20. Apparato vestibolare

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1 20. Apparato vestibolare L'apparato vestibolare rileva informazioni relative alla posizione e al movimento della testa e del corpo. È importante per il mantenimento della postura e della stazione eretta (equilibrio) e per la coordinazione del movimento degli occhi con quello della testa. I recettori recepiscono la posizione della testa in ogni istante sia quando siamo fermi che durante un movimento. Ci accorgiamo dell'importanza del sistema vestibolare, che è un sistema sensoriale di cui non siamo molto coscienti, quando non funziona bene e abbiamo, per esempio, le vertigini. Siamo a livello di orecchio interno, vicino alla coclea; si parla di labirinto osseo per quanto riguarda l'insieme dei recettori del sistema vestibolare perchè ci sono tre canali chiamati semicircolari e due strutture. All'interno del labirinto membranoso c'è l'endolinfa e all'esterno la perilinfa. Questi liquidi hanno composizione ionica diversa e sono essenziali per la generazione di potenziali di recettori. L'endolinfa è ricca di ioni potassio. Vicino alla coclea vediamo due strutture sferiche chiamate sacculo (S) e utricolo (U). I canali semicircolari (CS) sono tre. Sacculo e triculo sono gli organi otolitici e misurano la posizione della testa quando siamo fermi o segnalano quando abbiamo movimenti lineari della testa. I canali semicircolari invece recepiscono i movimenti rotatori o autogenerati o generati da forze esterne nelle tre possibili direzioni. Le strutture contengono cellule cilgiate, meccanocettori come quelli del sisteme uditivo. In questo caso c'è anche un chinociglio, più lungo delle ciglia. Le ciglia sono più lunghe man mano che si avvicinano al chinociglio. Al di sotto della cellula cigliata ci sono le fibre del nervo vestibolare, parte del nervo ottavo, formato da nervo acustico e vestibolare. Come si tradusce un segnale fisico e meccanico in potenziale? Il potenziale della cellula cigliata è circa -140 mv. Rispetto all'ambiente che bagna le ciglia (endolinfa) c'è una differenza di potenziale di 140 mv. Se ci sono dei canali aperti permeabili al potassio, questo sarà più concentrato fuori e tenderà ad entrare. I canali si aprono quando il ciuffo di ciglia si sposta verso il chinociglio (ciglio più alto). Quando questo succede, ci sono legamenti che uniscono le ciglia tra di loro, che vengono tirate; questo fa aprire i canali. Se uno ione entra, si ha depolarizzazione. Questa attiva canali permeabili al calcio, che entra. A questo punto si ha fusione di vescicole sinaptiche, quindi il neurotrasmettitore esce informando il nervo vestibolare, che farà aumentare la frequenza di scarica del nervo. Si è generato un potenziale di recettore. Anche a riposo, i tip-links non sono mai completamente rilasciati, perciò i canali per il potassio sono in parte aperti e viene comunque rilasciata una certa quantità di scarica. C'è una condizione inversa secondo cui le ciglia si stirano dalla direzione opposta: i canali per il potassio si chiudono, c'è minore depolarizzazione e minor rilascio di neurotrasmettitore e diminuzione di frequenza di scarica del nervo vestibolare. A riposo Stiramento verso chinociglio Stiramento in senso opposto a chinociglio Gli organi otolitici sono utricolo e sacculo, che hanno un epitelio sensoriale costituito da cellule cigliate. Le ciglia sono immersa in una membrana chiamata otolitica, che presenta cristalli di carbonato di calcio, chiamati otoconi. La membrana otolitica è dunque pesante rispetto alle strutture circostanti e quando c'è un movimento tende a restare indietro e fa piegare le ciglia in quanto poggia su queste. La membrana è sensibile

2 sia agli spostamenti lineari della testa, ma anche alla forza di gravità. L'epitelio sensoriale, che contiene le cellule cigliate, si chiama macula. È diviso in due parte da una linea virtuale chiamata striola. Da una parte della linea le cellule cigliate hanno le ciglia rivolte verso questa linea e anche dall'altra in maniera speculare. Le macule dei due orecchi hanno una disposizione simmetrica. Quando siamo in automobile e c'è un'accelerazione o una frenata le cellule cigliate aumentano la frequenza di scarica che si regolarizza quando si torna a livello di riposo. Gli organi otolitici, per riassumere: rispondono a mvoimenti lineari della testa; segnalano posizione della testa in ogni momento; le macule hanno disposizione simmetrica nell'orecchio destro e sinistro; l'insieme delle informazioni derivanti dalle quattro macule danno informazioni sul movimento lineare e sulla posizione del capo. I canali semicircolari servono per i movimenti rotatori. Sono tre condotti o canali per orecchio, inclinari di 30 rispetto al piano orizzontale, disposti perpendicolarmente l'uno rispetto all'altro. La parte sensoriale si trova nell'ampolla, rigonfiamento alla valle di ognuno dei tre canali, in cui si trovano le cellule cigliate. L'ampolla contiene le cellule cigliate e la cupola, che è una struttura gelatinosa. Di per sè l'ampolla non è sensibile a movimenti lineari perchè anatomicamente le ciglia si muovono solo se ci sono movimenti rotatori. Quando c'è un movimento rotatorio l'endolinfa resta momentaneamente indietro per inerzia, spingendo su questa cupola dove sono immerse le ciglia. Induce una deflessione delle ciglia nella direzione del movimento e quando la velocità del movimento diventa costante, la corrente endolinfatica recupera e le ciglia tornano dritte. I recettori segnanalo solo variazioni di velocità (accelerazioni) e quindi solo inizio e fine dei movimenti. Le ciglia sono sensibili a movimenti rotatori perchè i canali sono semicircolari e anche le cellule cigliate nell'ampolla sono posizione in modo semicircolare. Dalle cellule cigliate, il nervo riceve le informazioni da cellule che hanno il corpo cellulare dal ganglio spinale chiamato di Scarpa. Da qui arrivano ai quattro nuclei vestibolari (superiore, mediale, inferiore, laterale). I nuclei vestibolari rilevano la consapevolezza dei movimenti della testa e i riflessi. Il nucleo vestibolare laterale è connesso al midollo spinale (tratto vestibolo-spinale) e serve alla regolazione dei muscoli flessori dell'arto superiore e alla regolazione degli estensori dell'arto inferiore (postura stazione eretta). Il nucleo vestibolare inferiore, insieme, in parte, al mediale, proietta al midollo spinale per il controllo dei muscoli del collo, per coordinare il movimento degli occhi con quello della testa. In nucleo vestibolare mediale, insieme, in parte al superiore, è responsabile dei movimenti oculomotori e ci permettono il riflesso vestibolo-oculare. Le vie vestibolare in generale ci permettono di conoscere la posizione della testa in ogni istante; di fare aggiustamenti posturali; di coordinare i movimenti degli occhi e della testa per mantenere un bersaglio visivo essenzialmente sulla fovrea. Questi tipi di regolazione della postura avvengono grazie a riflessi vestibolari, grazie a cui controlliamo anche i movimenti oculari. Sono di due tipi: statotonici e statocinetici. I riflessi statotonici dipendono dalla posizione statica della testa e del corpo in genere; quando siamo fermi abbiamo afferenze vestibolari sempre attive dagli organi otolitici e determinano un aggiustamento posturale. I riflessi statocinetici si attivano in risposta a movimenti (lineari o rotatori) del capo; hanno origine da organi otolitici e canali semicircolari. Hanno numerose funzioni, come mantenere la postura (ad esempio su un autobus che accelera), coordinare movimenti oculari e movimenti della testa. I movimenti oculari servono a postare il bersaglio visivo sulla fovea e per mantenerlo. Di questo si occupa il sistema oculomotore. I movimenti oculari possibili sono cinque, tra cui due riflessi: movimenti vestibolooculari, optocinetici, saccadici, lenti di inseguimento, di vergenza. I muscoli che ci permettono il movimeno degli occhi sono sei: retto superiore, inferiore, laterale e mediale e obliquo superiore, inferiore, laterale e mediale. I nervi che li controllano sono il terzo principalmente, il VI e il IV. I movimenti riflessi sono il vestibolo-oculare e l'optocinetico. I movimenti oculari si dicono anche in coniugati (si muovono nella stessa direzione e dalla stessa distanza) e

3 non coniugati (stessa distanza, ma diversa direzione). Si dividono inoltre a seconda che serva per la stabilizzazione dello sguardo (vestibolo-oculare e optocinetico) o per la direzione dello sguardo (saccadici, lenti di inseguimento, di vergenza). Movimento vestibolo-oculare: il sistema vestibolare rileva che la testa si gira, quindi ho eccitazione da una parte del nervo ed inibizione dall'altra. I nuclei vestibolari attivano i nuclei oculo-motori che controllano il muscolo retto laterale e mediale dei due occhi. Gli occhi vengono portati in direzione opposta rispetto a quelli del movimento della testa, per mantenere fisso lo sguardo sul bersaglio. Movimento optocinetico: serve a mantenere lo sguardo sul bersaglio, ma non quando si muove la testa, ma la scena visiva. Se la scena visiva va a destra, anche gli occhi vanno a destra. Si attiva la retina che portano l'informazione alla corteccia visiva e al sistema ottico accessorio che si trova nel mesencefalo, che attiva i nuclei vestibolari, che attivano i nuclei oculomotori che fanno muovere gli occhi nella stessa direzione della scena visiva. Alla luce, se la velocità della rotazione diventa costante (quindi non c'è più il vestibolo-oculare attivo), il movimento degli occhi è determinato dal riflesso optocinetico. Movimenti vestibolo-oculari e optocinetici operano congiuntamente per mantenere stabile lo sguardo; sono antici dal punto di vista delle filogenesi; sono involontari. Quelli vestibolo-oculari prendono le informazioni dal sistema vestibolare e hanno azione rapida, mentre quelli optocinetici prendono le informazioni dal sistema visivo e hanno azione lenta. Movimenti saccadici: sono rapidi e semplici. Con questi, gli occhi saltano da un punto di fissazione a un altro. Sono i movimenti della lettura, sono dunque volontari e servono a portare e mantenere l'immagine visiva sulla fovea. Una volta programmati, non possono essere corretti. Il motoneurone che dà il comando ai nuclei oculomotiri e ai muscoli oculari avrà scarica fasica ad alta frequenza per spostare gli occhi e poi manterrà una certa scarica per mantenere la posizione. I neuroni nei nuclei oculo-motori ricevono le informazioni da due parti: intervengono i neuroni 'burst', implicati nella velocità e i neuroni tonici, implicati nel mantenimento della posizione. Le saccadi possono essere compiute in varie direzioni e ci sono centri diversi che le controllano. Nella sostanza reticolare esistono gruppi di neuroni diversi chiamati centri dello sguardo. C'è il centro dello sguardo orizzontale (permette movimenti orizzontali), che si trova nel ponte e nella sostanza reticolare c'è il centro dello sguardo verticale (permette movimenti verticali). I centri dello sguardo sono regolati da due aree: collicolo superiore (nel mesencefalo) e campo oculare frontale (nel lobo frontale). In entrambi ci sono mappe sensoriali e mappe motorie. A seconda di quale parte della mappa viene attivata c'è l'attivazione di uno specifico centro dello sguardo, con specifica direzione della saccade laddove si trova lo stimolo. Movimenti lenti di inseguimento: se c'è un areo che si muove, muovendo gli occhi riesco a seguirlo. Sono movimenti lenti, diversi dalle saccadi. Questi servono per mantenere sulla retina lo stimolo che si sta muovendo; sono stimoli volontari. Inizialmente facciamo una saccade per portare lo stimolo sulla fovea, dopodichè per seguirlo con lo sguardo i movimenti sono lenti. Movimenti di verganza: servono per spostare lo sguardo e portare il bersaglio sulla fovea quando il bersaglio si allontana o si avvicina da noi. I movimenti di verganza sono non coniugati. Sono sempre associati ad accomodazione del cristallino. La disparità binoculare, cioè l'immagine sfocata, arriva alla corteccia visiva, che attiva i centri oculomotori che attivano il movimento di vergenza.

4 21. Movimenti volontari I movimenti volontari hanno sempre uno scopo e non sono stereotipati, quindi il SN può applicare strategie diverse per ottenere risultati simili. I movimenti volontari sono per la maggior parte appresi, cioè li impariamo man mano che cresciamo con l'esperienza. La precisione aumenta con l'esercizio. Una volta imparati, non richiedono partecipazione cosciente. Per compiere un movimento volontario ci serviamo di informazioni sensoriali che ci diano informazioni sull'obiettivo: informazioni sensoriali sull'oggetto o informazioni sensoriali su come è posto il soggetto che vuole raggiungere l'oggetto. Sul soggetto bisogna sapere dove si trova rispetto all'oggetto. Riguardo l'oggetto, dobbiamo sapere dov'è rispetto all'oggetto, che forma ha, c he consistenza ha e quanto pesa. Grazie al piano d'azione, che corrisponde al programma del movimento motorio, si valutano la traiettoria, l'apertura delle dita per afferrare l'oggetto, la velocità, la forza e la postura necessaria a sostenere il movimento. Il terzo punto corrisponde al movimento volontario vero e proprio (esecuzione del movimento). La volontà che c'è nell'eseguire un movimento volontario si trova nelle aree superiori della corteccia cerebrale. La corteccia somatosensoriale è coinvolta nell'identificazione dell'obiettivo, che si trova nel lobo parietale. Nel lobo frontale si trovano le aree motorie. Accanto al solco centrale, c'è l'area motoria primaria, poi le aree motorie secondarie e anteriormente c'è la corteccia prefrontale. Posteriormente al solco c'è la somatosensoriale primaria, poi la parietale posteriore, divisa in area 5 e 7. La corteccia parietale posteriore riceve le informazioni sensoriali dalle cortecce visive e uditive. Accanto alla corteccia parietale c'è la corteccia somatosensoriale (aree 1, 2 e 3) da cui derivano le informazioni sensoriali. La corteccia parietale posteriore integra tutte queste informazioni e le manda alla corteccia associativa frontale, che insieme alle aree motorie secondarie fa il programma motorio. Le aree motorie secondarie sono due: corteccia supplementare motoria e corteccia premotoria. Le cortecce secondarie motorie informano l'area 4, area motoria primaria, che si occupa dell'esecuzione del movimento. I segnali non rimangono qui, ma vanno al midollo spinale a informare i motoneuroni in modo che ci sia la contrazione muscolare. La maggior parte degli assoni che partono dalla corteccia motoria crociano controlateralmente (anche se un 10% rimane ipsilaterale, restando dallo stesso lato). Quindi, dalla corteccia cerebrale motoria (in particolare area 4 e area 6) parte il tratto cortico-spinale che può essere laterale o ventrale. Il primo è crociato, mentre il secondo è diretto. Il tratto cortico-spinale laterale contatta i motoneuroni nelle corna laterali dei sistemi laterali, con contrazione degli arti. Il tratto cortico-spinale ventrale contatta i motoneuroni nelle corna ventrali dei sistemi mediali, con contrazione del tronco. Nella programmazione del movimento e nell'esecuzione, abbiamo detto, sono coinvolte le aree motorie primarie e secondarie. Nella prima metà del '900 è stato Penfield, neurologo, a studiare le aree motorie, attraverso stimolazione di aree del lobo frontale, che, si accorse, induceva la contrazione dei muscoli degli arti controlaterali. Questo era già stato anticipato a fine Ottocento grazie a Fritsch e Hitzig, ma con il cane. Penfield si accorse che stimolando l'area 4 i movimenti comparivano con basse intensità di stimolazione e con latenza minore: area motoria primaria. Stimolando l'area 6, si accorse che i movimenti comparivano con intensità di stimolazione più elevata, con latenza maggiore e i movimenti erano più complessi: aree motorie secondarie, divisa in area premotoria e area motoria supplementare. Stimolando più nel dettaglio diversi punti all'interno della corteccia motoria primaria si otteneva una mappa topografica motoria di determinate parti del corpo (homunculus

5 motorio). Dai successori di Penfield in poi si è capito che nell'epilessia jacksoniana (contrazione muscolari involontarie) è dovuta ad attività elettrica patologica nella corteccia. Cosa rappresenta la mappa dell'area 4? I neuroni vanno a controllare i muscoli o i movimenti? Questo è il dilemma risolto dallo studioso giapponese Asanuma nella metà del Novecento. La risposta è: i movimenti, in quanto un neurone in genere comanda più muscoli e un muscolo è controllato da più motoneuroni corticali. Asanuma ha capito tutto ciò con microstimolazioni, cioè è andato a stimolare piccoli gruppi di neuroni (per esempio 12) e ha visto come fanno contrarre un solo muscolo. I neuroni che attivano un singolo muscolo sono organizzati in colonne. I neuroni della corteccia motoria influenzano principalmente un muscolo, ma in parte anche altri muscoli. Inoltre una relazione diretta tra neuroni e singoli muscoli è stata trovata solo per i muscoli distali delle dita. Quando i neuroni della corteccia primaria si attivano, cosa codificano? Successivamente Evarts ha posto elettrodi sulla corteccia di una scimmia, a cui è stato insegnato di ruotare una barra, alla quale viene applicato un peso da una parte o dall'altra, per far avvenire la flessione o l'estensione con più o meno forza. Viene registrato ciò che succede ai neuroni del polso della corteccia. Quando la scimmia compieva una flessione, ma la scarica del motoneurone che fa contrarre i muscoli del polso avviene prima, quindi Evarts capì che i neuroni del tratto cortico-spinale servono per iniziare il movimento. Quando viene chiesto alla scimmia di svolgere lo stesso compito, ma con forza maggiore, il neurone scarica con frequenza di potenziale maggiore e anche scarica anche quando il movimento sta avvenendo. Evarts ha capito che la scarica aumenta quando è necessario aumentare la forza di movimenti. I neuroni dell'area motoria primaria quindi non solo servono a iniziare il movimento ed eseguirlo, ma a regolare la forza della contrazione. Nel terzo esperimento è stato chiesto alla scimmia di flettere il polso; quei neuroni non avevano nessuna attività, deducendone quindi che quei neuroni non erano implicati in questo processo di flessione. Ci si è chiesti, studiando l'area motoria prima, chi è che regola la direzione dei movimenti. A questo ha dato risposta Georgopulos, usando delle scimmie e registrando i motoneuroni della corteccia motoria primaria. Si è visto che scaricano in modo diverso a seconda della direzione del movimento. Abbiamo A, B, C, tre neuroni diversi nella corteccia. È stato insegnato alla scimmia a muovere un oggetto in tre direzioni. Il motoneurone A, quando il movimento avveniva a sinistra, scaricava ad alta frequenza, mentre a destra la scarica è minima; nelle altre direzioni la frequenza è intermedia. La stessa cosa vale anche per gli altri interneuroni. Si è visto che se andiamo a registrare l'attività di un gruppo di neuroni mentre facciamo un movimento avremo vari vettori. Sommando matematicamente i vettori che ottengo misurando l'attività elettrica di più neuroni ottengo un vettore somma che corrisponde davvero alla direzione del movimento. I neuroni della corteccia motoria primaria dunque scaricano preferenzialmente per un certo movimento. Nell'area motoria abbiamo sei strati. Il IV strato è quello deputato a ricevere le informazioni sensoriali e il V è quello deputato a generare efferenze. Il V è quindi molto più sviluppato rispetto al IV, al contrario dello strato sensoriale visivo, per esempio. Nel V strato ci sono neuroni di grandi dimensioni, si tratta di cellule chiamate piramidali (a causa della forma del corpo cellulare) di Betz. Ci sono anche tanti dendriti. Sono importanti perchè gran parte delle efferenze che danno vita al tratto cortico-spinale sono cellule di Bertz, deputati alla regolazione dei movimenti fini. Altre efferenze dall'area motoria primaria 4 vanno al tronco cerebrale (tratto cortico-bulbare). Lesione dell'area motoria primaria provocano paresi. Da chi riceve informazioni la corteccia motoria primaria? Riceve informazioni dalle aree motorie secondarie (e corteccia associativa frontale) e dalla corteccia somatosensoriale e le invia al II strato. Il talamo le riceve dalla periferia, dal cervelletto e dai gangli della base e le invia al IV strato. I neuroni della corteccia motoria

6 hanno dei campi recettivi in quanto ricevono informazioni sensoriali. La corteccia funzione come un circuito in parallelo ai riflessi spinali attaverso un long-loop transcorticale. I neuroni motori, infatti, hanno campi recettivi che corrispondono ad aree cutanee vicine alle zone del movimento o ai muscoli o articolazioni coinvolte nel movimento. I neuroni corticali utilizzano l'informazione sensoriale anche per riprogrammare il movimento in risposta a perturbazioni esterne. Le cortecce motorie secondarie programmano il movimento. Le distinguiamo innanzitutto in area supplementare motoria e area premotoria. Contengono mappe motorie e, come aveva notato Penfield, si attivano con intensità di stimolazione maggiore e contengono movimento complessi e bilaterali (si richiedono muscoli di entrambe le parti del corpo per, per esempio, abbottonarci). Quando c'è una lesione dovuta a un trauma o un'ischemia i neuroni vengono danneggiati, ma non si ha paresi, bensì aprassia. I movimenti semplici possono essere eseguiti, ma non possiamo eseguire quelli complessi. Nel corso dell'evoluzione, mentre nelle scimmie l'area 4 è simile a quella dell'area 6, nell'uomo l'area 4 è simile a quella delle scimmie, ma l'area 6 è invece molto più sviluppata, infatti l'uomo è in grado di compiere movimenti molto più fini e complessi rispetto alle scimmie. L'area supplementare motoria, uno delle due aree secondarie, serve a programmare ed eseguire movimenti complessi. È stato possibile andare a visualizzare con tecniche di neuroimaging, quando viene chiesto a un soggetto di piegare un dito, che si attiva l'area motoria primaria e la corteccia somatosensoriale primaria perchè c'è sempre una sensazione che deriva da un movimento. Quando si chiede a un soggetto di fare un movimento complesso non solo si attiva l'area motoria primaria e la corteccia somatosensoriale primaria, ma anche la corteccia supplementare motoria. Quando al soggetto viene chiesto di pensare al movimento complesso senza farlo, si attiva solo l'area supplementare motoria (programmazione del movimento). È stato calcolato il tempo che serve per la programmazione di un movimento: 800 ms, in caso di tempo di reazione (quando sappiamo quale stimolo verrà presentato). Infine l'area motoria supplementare regola anche gli aggiustamenti posturali con un collegamento diretto con i neuroni del midollo spinale, precisamente i neuroni che controllano i muscoli assiali. L'altra area motoria secondaria, cioè l'area premotoria, è connessa anch'essa con i sistemi mediale attreverso connessioni con il tronco cerebrale. Regola la postura andando a regolare la sostanza reticolare. Serve a pianificare anch'essa a pianificare un movimento, in particolare regolando la nostra posizione in funzione della direzione del movimento che vogliamo effettuare. Ci sono neuroni chiamati set-related neurons, che scaricano quando si ha l'indicazione di compiere un movimento in una determinata direzione. Nella corteccia premotoria dell'uomo ci sono i neuroni specchio, scoperti nelle scimmie. I neuroni di quest'area scaricano quindi anche quando vediamo un movimento compiuto da un'altra persona. Quando compiamo un movimento che ha una funzione, scaricano. Se la mano non compie un'azione con una funzione, essi non scaricano. Se vediamo fare quell'azione da un'altra persona, non solo i neuroni della persona scaricano, ma anche quelli di chi guarda. A scoprire questo fu Rizzolati, studiando i neuroni mirror tramite le scimmie. Sono così importanti che Romachandran ha affermano che "I neuroni specchio sono per le neuroscienze ciò che il DNA è stato per la biologia". Le informazioni sensoriali arrivano alla corteccia parietale posteriore, che dà uno schema corporeo e dello spazio estenro. La corteccia parietale posteriore è nel lobo parietale, ricoprendo le aree 5 e 7. Riceve informazioni sensoriali dalla corteccia somatosensoriale, dalle corteccie uditive e uditive, stabilendo la relazione tra come siamo messi noi e gli oggetti. In questo caso la lesione determina neglect.

7 22. Aree del sistema motorio: gangli della base e cervelletto Queste due aree influenzano i motoneuroni superiori, del tronco dell'encefalo e della corteccia. Nella destra il cervelletto poggia sul tronco cerebrale, quindi in posizione dorsale; in particolare si trova al di sotto del bulbo. In sezione saggittale si vede che è diviso in tre lobi: lobo anteriore, posteriore e flocculo-nodulare. È formato da una serie di circonvoluzione, come una piccola corteccia cerebrale. Secondo un'ulteriore suddivisione dei lobi, in tutto si contano dieci lobuli. Ogni lobulo si divide ancora in foglia. Il cervelletto, visto in sezione parasaggittale, è costituito da una parte più superficiale che si chiama corteccia, al cui interno ci sono nuclei, gruppi di neuroni non disposti in strati. Visto in sezione coronale, il cervelletto è costituito da nuclei cerebellari (nucleo del fastigio, nucleo interposito e nucleo dentato). Il cervelletto serve a eseguire i movimenti in maniera coordinata; a regolare continuamente la postura e l'equilibrio; a regolare il tono muscolare. Infine, paragona continuamente il programma motorio (generato in altre aree cerebrale) con l'esecuzione effettiva del movimento, quindi permette la correzione del movimento. Il cervelletto è composto da varie zone: guardandolo dall'altro, distinguiamo tre zone, una lungo la linea mediana, definita verme. Una parte adiacente al verme, a destra e a sinistra, si chiama interposito. Queste zona formano una parte dei cervelletto chiamato spinocerebello. Gli emisferi cerebrali formano il neocervello o cerebrocerebello. La parte posteriore si chiama vestibocerebello o archicerebello, che comprende i lobuli flocculo-nodulari. Ognuna di queste parti, eccetto il vestibolocervello, proiettano a uno dei tre nuclei cervellati di cui abbiamo parlato prima. Le cellule della corteccia del verme proiettano al nucleo del fastigio. Le cellule della corteccia dello spinocerebello sono connesse al nucleo interposito. I due emisferi cerebellari proiettano al nucleo dentato. Il vestibolocerebello controlla l'equilibrio e i movimenti oculari. Il verme proietta ai sistemi mediali e serve a controllare il tono muscolare della muscolatura assiale, mentre la parte intermedia dello spinocerebello, cioè l'interposito, con le sue proiezioni, controlla i sistemi laterali per il controllo di muscoli distali, cioè arti e mani; permette di muovere gli arti in maniera coordinata. Il cerebrocerebello, attraverso il nucleo dentato, proietta alla corteccia motoria contribuendo alla pianificazione dei movimenti volontari. Il vestibolocerebello, che si occupa di equilibrio, postura e movimenti oculari, riceve informazioni visive, che contribuiranno al controllo di movimenti oculari e dal labirinto, cioè informazioni sulla posizione della testa, che vanno al vestibolocerebello, che manda i suoi comandi ai nuclei vestibolari in modo da farci mantenere equilibrio e postura. Questo si è capito vedendo cosa succedeva a pazienti con danno al vestibolocerebello, i quali non avevano una postura coordinata, bensì atassica (senza coordinazione). Questi pazienti hanno anche alterazioni dei movimenti oculari (come quelli di inseguimento lento) e presentano nistagmo spontaneo (movimenti oculari incontrollari). Il verme si occupa di regolare il tono muscolare e la muscolatura assiale che ci permette di mantenere una certa postura e contrazione muscolare continua. Attraverso le sue uscite sul nucleo cerebellare del fastigio, riceve informazioni sensoriali dalla muscolatura (soprattutto tronco e collo) e manda i suoi comandi ai nuclei vestibolari e alla sostanza reticolare, che contribuiscono al controllo del tono muscolare. Questi due elementi fanno sinapsi sul midollo spinale, che ci permette di avere un continuo tono muscolare e contrazione dei muscoli assiali. Manda informazioni anche al talamo e alla corteccia motoria, che ha un tratto che si chiama cortico-spinale ventrale che permette il controllo dei muscoli prossimali o assiali. Se c'è una lesione al verme si ha ipotonia, iporeflessia (i riflessi sono minori), astenia/atonia (la forza muscolare è ridotta), titubanza (il tronco trema, non c'è un controllo adeguato) e atassia (incoordinazione motoria). La parte intermedia che compone lo spinocerebello serve a permetterci un controllo adeguato dei movimenti degli arti. Essi si muovono in maniera coordinata in qualunque movimento eseguito grazie allo spinocerebello, che ci permette anche di correggere gli errori di movimenti che possono succedere, confrontrano il piano motorio con quello d'esecuzione. La parte intermedia riceve informazioni sul programma motorio e dal sistema visivo-uditivo. Riceve informazioni anche sulla posizione e sugli arti distali. Integra tutte queste informazioni e manda le sue informazioni da una parte al nucleo rosso (che dà origine al tratto rubeo-spinale), per far controllare i movimenti degli arti. Dall'altra, attraverso il talamo, proeitta la corteccia motoria, che dà origine al tratto cortico-spinale laterale. Servono quindi per far avvenire movimenti volontari in maniera coordinata (come sciare o andare in bicicletta). A livello dello spinocerebello c'è una mappa del corpo che è frammentata, cioè non è come nel caso della corteccia cerebrale, dove le parti del corpo se sono vicine realmente, lo sono anche nella corteccia. Le parti del corpo vicine, nel cervelletto, sono rappresentate separate. I pazienti con lesioni a queste parti del cervelletto, hanno: ipotonia, iporeflessia, astenia/atonia, atassia, difetti di articolazione della parola (in quanto i muscoli che controllano il linguaggio non sono controllati in maniera adeguata). Nel cerebrocerebello, la corteccia protietta al neocerebello dentato e questo proietta, attraverso il talamo, alla

8 corteccia cerebrale. Il cerebrocerebello riceve informazioni sul piano motorio e manda i suoi segnali alla corteccia, che programma il movimento, in modo da regolarlo. La corteccia motoria ha il tratto corticospinale laterale. Il cerebrocerebello serve a farci eseguire sequenze di movimenti complessi con destrezza. Dopo una lesione al cerebrocervelletto si vede atassia, ritardo a iniziare e finire il movimenti, incoordinazione tra muscoli agonisti e antagonisti (movimento scomposto), tremore intenzionale (durante l'esecuzione di un movimento), tremore terminale (nell'avvicinarsi di un oggetto), dismetria (si compiano movimenti senza misura), adiadococinesia (irregolarità nei movimenti rapidi alternati). Vediamo come fa il cervelletto a farci apprendere un movimento. La corteccia cerebellare, la parte superficiale del cervelletto, non è formata da sei strati di neuroni, bensì da tre. I tre stati si chiamano molecolare (superficiale), delle cellule Purkinje (intermedio), dei granuli (interno). I granuli sono i neuroni più neuroni nel cervello (50% di tutti i neuroni). Sotto la corteccia cerebellare c'è la sostanza bianca. A livello dello strato delle cellule di Purkinje avviene l'apprendimento. Le due afferente sono le fibre rampicanti e le fibre muscoidi. Mentre normalmente la corteccia cerebellare, con le sue Purkinje, inibisce i nuclei profondi permettendo il movimento. Quando c'è un errore nel movimento, questo è segnalato alle Purkinje dalle fibre rampicanti, che arrivano da nuclei nel tronco cerebrale. I nuclei, uno a destra e uno a sinistra, si chiamano olive inferiori. Quando le Purkinje scaricano allo stesso tempo delle fibre muscoidi, significa che c'è stato un errore. Le fibre rampicanti si attivano. La cellula di Purkinje, con questa doppia attivazione (tra fibra rampicante e fibra parallela), riduce la sua attività. Dunque i nuclei profondi sono più attivati, correggendo il movimento. A lungo termine le Purkinje si deprimono, cioè inibiscono la loro attività, per mesi o per anni, permettendo così all'apprendimento. I gangli della base sono cinque nuclei che si trovano sotto la corteccia cerebrale. Si chiamano gangli, ma sono nuclei (i gangli sono in realtà gruppi di neuroni nel SNP). Non hanno connessioni dirette con il midollo spinale, ma solo con la corteccia e così controllano il movimento. Si è capita la loro funzione vedendo lesioni a carico dei gangli della base, come capita quando si ha il morbo di Parkinson o di Huntington. Lesioni a gangli della base portano tremore, movimenti involontari, alterazioni di postura e tono muscolare, povertà e rallentamento dei movimenti, senza paralisi. I cinque nuclei che compongono i gangli della base sono: caudato, putamen, pallidus (che ha un segmento interno e uno esterno), subtalamico, sostanza nera. Il caudato e il putamen formano il corpo striato. La parte che riceve gli input è il corpo striato, che comprende caudato e putamen. Riceve input da molte aree della corteccia cerebrale (corteccia motoria, somatosensoriali, associative). L'uscita è il pallido e parte articolata della sostanza nera. I segnali di uscita vanno, attraverso il talamo, alla corteccia motoria. Ci sono circuiti interni che connettono queste parti tra di loro. Una via è la connessione tra striato e pallido. Un'altra riguarda le connessioni tra striato e sostanza nera. La terza via è quella che connette il nucleo subtalamico (che manda le informazioni alla parte reticolata della sostanza nera e le riceve dal pallido). L'ultima connette la sostanza nera (in particolare la parte compatta) al corpo striato. Alla fine abbiamo due vie principali: via indiretta e via diretta. La via diretta eccita la corteccia motoria, la via indiretta la inibisce. Nella via diretta: lo striato riceve informazioni delle cortecce, inibisce il pallido interno e la sostanza reticolata; questi due elementi sono inibitori nei confronti del talamo e della corteccia. Se vengono inibiti (doppia inibizione), si attivano. Così la via diretta eccita la corteccia. Nella via indiretta: lo striato normalmente inibisce il pallido esterno. Il pallido esterno allora normalmente non inibisce il nucleo subtalamico. Ma se il pallido è inibito, il nucleo subtalamico non è più inibito, dunque è attivato. Essendo attivo, attiva il pallido interno e la sostanza nera reticolata. Così la via indiretta inibisce la corteccia. La sostanza nera pars compacta ha il ruolo di eccitare la via diretta e inibire la via indiretta, dunque facilita il movimento. Tutto ciò si è capito studiando pazienti con lesioni a queste strutture. In particolare le due malattie più note e studiate sono il morbo di Parkinson, che dipende dal fatto che la sostanza nera pars compacta muore, che ha il ruolo di facilitare il movimento. Nel caso del morbo di Huntington è la via indiretta che viene depressa perchè i neuroni dello striato degenerano. Le conseguenze sono, per entrambe le

9 malattia, in generale, alterazione dei riflessi, della postura e del tono muscolare. Nel morbo di Parkinson, degerando la sostanza nera, la corteccia non è più attivata normalmente. Si ha rigidità, tremore a riposo, acinesia e bradicinesia, alterazione di postura, deambulazione (si parla di festinazione, cioè il camminare è fatto di piccoli passi), movimento volontario e mimica facciale. Viene a mancare la dopamina che normalmente la sostanza nera pars compacta produce e rilascia nello striato. Normalmente nelle cortecce motorie secondarie c'è ideazione del movimento, informazione che và nei gangli della base; se la sostanza nera non funziona il movimento è difettoso. Negli anni '60 si è vista una una serie di sintomi di Parkinson in un gruppo di cocainomani, in quanto la loro cocaina era stata tagliata con dopamina che aveva danneggiato la sostanza nera. Si era dunque pensato che il Parkinson dipendesse dall'assunzione di qualche sostanza che danneggia la sostanza nera, ma pare che ciò non sia vero. La forma più comune di terapia è la somministrazione di L-dopa, precursone di dopamina, in quanto la dopamina stessa non passa la barriera ematoencefalica. Man mano che però si perde la sostanza nera, si perde anche l'enzima che trasforma l'l-dopa in dopamina. Le terapie in fase di sperimentazione sono il trapianto di cellule che producono dopamina, o trapiantati nei gangli della base o nella sostanza nera. Ultimamente si cerca di usare le cellule staminali Il morbo di Huntington è una malattia genetica, che dipende dalla morte di neuroni nello striato, la cui origine è la via indiretta. Venendo meno la via indiretta, si hanno movimenti incontrolalti e continui del pazienti. La corteccia è continuamente attivata. Si chiama anche corea, in quanto corea vuol dire danza. Il gene mutato presenta più triplette di CAG del normale. Il CAG dà la glutamina e quindi ci sono proteine con più glutamina. Questa proteina mutata si avvolge su se stessa creando depositi che vanno nel nucleo e fanno morire le cellule. Le huntingtine sono infatti tossiche. Se muore lo striato non ci sono più le connessioni con la corteccia, i cui neuroni iniziano a morire. Abbiamo movimenti involontari, ipotonia e si arriva alla demenza. Dunque i gangli della base hanno anche funzioni cognitive. Maggiore è il numero delle triplette CAG minore è l'età in cui inizia la patologia. Quando inizia tardi, essendo genetica, il paziente potrebbe avere già dei figli. Anche in questo caso si pensa a trapianti di cellule staminali per sostituire quelle striatali che degenerano. Dalle malattie si è capita la funzione dei gangli della base, che nel complesso controllano la preparazione di strategie complesse di movimento, partecipano alla generazione di movimenti spontanei (in seguito ad istruzioni interne), facilitano certi movimenti e ne inibiscono altri e partecipano a funzioni cognitive.

10 23. Sviluppo del sistema nervoso Lo sviluppo del sistema nervoso risulta dall'interazione tra i geni e l'ambiente che ci circonda, che ha un'influenza fondamentale soprattutto dalla nascita in poi. Quando siamo degli embrioni per ambiente si intende l'ambiente che circonda il sistema nervoso o i neuroni. Quando è avvenuta la fecondazione si ha il primo stadio di sviluppo a livello di zigote e la prima interazione è tra geni e citoplasma. Lo sviluppo dunque parte dall'omozigote, in cui tutte le cellule sono staminali e poi si ha il differenziamento. Questo porta allo stadio cosiddetto dei tre foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma e endoderma. L'embriona è dunque inizialmente una gastruale. Ogni strato darà origine a un tessuto ben preciso: l'ectoderma dà origine alla pelle e al sistema nervoso; il mesoderma dà origine a muscoli, sistema scheletrico, cardiovascolare, urogenitale; l'endoderma dà origine al sistema gastroenterico e respiratorio. Le parti più estreme man mano si avvicinano tra loro venendosi a chiudere e la parte sottostante diventa un tubo. Questo è il primo stadio di sviluppo del sistema nervoso. Nel suo primo stadio di sviluppo il sistema nervoso è dunque un tubo che si origina dal neuroectoderma. Il tessuto non ancora chiuso a tubo si chiama placca neurale. Il processo che porta alla formazione del tubo neurale si chiama neurolazione. Al di sotto della placca neurale e del tubo neurale c'è la notocorda che è una porzione di tessuto che deriva dal mesoderma, che darà origine al tubo neurale. La forma di tubo la ritroviamo nel midollo spinale. A questo punto abbiamo cellule non più staminali totipotenti ma destinate a diventare cellule nervose e allo stesso tempo neuroni che possono essere sensoriali o motori. In questi stadi vengono generati fattori o proteine in diverse zone del tubo che determineranno cosa diventeranno le cellule neurali. Il tubo neurale produce nella parte ventrale fattori come BMP o Shh, che indurranno certe cellule a diventare nella parte dorsale neuroni sensoriali, per esempio, e nella parte ventrale motoneuroni. La parte dorsale del tutto è anche chiamata lamina del tetto. La parte ventrale si chiama lamina del pavimento. Si specificano dunque regioni del tubo che producono fattori che fanno differenziare col tempo le cellule nervose in popolazioni neurali specifiche. Questi fattori derivano da ciò che la madre assume, come la vitamina A. Un eccesso o una carenza di vitamina A produce effetti dannosi sullo sviluppo del sistema nervoso del feto. Man mano si andrà verso destini sempre più specifici. Lo stesso tubo neurale matura differenziandosi in regioni ben precise. La fase che segue al tubo neurale è la fase cosiddetta a tre vescicole. Il tubo infatti dà origine a tre protuberanze. Le tre vescicole si chiamano: prosencefalo (parte anteriore), mesencefalo (parte centrale), romboencefalo (parte posteriore). Le piccole protuberanze sono i gangli. Successivamente si passa alla fase a cinque vescicole. Dal prosencefalo si formano il telencefalo e diencefalo. Il mesencefalo non si suddivide e il romboencefalo si suddivide in metencefalo e al mielencefalo. E poi segue sempre il midollo spinale. La fase del tubo neurale presenta 25 giorni di vita nell'embrione, cioè quando la madre scopre di essere incinta. Dopo pochi giorni si sviluppa nella fase a tre vescicole, poi a cinque. A tre mesi di gestazione si ha uno sviluppo sostanziale, in cui gli emisferi cerebrali crescono. Nei successivi 6 mesi si ha un ingrandimento degli emisferi cerebrali con tipico ripiegamento. Una particolarità che è stata vista e studiata è stata la presenza di geni, presenti addirittura negli invertebrati, che servono a specificare certe parti del sistema nervoso e sono gli stessi geni che servono a specificare anche le parti del corpo della mosca, per esempio. Questi si chiamano geni omeotici o omebox. Il romboencefalo è particolarmente suddivisibile in segmenti. In ogni segmento, grazie all'affinità di certi geni, si sviluppano certi neuroni specifici, per esempio

11 alcuni formeranno il ganglio del V nervo cranico. In questa fase di sviluppo abbiamo la specificazione dei neuroni, che primano devono proliferare. Ciò che prolifera non sono neuroni maturi, ma cellule staminali neurali. Le cellule staminali neurali si trovano lungo il ventricolo. Si trovano dunque nella zone ventricolare, che è la zona epidermio proliferativo. Inizialmente le cellule che proliferano sono multipotenti, che chiamiamo staminali neurali. Esse possono auto-rinnovarsi o uscire dal ciclo cellulare e dare origine a progenitori neurali o progenitori gliali. Il primo darà origine a un neurone e il secondo darà origine a una cellula gliale, che può essere astrocita o oligodendrocita. Quando una cellula smette di proliferare e dà origine a un progenitore neuronale, quest'ultimo deve lasciare la zona e migrare nella zona in cui i neuroni si posizioneranno. La cellula non avrà più una divisione simmetrica, bensì asimetrica, cioè la cellula darà origine a una cellula staminale identica e una non uguale. Questa darà origine al neuroblasto, che non si divide più. Il neuroblasto migra dove sarà la sua sede definitiva. Si è visto che nel primo trimestre di gravidanza si raggiunge un picco di formazione di neuroblasti di neuroni al minuto, ritmo diverso dalle zone. Il ritmo di proliferazione cellulare è diverso nei vari segmenti del tubo neurale, pertanto nell'adulto alcune regioni del SNC sono più sviluppate di altre. I neuroblast (progenitori dei neuroni) perdono per sempre la capacità di proliferare. I neuroblasti devono andare nella zona dove sono destinati. La loro migrazione avviene lungo dei binari formati glia radiale. Le cellule della glia radiale, si è scoperto, sono cellule staminali. Come fanno a sapere i neuroni dove fermarsi? La fase migratorie dei neuroblasti termina quando il neuroblasto giunge alla sua destinazione, perchè possiede sulla sua superficie delle proteine capaci di riconoscere segnali ambientali specifici. I segnali ambientali sono prodotti da neuroni dello stesso tipo o da elementi non nervoso, che determinano la fine della migrazione (il neuroblasto si stacca dalla glia radiale) e matura. Maturare significa emettere prolungamenti (dendriti ed assone): dendritogenesi ed assonogenesi. L'assone deve crescere verso i suoi bersagli: l'assone, per esplorare l'ambiente in cui si trova, ha bisogno di una struttura a livello della sua parte terminale (che percepisce i segnali), il cono di crescita. Questa struttura è costituita da molecole diverse del citoscheletro, cioè actina e microtubuli. Il cono di crescita diventerà un terminale presinaptico quando troverà il bersaglio e con esso farà sinapsi. Nel cono di crescita ci sono recettori che possono essere sia attrattivi che repulsivi (in base se la zona è giusta o no). Allo stesso tempo, i fattori in un cono di crescita possono essere di contatto o diffusibili. Quelli di contatto sono posti su altre cellule e quelli diffusibili sono liberi e rilasciati nell'ambiente extracellulare. L'assone così cresce. Nel tratto cortico-spinale laterale, per esempio, crocia e per passare la linea mediana trovano fattori repulsivi o attrattivi che ne modificano la direzione. Un neurone inizia a crescere il suo assone per primo (assone pioniere) e raggiunge il target. I neuroni circostanti, che formeranno dei tratti, trovano sull'assone pioniere dei segnali, seguendolo. Si dunque la fascicolazione, formazione di fasci o tratti assonali. Gli assoni sanno che devono fermarsi perchè trovano, oltre ai segnali di repulsione e attrazione, segnali nei neuroni bersaglio che danno il comando di fermarsi. Negli anni '60 si è capito della presenza di molecole efrine che guidano e fanno far sinapsi specifiche a certi assoni su certi neuroni grazie a Roger Sperry, che ha ipotizzata la chemoaffinità. Si è vista prendendo l'occhio di una rana (in cui è possibile la crescita assonale anche nell'adulto). La retina ha una porzione A, B e C e l'ha ruotato tagliando il nervo ottico. Gli assoni della retina ricrescono. Ruotandoli, i neuroni della retina che prima erano in posizione dorsale, ruotando l'occhio, sono ora in posizione ventrale. Egli ha visto che anche se ruotati gli assoni di neuroni ricrescono sugli stessi bersagli di prima specifici, grazie alla chemoaffinità. Ciò succede che si hanno dei difetti di comportamento della rana. Mentre prima, se vede una mosca alla destra, la prendeva con la lingua; ora, se la retina viene ruotata, vede la mosca con una parte di retina che però fa sinapsi con la sua porzione giusta, generando un movimento a sinistra e tirando fuori la lingua dalla parte opposto. Così avviene la formazione delle nostre mappe di proiezione a livello corticale. Un altro esempio di mappa è quello che si ha nei roditori. Le connessioni sinaptiche, nel momento in cui l'assone deve fare il contatto sinaptico col bersaglio, avvengono tramite un processo chiamato sinaptogenesi. I fattori tropici che guidano l'assone verso il

12 barsaglio sono le netrine, semaforine, slit, neurotrofine... Affinchè la sinapsi si mantenga però sono necessari i fattori trofici, soprattutto le neurotrofine, che regolano non solo la crescita assonale, ma servono anche alla stabilizzazione della sinapsi e alla sopravvivenza del neurone che ha formato il contatto. La prima neurotrofina scoperta è l'ngf da Rita Levi Montalcini negli anni '50 (da cui ha avuto il Nobel). L'ha scoperto studiano gangli di pollo. Mettendo l'ngf (che la scienziata è riuscita a isolare), si ha un'enorme crescita assonale. Scoperto l'ngf sono state poi scoperte le altre neurotrofine: BDNF, NT-3, NT-4/5. Il ruolo delle neurotrofine si vede anche durante il processo di eliminazione di neuroni in sovranumero. Molti neuroni muiono ed è un processo di morte fisiologica: i neuroni sono prodotti in numero superiore a quello necessario, in modo da avere una sorta di scorta adeguata alla necessità. I neuroni vanno in cerca dei loro bersagli in cerca di stabilizzare le loro sinapsi. Le neurotrofine perà non sono prodotte in maniera sufficiente per tutti i neuroni, quindi soltanto alcuni riescono a legare le neurotrofine. Il neurone che non riesce a entrare in contatto col fattore neurotrofico morirà; questa morte avviene durante il periodo embrionale. Ci sono esempi sia nell'uomo che, per esempio, nel pollo. Nel caso dei motoneuroni del midollo spinale alla fine della gestazione si arriva col 75% dei neuroni originari, mentre il resto muore. Si tratta di un meccanismo attivo: il neurone che non riesce a entrare in contatto col fattore tropico muore perchè attiva egli stesso dei geni (apoptosi). Questo si vede grazie ad esperimenti in cui è stato rimosso o aggiunto un target. Nel caso dell'embrione del pollo, si è rimosso il target dei motoneuroni del midollo spinale solo da un lato: il target dei motoneuroni è il muscolo. I muscoli producono fattori trofici necessari per la sopravvivenza di certi neuroni. Durante la fase embrionale, togliendo il target, per esempio una zampa dell'embrione, a livello di un lato del midollo spinale, i motoneuroni muoiono perchè, rimosso il target, si è rimossa la fonte delle neurotrofine (infatti è il target che produce neurotrofine). Se viene trapiantato un arto in più, i motoneuroni presenti in sovranumero trovano tutti neurotrofina a sufficienza e possono sopravvivere. Le neurotrofine non servono solo nella fase della vita embrionale a regolare la sopravvivenza e il mantenimento dei neuroni, ma anche i loro contatti sinaptici. I neuroni inizialmente formano anche contatti sinaptici più numerose del necessario rispetto al sistema nervoso maturo. Ogni assone innerva tanti target diversi: anche qui target producono fattori neurotrofici sufficienti solo per alcune sinapsi. Il neurone non muore, ma alcune connessioni sinaptiche si ritraggono. Parliamo di raffinamento delle connessioni: inizialmente non sono mature, ma devono raffinarsi in un processo di eliminazione sinaptica. Si eliminano alcune sinapsi, ma quelle che rimangono si espandono, quindi non è detto che il numero diminuisce. In questo modo ogni neurone ha il suo bersaglio ben preciso: siamo già alla fase della nascita, in cui entra in gioco l'esperienza (attività elettrica) derivata da stimoli esterni. In conclusione, ciò che abbiamo visto avviene nel periodo embrionale (esclusa la fase di raffinamento). Il cervello si ingrandisce dalla nascita perchè i neuroni si ingrandiscono (bensì non aumentino di numero i neuroni stessi) e aumentano il numero delle connessioni. La formazione delle sinapsi dipende dall'esperienza. Una corretta esposizione a stimoli esterni è fondamentale per lo sviluppo corretto del sistema nervoso; in caso contrario, le connessioni non si stabilizzanol. A tre anni di età il cervello diventa 4 volte più grande. Dai anni in poi i neuroni muoiono e si ha una diminuzione.

13 24. Plasticità Abbiamo detto che durante la fase embrionale si sviluppa il sistema nervoso. Quando si nasce si è esposti a stimoli, grazie all'esperienza. L'esperienza ha un ruolo fondamentale nel definire le connessioni neuronali e non solo: le connessioni diventano stabili. Ci occupiamo ora dalla nascita in poi del ruolo dell'esperienza e dell'interazione con l'ambiente esterno. Questo avviene grazie a un elevata plasticità, cioè capacità di adattarsi al mondo esterno, grazie alla capacità che ha il cervello di cambiare stimolato dall'ambiente esterno, rimodellando le proprie connessioni. La capacità è elevata durante l'infanzia. La plasticità diminuisce con l'età, in cui le connessioni sono stabilizzate e non sono più facilmente rimodellabili. Oggi parliamo di periodi critici: un periodo critico per la plasticità è una finestra temporale cruciale perchè si sviluppi una certa funzione. Questo periodo però finisce, quindi la funzione sviluppata si stabilizza. È fondamentale dunque che ci sia una corretta interazione con l'ambiente per un normale sviluppo del cervello e delle sue funzioni. Uno dei primi ad accorgersi a questo fu Freud: "nella mia ricerca per condizioni patogeniche sono stato portato indietro nella vita del paziente e ho raggiunto i primi anni della sua infanzia. Quello che poeti e studenti della natura umana hanno sempre affermato è risultato essere vero: le esperienze di quel periodo lontano per la propria vita, anche se nella maggior parte dei casi sepolte, hanno lasciato tracce non più rimovibili e incancellabili nella crescita dell'individuo". Altri esempi di quanto sono importanti i periodi critici vengono da studi dell'etologo di Lorenz, che studiò i primi anni di vita nelle oche. Egli notò che l'oggetto o l'animale presentato alle oche appena uscite dall'uovo rappresentava la figura di riferimento, che fosse la mamma o un oggetto inanimato o che fosse lui stesso. Questo avviene per una sorta di imprinting, comportamento innato, programmato geneticamente: seguire una figura di riferimento, che può essere modulato dall'esperienza. Un altro studioso interessante fu Harlow, che ha studiato il comportamento delle scimmie. Ha notato che isolando le scimmie alla nascita, deprivandole della figura materna, pur nutrendole, la presenza di difetti nel comportamento sociale. Da adulte le scimmie mostravano comportamenti aggressivi e asociali. Mancava dunque una serie di stimoli materni che portasse a un corretto sviluppo del comportamento sociale. Si è notato anche che esponendo la scimmia a oggetti di metallo, di cui uno forniva il latte e l'altro era rivestito di spugna ma non formiva il latte: si è visto che la scimmia restava abbracciata alla spugna, a suggerire che ci sia una idea e un bisogno innato di cura materna e contatto fisico nel periodo dell'infanzia delle scimmie e dell'uomo. Anche negli uccelli avviene questo: dal punto di vista dell'apprendimento del canto, essi hanno bisogno di sentire il canto della propria specie nel periodo critico, per impararlo. Se non sono esposti al canto della specie non apprenderanno mai quel canto. Se da adulti essi sono esposti al canto, non riescono più a impararlo. La stessa cosa, riguardo il linguaggio, avviene per l'uomo: si parla di bambini lupo. Non essendo esposti al linguaggio dell'uomo, quando vengono reinseriti nella società fuori dal periodo critico, non impareranno più il linguaggio umano. È quello che si vede anche nell'imparare una seconda lingua: maggiore è l'età, più difficilmente viene imparata. L'andamento di curva decrescente nell'età nel caso di una lingua straniera è simile al grado di recupero funzionale dopo un danno al cervello. La possibilità di recupero (e riparazione di un nervo periferico) diminuisce man mano che aumenta l'età del paziente. Questo avviene per tutti i sistemi: anche quelli sensoriali. Abbiamo un sistema geneticamente programmato predisposto per sviluppare un comportamento o una funzione. Il periodo critico durante il quale un'esperienza specifica modifica il sistema e lo rende capace di produrre il comportamento o esercitare la funzione (plasticità dei circuiti neuronali). Dopo il periodo critico c'è il consolidamento del sistema (che permette ulteriori interazioni con l'ambiente, ma riduce drasticamente gli effetti dell'esperienza o della deprivazione). Nel caso dei sistemi sensoriali sono necessari e indispensabili degli stimoli per i vari sistemi e in particolare per la visione. La plasticità della corteccia visiva è stato uno dei modelli più studiati. La corteccia visiva è costituita da colonne di dominanza oculare, cioè dal primo al sesto strato i neuroni sono disposti in colonna e alcuni neuroni di una colonna rispondono preferenzialmente a un occhio e i neuroni della colonna vicina a un altro occhio. Un occhio proietta al nucleo genicolato laterale del talamo dove ci sono degli strati, ognuno dei quali riceve proiezioni solo da un occhio e i neuroni del talamo con i loro assoni mandano le informazioni al IV strato della corteccia visiva. Il IV strato è monoculare, mentre i neuroni degli strati superiori e inferiori ricevono informazioni anche dall'altro ccchio (binoculari). Ma i neuroni degli strati I, II, III, V, VI rispondono preferenzialmente a un occhio rispetto a un altro. Quindi si parla di colonne di dominanza oculare in quanto domina un occhio. In un esperimento nel IV strato si è iniettato un amminoacido radioattivo che impressiona una lastra rendendola bianca, passa alle sinapsi e arriva al IV strato, dove si ferma. Tagliato il IV strato, ci sono neuroni che hanno acquisito l'amminoacido da un occhio e sono bianchi e neuroni che risponderanno all'altro occhio, che sono neri perchè non hanno preso l'amminoacido.

14 Questo è importante perchè non è già presente quando si nasce: ha bisogno di stimoli visivi da entrambi gli occhi perchè si sviluppi questo sistema di dominanza oculare, la quale ci permette di avere una visione binoculare e un'acuità visiva adeguata. Per capire il ruolo dell'esperienza si sono classificati i neuroni corticali del I, II, III, V e VI strato (binoculari) con dei numeri da 1 a 7. Si è andata a registrare l'attività dei neuroni a seguito di stimoli. Sono stati classificati come 1 i neuroni che rispondono soltanto a un occhio e 7 quelli che rispondono all'altro. I neuroni 4 rispondono a entrambi. I neuroni di tipo 2 e 3 rispondono più a un occhio rispetto all'altro, viceversa quelli di 5 e 6. Si è arrivati a capire questo deprivando un occhio dagli stimoli sensoriali su cuccioli di gatto. Quando a un gatto appena nato viene suturata la palpebra per due mesi e mezzo, da adulto si è visto che i neuroni della corteccia visiva rispondono solo all'occhio che è rimasto aperto in quei due mesi e mezzo, nonostante successivamente l'occhio sia stato riaperto. Se chiudiamo l'occhio di un gatto da 12 a 38 mesi, subito dopo si vede che tutti i neuroni sono simili a quelli di un gatto normale, rispondendo a entrambi gli occhi: questo avviene perchè la deprivazione è avvenuta al di là del periodo critico. Quando non ci sono stimoli da un occhio le afferenze che porterebbero gli stimoli da quell'occhio nel periodo critico si atrofizzano; invece le afferenze che portano informazioni dall'occhio aperto si espandono. Alla nascita le sinapsi sono infatti presenti ma influenzabili dall'esperienza. Nella scimmia e nell'uomo avviene alla stessa cosa: alla nascita abbiamo una serie di afferenze talamiche mescolate su tutti i neuroni corticali. Con l'esperienza, che alla nascita facciamo, in quanto si iniziano ad avere stimoli visivi, queste afferenze si dispongono in modo da dividersi e iniziare a creare le colonne di dominanza oculare. Se non c'è esperienza da un occhio i neuroni del talamo non attivati dagli stimoli visivi che arrivano dalla retina si atrofizzano. Abbiamo due neuroni A e B che portano le informazioni da un occhio all'altro, che fanno contatto sinaptico con la corteccia visiva, che risponde. Nel caso di deprivazione monoculare, mentre un neurone ha scarica con alta frequenza, il neurone B non ha quasi attività. Quindi il neurone A riesce a consolidare le sue connessioni, mentre il neurone B atrofizza il suo neurone perdendo i suoi contatti sinaptici. Questo è il principio Hebb. La sinapsi hebbiana è una sinapsi che modifica la sua funzionalità in base all'attività (se un neuroni A attiva ripetutamente il neurone C, la connessione tra A e C si rafforza). C'è quindi una competizione tra neuroni. Quando abbiamo un occhio aperto, ma non allineato con l'altro (strabismo), se non corretto durante l'infanzia, c'è visione binoculare ridotta e il sistema visivo tende a sopprimere le informazioni da occhio strabico (come se afferenze talamiche dall'occhio allineato fossero avvantaggiate), quindi si avrà acuità visiva ridotto da quell'occhio (ambliopia). In un gatto viene indotto strabismo: l'occhio strabico è attivo, riceve i segnali, ma ha attività minore. È comune avere strabismo da bambini, ma è necessario e importante correggerlo. Si è capito che nel caso di strabismo il problema è nell'attività elettrico facendo esperimenti con animali come i ratti. Si sono andati a stimolare i due occhi in maniera diversa durante il periodo critico. È stato iniettato negli occhi una sostanza che spegne l'attività elettrica, in modo da stimolare, artificialmente, i nervi ottici. Dando stimoli sincroni nei due nervi ottici nella corteccia visiva si formano le colonne di dominanza oculare con i neuroni che rispondono nella maggior parte dei casi a entrambi gli occhi. Se gli stimoli vengono dati in maniera asincrona, si ottengono, nella corteccia visiva adulta, neuroni che rispondono soltanto a un occhio o soltanto all'altro, con assenza di neuroni che rispondono a entrambi. Per sviluppare la visione monoculare dunque sono necessari stimoli coincidenti. Nel caso dello strabismo infatti gli stimoli non sono sincroni. C'è dunque una competizione che viene vinta dai neuroni che hanno attività sincrona e coordinata, con conseguente rafforzamento delle sinapsi. Vincono certe sinapsi e non altre e si mantengono perchè l'attività elettrica sincrona fa sì che i neuroni riescano a catturare le neurotrofine, che permettono loro di sopravvivere (come abbiamo detto nella lezione precedente) ed espandere le loro connessioni. Le neurotrofine sono prodotte dai neuroni bersaglio, che la rilasciano in quantità limitata. Le neurotrofine sono captate dall'assone più attivo o con scarica coincidente con quella del neurone post-sinaptico. Ad un animale da esperimento monoculato speriamentalmente a cui si applicano da adulti delle neurotrofine, le connessioni rimangono anche nell'occhio deprivato. Anche le afferenze non attive riescono a captare le neurotrofine e quindi si formano le colonne di dominanza oculare anche se l'occhio è deprivato, come se l'ngf (neurotrofina) fosse una luce chimica. Questi esperimenti sono stati fatti dal gruppi di Maffei nell'università di Pisa.

15 Alla nascita abbiamo un periodo critico per la formazione e la stabilizzazione delle connessioni. Il periodo di plasticità è fortemente influenzato dall'esperienza. Col passare del tempo si arriva al sistema adulto, in cui l'esperienza ha un ruolo minore nella plasticità. Ci sono dei fattori molecolari e cellulari che chiudono i periodi critici. Diminuisce l'esperessione e la quantità di alcune proteine, presenti nel periodo post-natale, che influiscono nella plasticità: tra queste proteine c'è la cossiddetta GAP43 (proteina legata alla crescita assonale). Intervengono fattori come l'aumento del GABA, importante per iniziare e chiudere il periodo critico. Altri fattori coinvolti sono l'esperessioen di serotonina, che diminuisce nella sua quantità nell'età ed è essenziale per l'età. Un altro fenomeno per cui il periodo critico si va a chiudere è quello per cui le connessioni vanno a innervare domini privati. All'inizio esse competono, poi vincono su un territorio e non su un altro, separandosi. Infine c'è un aumento, con l'età, di molecole che inibiscono la plasticità, nel senso di rimodellamenti sinaptici. Tra questi fattori ci sono le molecole della mielina e le reti perineuronali. La plasticità nell'adulto è meno elevata e il recupero funzionale è minore. I fattori che regolano la plasticità sono presenti sulla mielina o nella matrice extracellulare. C'è un equilibrio tra fattori che promuovono e fattori che inibiscono la plasticità. Nell'adulto l'equilibrio cambia: fattori ambientali o scatenati dalla lesione portano a una diminuzione dei fattori inibitori. Parliamo di plasticità strutturale, capacità di cambiamenti nella struttura dei neuroni, cioè formazione di nuove connessioni assonali e sinaptiche, cambiamenti nella struttura dei dendriti. Tutto ciò è molto evidente dopo una lesione: se c'è una denervazione parziale che interrompe alcuni assoni che dai motoneuroni del midollo spinale vanno a contattare i muscoli, a valle del taglio la fibra degenera è disconnessa dal corpo cellulare. Col tempo possono crescere di nuovi pezzi di collaterale, di assone dalla fibra rimasta intatta. Oppure a livello delle terminazioni assonali potrebbe esserci una crescita della parte terminale dell'assone. Questa crescita di collaterali assonali si definisce sprouting e può essere o terminale o collaterale. Si ha dunque formazione di nuove sinapsi e il muscolo si può ricontrarre. Questo permette la modificazione delle mappe sensoriali (quelle rappresentazioni della periferia sensoriale che può essere la cute, il campo visivo o la corteccia uditiva). Queste mappe possono cambiare: gli esperimenti che hanno portato a capire che è presente plasticità nell'adulto sono stati fatti sulle scimmie con esperimenti di iperstimolazione o rimozione delle dita. Nel primo caso i neuroni rispondono maggiormente per il dito più stimolato, mentre se c'è amputazione di un dito i neuroni che rispondevano a quel dito non rispondono più oppure rispondono a stimoli presentati sulle dita vicine. La rappresentazione delle dita vicine dunque si espande. Quando c'è un danno a una parte della retina, parte della corteccia visiva che riceveva gli stimoli non risponde più appena c'è la lesione. Un altro motivo può essere determinato dal fatto che ci sono vie nervose che provengono da vie vicine. Quando c'è deprivazione degli stimoli le vie silenti che portano le informazioni dalle zone vicine si attivano. Una ipotesi è il fatto che ci siano vie preesistenti che fanno sì che il processo di innervazione avviene senza sprouting. La plasticità nell'adulto è stata vista anche grazie al fenomeno dell'arto fantasma: il soggetto, nonostante gli sia stato imputato l'arto, ha la sensazione dell'arto. Il motivo è un rimodellamento della mappa corticale. I neuroni che prima rispondevano a mano e braccio, quando vengono attivati, continuano a dare al paziente la sensazione della mano. Stimolando parti del viso queste stimolazioni producevano sensazioni sul pollice, sull'indice o sul palmo della mano in base alla zona del viso stimolata. Normalmente abbiamo una rappresentazione della faccia e vicino della mano e del braccio. Nel caso di un paziente amputato alla mano sinistra, i neuroni della parte deputata alle sensazioni della faccia risponde. Ramachandran ha studiato il fenomeno, soprattutto nel romanzo "La donna che morì dal ridere". In seguito a deafferentazione dunque vi è un notevole rimaneggiamento delle connessioni corticali. Tuttavia, la rappresentazione mentale delle diverse parti del corpo non si modifica sempre alla stesso modo. Allora la rappresentazione è innata o no? Esiste una mappa già presente prima della nascita, quindi non sono solo gli stimoli a formarci una mappa. Si è visto andando a studiare le sensazioni fantasma di persone nate senza arti. I dati hanno dimostrato che le parti del corpo che non si sono mai sviluppate possono essere rappresentate nelle aree corticali sensoriali e motorie. Un altro tipo di plasticità rilevata nell'uomo è detta cross-modale: è un'espansione da un tipo di corteccia a un'altra che risponde a stimoli diversi. Questo avviene quando c'è la perdita di un tipo di sensazione, come quella visiva. L'area che risponderebbe a stimoli visivi è attiva quando al soggetto viene chiesto di memorizzare e formulare parole o quando al soggetto è chiesto di leggere la scrittura braille e quindi quando compie tasks visivi. Si è visto che il segnale è tanto più forte quante più parole riesce a ricordare. I soggetti ciechi dunque riescono a ricordare più parole rispetto ai gruppi di controllo. In un soggetto normale la corteccia visiva riceve stimoli dalle retina e le aree multimodali rimangono sottosoglia. Quando invece, come nel caso dei soggetti cieci, mancano le informazioni visive alla corteccia visiva, le aree multimodali attivano molto di più la corteccia visiva, rafforzandosi.

16 La plasticità è presente anche quando c'è un tipo di lesione nel SNC. Come aumentare la plasticità nel SNC? È importante che i neuroni siano in un ambiente permissivo: il cervello adulto non è molto permissivo. I meccanismi alla base della plasticità del SNC adulto sono: aumento di espressione di proteine associate alla crescita assonale; diminuzione dell'attività GABAergica (corteccia); diminuzione di fattori che inibiscono la crescita (es. reti perineuronali); aumento di neurotrofine.

17 25. Apprendimento e memoria L'apprendimento è la capacità di acquisire informazioni, sia dall'ambiente esterno che interno. La memoria è la capacità di trattenere le informazioni per breve o lungo periodo. Le memorie possono essere classificate in MLT e MBT. Nei processi di apprendimento e memoria identifichiamo quattro differenti fasi: acquisizione, consolidamento, deposito e richiamo. Nel consolidamento le informazioni incamerate vengono trasformate in qualcosa che duri nel tempo e nei ricordi. A questa fase segue quella di deposito ed una quarta ed eventuale fase consiste nel richiamo del ricordo. Le evidenze sperimentali che ci confermano di un processo di consolidamento sono diverse: quando una persona va incontro a un incidente, innanzitutto, non ci ricordiamo ciò che è successo immediatamente prima. Altre evidenze più certe sono state accumulate negli anni '60/'70. In quegli anni si usava molto l'elettroshock per la cura alla depressione, ma ha degli effetti collaterali gravi, tra cui il fatto di danneggiare i ricordi. In seguito a trattamento, i pazienti non ricordavano più cos'era successo nelle settimane precedenti: i ricordi non erano stati consolidati. Vengono suddivisi due tipi di consolidamento: a breve termine, che serve per riarrangiare le sinapsi (in quanto è necessario modificare la struttura delle sinapsi; andando a bloccare questo processo, i ricordi vengono persi). Questo si può vedere bloccando la sintesi di proteine. Questo processo a breve termine dura poche ore o pochi giorni. Esiste un consolidamento a lungo termine che dura diverse settimane o addirittura diversi mesi. Ci sono, nel nostro cervello, ricordi che possono essere ancora suscettibili a interventi esterni, tant'è che nei pazienti soggetti a elettroshock questi ricordi venivano selettivamente persi. I ricordi che invece sono già stati consolidati da tempo non vengono modificati. Il processo di consolidamento serve anche per trasferire le tracce mnemoniche formate in certe strutture ad altre sedi definitive. A supporto di questa ipotesi di trasferimento c'è un lavoro in cui si vede che effettuando risonanza magnetica mentre il soggetto fa un determinato compito si attiva l'ippocampo. Facendo tornare lo stesso soggetto e facendogli svolgere lo stesso compito, si attiva un'altra area. Questo ci dice che quando formiamo certi ricordi si attivano certe strutture, mentre quando queste devono essere consolidate, se ne attivano altre. Le memorie possono essere classificate in tanti modi. Un primo tipo di classificazione è in base alla loro durata (MBT e MLT). Un'altra classificazione è tra memorie dichiarative e memorie procedurali. Per memorie dichiarative si intende ciò che può essere ricordato e dichiarato coscientemente: c'è dunque partecipazione cosciente. Questo tipo di memorie riguarderanno fatti e eventi della vita e tali ricordi saranno formati in maniera molto rapida. Un'altra caratteristica è che molte di queste rappresentazioni vengono anche altrettanto rapidamente perse. L'identificazione delle strutture cerebrali che consentono la formazione e il deposito delle memorie dichiarative è avvenuta grazie a Penfield: stimolando le tempie, alcuni dei soggetti immediatamente avevano dei ricordi coscienti. Penfield non approfondì queste osservazioni e la maggior parte degli studi sulle memorie dichiarative sono stati portati avanti da Milner. H. M., il paziente più studiato da Penfield, a causa di epilessia, fu asportato l'ippocampo bilateralmente in quanto centro epilettico. Da quel momento il paziente non ebbe attacchi epilettici; la maggior parte delle funzioni cognitive rimane inalterata, come il Q.I. Milner studiò questo paziente e si rese conto che molti tipi di rappresentazioni mnemoniche: H. M. era in grado di imparare a disegnare al contrario, quindi le funzioni di apprendimento e memoria rimasero inalterate. Tuttavia H. M. non fu in grado, da allora, di formare ricordi dichiarativi a lungo termine di fatti ed eventi. Non tutte le memorie di tipo dichiarativo però non erano perse: non erano persi, per esempio, i ricordi d'infanzia. Questo ci fa capire che l'ippocampo è una struttura cruciale per la formazione di nuovi ricordi di natura dichiarativa. In H. M. i ricordi non venivano consolidati. I ricordi già consolidati prima dell'asportazione chirurgica dell'ippocampo vennero mantenuti. Da questi studi è nato il concetto di memoria dichiarativa e memoria procedurale. Tutto ciò che venne conservato in H. M. è la memoria procedurale. Oltre alla memoria dichiarativa, nel paziente era danneggiata la memoria spaziale, di cui l'ippocampo è sede. Questo lo sappiamo grazie agli studi di laboratorio, lesionando l'ippocampo nei topi. Il topo è bravo a imparare la strada del Murris Water Maze (piscina d'acqua dove il topo gira), imparando a usare le informazioni dell'ambiente circostante per raggiungere la piattaforma. Lesionando l'ippocampo, il topo continuerà per tutti i giorni a girare a questo, non riuscendo a formare una rappresentazione spaziale dell'ambiente che lo circonda. L'ippocampo quindi è una struttura cruciale per formare memorie di natura dichiarativa e spaziale. Vediamo come funziona l'ippocampo: esso si trova nei lobi temporali, a livello delle tempie. Qui abbiamo la corteccia temporale all'esterno (neocorteccia), dopodichè nelle profondità dei lobi temporali abbiamo due strutture importanti: ippocampo e amigdala. L'amigdala svolge un ruolo cruciale nella memoria emotiva. Di fianco all'amigdala si trova l'ippocampo, struttura molto antica (archicorteccia), quindi è formata da tre strati. L'ippocampo deve il suo nome al fatto che ricorda un cavalluccio marino. Nell'ippocampo si identificano due strutture principali: giro dentato (DG) e il corno di Ammone (CA). Quest'ultimo viene suddiviso in tre

18 diverse zone: CA1, CA2 e CA3. Nell'ippocampo, come in tutte le altre corteccie, abbiamo interneuroni e cellule piramidali. L'ippocampo serve per formare nuove memorie dichiarative e nuove memorie spaziali. L'ipotesi più accreditata su quale possa essere il ruolo dell'ippocampo nei ruoli di apprendimento e memoria vede l'ippocampo come struttura fondamentale per identificare le relazione che regolano gli oggetti (memoria spaziale) e gli eventi (memoria dichiarativa). Parliamo di ipotesi relazione: l'ippocampo serve per formare queste memorie perchè sarebbe in grado di idenficare i nessi logici o le relazioni tra oggetti ed eventi. Quali sono i meccanismi cellulari dell'ippocampo quando viene a formarsi un determinato ricordo? Per capire cosa succede negli anni '70 certi studiosi hanno preso delle fettine di ippocampo e hanno cercato di mimare ciò che succede normalmente quando si va incontro a formazione di ricordi. Sono stati stimolati i neuroni ippocampali. Sono andati a vedere cosa succedeva nei neuroni ippocamparli dopo questo tipo di stimolazione. È stata registrata l'attività dei neuroni prima della stimolazione, durante una prima stimolazione e successivamente durante una stimolazione simultanea di più neuroni. Giorni dopo aver fatto questo trattamento, sono andati a stimolare il neuroni con un solo impulso: si vede che questo neurone presenta un potenziamento della propria risposta sinaptica. La prima caratteristica di questo potenziamento è che dura nel tempo (addirittura alcuni giorni), quindi a lungo termine. Il neurone si è modificato. La seconda caratteristica è che questo potenziamento era presente solo nelle sinapsi di quel neurone sottoposte a quel determinato trattamento: tutte le altre sinapsi non si erano modificate. Quindi era un processo altamente specifico. La terza caratteristica importante del potenzialmente a lungo termine osservata nei neuroni ippocampali è che: per potersi formare, bisognava attivare più neuroni contemporaneamente (effetto cooperativo); ciò consente di legare insieme i neuroni attivati, rispondendo sempre con questo potenziamento a lungo termine. Questo effetto cooperativo è importante perchè potrebbe rappresentare il meccanismo sinaptico dei neuroni ippocampali. L'ultima caratteristica importante è quella di essere associativa: perchè i neuroni si potenzino, è necessario che ci sia la contemporanea attività del neurone presinaptico e del neurone postsinaptico. Hebb proprose precedentemente che quando formiamo nuovi ricordi è necessario avere l'attività di due cellule contemporee, in modo che si leghino insieme. La caratteristica associativa sembra proprio la dimostrazione sperimentale del principio di Hebb. Per riassumere, le caratteristiche sono: specificità, durata nel tempo, cooperatività, associatività. Andando ancora più nel dettaglio, cosa succede nelle sinapsi per far sì che avvenga questo potenziamento? Il neurotrasmettitore è il glutammato. I recettori possono che attivano il glutammato sono diversi e possono essere divisi in: recettori di tipo AMPA e di tipo NMDA. I primi servono alla sinapsi per funzionare sempre: liberando glutammato, si attivano i recettori AMPA. I recettori NMDA, quando arrivata il glutammato, si attiverebbero. Tuttavia il canale è bloccato perchè c'è una molecola di magnesio, per cui non basta il rilascio di glutammato, ma è necessario che il glutammato sia rilasciato in grandi quantità e che si leghi anche agli AMPA. L'NMDA non fa ancora passare nulla a causa del magnesio. Gli AMPA determinano la depolarizzazione, che raggiunge l'nmda e allontana il magnesio. Il magnesio viene respinto a causa della sua carica e il canale può finalmente funzionare. Quindi l'nmda ha bisogno del glutammato e degli AMPA contemporaneamente per funzionare. Questi due eventi succedono soltanto quando andiamo a stimolare più fibre e quando il neurone pre e postsinaptico sono attivi (effetto cooperativo). Quando il recettore finalmente si attiva entra tanto calcio nel neurone, cruciale per tutti i processi di plasticità sinaptica. Entrando calcio, si attivano degli enzimi che vanno ad attivare la sintesi di nuove proteine. Ecco il consolidamento a breve termine, modificazione strutturale della sinapsi, che può rispondere in modo più efficace grazie al potenziamento. Il calcio determina anche l'attivazione dell'espressione genica. Il recettore NMDA è fondamentale quindi per innescare i processi di plasticità sinaptica. Oggigiorno sono stati identificati tanti tipi di LTP, non più un fenomeno ippocampale, ma presente in varie aree del cervello. Dove vengono conservati i ricordi dichiarativi e in quali strutture vengono conservati? A questo quesito risponde H. M., che conservò, dopo l'operazione, i ricordi intatti dell'infanzia. Questo ci fa capire che l'ippocampo (in quanto nel paziente è stato completamente asportato) non è il sito di deposito delle memorie dichiarative. L'idea principale oggigiorno è che questo tipo di rappresentazioni mnemoniche siano distribuite in varie parti del cervello contemporaneamente: inizialmente, quando andiamo incontro a un determinato evento, l'ippocampo si attiva subito per legare insieme le informazioni, elaborate però da altre strutture

19 corticali. Col passare del tempo queste informazioni vengono depositate al di fuori, in particolare a livello delle neocortecce. Avremo dunque una frammentazione dei ricordi: essi non sono unitari e depositati in un'unica struttura, ma sono frammentati in varie cortecce. Questo è molto evidente nei soggetti con agnosie. Ci sono diversi tipi di agnosie, tra cui quella visiva associativa. In questa il paziente non è in grado di dire come si chiama l'oggetto, ma è in grado di riconoscerlo e di sapere com'è fatto. In questi soggetti è stato perso un tassello, cioè il nome della rosa, ma le informazioni su come è fatto o che profumo ha vengono mantenute. Questo meccanismo di funzionamento spiega le agnosie: perdendo una parte di corteccia, perdiamo una parte dei ricordi su di esso e ne vengono mantenuti altri su uno stesso oggetto. Questa ipotesi spiega bene ciò che succede nel morbo di Alzheimer. Nelle fasi iniziali viene colpito l'ippocampo e successivamente la neocorteccia. Inizialmente il soggetto ha un disorientamento spaziale e non rieusce a formare nuovi ricordi di natura dichiarativa, ma le memorie precedenti sono conservate. Man mano che la malattia raggiunge le aree corticali vengono persi anche i ricordi lontani. Quando andiamo incontro alla formazione di una memoria dichiarativa durante la fase di acquisizione arrivano tutte le informazioni sensoriali, visive e uditive; l'ippocampo lega insieme queste informazioni. Col passare del tempo le diverse informazioni sarebbero depositate in diverse aree corticali. Tutto ciò che non richiede la partecipazione cosciente rientra nella memoria procedurale. La memoria procedurale non si forma velocemente, ma ha bisogno di ripetizione. Una volta formata però rimane per tutta la vita. La memoria dichiarativa invece tende a perdersi rapidamente. Oggi parleremo di circuiti cerebrali alla base della memoria emotiva: essa si differenzia dalla memoria motoria in quanto non ha bisogno di ripetizioni per essere appresa. Come esempio di memoria emotiva parliamo della memoria legata alla paura. La paura, per definizione, è una normale risposta fisiologica del nostro corpo alla presenza di un pericolo. Noi siamo fatti per provare paura. La paura innesca delle risposte nel nostro corpo per affrontare nel miglior modo possibile il pericolo. La paura ci prepara per rispondere. Quando la paura diventa patologica in due casi: o quando non c'è nessun pericolo (stati ansiosi) oppure quando, dopo essere andati incontro a un pericolo, lo stato di paura persiste in maniera continuativa (disturbi post-traumatici da stress). La paura si manifesta con delle modificazioni degli organi interni regolati dal SNA, in particolare dall'ortosimpatico. Quando ci troviamo in una situazione di pericolo avviene la reazione da stress. La paura è una delle modificazioni corporee più antiche evolutivamente, che ritroviamo in tutti i vertebrati. Abbiamo delle modificazioni degli organi interni conservate in tutti i vertebrati. Quando ci troviamo alla presenza di un pericolo i comportamenti che mettiamo in atto sono tre: fuga, aggressione e immobilità. Questi tre comportamenti sono i più efficaci per rispondere al pericolo. Anche l'immobilità è un comportamento vantaggioso in quanto il movimento eccita i coni e i bastoncelli della retina. Sono anche evolutivamente conservati i circuiti cerebrali alla base della paura. In tutti i mammiferi i circuiti cerebrali sono simili. Una struttura cruciale per tutto ciò che ha a che fare con la paura e l'ansia è l'amigdala. Deve al suo nome al fatto che ha come forme quella di una mandorla (dal greco). È una struttura evolutivamene molto antica. In tutti gli esseri viventi l'amigdala svolge le stesse funzioni. Si trova nelle profondità del lobo temporale ed è vicina all'ippocampo. L'amigdala non è importante per la formazione delle memorie dichiarative. Essa è fondamentale invece per tutto ciò che ha a che fare con gli stati di paura e ansia. Si trova nel lobo temporale ed è un insieme di nuclei (nell'uomo sono circa 22). Registrando l'attività dell'amigdala su un topolino, mentre esso cammina su un ripiano, non si attiva. Se compare un pericolo (per esempio la presenza di un predatore). I neuroni che formano l'amigdala aumentano enormemente la propria attività. Se andiamo a distruggere l'amigdala in un topolino da laboratorio, il topolino, anche in presenza di un gatto, continuerà a camminare, andando vicino al predatore. Ecco l'importanza della paura. Perdendo l'attività dell'amigdala si perde la capacità di rispondere al pericolo. Se andiamo a stimolare artificialmente l'attività dell'amigdala il topolino si immobilizza dalla paura, in assenza di pericolo. Questo succede nei soggetti sperimentali, ma qualcosa di molto simile avviene negli esseri umani. Se il chirurgo va a stimolare l'amigdala, il soggetto aumenta il respiro e il battito cardiaco e si spaventa, pur senza sapere il motivo. L'altro aspetto è che se siamo in presenza di un pericolo aumenta l'attività dell'amigdala. Se facciamo vedere delle espressioni facciali, con quelle neutre o serene l'amigdala non si attiva, ma se le espressioni sono di paura l'amigdala aumenta enormemente la propria attività. L'aumento di amigdala si ha in soggetti con disturbi post-traumatici da stress, con depressione e affetti da attacchi di panico. Venne chiesto a un soggetto senza amigdala quali sono le espressioni facciali che mettiamo in atto quando siamo tristi, sorpresi o spaventati. Essi non hanno la più pallida idea se gli viene chiesto come si è quando si è spaventati. La mancanza dell'amigdala determina la mancanza di riconoscere tutto ciò che è legato alla paura. I ricercatori hanno mostrato un serprente velenoso al paziente; quello che fece inizialmente fu di prendere in mano il paziente. La stessa cosa avvenne con la presentazione di una

20 tarantola. A questa paziente quindi mancano tutte le risposte del corpo che consentono di affrontare ed evitare i pericoli. L'amigdala riceve informazioni da tutte le cortecce sensoriali (visive, uditive, olfattive...). L'amigdala inoltre è in comunicazione con la maggior parte delle strutture cerebrali, ad esempio con tutte le strutture motorie. Da una parte, quindi, riceve le informazioni sensoriali, dall'altra invia informazioni alle aree motorie, al cervelletto, all'ipotalamo. L'amigdala, quando si attiva, immediatamente va ad attivare contemporaneamente più strutture in modo da innescare le risposte corporee. L'amigdala attiva anche le aree motorie per mettere in atto i comportamenti di risposta. L'amigdala è in comunicazione diretta anche con diversi nuclei del tronco encefalico, modificando le espressioni facciali. Il circuito alla base è un'interfaccia sensoriale che, oltre ad andare alle aree sensoriali, verrebbero inviati all'amigdala, che si attiverebbe enormemente andando a sua volte ad attivare altre strutture. La vista di un eventuale pericolo raggiunge le cortecce visive. L'informazione viene inviata anche all'amigdala stessa: appena la riceve, si attiva e immediatamente attiva i nuclei ipotalamici e il sistema motorio per mettere in atto la risposta. L'amigdala riceve le informazioni sensoriali contemporaneamente sia dai nuclei del talamo che dalle cortecce sensoriali. Oltre a questo, sempre le medesime informazioni sensoriali, arrivano all'amigdala anche dalla corteccia. Perchè è utile un circuito fatto in questo modo? L'informazione sensoriale arriva al talamo e da qui attiva all'amigdala. L'amigdala mette in atto le risposte. Più lentamente arrivano le informazioni dalla corteccia, che sono più precise e raffinate. Così facendo l'amigdala si è già attivata (a partire dalle informazioni ricevute dal talamo) per rispondere adeguatamente. Nella formazione dei ricordi legata al pericolo stesso, quali sono i circuiti cerebrali e quale ruolo ha l'amigdala? Come si studia comunemente in laboratoria, si associa uno stimolo sensoriale a una stimolazione dolorosa. In questo caso di condizionamento uno stimolo sensoriale, privo di qualsiasi connotazione emotiva, viene associato a uno stimolo doloroso. In conseguenza a questa associazione lo stimolo sensoriale acquisisce una componente emotiva. Quando andiamo incontro a un'esperienza traumatica, succede la stessa cosa. L'esperienza traumatica è fissata nel cervello. Quando il soggetto va incontro alla formazione di memorie emotive legate alla paura si attiva enormemente di nuovo l'amigdala. I neuroni dell'amigdala, quando andiamo incontro alla formazione di questi ricordi, in conseguenza dell'associazione tra stimoli sensoriali e stimoli dolorosi, presentano un potenziamento a lungo termine nella trasmissione sinaptica dentro l'amigdala. Ancora oggi non sappiamo esattamente quale sia il ruolo dell'amigdala nella formazione delle memorie legate alla paura e in particolare dove si formano e vengono conservati questi ricordi. Ci sono due idee contrapposte tra i ricercatori del campo, due modelli su quali potrebbero essere le strutture che consentono formazione e deposito: il primo modello più accreditato propone che l'amigdala sia fondamentale per formare questo tipo di ricordi. Gli stimoli sensoriali arrivano all'amigdala dal talamo e dalla corteccia, così come quelli legati al dolore. L'amigala sarebbe dunque la sede in cui stimoli sensoriali e stimoli dolorosi sono associati. Sarebbe dunque il sito di formazione dei ricordi emotivi: qui si formerebbero e qui rimarrebbero per tutta la vita. Un modello alternativo afferma che sicuramente l'amigdala è fondamentale, ma non è il sito nel quale si formano questi ricordi. L'amigdala andrebbe a regolare la formazione di questi ricordi in altre strutture, che potrebbero essere l'ippocampo o la neocorteccia. Oggigiorno non sappiamo dove si formano e vengono conservate le memorie legate alla paura. Ci sono questi due modelli alternativi, nessuno dei quali però viene accettato. Cosa succede quando andiamo incontro a un'esperienza traumatica? Stiamo camminando e vieniamo aggrediti da una persona. Si forma un ricordo estremamente traumatico che tende a rimanere anche per tutta la vita. Nel cervello, quando andiamo incontro a questo tipo di esperienza, si forma l'amigdala per formare questo ricordo. Contemporeaneamente, oltre all'amigdala, si attiva l'ippocampo per formare la memoria dichiarativa. Quando andiamo incontro a un'esperienza traumatica quindi si attivano più strutture che formano più ricordi: da una parte l'amigdala forma un ricordo emotivo e implicito, dall'altra l'ippocampo forma un ricordo dichiarativo ed esplicito. Questi ricordi sono separati nel nostro cervello, non c'è un unico ricordo dell'esperienza. Possiamo dire che esistono queste due rappresentazioni mnemoniche e che sono separate grazie a degli studi effettuati da Claparede, che studiava soprattutto pazienti con danni all'ippocampo. Egli si fece l'idea che in questi soggetti non tutte le memorie venissero perse. Questi pazienti, che presentavano gravi amnesie, non erano totalmente amnesici.: alcune memorie venivano conservate. Per dimostrare questa sua intuizione fece un esperimento abbastanza semplice: egli si mise, ogni volta che si presentava ai soggetti, una puntina tra le dita, cosicchè provassero dolore ogni volta che egli dava la mano. I soggetti continuavano a non riconoscere il ricercatore, ma non volevano più stringergli la mano. L'intuizione di Caparede fu pienamente confermata da vari studi: nei soggetti con danno all'ippocampo, sottoposti a condizionamento alla paura, essi non ricordano nulla, ma si sentono spaventati. In questi soggetti manca la

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