Eliseo Non mi avete convinto Ho pensato che il modo migliore di sfruttare il privilegio di essere qui oggi per parlare di questo straordinario anziano signore, fosse proseguire quel dialogo a distanza che tiene con lo studente, e che abbiamo visto così ben raccontato nel film di Vendemmiati. Attraverso quel dialogo il regista svolge una storia che, per dirla con le sue stesse parole, non vuole avere il senso di una biografia, ma è un modo per percorrere un secolo di storia italiana con accenti di grande forza emotiva, poetici e a tratti, spesso commoventi. Per me, studentessa degli anni 80 quale sono che quella storia ha studiato sui libri è un documento direi eccezionale. Allora mi piacerebbe questo dialogo ideale continuarlo ora, magari tentando senza averne la presunzione di dare risposte ad alcune delle domande che Pietro Ingrao pone alla fine del film. Alla sua: Ti piacciono i libri che leggi? risponderei per esempio che i libri che scelgo di leggere sono curiosamente gli stessi di cui racconta nel suo libro di qualche anno fa volevo la luna, Joice, Melville, Conrad, Kafka: letture, per dirla con le sue parole, che non fossero troppo secche e univoche del soggetto umano ma che lo aiutassero a scoprire una nuova idea di mondo. Gli racconterei di come sia stato l ispiratore della mia tesi di Laurea sostenuta qualche anno fa all Università di Roma Tre, facoltà di lettere. L argomento verteva sulla storica espulsione del gruppo del Manifesto dal partito comunista italiano avvenuta nel 1969. La intitolai Il dubbio permanente, frase estrapolata da un intervista da lui rilasciata qualche tempo prima, che mi aveva particolarmente colpita: mi stupì assai che un uomo politico che nei libri che studiavo veniva considerato una sorta di monumento della sinistra italiana del 900, si lasciasse andare ad autocritiche, esprimesse dubbi incertezze in modo semplice diretto, e autentico. Sembrò a me poco più che ventenne, di avere sfiorato qualcosa di prezioso e speciale:
possibile che ci fosse stato nella vita di questo paese un modo di vivere la politica del tutto diverso da quello che avevo conosciuto, in cui si intrecciavano parole come passione, partecipazione, impegno e i cui volti non fossero solo maschere di plastica ma capaci di esprimere emozioni e passioni? Da qui scaturì la necessità di saperne di più e meglio. Cominciai la ricerca partendo da quell undicesimo congresso del PCI che si aprì a Roma al palazzo dell Eur il 25 gennaio 1966. Lo presiedeva Alessandro Natta ed era il primo del partito senza Palmiro Togliatti. Con la sua morte tutti i nodi del confronto avviato nei primi anni 60 emersero in forma esplicita fino a diventare riconoscibile competizione tra due linee. Togliatti aveva lasciato un partito nel quale rimaneva il centralismo democratico, ma cominciavano ad emergere sensibilità diverse, diverse scelte politiche. Si delineò così una destra amendoliana che proponeva il Partito Unico di comunisti e socialisti, contapposta a una sinistra unita intorno alla figura di Pietro Ingrao. Con lui, Pintor, Garavini, Rossanda, Reichlin, e Magri, giudicarono incompatibile l arretratezza storica del partito con la modernizzazione che stava avvenendo nel paese. Tentarono una diversa analisi di fase: sostenevano l esigenza di un mutamento radicale del partito stesso, di una nuova via che tenesse conto delle richieste di una società in pieno fermento. Rivendicavano la necessità di un dibattito pubblico, aperto e trasparente. L Ingraismo, che già si era costituito come posizione alternativa e contrastante durante il X congresso, divenne manifesto di un dissenso che andava rivendicato; non si definì mai in una determinata corrente interna al partito poichè estemporanei ne furono gli aderenti e incerti i confini. Seppure l Ingraismo fu, come scrisse Magri nel Sarto di Ulm, un invenzione postuma e il frutto di una stampa che aveva bisogno di semplificazioni, costituì comunque un fatto politico rilevante perché per la prima volta si manifestava in un partito comunista la presenza di una sinistra non dogmatica e non stalinista.
Con queste premesse: la morte di Togliatti, l emergere di esigenze differenti, la presenza di una sinistra e di una destra all interno dello stesso partito, la discussione si prospettava decisamente tesa. Sempre Lucio Magri ci restituisce sapientemente l atmosfera della sala quel giorno e lo stesso Pietro Ingrao così la ricorda nel suo Volevo la Luna : Intervenni verso la fine della mattinata, c era un silenzio assoluto nella sala. Mentre parlavo avvertivo quasi materialmente il filo della comunicazione. Alla fine del mio discorso direi che tutta quella massa di compagni scattò in piedi nell applauso e furono per me minuti indimenticabili. Nella tribuna della presidenza invece tutti i presenti rimasero assolutamente immoti sulla loro sedia molti con le mani ostentatamente ferme sulle ginocchia. Se il suo intervento appassionato infatti, suscitò applausi insistiti e pugni alzati, il tavolo della direzione rimase rigido e impassibile: braccia conserte e sguardo basso. Li abbiamo appena visti nel film di Vendemmiati: Longo, Pajetta, Amendola (quell Amendola che oggi Ingrao ci racconta averlo minacciato anche fisicamente). Ma cosa aveva detto di tanto grave? Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso.. Abbiamo bisogno di un organizzazione della vita interna del nostro partito che chiami ognuno di noi a partecipare sempre di più all elaborazione della linea giusta e alla lotta per attuarla; e proprio in nome di questa necessità siamo contro le correnti, contro le fazioni che cristallizzano le posizioni, rompono il partito e in questo modo bloccano lo sviluppo di una reale democrazia.. Abbiamo bisogno di democrazia per essere più uniti. Abbiamo bisogno di unità per realizzare una democrazia che non sia di parole ma divenga azione. Gli attacchi aspri e violenti cominciarono nella commissione che concluse il congresso: anche Berlinguer, ricorda sempre Ingrao, seppure con misura, partecipò a quel rito di condanna. In quella mia rivendicazione della liberta del dissenso scrisse - c era non solo il drammatico stimolo che era venuto dalle rivelazioni sui delitti di Stalin ma una convinzione più profonda che aveva a che fare con una riflessione sull esistere. E la repressione di quel volto dell esistere mi appariva impossibile.
Cos era allora per Pietro Ingrao il volto dell esistere? La libertà del dissenso, il poter dire no, la ribellione, il dubbio permanente. L Ingraismo fu liquidato come opzione intellettualistica ed estremista che mina l unità dell organizzazione, i suoi appartenenti isolati e confinati a incarichi marginali. Ingrao stesso, se da un lato gli venne affidato l incarico per altro prestigioso di presidente del gruppo parlamentare della Camera, di fatto fu però tagliato fuori dalla direzione reale del partito. Luciana Castellina, che ho incontrato più volte nel corso della mia ricerca mi raccontò come all epoca fossero diventati difficili anche i rapporti personali e ha definito quel periodo uno dei più duri e sofferti della storia del PCI. Non ho saputo difenderli scrisse anni dopo Ingrao, confessando pubblicamente la sua incapacità di allora ad intervenire. Sbagliai gravemente nello schierarmi quando si giunse allo scontro sulla questione della radiazione del gruppo del Manifesto - disse. Votò a favore e per dirla ancora una volta con le sue parole fu davvero un azione assurda perché nulla mi costringeva a quel gesto di capitolazione e si può dire di tradimento, verso quei miei antichi compagni di lotta. L errore di quella mia decisione continua - stette non solo nella viltà in cui mi associavo alla punizione dei miei compagni, ma nell illusione che quel mio partito si potesse salvare senza fare i conti fino in fondo con gli errori del leninismo o più ancora, col suo ormai palese e doloroso tramonto. Tradimento, viltà, debolezza, parole gravi e pesanti come macigni, che l anziano signore non ha avuto però paura di scrivere. E allora riprendo il filo del nostro dialogo immaginario, e alla sua domanda: Ti piace quello che vivi? Rispondo che la scelta di studiare storia forse poco attuale e promettente oggi in materia di futuro, lavoro garantito e posto fisso, scaturisce proprio dalle curiosità suscitate da anziani signori come lui e mi piace pensare di poter contribuire con i miei studi a fare si che il tempo non ne cancelli la memoria. C è una sua frase che lo spiega più di mille parole:
Una delle cose che mi è piaciuta sempre nella vita è sedermi in un caffe e guardare il fiume di persone che scorre nella strada, chiedendomi chi sono, cercando di immaginare ciò che loro capita o che hanno in animo. E questa curiosità del vivere quella che alla fine, forse, ci rende coetanei. Mi piace concludere questo nostro dialogo, citando un aneddoto che Luciana Castellina ha scritto introducendo il nuovo libro di Lucio Magri. Ricordando la standing ovation di quell XI Congresso, confessa che a partire da quel momento, autoironicamente nel partito, si diffuse l abitudine di dire: Speriamo che non applaudano Pietro, perché sebbene sempre applauditissimo dalla base, puntualmente subiva una sconfitta. Ora, credo che oggi si possa dire senza rischio di smentite, che continuare ad applaudirlo, non solo non preluda a una sconfitta, ma è anzi il riconoscimento di una vita straordinaria pienamente riuscita. Roma teatro Eliseo 12 gennaio 2013 Francesca Fanchiotti