Hello World, naturalmente prima di creare una qualsiasi applicazione dovremmo eliminarla, ora andando ad aprire il file xml, ci ritroveremo difronte ad un interfaccia diversa da quella relativa al file java. Interfaccia tipica della programmazione ad oggetti, sulla sinistra abbiamo i vari oggetti, al centro l output grafico vero e proprio mentre a destra abbiamo in alto i vari oggetti inseriti ed in basso le proprietà dell oggetto selezionato, inserire oggetti nel layout, non ne richiede l importazione nell activity, ma è comunque necessaria se l activity va in qualche modo ad interagire con tali oggetti, quindi se inseriamo delle TextView solo allo scopo di visualizzare una testo, ma la nostra activity non interagirà mai con esse, non dobbiamo importare l oggetto TextView, ma se invece dobbiamo in qualche modo interagire con esso, allora andrà obbligatoriamente importato, gli oggetti vanno importati solamente una volta, per cui anche se abbiamo più di una TextView, noi importeremo solamente una volta il widget. Anche se Android ci propone un Layout principale ed un fragment, non è detto che noi non possiamo creare più fragments, i fragment sono molto importanti, ma il tutto potrebbe complicare il codice, o in alcuni casi anche semplificarlo, per ora lavoriamo sul layout principale, in seguito introdurremo i fragments. Analizziamo ora i principali oggetti che abbiamo a disposizione:

22 22 TextView Un semplice testo, l utente non ha interazione diretta con esso, ma questo non significa che l activity non possa andare a modificare tale testo o interagire con esso, ed è infatti pratica comune. EditText A differenza della TextView, si tratta di una casella di input, in cui l utente può inserire un testo o in alternativa un numero o una password, bisogna però ricordare che indipendentemente dal tipo di input, l EditText restituirà sempre un valore di tipo String, anche se inseriremo un numero, al click sulla casella apparirà una tastiera virtuale, se non disponibile una tastiera fisica. Button Il classico pulsante, per poterlo utilizzare abbiamo bisogno di impostare un OnClickListener, che ci permetterà di eseguire del codice alla pressione del tasto. ImageButton Uguale a Button, ma con un immagine al posto del testo. ImageView Un immagine, può essere utilizzata anche come pulsante personalizzato con un OnClickListener. Ma ne abbiamo molte altre ancora. Ora, ci troviamo dinnanzi a due file xml molto simili, activity_main e fragment_main, ma dove andare a lavorare? È buona pratica andare a lavorare su fragment_main, tenendo però in mente che il codice che andremo a scrivere nella classe MainActivity, è relativo ad activity_main, mentre il codice relativo a fragment_main è legato alla classe PlaceholderFragment autogenerata, ora se sia che andiamo ad aggiungere oggetti nel activity_main, che nel fragment_main, essi verranno tutti visualizzati contemporaneamente all esecuzione del programma, questo perché il programma carica il layout activity_main e poi successivamente aggiunge nel FrameLayout container il fragment PlaceholderFragment, questo avviene grazie a questa parte di codice autogenerata: if (savedinstancestate == null) { getsupportfragmentmanager().begintransaction().add(r.id.container, new PlaceholderFragment()).commit(); Infatti se andiamo ad aprire activity_main, noteremo che è presente un solo oggetto, ovvero un FrameLayout con l id container, il FrameLayout è un layout elementare, di norma utilizzato per contenere un solo oggetto, in questo caso il fragment, l id invece è l identificativo della risorsa, tramite il quale la potremmo richiamare, in questo caso con R.id.container, naturalmente per richiamare il fragment abbiamo bisogno di creare una classe relativa ad esso, Eclipse come sempre ci viene incontro creandocene una in automatico, ovvero la classe PlaceholderFragment, cioè la seguente:

23 23 public static class PlaceholderFragment extends Fragment { // Dichiarazione Variabili public PlaceholderFragment() { public View oncreateview(layoutinflater inflater, ViewGroup container, Bundle savedinstancestate) { View rootview = inflater.inflate(r.layout.fragment_main, container, false); // Codice Fragment return rootview; // Metodi Come possiamo notare, la classe PlaceholderFragment è molto simile alla classe MainActivity, con la differenza che essa estende la classe Fragment, e non la classe ActionBarActivity, e sempre come per MainActivity, abbiamo una zona dove definire le variabili, una zona dove inserire il nostro codice ed una zona dove poter creare i nostri metodi, lavorare con i fragment, ci permetterà di avere diverse schermate nella stessa Activity, altrimenti dovremmo iniziare una nuova Activity ogni volta che vogliamo cambiare schermata, inoltre l uso dei fragments ci permette di creare con più facilità applicazioni compatibili sia con smartphone che con tablet, in quanto sui tablet potremmo visualizzare più fragments insieme, date le maggiori dimensioni dello schermo. 2.6 La dichiarazione delle variabili In informatica un elemento fondamentale è dato proprio dalla dichiarazione delle variabili, e tale pratica è presente in qualsiasi linguaggio di programmazione, in quanto le variabili sono componenti essenziali di qualsiasi applicazione. La dichiarazione di una variabile può essere fatta in due modi, come variabile globale all inizio della classe, oppure come variabile locale al momento dell utilizzo, un esempio di variabile globale: public class MainActivity extends ActionBarActivity { private int a = 0;

24 24 Una variabile globale è una variabile dichiarata all inizio della classe ed è quindi valida in tutta la classe, una variabile locale invece è una variabile dichiarata all interno della classe e quindi valida solo dopo l esecuzione di tale parte di codice, una variabile locale segue le stesse regole delle variabili globali, cambia solo la posizione, altro punto da tenere in considerazione, è la visibilità delle variabili, ovvero la prima parte della dichiarazione, nel nostro caso private, esistono quattro tipi di visibilità: Private, default, protected e public. private Una variabile private, è visibile solo all interno della classe in cui viene definita. default A differenza delle altre visibilità, default non va specificato, è la visibilità che viene assegnata omettendo la dichiarazione della visibilità, default rende visibile la variabile a tutte le classi contenute nel pacchetto, ma non all esterno di esso, un esempio di dichiarazione di variabile default è: int a = 0; e non default int a = 0; protected Rende la variabile visibile a tutte le classi all interno del pacchetto e a tutte le sottoclassi, anche se esterne al pacchetto. public Rende la variabile visibile a tutte le classi, interne o esterne al pacchetto. Le stesse regole di visibilità si applicano anche alla definizione delle classi o dei metodi e non solo alle variabili. Dopo aver definito la visibilità, dobbiamo definire il tipo di variabile, ossia i dati che essa può contenere, i principali tipi di variabili sono: boolean Variabile di tipo booleano, può assumere solamente i valori true o false. byte Variabile lunga 8bit, può contenere valori interi compresi tra -128 e 127 inclusi, variabile elementare, che ci permette di salvare spazio se abbiamo a che fare con valori piccoli, inoltre non supporta operazioni matematiche tra variabili, supporta però ++ e -- es: byte a = 5; byte b = a + 5; // Errore a++; //Ok a = 6 a--; //Ok a = 5 short Variabile lunga 16bit, può contenere valori interi compresi tra e compresi, come byte non supporta operazioni tra variabili. int Variabile lunga 32bit, è la variabile più comunemente utilizzata per quanto riguarda i numeri interi, può contenere valori compresi tra e compresi,

25 25 supporta le operazioni tra variabili, purché non coinvolgano variabili a virgola mobile o variabili non numeriche, ne operazioni che coinvolgano numeri non interi, ad esempio: byte a = 10; float b = 5; int c; c = a + b; // Errore b è una variabile float c = a * 5; // Ok c = 50 c = a * 0.5 // Errore 0.5 non è un numero intero c = a / 3 // Ok 3 è un numero intero c verrà approssimato c = 3 long Variabile lunga 64bit può contenere valori interi compresi tra e compresi, segue le stesse regole di int. float Variabile a virgola mobile lunga 32bit, serve a contenere numeri naturali, quindi anche numeri decimali, supporta ogni genere di operazione. double Variabile a virgola mobile lunga 64bit, offre più precisione delle variabili float, indicata per valori con molte cifre decimali, come float supporta ogni genere di operazione. char Variabile lunga 16bit, destinata a contenere un singolo carattere Unicode, un carattere va definito tra virgolette singole, ad esempio: char a = 'a'; CharSequence Variabile utilizzata per contenere una sequenza di caratteri, e quindi un testo, il testo va definito tra doppie virgolette, ad esempio: CharSequence t = "test"; String Simile a CharSequence, ma un po meno flessibile, una variabile String non accetta valori CharSequence, mentre una variabile CharSequence accetta valori String ad esempio: String t = "test"; CharSequence a = t; //Ok Ma non: CharSequence t = "test"; String a = t; //Errore Impossibile convertire CharSequence in String Le variabili possono anche contenere oggetti o classi, ad esempio: TextView Text; //Oggetto TextView PlaceholderFragment fragment = new PlaceholderFragment(); //Classe PlaceholderFragment

26 26 È molto importante definire le variabili in modo corretto, ed evitare che esse possano andare a dover contenere valori non supportati, altrimenti incorreremmo in un buffer overflow, ovvero stiamo cercando di contenere all interno di una variabile una valore fuori dalla gamma di valori supportati ad esempio: byte a = 128; // Errore Buffer Overflow Java però gestisce bene gli Overflow, ciclando i valori, quindi ad esempio non incorreremmo in buffer overflow facendo: byte a = 127; a++; //Ok a = -128 Inoltre Eclipse, quando nota un errore, blocca la compilazione dell eseguibile, per cui è difficile creare applicazioni che incorrano in questi tipi di errori, ma questo non significa che Eclipse identifichi tutti gli errori. Le variabili possono anche essere lasciate vuote, oppure definite a blocchi es: private int a, b, c, d; // Non inizializzate protected int e = 1, f = 2, g = 3; // Inizializzate Oltre alle normali variabili, possiamo definire anche costanti, array e variabili statiche. Variabili statiche Le variabili statiche sono definite dal modificatore static, ad esempio: protected static int stat = 0; Una variabile statica non è una constante, ma una variabile unica, di cui ci può essere una sola istanza, per cui se caricassimo più istanze della stessa classe la nostra variabile esisterebbe soltanto una volta es: public static class test { public static int stat = 0; // Variabile Statica public int nor = 0; // Variabile non Statica public class test2 { private final test Test1 = new test(); // Prima istanza classe test private final test Test2= new test(); // Seconda istanza classe test public test2(){ Test1.nor = 1; Test2.nor = 2; Test1.stat = 3; Test2.stat = 4; CharSequence b = ("Valori: " + Test1.nor + " " + Test2.nor + " " + Test1.stat + " " + Test2.stat ); // b = "Valori: "

27 27 Come possiamo notare le due istanze della classe test hanno restituito due valori distinti per la variabile nor (1 e 2), ma un solo valore per la variabile stat (4), in quanto essendo essa statica può esistere solamente una volta, quindi la seconda istanza ha sovrascritto la prima, per cui il valore 3 è stato sovrascritto dal valore 4, inoltre Eclipse ci darà dei warning, in quanto le variabili statiche andrebbero richiamate in modo statico, e non tramite un istanza, per cui il modo più corretto di lavorare con una variabile statica è il seguente: test.stat = 4; // classe.variabile Le variabili statiche quindi sono anche più facili da richiamare, in quanto possono essere richiamate in modo statico, senza quindi creare istanze, static non si applica solo alle variabili, ma anche ai metodi e alle classi, le variabili locali non possono essere definite static, ma solo le variabili globali. Costanti Le costanti, non sono vere e proprie variabili, in quanto non possono variare, possono essere meglio definiti come dei riferimenti ad alcuni dati ricorrenti, ma che non possono mutare all interno del codice, le costanti si definiscono con il modificatore final, e in caso di costanti globali è anche possibile aggiungere il modificatore static, ci sono però alcune differenze tra una costante final ed una final static, la costante final static è la costante vera a propria, deve essere inizializzata alla dichiarazione con un valore costante, e non può avere altri valori, se non quello definito durante la dichiarazione ad esempio: public final static int KB = 1024; // Costante, KB varrà sempre 1024 Una costante final invece è leggermente diversa, in quanto può anche non essere inizializzata, purché venga comunque inizializzata una sola volta e non lasciata vuota, può essere anche inizializzata tramite una variabile ad esempio: public final int KB; // Costante non inizializzata int a = 256, b = 4; KB = a * b; // Costante inizializzata correttamente tramite due variabili KB = 1024; // Errore KB è stato già inizializzato Una costante non static quindi lascia un po più di libertà, ma se dobbiamo definire una costante globale inizializzata in fase di dichiarazione, conviene dichiararla final static e non semplicemente final, in caso di costanti locali, è permesso solo final, è consuetudine scrivere i nomi delle costanti completamente in maiuscolo, ma non è obbligatorio, serve solo a rendere le costanti più riconoscibili, final può essere usato anche per definire una classe o un metodo, una classe final non può avere sottoclassi e quindi non può essere estesa, e non è possibile fare l override di un metodo final. Array Gli array sono particolari variabili, o anche costanti, che possono contenere più informazioni, un po come se fossero un insieme di variabili, gli array sono

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