Conservazione ex situ ed eredità culturale PAOLO GROSSONI

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Special focus edition Bollettino Accademia Gioenia Sci. Nat. Vol. 47 N. 377 pp. 8-12 Catania 2014 ISSN 0393-7143 Conservazione ex situ ed eredità culturale PAOLO GROSSONI Università degli Studi di Firenze. Dipartimento di Biotecnologie agrarie. Piazzale delle Cascine 28. 50144 - Firenze e-mail: paolo.grossoni@unifi.it RIASSUNTO Cambiamenti climatici e cambiamenti nell uso dei suoli, inquinamento e introduzione di specie e varietà aliene sono i responsabili più importanti della sempre maggiore e veloce erosione della biodiversità in tutti i suoi livelli. La perdita di diversità biologica ha provocato anche una perdita di diversità culturale in quanto la scomparsa di determinati taxa ha causato, necessariamente, un obsolescenza delle conoscenze sui ruoli e sugli usi ad essi collegate. Sul ruolo degli orti botanici nelle azioni di conservazione della biodiversità (diretta e tramite l educazione ambientale) molto è stato detto o scritto. Questa comunicazione vuole dare risalto a una funzione, che già diversi orti e giardini botanici svolgono, finalizzata non solo alla conservazione diretta di taxa (spontanei o coltivati) ma anche dei contenuti (utilizzazioni) e degli aspetti (tradizioni) culturali. Parole chiave: Biodiversità, diversità culturale, conservazione ex situ, orti botanici SUMMARY Ex situ conservation and cultural heritage The significance of botanic gardens in the connection between biodiversity and cultural heritage conservation is discussed. Loss of plant species, due to the global and land use changes, pollution and alien species invasion, is strictly responsible of the lack of knowledge on their usages. This paper stresses as, in Italy, actions aimed to the conservation of spontaneous species and cultivated varieties and their usages could be organized by botanic gardens. Key words: Biodiversity, cultural heritage, ex situ conservation, botanic gardens Proceedings of the Meeting: La conservazione in situ ed ex situ e il count-down 2010 (Catania, 11-13 ottobre 2009).

P. GROSSONI: Conservazione ex situ ed eredità culturale SFE9 Introduzione Tema di una comunicazione tenuta durante il 102 Congresso della Società Botanica Italiana (Palermo, 26-29. 9. 2007) erano state le modalità con le quali gli orti botanici italiani, centri di studio e di applicazione per la biologia e la diversità vegetale, affrontavano le problematiche legate alla diversità vegetale anche in relazione alle diversità culturali proprie del territorio di riferimento. Intendo riprendere l esame di alcuni di questi argomenti focalizzando l attenzione sull importanza degli orti botanici nelle misure di salvaguardia delle tradizioni culturali anche ai fini della conservazione della diversità vegetale. La sempre più rapida perdita di composizione e di ricchezza in biodiversità, provocata da tanti fattori (cambiamenti nell uso dei suoli, inquinamento, cambiamenti climatici, introduzione di specie e varietà aliene, etc.) ha, fra l altro, portato anche ad una perdita di elementi di cultura in quanto la scomparsa di determinati taxa ha causato la rapida obsolescenza delle loro applicazioni. Orti e giardini botanici e la conservazione ex situ E ben noto come gli orti botanici (nella doppia accezione di orti e di giardini botanici) siano istituzioni che si prestano molto bene per la conservazione della diversità a livello di individuo e/o di specie anche perché in essi le attività di conservazione ex situ del germoplasma possono venire completate integrandole con quelle di educazione ambientale divenendo, così, strumento primario per favorire la realizzazione di iniziative di conservazione in situ. Nel riprendere la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) il "Piano d'azione per i giardini botanici nell'unione Europea" indica chiaramente l importanza degli orti botanici ai fini della conservazione ex situ: «I giardini botanici sono i principali professionisti della conservazione ex situ attraverso lo sviluppo e il mantenimento di collezioni di germoplasma, comprese le banche di semi, le banche genetiche di campo, le collezioni di tessuto in coltura, i programmi di recupero di singole specie, le banche di dati, etc.» (Cheney et al. 2001: 33) e fra gli obiettivi comportamentali evidenzia anche la necessità di «Assicurare una gestione degli orti che promuova la conservazione della biodiversità e l'uso sostenibile delle risorse vegetali» (Cheney et al. 2001: 37). Se si può estrarre un denominatore comune alle attività svolte dagli orti botanici, questo è certamente quello che partendo dalla conoscenza dell ambiente, educa nei suoi confronti e, attivando meccanismi di tutela, porta alla conservazione della diversità. Questa ricaduta a cascata determina un sistema integrato, indirizzato verso la comprensione della diversità tassonomica e/o ambientale, che comprende educazione, valorizzazione, tutela e, quindi, conservazione e nel quale gli orti botanici possono agire con azioni tese a documentare non solo l effettiva concretezza della diversità ma anche a testimoniare la quotidianità della sua espressione. Diversità culturale Diversità culturale può essere definita come la molteplicità delle forme mediante le quali si esprimono le culture dei gruppi e delle società. E in questa chiave interpretativa che vanno lette molte delle possibili attività tematizzate svolte dagli orti botanici: dalle collezioni di piante autoctone, alimentari, officinali, domesticate, tossiche, allergeniche, ornamentali, alla introduzione di taxa nuovi per le esigenze dei settori vivaistico, agrario, farmaceutico, fino allo sviluppo di erbari tematici e alla rivalutazione dei giardini storici non solo come «monumento» (ICOMOS-IFLA 1981: art. 1) ma anche come strumento di conservazione di germoplasma e

P. GROSSONI: Conservazione ex situ ed eredità culturale SFE10 così via; esse sono infatti espressioni di cultura e sottolineano un criterio essenzialmente unitario nella comprensione delle diversità culturali e biologiche. Nel 2003, nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 17.10.2003), l UNESCO aveva sancito la necessità di far vivere tutte quelle rappresentazioni, conoscenze e modi di fare che intere comunità riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale immateriale (fra cui «le cognizioni e le prassi relative alla natura») e, successivamente nel 2005, la Convenzione sulla Protezione e la Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali, [Parigi, 20.10.2005] ribadì (art. 4) che: «Per attività, beni e servizi culturali si intendono le attività, i beni e i servizi che, considerati dal punto di vista della loro qualità, utilizzazione e finalità specifica, incarnano o trasmettono espressioni culturali, indipendentemente dal loro eventuale valore commerciale.». La conservazione delle piante che sono servite all uomo, anche attraverso le espressioni della loro domesticazione, selezione e modificazione, non ha solo risvolti immediatamente pratici (conservare per avere la disponibilità di genomi resistenti, adattabili, etc.), ma costituisce la tutela di un patrimonio materiale e culturale che rappresenta una testimonianza, sia pur piccola e se vogliamo anche marginale, della storia e dell economia di un territorio. Nello stesso tempo è una prova del ruolo e delle funzioni che hanno avuto la ricerca negli stessi orti botanici: è sufficiente pensare all intensa partecipazione che essi hanno avuto nei secoli passati per l introduzione di specie di interesse economico e per la diffusione di taxa ornamentali. Orti e giardini botanici e la produzione ornamentale e agraria Una pianificazione culturale finalizzata all incremento delle potenzialità di un territorio richiede sempre più l azione partecipativa di attori appartenenti a settori disciplinari diversi ma integrati tra loro in una relazione di rete. In questa ottica, l integrazione fra istituzioni deputate a collezionare piante vive per conservare e per insegnare/educare, come gli orti botanici e gli ecomusei, e il mondo della produzione ornamentale e agraria può venire consolidata da iniziative di salvaguardia delle conoscenze sulle prassi consuetudinarie di utilizzazione delle piante prese in esame. Il riferimento è, in particolare, mirato a due obiettivi che possono venire sintetizzati tramite un flusso: il primo obiettivo è quello di una migliore salvaguardia del germoplasma e degli aspetti culturali con esso connessi (conservazione di varietà obsolete di specie domesticate conservazione delle conoscenze legate al loro impiego/utilizzazione. migliore recupero di questo germoplasma perché reso più idoneo ad essere diffuso). In questo caso gli orti botanici agirebbero soprattutto da sink per favorire la diffusione della coltivazione del taxon e quindi il suo inserimento nella filiera produttiva. Il secondo obiettivo riguarda l annullamento o, almeno, la riduzione della pressione antropica (assoluta o selettiva) sulle popolazioni selvatiche di un taxon a rischio perché soggetto, anche solo localmente, a prelievi più o meno indiscriminati ed intensi (definizione delle esigenze per la sua conservazione stimolo alla sua coltivazione ex situ). Il secondo scenario interpreta più direttamente il tema della conservazione della biodiversità; in questa ipotesi, l orto botanico potrebbe intervenire direttamente retribuendo gli agricoltori che mantengono queste riserve genetiche oppure potrebbe coinvolgerli in maniera partecipata, soprattutto se il taxon rappresenti una fonte di reddito. L iniziativa è di per sé molto semplice: viene promossa la coltivazione di specie a rischio perché massivamente raccolte per l industria farmaceutica, alimentare, etc. in modo da ridurre la pressione sulle popolazioni selvatiche. La prassi di allestire collezioni per la conservazione del germoplasma di specie domesticate è oggi talmente diffusa che, finché ci sarà interesse scientifico e culturale intorno a queste entità e continueranno ad essere erogati finanziamenti adeguati, la salvaguardia per molte varietà è garantita. La domanda che sorge spontanea è quella di chiedersi «cosa fare dei prodotti ottenuti con la coltivazione di queste varietà?». Per molte di esse si sono indubbiamente creati

P. GROSSONI: Conservazione ex situ ed eredità culturale SFE11 dei mercati specialistici e dei prodotti di nicchia, a volte estremamente validi perché il prodotto in questione presenta qualità organolettiche superiori a quelle del corrispondente prodotto commerciale, ma spesso legati ad una moda e quindi a rischio di venire facilmente abbandonati (Daugstad et al. 2006). Queste varietà non sempre vengono coltivate, raccolte ed utilizzate correttamente; in questo modo prodotti ottenuti non risultano economicamente validi e, in ogni caso, non vantaggiosi né competitivi con gli equivalenti ricavati da coltivazioni intensive. La salvaguardia di questi genomi potrebbe essere maggiormente assicurata se venissero coltivati, in maniera idonea sulla base delle esperienze pregresse e ormai divenute tradizione, da più operatori in modo da giungere, attraverso l associazionismo e la creazione di elenchi ufficiali, ad una sorta di «orto botanico diffuso delle varietà dimenticate». Istituzioni deputate alla ricerca (come gli stessi orti botanici) potrebbero approfondire le conoscenze sulle loro caratteristiche biologiche, soprattutto quelle ecofisiologiche inerenti la conservazione del germoplasma. In ogni caso, dovrebbero essere assolutamente monitorati quei parametri (purezza genetica, vitalità, resistenza) necessari per la validità dell azione di salvaguardia; nello stesso tempo, le iniziative di conservazione e di valorizzazione delle relative valenze culturali potrebbero essere portate avanti da altre istituzioni (musei, ecomusei, aree protette, etc.). I vantaggi di questa interazione non si limiterebbero ad una conservazione ex situ, diffusa, di determinati genomi né alla produzione di prodotti di nicchia ma, attraverso il rafforzamento di valori appartenenti ai patrimoni culturali delle popolazioni, potrebbero essere strumenti anche per la conservazione del paesaggio (potendo portare anche a vantaggi economici connessi, ad esempio, al turismo). A questo proposito la Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze nel 2000 e ratificata dal governo italiano nel 2006 (la cosiddetta Carta di Firenze sul Paesaggio ) ha sottolineato che il paesaggio è di per sé «quadro di vita» e la sua protezione non deve necessariamente essere limitata solamente alle cosiddette «zone di pregio». La coltivazione ex situ di specie selvatiche di interesse economico è perseguita da decenni (basti pensare alla lavanda o all iris) e non è quindi una novità. Il rischio primario in questo caso è l impiego di provenienze non locali o di varietà migliorate per cui la possibilità da parte di un istituzione scientifica rappresentativa di un territorio (e quindi ben radicata) di svolgere una funzione non di controllo e/o di veto ma di coordinamento può essere quanto mai utile per ridurre i pericoli di inquinamento genetico. Conclusioni La globalizzazione ha obbligato non solo ad una omogeneità nelle colture ma anche all impiego di specie e varietà sempre più selezionate spesso con caratteristiche e capacità del tutto nuove. Tutto ciò ha provocato perdite anche molto intense nella diversità biologica esistente e, con i taxa scomparsi si perdono anche molte delle conoscenze ad essi connesse. Ciò significa che la salvaguardia della diversità culturale ha la stessa urgenza della conservazione della diversità biologica («Come fonte di scambio, innovazione e creatività, la diversità culturale è necessaria per l umanità quanto la biodiversità per la natura.» UNESCO, Dichiarazione Universale sulla diversità culturale, Parigi, 2.11.2001) dal momento che la produzione di cultura è una specializzazione propria della specie umana che è stata, ed è tuttora, fondamentale per il successo di questa specie. A questo proposito è sufficiente pensare quanto ha significato in perdita di biodiversità l eradicazione forzata di numerose culture, spesso accompagnata dalla distruzione delle stesse popolazioni che le avevano prodotte. Questa comunicazione si è brevemente occupata di alcuni aspetti marginali della conservazione della diversità vegetale tramite tecniche ex situ. Sono però aspetti che credo necessari anche per caricare di un valore aggiunto l attività di conservazione; credo che all attuazione di queste azioni debbano essere deputati soprattutto gli orti botanici

P. GROSSONI: Conservazione ex situ ed eredità culturale SFE12 maggiormente inseriti nelle realtà locali. Il riferimento è ovviamente ai giardini alpini e agli orti connessi con aree protette. Bibliografia CHENEY J., NAVARRO J.N., JACKSON P.W. 2001 - Piano d'azione per i giardini botanici nell'unione Europea. Inform. Bot. Ital., 33 (suppl. 2): 1-66. DAUGSTAD K., RENNINGEN K., SKAR B. 2006 Agriculture as an upholder of cultural heritage? Conceptualizations and value judgements A Norwegian perspective in international context. J. Rural Studies, 22: 67-81. ICOMOS-IFLA, 1981 - Carta dei giardini storici, detta «Carta di Firenze». In ICOMOS-IFLA e Regione Toscana (a cura di) Protezione e restauro del giardino storico. Atti VI Colloquio Intern., Firenze 19-23 maggio 1981. Regione Toscana. 1987.