CONSERVATORIO di MUSICA G. VERDI - COMO



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CONSERVATORIO di MUSICA G. VERDI - COMO Corso di diploma accademico di primo livello in discipline musicali Musica elettronica e tecnologie del suono SINESTESIA ALGORITMICO-GENERATIVA Relatore: Maestro Andrea VIGANI Tesi finale di: Samuele RONCHETTI Matr. 3205 Anno accademico 2013-2014

INDICE Introduzione... 5 Capitolo primo. Il suono... 7 1.1 Il suono, generalità... 7 1.2 L'orecchio e l'apparato uditivo... 8 1.3 I parametri fondamentali del suono... 13 Capitolo secondo. Il colore... 20 2.1 Il colore, generalità... 20 2.2 L'occhio e l'apparato visivo... 23 2.3 I parametri fondamentali del colore... 26 Capitolo terzo. Il rapporto suono-colore... 31 3.1 Approcci fisico-matematici, da Newton a veronesi... 40 3.2 Approcci percettivo-sinestetici, Kandinsky... 47 3.3 Approcci multimediali, alcuni esempi da Castel ad oggi... 54 Capitolo quarto. Dal colore alla gestione del suono... 62 4.1 Verso un approccio algoritmico generativo... 62 4.2 Realizzazione del progetto nel dettaglio... 65 Conclusioni... 78 Appendice... 79 Bibliografia... 81 Sitografia... 83

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra grezza o da ciò che essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di quella bellezza che siamo giunti a comprendere: questo è l'arte. James Joyce

INTRODUZIONE Il seguente elaborato di tesi nasce da un personale e fervido interesse nei confronti dell'associazione suono-colore. Durante il mio percorso di studi mi sono stati proposti molteplici spunti, soprattutto nell'ambito interattivo e multimediale, mediante lo studio del software Max/MSP. Questa esperienza mi ha portato a sviluppare una poetica a partire dal connubio fra il concetto di unione tra le arti e il rapporto simbiotico fra autore, fruitore e opera d'arte, venutosi a consolidare soprattutto nell'ultimo secolo. Il periodo a noi contemporaneo partorisce infatti opere d'arte che coinvolgono più sensi e sviluppano un legame intimo, bilaterale e interattivo con lo spettatore, in modo tale che quest'ultimo si possa sentire coautore dell'opera se non addirittura parte di essa. Documentandomi sul citato fenomeno sinestetico ho constatato l'esistenza di un forte interesse verso di esso da parte dell'uomo fin dai tempi più remoti. Innumerevoli sono gli esempi in cui vengono accostati elementi provenienti da sfere sensoriali differenti col fine di trarne un reciproco potenziamento. Queste associazioni tuttavia diventano oggetto di studio consapevole solamente a partire dal 1600: La questione della sinestesia, come problema consapevole, nasce nel Seicento con una famosa interrogazione del Molyneux in Dioptrica Nova: un cieco nato, restituito alla luce, sarebbe in grado di riconoscere con la sola vista e senza il soccorso del tatto quegli oggetti [ ] che prima identificava e distingueva toccandoli? A fine Seicento, [ ] Locke già negava decisamente ogni sinestesia e affermava che solo l'abitudine porta ad associare idee di campi sensoriali diversi [ ]. Ma già con Burke, ancora nel 1757, alla sinestesia viene riconosciuta una piena e reale consistenza «Vi è un legame in tutte le nostre sensazioni [ ] i sensi si portano testimonianza reciproca» 1. Negli ultimi secoli l'interesse verso la sinestesia si diffonde e si estende a tutti gli ambiti: dall'arte alla scienza, dalla poesia alla filosofia, dalla musica alla pittura e alla 1 M. COSTA, L'estetica dei media: avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma 1999, p. 80. 5

psicologia; la sinestesia diventa materia di studio per poeti, scienziati, artisti e musicisti e talvolta ne diviene il principio stesso secondo il quale osservare la realtà. A partire da essa vengono sviluppate opinioni divergenti, elaborate diverse teorie e addirittura realizzate vere e proprie opere sinestetiche e strumenti multimediali. Ho deciso pertanto di approfondire il mio interesse attraverso una ricerca a tutto campo, che in seguito mi ha portato alla realizzazione del progetto pratico allegato. Esso risulta una sintesi e una risposta personale alla questione della sinestesia suonocolore. Innanzitutto ho ritenuto necessario analizzare il binomio suono-colore. Nel primo capitolo ho studiato il fenomeno sonoro ponendo in particolar modo l'attenzione alle sue caratteristiche fisiche e percettive, nonché alle modalità secondo cui il nostro organismo, mediante l'orecchio, lo percepisce. Nel secondo capitolo ho trattato in modo analogo il colore, proseguendo con la descrizione delle sue proprietà principali senza dimenticare di esaminare anche in questo caso le variabili fisiche, le variabili percettive e le sensazioni percepite. Parallelamente al primo capitolo ho concluso con la spiegazione dell'organo di senso adibito alla visione, cioè l'occhio. Nel terzo capitolo ho trattato la sinestesia suono-colore e le correnti di pensiero che, in riferimento ad essa, si sono susseguite nel corso della storia; per cominciare ho presentato le diverse connotazioni del termine sinestesia, dal suo significato allegorico-simbolico fino alla sua recente legittimazione da parte della neuroscienza. Successivamente ho fornito diversi esempi del fenomeno, ognuno con una propria impronta caratteristica, secondo tre approcci differenti: gli approcci fisicomatematici, come il modello di Newton e la proposta dell'artista Luigi Veronesi; gli approcci percettivo-sinestetici, in particolare riferendomi all'esemplare ricerca di Kandinsky, e infine gli approcci multimediali, considerabili come una concretizzazione delle indagini precedenti attraverso la creazione di opere d'arte e strumenti che si rivolgono alla molteplicità dei sensi. A tal riguardo ho fornito alcuni esempi, a cominciare da Castel fino a giungere ai recenti software che si stanno affermando sempre più nel campo dell'arte multimediale. L'ultimo capitolo riguarda nello specifico la mia interpretazione personale del fenomeno analizzato. 6

Capitolo primo IL SUONO In principio, è lecito supporre, era il silenzio. Era silenzio perché non c'era moto alcuno e di conseguenza nessuna vibrazione poteva mettere l'aria in movimento, fenomeno questo di importanza fondamentale per la produzione del suono. La creazione del mondo, in qualunque modo sia avvenuta, deve essere stata accompagnata dal moto e pertanto dal suono. Forse è questa la ragione per cui la musica, presso i popoli primitivi, ha tale magica importanza da essere spesso connessa a significati di vita e di morte. Proprio la sua storia, in ogni varia forma, insegna che la musica ha serbato il suo significato trascendentale2. 1.1 Il suono, generalità Con il termine suono si indica un fenomeno fisico-acustico-percettivo che consiste in una variazione di pressione che si propaga in un mezzo elastico, come ad esempio l'aria. Questa variazione è data da una successione di compressioni e rarefazioni tra le molecole che compongono il mezzo elastico, le quali vengono temporaneamente spostate dalla loro posizione di equilibrio. Ne consegue un effetto sensoriale prodotto dalla sollecitazione dell'apparato uditivo. Variazione di pressione nel tempo. 2 O. KAROLYI, La grammatica della musica. La teoria, le forme e gli strumenti musicali, Einaudi, Torino 2000, p. 19. 7

È possibile descrivere l'evento sonoro attraverso tre fasi: la sua produzione, ad opera di una sorgente o corpo vibrante3; la sua propagazione mediante un mezzo elastico; la sua trasduzione ed elaborazione attraverso l'orecchio e il cervello. Queste tre fasi vengono rispettivamente definite: fenomeno vibratorio, fenomeno ondulatorio e fenomeno percettivo. Rappresentazione schematica dell'evento sonoro scomposto nelle sue tre fasi. 1.2 L'orecchio e l'apparato uditivo L'orecchio è l'organo fondamentale del sistema uditivo. Esso è formato da una serie di elementi che permettono di ricevere e di trasformare un'onda sonora in un impulso elettrico nervoso capace di generare, a livello cerebrale, la sensazione uditiva. É possibile suddividere l'orecchio in tre sezioni: orecchio esterno, orecchio medio, orecchio interno. L'orecchio esterno consiste in un insieme di muscoli e cartilagine ed è costituito dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo o meato. La conformazione del padiglione e la distanza tra le due orecchie svolgono un ruolo fondamentale nella localizzazione del suono nello spazio: in base alla posizione della sorgente rispetto all'ascoltatore, per ovvi motivi, lo stesso suono viene percepito dalle due orecchie in modo differente4. Sono queste differenze che permettono di poter localizzare la 3 Tutti gli strumenti musicali sono considerabili sorgenti sonore il cui corpo vibrante può essere, a seconda dei casi, una corda, una membrana, una barra metallica, un piatto, una colonna d'aria, ecc. Rientrano nella categoria, oltre agli strumenti musicali, tutti i corpi che messi in vibrazione provocano una variazione di pressione che si propaga nel mezzo elastico. 4 Le differenze riguardano i seguenti parametri: tempo, ampiezza e spettro. 8

direzione di provenienza del suono. Attraverso il padiglione auricolare le onde sonore vengono indirizzate nel condotto uditivo e all'orecchio medio. L'orecchio medio è la zona compresa tra il timpano e la finestra ovale; è formato dalla membrana timpanica, dalla tromba di Eustachio 5, da tre ossicini chiamati rispettivamente martello, incudine, staffa e dalla finestra ovale, una membrana molto più piccola del timpano che comunica con l'orecchio interno. La catena degli ossicini ha lo scopo di trasferire la vibrazione provocata dall'aria della membrana timpanica alla finestra ovale, determinando un processo di amplificazione meccanica della vibrazione. Si può dire che l'orecchio medio svolga una funzione di adattamento tra la variazione di pressione dell'aria e quella del fluido contenuto nell'orecchio interno6. L'orecchio interno comprende due piccole strutture: un apparato di canali semicircolari sede del senso dell'equilibrio e la coclea 7, fulcro dell'orecchio e centro principale del processo uditivo. La coclea, canale spirale scavato nell'osso temporale, è l'elemento più importante dell'apparato uditivo; in essa sono contenuti i principali organi adibiti alla decodifica del suono e può essere definita come il punto in cui avviene la traduzione delle vibrazioni meccaniche in impulsi nervosi. Osservando la coclea in sezione trasversale si possono distinguere, dall'alto verso il basso, tre canali ripieni di liquido: la rampa vestibolare, il dotto cocleare e la rampa timpanica. Le due rampe comunicano tra loro nella parte finale grazie ad un'apertura chiamata elicotrema8. Il dotto cocleare invece è indipendente, esso è separato dalla rampa vestibolare e dalla rampa timpanica mediante due membrane denominate 5 La tromba (o tuba) di Eustachio è un condotto che collega l'orecchio medio alla cavità orale e ha il compito di regolare gli sbalzi tra la pressione interna e quella esterna. 6 L'orecchio medio ha anche una funzione di difesa: se il suono in arrivo ha un'intensità molto elevata il muscolo timpanico si irrigidisce e la staffa viene allontanata dalla finestra ovale riducendo il trasferimento di vibrazione. Questo effetto si chiama riflesso acustico e, richiedendo qualche istante per entrare in funzione, risulta una difesa poco efficace per suoni violenti improvvisi. 7 La coclea deve il nome alla sua forma caratteristica che ricorda il guscio di una lumaca. 8 Questa apertura si viene a creare perché la membrana basilare si arresta poco prima di raggiungere l'estremità finale della coclea. 9

rispettivamente membrana di Reissner e membrana basilare. La rampa vestibolare comunica direttamente con l'orecchio medio attraverso la finestra ovale: quando quest'ultima viene perturbata dalla staffa genera delle onde che si propagano nel fluido cocleare; la perturbazione giunge poi, passando per l'elicotrema, nella rampa timpanica. All'estremità della rampa timpanica è presente un'apertura ricoperta da una membrana elastica chiamata finestra rotonda che permette di assorbire la variazione di pressione del liquido incomprimibile. I movimenti del liquido si ripercuotono sulla membrana basilare. L'energia meccanica dei movimenti viene poi convertita in impulsi nervosi che vengono inviati al cervello. L'organo che assolve a questa funzione, posizionato lungo la membrana basilare, è il cosiddetto organo del Corti, una massa gelatinosa munita di migliaia di cellule cigliate disposte su più file. Le ciglia, comunicanti all'estremo superiore con la membrana tectoria, si flettono quando vengono raggiunte dalla vibrazione meccanica del liquido. È proprio questo movimento che spinge le cellule cigliate a produrre i segnali elettrici che vengono raccolti dal nervo uditivo e convogliati nel cervello. Le ricerche rivelano che i suoni di determinate frequenze interessano parti specifiche della membrana basilare: al variare della velocità delle sollecitazioni le onde che viaggiano nel liquido raggiungono l'ampiezza massima in zone differenti della membrana rispetto alla finestra ovale. Le onde corte, a frequenza elevata, raggiungono il massimo dell'ampiezza vicino alla finestra ovale; contrariamente le onde lunghe, a bassa frequenza, la raggiungono in punti più distanti. Bisogna specificare però che parte del processo di percezione dell'altezza è condizionato anche dal comportamento del sistema nervoso centrale; esso non si affida solamente alla posizione delle fibre nervose da cui giungono gli impulsi ma giudica anche in base alla loro periodicità, ovvero la frequenza con cui ogni fibra invia un segnale. Più precisamente il cervello non calcola semplicemente il numero di impulsi ricevuti nell'unità di tempo ma elabora i segnali provenienti da un ampio numero di fibre nervose ricavando una configurazione pattern di impulsi pseudo-periodici. Attraverso le informazioni captate da ciascun orecchio prende poi forma la sensazione uditiva. 10

Com'è stato mostrato da von Békésy, man mano che si allontana dalla finestra ovale, l'onda aumenta di ampiezza fino a quando, raggiunta una certa posizione sulla membrana basilare, decade rapidamente a 0 [ ]. Ciò che si rivela di grande importanza è che la posizione del massimo dell'inviluppo cambia col variare della frequenza dell'onda: esso si presenta vicino alla finestra ovale se la frequenza sonora è elevata, all'estremo opposto nel caso di suoni profondi. La membrana basilare è perciò la sede dove ha inizio il meccanismo della discriminazione dell'altezza dei suoni [ ]. È interessante notare che, poiché la risposta della membrana basilare alle sollecitazioni meccaniche dipende dalle dimensioni della stessa, la gamma delle frequenze udite dai diversi esseri viventi può differire di molto. Così se gli umani coprono al meglio l'intervallo 20-20 000 Hz e il cane li supera solo di un poco sul lato degli ultrasuoni, i pipistrelli partono tipicamente da 1000 Hz par arrivare oltre i 100 000 Hz, mentre i delfini, pur capaci di scendere fino a 200 Hz, raggiungono nei registri alti addirittura i 200 000 Hz! [ ] Tramite l'impiego di microscopici elettrodi collegati a singole terminazioni del nervo uditivo in animali, sono stati fatti esperimenti per analizzare il carattere dei segnali elettrici diretti al cervello. Il segnale è costituito da una sequenza di impulsi, ciascuno associato alla stimolazione di una delle cellule ciliate nell'organo di Corti [ ]. Alle diverse frequenze rispondono terminazioni nervose differenti, nel senso che ognuna di esse ha una propria frequenza caratteristica di massima risposta. A una data frequenza di eccitazione, la separazione tra impulsi che vengono avviati lungo una terminazione nervosa non riproduce che in modo grossolano il periodo dell'onda, ossia l'intervallo tra due massimi di vibrazione tanto che occasionalmente la fibra nervosa non appare nemmeno stimolata. [ ] gli impulsi elettrici sono presenti soltanto in prossimità delle ampiezze massime di vibrazione. Il cervello dunque, nella sua elaborazione percettiva, non si affida soltanto alla posizione della fibra nervosa da cui trae origine il segnale, ma tiene sotto controllo un numero più ampio di terminazioni, giudicando l'altezza del suono anche dalla frequenza con cui gli pervengono i pacchetti di impulsi. La questione di quanto la discriminazione dell'altezza dipenda dalla posizione delle terminazioni eccitate e quanto dalla periodicità dei segnali che corrono lungo il nervo uditivo, è tuttora alquanto controversa 9. 9 A. FROVA, Fisica nella musica, Zanichelli, Bologna 1999, pp. 111-112. 11

Struttura dell'orecchio umano. L'orecchio esterno, e in particolare il padiglione auricolare, convoglia il suono nel meato uditivo. Alla sua estremità le variazioni di pressione, che costituiscono le onde sonore, determinano la vibrazione della membrana timpanica. Queste ultime vengono trasmesse attraverso l'orecchio medio tramite il movimento di tre ossicini collegati tra loro: il martello, l'incudine e la staffa. Il movimento oscillatorio del piede della staffa fa si che venga stimolata la coclea, la porzione uditiva dell'orecchio interno10. Nella sezione trasversale della coclea si può osservare come essa sia divisa in tre concamerazioni. La scala [rampa] vestibolare costituisce la cavità superiore che è in comunicazione diretta con la staffa a livello della finestra ovale. Essa e separata dalla membrana di Reissner dalla scala media [dotto cocleare], che è il dotto in cui alloggia l'organo del Corti, responsabile della trasduzione degli stimoli sonori. Le cellule ciliate che compongono l'organo del Corti poggiano sulla membrana basilare, che separa la scala media dalla sottostante scala timpanica11. 10 http://www.treccani.it/enciclopedia/udito_(dizionario_di_medicina)/ 11 Ibidem. 12

1.3 I parametri fondamentali del suono Il suono possiede una serie di caratteristiche fisiche oggettive, ognuna delle quali influenza nell'ascoltatore la percezione sonora. Le principali variabili fisiche del suono sono la frequenza, l'ampiezza, e lo spettro o forma d'onda; altre variabili utili nello studio delle onde sonore, strettamente legate alla frequenza, sono la velocità di propagazione nel mezzo elastico, la lunghezza d'onda, il periodo e la fase. Onda sonora, parametri fisici. Alle variabili fisiche oggettive corrispondono le variabili percettive soggettive ovvero l'altezza o pitch, l'intensità soggettiva o loudness e il timbro o sound quality. É possibile affermare che non esiste il concetto semplice di unità e linearità tra i fenomeni fisici e la loro percezione: essa non varia in modo proporzionale al variare delle grandezze fisiche dei fenomeni che la originano e di conseguenza può essere definita come un processo dinamico. Variabili fisiche Variabili percettive Sensazioni percepite frequenza altezza (pitch) grave acuto ampiezza intensità (loudness) piano forte forma d'onda (spettro) timbro armonico inarmonico (scuro brillante ecc.) Tabella delle corrispondenze tra variabili fisiche, variabili percettive e sensazioni percepite del suono. 13

La frequenza è la caratteristica fisica che determina l'altezza di un suono ed è ciò che ci permette di discriminare un suono grave da uno acuto; si misura in Hertz ed è definibile come il numero delle oscillazioni che un'onda compie in un secondo. Più precisamente la frequenza esprime il numero delle compressioni e rarefazioni del mezzo elastico rispetto al punto di equilibrio che si verificano nell'unità di tempo in seguito ad una perturbazione. È possibile sintetizzare affermando che alle maggiori frequenze corrispondono i suoni acuti, contrariamente alle minori frequenze corrispondono i suoni gravi. Non è semplice tuttavia stabilire una soglia assoluta di udibilità in relazione alla frequenza perché molti sono i fattori variabili; tra i più incisivi si pongono: l'età, i rumori fisiologici e i tipi di strumenti utilizzati per la riproduzione dei suoni. Dai vari esperimenti si può comunque asserire che il range udibile umano si estende dai 20 ai 20 000 Hertz, con una maggiore sensibilità alle variazioni tra i 600 e i 5000 Hertz. Due suoni di frequenza diversa: 100 Hz il primo, 200 Hz il secondo. Quando l'aria viene perturbata, il valore di pressione non è più costante, ma varia da punto a punto: aumenta dove le molecole sono compresse, diminuisce dove le molecole sono espanse. Il fenomeno può essere studiato sia dal punto di vista dello spazio (osservando il valore della pressione nei vari punti in un determinato istante) sia dal punto di vista del tempo (misurando il valore della pressione in uno stesso punto in funzione del tempo). [ ] se immaginiamo di trovarci in un determinato punto, assisteremo a una successione di compressioni ed espansioni dell'aria ovvero, prima dell'istante t-0 la pressione dell'aria è al suo valore normale, dato che la perturbazione non è ancora giunta al nostro punto di osservazione. All'istante t 0 la perturbazione giunge al nostro punto di osservazione, la pressione inizia a crescere, giunge al massimo all'istante 14

t1, poi decresce fino a tornare al valore normale all'istante t2, continua a decrescere e giunge al minimo all'istante t3, per poi risalire fino al valore normale all'istante t 4, e così via. Si è fin qui descritto un ciclo del fenomeno. Se questo si ripete sempre allo stesso modo il fenomeno si dice periodico. Il tempo necessario al completamento di un ciclo si dice periodo, si indica con il simbolo T e si misura in secondi (s) o in millisecondi (ms). L'inverso del periodo, cioè il numero di cicli che vengono completati in un secondo, si dice frequenza, e si misura in Hertz (Hz) o cicli per secondo (cps). Se per esempio un'onda sonora ha periodo T=0.01 s (cioè 1/100 di secondo) la sua frequenza sarà di: 1/T = 1/0.01 = 100 Hz (o 100 cicli al secondo) [ ]. Dal momento che si propaga nello spazio, un'onda ha una lunghezza che è inversamente proporzionale alla sua frequenza. [ ] la velocità del suono nell'aria [ ] è di circa 344 metri al secondo. Questo significa che un'ipotetica onda di 1 Hz avrebbe una lunghezza di circa 344 metri, perché quando ha completato un ciclo è passato un secondo e in questo tempo si è dispiegata nello spazio per una lunghezza di 344 metri. Un'onda di 10 Hz, invece, in un secondo compie 10 cicli, che si dispongono nello spazio di 344 metri occupando ciascuno 34.4 metri, cioè un decimo dello spazio totale12. L'ampiezza è il parametro del suono che permette di distinguere un suono debole da un suono di forte intensità consentendo l'organizzazione dei suoni in una scala che va dal piano al forte. Si stima che, l'intervallo che si estende dalla soglia di minima di udibilità a quella del dolore, è circa mille miliardi a uno. Il valore minimo di variazione di pressione udibile corrisponde ad una variazione di 20 μpa rispetto alla pressione atmosferica in assenza di suono. Due suoni di ampiezza diversa: il primo suono ha un'ampiezza doppia rispetto al secondo. 12 A. CIPRIANI, M. GIRI, Musica elettronica e sound design. Teoria e pratica con Max/MSP volume 1, ConTempoNet, Roma 2009, pp. 11-12. 15

Si definisce soglia di udibilità la minima intensità sonora che l'orecchio umano è in grado di percepire. L'esperienza mostra che tale soglia varia da individuo a individuo (per esempio si innalza all'aumentare dell'età del soggetto), e soprattutto che, anche per un singolo individuo, essa dipende dalla frequenza del suono ascoltato. In genere si usa riferirsi ad un valore convenzionale, ottenuto mediando la soglia di udibilità di molti individui per un suono puro di frequenza di 1000 Hz. Il valore di tale soglia è estremamente piccolo [ ]. [Esso] corrisponde ad una variazione di pressione rispetto alla pressione atmosferica in assenza di suono di soli 20 μpa (pari a circa 0,2 miliardesimi della pressione atmosferica). All'altro estremo del campo di intensità udibili si trova la soglia del dolore, cioè la massima intensità sonora che l'orecchio umano è in grado di percepire e oltre la quale il suono viene sostituito da una sensazione di dolore (si osservi però che il suono può nuocere in modo permanente all'udito anche ad intensità inferiori dipendentemente dalle condizioni di esposizione). Questo valore è mille miliardi di volte più grande della soglia di udibilità. [ ] Il campo di variazione delle intensità sonora è estremamente ampio: occupa circa 12 ordini di grandezza. Rapportato ad una scala delle lunghezze sarebbe come spaziare dalle dimensioni di un'ameba (circa 600 millesimi di mm) al diametro dell'orbita lunare (circa 600 mila km). Questa grande variabilità, assieme al fatto che l'orecchio è sensibile alle variazioni di pressione, e non al valore assoluto della pressione stessa, determina la scelta di esprimere la misura dell'intensità del suono mediante una scala logaritmica [ ]. Il livello di intensità sonora è un numero puro (quantità adimensionale) al quale si attribuisce però, per convenzione, un'unità di misura: il decibel (da A.G. Bell, scienziato 13 statunitense) il cui simbolo è db. Si può dire che la percezione dell'ampiezza aumenta in modo logaritmico all'aumentare dello stimolo. Va precisato che questa proporzionalità varia in base alla frequenza del suono: l'orecchio è molto sensibile alle frequenze medie 14, meno sensibile alle frequenze alte e molto meno sensibile alle frequenze basse. Di conseguenza man mano che ci si sposta dalle frequenze medie lungo il range delle frequenze udibili, i suoni a frequenze basse e a frequenze alte hanno bisogno di 13 http://fisicaondemusica.unimore.it/percezione_dell_intensit.html 14 L'orecchio è maggiormente sensibile alle frequenze tra i 600 e i 5000 Hz, con un massimo di sensibilità intorno ai 3800Hz, frequenza di risonanza del condotto uditivo. È interessante constatare che questa zona di maggior sensibilità corrisponde al range delle frequenze del linguaggio parlato. 16

un'ampiezza fisica maggiore rispetto a quelli di frequenza media per essere percepiti di ugual intensità. In conclusione è possibile affermare che l'intensità percepita non corrisponde oggettivamente all'ampiezza fisica. Questo fenomeno viene rappresentato graficamente attraverso il diagramma delle curve isofoniche o diagramma di uguale intensità sonora. Il diagramma, elaborato da Fletcher e Munson, mostra l'intensità sonora percepita15 rispetto ai db alle varie frequenze. Le curve isofoniche sono state costruite confrontando l'intensità percepita di un suono sinusoidale di riferimento a 1000 Hz con quella di suoni di frequenza (f). In questo modo è stato ottenuto un grafico non lineare perché, come precedentemente accennato, la percezione dell'intensità varia al variare della frequenza; se così non fosse, al posto delle curve, sarebbero state ricavate delle linee perfettamente orizzontali. Diagramma delle curve isofoniche (ISO 226:2003). 15 L'intensità sonora percepita si misura in phon. Il suo valore coincide a 1000Hz con i db SPL. Se si segue ad esempio la curva isofonica a 40Phon, un suono di 1000Hz avrà ampiezza fisica di 40dB e sarà percepito intenso come un suono di 100Hz a circa 65dB. 17

La terza caratteristica fondamentale del suono è la forma d'onda; da essa dipende il timbro, la qualità che ci permette di distinguere suoni che vengono generati da sorgenti differenti pur avendo la stessa frequenza, la stessa intensità, e la stessa durata. Questa definizione tuttavia non è esaustiva perché non tiene conto della nozione di invarianza timbrica: le sorgenti possono essere riconosciute anche indipendentemente dalla frequenza e dell'ampiezza dei suoni originati. I diversi studi hanno dimostrato che il timbro dipende in prevalenza dal contenuto spettrale di un suono, ovvero dalle sue varie armoniche (e parziali) e relativi inviluppi d'ampiezza16. In base alle caratteristiche fisico-morfologiche delle sorgenti tutti i suoni da esse generati sono soggetti ad interferenze costruttive e distruttive sempre uguali. In altre parole il suono provocato dall'elemento vibrante viene rimodellato dall'elemento risonante, corpo stesso della sorgente, che agisce come filtro. Essendo fisse le zone risonanti, le formanti che si creano sono sempre le stesse, indipendentemente dalle altezze fondamentali. Il cervello registra i vari pattern di eccitamento della membrana basilare e li associa alle sorgenti permettendo in un secondo momento il loro riconoscimento. Due suoni con diversa forma d'onda aventi stessa frequenza e stessa ampiezza. Dal punto di vista dell'impressione soggettiva, si tende a classificare il timbro in vari modi, definendolo attraverso estremi che possono andare da opaco a brillante, da freddo a caldo, da puro a ricco, da compatto a diffuso, da vuoto a pieno, da neutro a colorito. L'idea che l'elemento precipuo che porta alla definizione di timbro sia lo spettro delle 16 Ogni suono complesso può essere visto come una somma di toni sinusoidali semplici detti armonici (o parziali) aventi frequenze, ampiezze e inviluppi differenti. 18

armoniche del suono è dovuta al solito, geniale Hermann von Helmholtz: molte delle sue osservazioni hanno tuttora validità. Esse si possono riassumere nelle seguenti ricette: Suoni con un limitato numero di armoniche diciamo dalla prima alla sesta o settima sono più ricchi e pastosi di quelli puri, come il diapason, ma ne conservano in pieno, anzi ne accentuano, il carattere dolce e melodico. Se si hanno armoniche più elevate, soprattutto se intense, il suono tende ad acquistare un carattere più aspro e frizzante, tipicamente di violino. I suoni mancanti delle armoniche pari, come avviene negli strumenti a canna chiusi a un estremo clarinetto o canne d'organo tappate hanno un carattere vuoto e nasale. L'intensità della prima armonica gioca un ruolo determinante nel dare stoffa al suono: se essa è debole la pienezza del suono risulta impoverita. Circa le altre armoniche, in generale la seconda conferisce al suono limpidezza, la sesta e l'ottava lo rendono chiaro e squillante, la settima e la nona lo inaspriscono, la decima ne aumenta la chiarezza e introduce un sentore metallico. Il timbro non sembra dipendere dalle differenze di fase tra le varie armoniche costituenti il suono. Fatto che, anche se oggi non risulta esattamente verificato, è di certo un'eccellente approssimazione delle cose17. 17 A. FROVA, op. cit., pp. 151-152. 19

Capitolo secondo IL COLORE Senza la luce solare, il mondo, ridotto a un luogo monocromatico, sarebbe ispido e fonte di minore ispirazione. Sepolte sotto strati di risposte apprese, troviamo, latenti, le nostre reazioni innate al colore. A volte, nei momenti di terrore o di meraviglia, esse riemergono, non richieste, dal repertorio che un tempo ci univa a questo straordinario ambiente di aria e cielo, di foglie e acque lucenti, immerso nella luce di una stella che chiamiamo Sole18. 2.1 Il colore, generalità Il colore è una sensazione psicofisica che si genera a livello cerebrale quando le diverse radiazioni elettromagnetiche che compongono la luce entrano a contatto col sistema visivo di un osservatore. A seconda della composizione spettrale della luce, che giunge all'occhio, corrisponde un colore definito. Per capire il colore si può fare un paragone con il mondo dei suoni, assai più familiare; un tamburo emette note meno acute di un violino, perché la frequenza delle vibrazioni sonore del tamburo è inferiore a quella del violino. Anche nel caso della luce si parla di frequenza o, più comunemente, di lunghezza d'onda, al variare della quale cambiano i colori risultanti. La luce bianca è il risultato della mescolanza di tutte le tonalità di colore, presenti in proporzioni uguali. Per tanto si parla di spettro di colori, ossia dell'insieme di tutti i colori possibili; esempi di spettri colorati sono costituiti dall'arcobaleno o dal fascio di luce scomposta da un prisma trasparente19. Il colore dei corpi dipende quindi dalla loro capacità di assorbire le radiazioni elettromagnetiche: quando vengono colpiti dalla luce, le radiazioni non assorbite vengono riflesse fornendo così una tinta caratteristica. Nei casi limite una superficie risulta bianca se tutte le radiazioni elettromagnetiche che la colpiscono vengono 18 J.D. BARROW, L'Universo come opera d'arte. La fonte cosmica della creatività umana, Rizzoli, Milano 1997, p. 238. 19 AA.VV., Fisiologia medica, Edi.Ermes, Milano 2010, p. 493. 20

riflesse, al contrario risulta nera quando tutte vengono assorbite. Secondo questo principio di sintesi sottrattiva dei colori è possibile riassumere affermando che i corpi, quando vengono colpiti dalla luce, sottraggono ad essa alcune componenti e ne riflettono tutte le altre. Riguardo i corpi trasparenti, la luce non viene assorbita ma passa semplicemente attraverso ai corpi stessi propagandosi per trasmissione20. Ma cos'è dunque la luce? La sua natura ha suscitato interesse fin dalle epoche più lontane e su di essa sono state formulate diverse teorie. Le prime concezioni cercano di interpretare e descrivere l'esperienza sensibile. Secondo Pitagora l'occhio emanava dei raggi rettilinei che toccando i corpi generavano la sensazione visiva. Platone ipotizzava che la sensazione visiva fossa data dall'incontro di raggi emessi non solo dall'occhio ma anche dai corpi. Altre teorie contrastanti supponevano che dai corpi si irradiassero atomi costituenti l'immagine degli stessi che, una volta raggiunto l'occhio, generavano la sensazione visiva. Secondo Aristotele, la luce e il colore erano dati dall'eccitazione da parte dei corpi di un mezzo ovunque presente detto diafano. Solamente a partire dal XVII secolo vennero formulate delle teorie derivanti da studi sperimentali: la teoria crepuscolare di Newton e la teoria ondulatoria di Huygens, quest'ultima ripresa e approfondita due secoli più tardi dagli scienziati Young e Fresnel. Newton descriveva la luce come un insieme di corpuscoli di diversa specie, ognuno dei quali corrispondente ad un colore specifico, proiettati con velocità costante dai corpi luminosi. Al contrario Huygens affermava che la luce, come il suono, consisteva in una vibrazione meccanica di un mezzo onnipresente, detto etere cosmico; si iniziò così a studiare e descrivere la luce applicando le nozioni fisiche legate al moto armonico e alla propagazione delle onde. Queste teorie tuttavia presentavano ancora delle incongruenze. Grandi progressi si verificarono verso la fine del XIX secolo grazie al matematico scozzese Maxwell che propose la teoria 20 I colori possono essere ottenuti anche per scomposizione della luce bianca. Quando la luce attraversa corpi trasparenti, a seconda della forma e della composizione di questi ultimi, viene rifratta. I vari raggi costituenti la luce vengono deviati con angoli diversi in base alla loro lunghezza d'onda. Minore è la lunghezza d'onda e più la luce viene deviata. Ad esempio la luce violetta è deviata maggiormente rispetto alla luce rossa. 21