IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NUORO



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IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NUORO

Pubblicazione realizzata con il contributo del S.p.A. In copertina Orune, Nuraghe Lulla. Figura in bronzo di offerente cantore. Editor Susy Lella Impaginazione Stefania Marras Nuova edizione 2006 ISBN 88-7138-386-9 Copyright 2006 by Carlo Delfino editore, Via Rolando 11/A, Sassari

17 SARDEGNA ARCHEOLOGICA Guide e Itinerari Il Museo Archeologico Nazionale di NUORO Maria Ausilia Fadda Carlo Delfino editore

STORIA DEL MUSEO Il Museo Archeologico Nazionale di Nuoro è stato inaugurato il 20 luglio 2002. La donazione al Ministero per i Beni e le Attività Culturali da parte del Comune di Nuoro del palazzo appartenuto a Giorgio Asproni, ha consentito il trasferimento dei materiali archeologici dalla sede del vecchio Museo Speleo Archeologico in via Leonardo Da Vinci che fu inaugurato il 23 ottobre 1978 in occasione della XXII Riunione dell Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. L intensa attività degli speleologi del Gruppo Grotte Nuorese, che aveva portato ad importanti ritrovamenti di materiali d interesse paleontologico e archeologico, fu determinante per la realizzazione del primo nucleo del Museo civico che conteneva la Collezione Comunale, raccolta agli inizi del 1900, costituita da un centinaio di oggetti di epoca nuragica, ellenistica, romana e alto medievale e una raccolta di 200 monete di epoche diverse. L entusiasmo per un evento culturale così importante per la città di Nuoro spinse molti collezionisti privati a donare o a depositare gruppi di materiali archeologici di rilevante interesse scientifico e documentario, illustrati poi in un catalogo edito in occasione della mostra del 1978. L istituzione della sede della Soprintendenza Archeologica a Nuoro, il 15 gennaio del 1981, ha regolamentato la gestione del museo utilizzando personale di custodia statale ed ha favorito un intensa attività di ricerca in tutto il territorio della provincia. La ricerca archeologica, avviata prevalentemente a scopo di tutela, ha portato all acquisizione di nuovi e copiosi materiali archeologici che non potevano essere esposti nel Museo, allocato in una sede inadeguata del piano terra delle scuole elementari Ferdinando Podda. Nel 1993 il museo venne chiuso definitivamente dopo diversi furti, per l entrata in vigore delle nuove normative sulla sicurezza e l impossibilità di modificare i locali scolastici. La nuova esposizione è attualmente concentrata nel piano terra in attesa che i piani superiori del palazzo vengano adeguati ad uso museale. La guida del nuovo Museo è stata realizzata con il contributo del Banco di Sardegna che ha sempre mostrato grande sensibilità alla divulgazione del patrimonio archeologico e storico-artistico dell Isola. 5

Si accede alle sale del Museo da un ampio giardino che ha conservato la disposizione originaria degli spazi che rispondeva alle esigenze di una importante casa padronale di fine Ottocento. La mancanza di spazi espositivi adeguati alla grande quantità di materiali acquisiti in tanti anni di ricerche archeologiche ha portato alla scelta dei materiali più significativi dei vari periodi e a destinare maggiore spazio alla ricostruzione di edifici di culto di epoca nuragica dedicati alla divinità delle acque. Ampio spazio è stato dedicato agli aspetti sconosciuti dell architettura, del costume, del gusto estetico e della vanità dei protosardi delle zone interne che si manifesta nella cura dei manufatti ma soprattutto negli oggetti d ornamento personale. Nella prima sala di accoglienza per il pubblico è collocato un grande totem con un pannello cronologico che illustra i vari periodi della preistoria, della protostoria, e della storia con i riferimenti specifici delle diverse culture. Per facilitare la comprensione della cronologia le varie culture sono state esemplificate con oggetti in esposizione all interno delle sale. MARIA AUSILIA FADDA MARISA ARCA, CATERINELLA TUVERI LA SEZIONE DI PALEONTOLOGIA La Sezione Paleontologica occupa la prima sala del Museo dove vengono presentati reperti provenienti dal giacimento paleontologico a vertebrati del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna centro-orientale) e della Grotta Corbeddu (Oliena, Sardegna centrale). Pannelli didattici illustrano le diverse fasi di recupero dei fossili e la cronologia dei vari complessi faunistici del giacimento. Il giacimento L area d interesse paleontologico è ubicata a sud-ovest dell abitato di Orosei, alle pendici orientali del Monte Tuttavista, nelle località denominate Canale Longu, Oroe e Santa Rughe, a quota compresa tra i 200 e 75 metri s.l.m. Il giacimento del Monte Tuttavista si trova 6

all interno di una vasta area, attualmente destinata a comparto estrattivo e a stabilimenti di lavorazione del materiale lapideo. L attività di cava, che si svolge a cielo aperto, mette in luce numerose cavità carsiche spesso colmate da sedimenti argillosi e brecce che contengono resti fossili di vertebrati. Il controllo continuo dell attività di cava, da parte di tecnici specializzati della Soprintendenza Archeologica, ha permesso il recupero del riempimento fossilifero di numerose cavità e fessure, che, veri e propri giacimenti paleontologici, hanno restituito un ingente quantità di reperti (ad oggi il numero dei reperti recuperati supera gli 80.000), di notevole interesse per la varietà dei taxa presenti e per lo stato di conservazione, generalmente buono. La fauna Il giacimento offre una ricca documentazione riferita a cinque classi di vertebrati: Pesci ossei, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi. Dal punto di vista cronologico questi resti documentano un arco di tempo compreso tra il Pliocene superiore e l Olocene. I pesci sono presenti con alcune specie di ambiente marino, tipiche di acque poco profonde e di praterie a posidonia. È stata riconosciuta la presenza di alcuni labridi e precisamente del tordo nero, tordo marvizzo, donzella, di uno sciarrano e di un rappresentante della famiglia dei Gadidi. Il rinvenimento di pesci fossili in un contesto diverso dal loro habitat indica la presenza di specie predatrici, a dieta anche pescivora, come le lontre e gli uccelli. I giacimenti di Orosei, per quanto riguarda gli anfibi e i rettili (tradizionalmente studiati insieme e raggruppati in un unica categoria: l erpetofauna), si sono rivelati essere fra i più ricchi d Italia, sia in termini d abbondanza dei materiali sia di diversità della fauna. Sino ad ora sono stati studiati circa 17.000 resti attribuibili a 14 taxa, di cui quattro di anfibi e dieci di rettili. I resti attribuibili agli anfibi sono rappresentati soprattutto da vertebre e a tutt oggi sono state identificate quattro specie: il discoglosso sardo (Discoglossus sardus), il rospo smeraldino (Bufo viridis), la raganella comune (Hyla arborea) e un geotritone (Speleomantes). Tutte le forme sono presenti attualmente in Sardegna e rappresenta- 7

no specie endemiche rigidamente protette. I geotritoni vivono in ambienti cavernicoli e ricchi d umidità; il discoglosso sardo, presente in tutti i complessi montuosi dell Isola, predilige ambienti fluviali, così come la raganella, diffusa anche in ambienti boschivi e di macchia mediterranea. I rettili sono presenti con 10 specie, una testuggine simile alla testuggine di Hermann (Testudo cf. T. hermanni), un geco non meglio determinabile (Gekkonidae), una piccola lucertola (Podarcis sp.), una lucertola di taglia media, comparabile a quella del ramarro (Lacerta sp.), una lucertola della famiglia Agamidae (Agama s.l.), rettili particolarmente adattati alla vita in ambienti aridi aperti, rocciosi e sabbiosi, la cui presenza viene in genere considerata come un indicazione di paleoambienti relativamente secchi. Sono inoltre presenti un anfisbena (Amphisbaenia indet.), ossia una lucertola strisciante con arti estremamente ridotti, una biscia d acqua (Natrix sp.), una vipera (Vipera sp.), dei colubridi e in generale serpenti indeterminati (Colubrines indet. e Serpentes indet.), il cui studio potrebbe ancora riservare interessanti sorprese. L erpetofauna di Orosei ha consentito di scoprire che in passato vivevano in Sardegna alcune forme attualmente estinte sull Isola: è il caso dei lacertidi di taglia media, delle agame e della vipera, a cui possono essere aggiunte le anfisbene, che sino ad ora sono state citate solo in un altra località sarda. Agame e anfisbene sono attualmente estinte anche nella penisola italiana. L avifauna è rappresentata da un consistente numero di reperti provenienti da quasi tutte le fessure. Sono stati individuati almeno 24 taxa, di cui alcuni estinti. Sono presenti specie tipiche di ambienti rocciosi, come Aquila sp., Bubo cf. insularis, Athene sp., Pyrrhocorax graculus, Pyrrhocorax sp. e forme che indicano la presenza di paludi in zone non lontane dal Monte Tuttavista, come gli Anatidi e i Rallidi. Sala I L esposizione privilegia i reperti più importanti e significativi per la conoscenza e lo studio delle faune insulari endemiche, relativo alla classe dei Mammiferi. 8

Vetrina n. 1 Dedicata ai Carnivori. Si osserva in primo piano il cranio di uno ienide del genere Chasmaporthetes, uno dei primi reperti rinvenuti dal naturalista G. Mele nel 1995, una novità assoluta non solo per la Sardegna, ma per il complesso delle faune endemiche insulari. Il genere Chasmaporthetes è il più raro tra gli ienidi presenti nelle località Plio-Pleistoceniche dell Europa. Esso comunque presenta un ampio areale di distribuzione nel Continente Euroasiatico (dalla Francia alla Cina). È inoltre da ricordare che Chasmaporthetes è l unico rappresentante della famiglia ad aver attraversato lo Stretto di Bering entrando a far parte delle associazioni faunistiche del Nord America. Chasmaporthetes presenta peculiari adattamenti, sia nello scheletro che nella dentatura. Lo scheletro denota un adattamento alla corsa, tipico dei felini, mentre nella dentatura il quarto premolare inferiore presenta una forma simmetrica che lo rende praticamente indistinguibile da quella del genere Acinonyx, il ghepardo, di cui la specie Acinonyx Pardinensis era ampiamente diffusa nel Plio-Pleistocene. Queste caratteristiche indicano che Chasmaporthetes era adattato ad una caccia attiva, piuttosto che essere necrofago come gli altri ienidi, per questo motivo è stato incluso nel gruppo delle cosidette iene cacciatrici hunting hyaenas. La presenza di carnivori di grande taglia nelle associazioni insula- Fig. 1. Orosei, Monte Tuttavista. Cranio di Chasmaporthetes nuova specie. 9

ri rappresenta una eccezione. In alto, a sinistra, si trovano un cranio completo con le mandibole in connessione anatomica e un cranio, di cui si conserva solo la parte superiore, appartenenti a due individui della famiglia dei mustelidi: Pannonictis sp. La famiglia Mustelide costituisce la maggior parte dei carnivori presenti attualmente in Europa e la varietà che si osserva nelle associazioni di oggi non trova riscontro nella documentazione fossile. I resti dei mustelidi infatti, soprattutto per le forme relativamente fragili e di piccole dimensioni come donnola, ermellino e puzzola, costituiscono una parte minore del record fossile. Il genere Pannonictis è stato istituito da Kormos nel 1931 per i resti fossili di un mustelide di grande taglia rinvenuto in riempimenti di fessure carsiche in Ungheria. I rappresentanti di questo gruppo di piccoli carnivori sono comunque già presenti in Cina a partire dal Miocene superiore e presentano un ampia diffusione in Europa durante il Plio-Pleistocene. Fig. 2. Orosei, Monte Tuttavista. Cranio di Pannonictis. 10

Sulla base della morfologia del cranio, Pannonictis mostra affinità con le specie riunite nella sottofamiglia Galictinae, che è attualmente rappresentata in Sud America dal genere Galictis, più comunemente noto come grisone. I mustelidi si nutrono essenzialmente di carne, come piccoli roditori, rettili e uccelli, anche se sono note alcune specie con adattamento alla dieta onnivora. In alto a destra sono esposte le emimandibole (destra e sinistra) del canide endemico della Sardegna, il Cynotherium sardous; alla stessa specie appartiene il cranio ancora parzialmente inglobato nel sedimento di cui è ben visibile il lato destro. Cynotherium sardous, descritto da Studiati nel 1857 su materiale rinvenuto a Monreale di Bonaria (Cagliari), è una delle specie meglio rappresentata nelle associazioni endemiche del Pleistocene superiore della Sardegna. Tuttavia, nonostante presenti una discreta documentazione fossile, non è ancora chiaro da quale canide presente nelle aree continentali, durante il Pleistocene, sia derivato. Fig. 3. Orosei, Monte Tuttavista. Mandibole di Cynotherium sardous. 11

Studi recenti hanno evidenziato che Cynotherium presenta analogie con il gruppo degli sciacalli e del coyote, anche se non è da escludere un legame con gli antenati europei del licaone, un canide attualmente diffuso solamente nell Africa sub-sahariana. È stato ipotizzato che Cynotherium sardous si nutrisse in particolare dell octonide Prolagus, come suggerito dal fatto che queste due specie sono frequentemente associate nelle località fossilifere della Sardegna. Vetrine nn. 2 e 3 Sono esposti vari crani e parti dello scheletro postcraniale di Bovidi del genere Nesogoral, alcuni reperti ancora inglobati nella breccia sono in connessione anatomica. Si tratta di forme endemiche caratterizzate da piccole corna dritte, rivolte all indietro, muso piuttosto corto, mandibola massiccia, denti ipsodonti. Questi bovidi attualmente attribuiti alla sola specie Nesogoral melonii presentano affinità con le capre selvatiche asiatiche, sopratutto del genere Nemorhaedus. I resti più antichi, riferibili a più di quattro milioni di anni fa, sono Fig. 4. Orosei, Monte Tuttavista. Cranio di Nesogoral melonii. 12

presenti in depositi lagunari e di spiaggia che affiorano nella Sardegna centro-occidentale, a Capo Mannu e a Mandriola, mentre quelli più noti e studiati provengono invece dalle brecce ossifere di Capo Figari (Golfo Aranci) ed hanno un età di circa 1,9 milioni di anni. La specie Antilope (Nemorhaedus) melonii fu istituita dal paleontologo francese Dehaut nel 1911, proprio per un cranio, attualmente conservato presso il Museo di Paleontologia dell Università di Torino, che era stato scoperto nelle brecce delle fessure carsiche di Capo Figari. Negli anni 70, ricercatori dell Università di Roma La Sapienza effettuarono ulteriori ricerche a Capo Figari, i nuovi resti del bovide, costituirono la base degli studi effettuati da Gliozzi e Malatesta (1980), che hanno portato all istituzione del nuovo genere Nesogoral. Nelle brecce fossilifere di Monte Tuttavista (Orosei) sono presenti più bovidi, probabilmente appartenenti ad almeno due generi ed a tre-quattro diverse specie, attualmente in corso di studio. L antenato, o gli antenati dei piccoli bovidi sardi hanno colonizzato l Isola probabilmente durante il Messiniano, in un periodo in cui gran parte dell area attualmente occupata dal Mar Mediterraneo era emersa. Vetrina n. 4 Questa vetrina documenta la presenza nei giacimenti del Monte Tuttavista, di una specie, Megaceroides cazioti, ampiamente rap- Fig. 5. Orosei, Monte Tuttavista. Cranio di Megaceros cazioti. 13

presentata nei depositi del Pleistocene superiore della Sardegna, soprattutto in eolianiti ed in depositi di origine carsica: fessure o grotte. Megaceroides cazioti è caratterizzato da corna molto sviluppate, che possono raggiungere dimensioni comparabili a quelle dell altezza al garrese (80-110 cm). La ricchezza di reperti ascrivibili a questa specie consente di osservare che, nel corso della sua permanenza nell Isola, ha manifestato una riduzione di taglia e un adattamento a muoversi anche su suoli rocciosi. Era una specie che frequentava le zone costiere, avventurandosi sulle dune alla ricerca del sale in pozze d acqua marina. Il cervo endemico della Sardegna e della Corsica, discende da grandi cervidi continentali, alti più di due metri al garrese, del gruppo di Megaceroides verticornis che annovera forme presenti in Europa da oltre un milione a circa quattrocentomila anni fa. Vetrina n. 5 Il diorama ricostruisce l ambiente in cui si osservano i modelli ideali di alcune specie d insettivori e arvicole, attualmente estinti, particolarmente abbondanti nei giacimenti paleontologici del Monte Tuttavista. In primo piano sono presenti vari reperti fossili appartenenti alle stesse specie rappresentate: Talpa sp., Nesiotites sp., Tyrrhenicola henseli. Vetrina n. 6 I primi resti di Macaca fossile della Sardegna furono raccolti durante gli scavi condotti a Capo Figari da Forsyth Major e Dehaut, tra il 1910 e il 1914. In aggiunta al materiale rinvenuto in questa località si conosce un cranio appartenente ad un individuo giovanile rinvenuto negli anni 60 a Is Oreris, presso Fluminimaggiore (CA). I rappresentanti di questa specie presentano una taglia paragonabile a quella delle più piccole macache attualmente viventi nelle aree insulari e peninsulari del sud-est asiatico. I depositi del giacimento di Orosei hanno restituito un campione decisamente abbondante della macaca endemica del Plio-Plei- 14

stocene sardo. Analogamente al giacimento di Capo Figari, tra i resti rinvenuti ad Orosei dominano quelli appartenenti ad individui giovani, spesso anche infantili. Per spiegare questa particolare abbondanza di individui giovani, è stata ipotizzata come causa dell accumulo, l azione predatoria da parte di rapaci diurni di grande taglia. Tutte le specie attuali del genere Macaca sono largamente vegetariane e si cibano di foglie, frutti, semi, fiori, anche se tutte integrano la loro dieta con insetti, uova e piccoli vertebrati. Fig. 6. Orosei, Monte Tuttavista. Cranio di Macaca majori. 15

Vetrina n. 7 L intera vetrina contiene il diorama della Valle di Lanaitto (Oliena) che illustra l ambiente naturale relativo al Pleistocene superiore, realizzato sulla base della documentazione paleontologica dello scavo nella Grotta Corbeddu. In primo piano, sulla sinistra, si osserva l uomo, durante un momento di caccia al cervo Megaceros cazioti, una delle specie presenti in quel periodo nella valle e documentata anche in varie località della Sardegna. La parte centrale è dedicata alla specie Prolagus sardus, molto abbondante nel deposito della grotta e in tutti i giacimenti paleontologici Plio-Quaternari. In associazione a questa specie si osserva il canide, Cynotherium sardous e due roditori Tyrrhenicola henseli e Ragamys orthodon, attualmente estinti, che appartengono a due diverse famiglie, rispettivamente a quella delle arvicole e a quella dei topi selvatici. Fig. 7. Oliena. Ricostruzione della Valle di Lanaitto sulla base dei dati dello scavo della Grotta Corbeddu. 16

Queste specie mostrano una caratteristica tipica dei micromammiferi che si evolvono in ambiente insulare: la tendenza all aumento della taglia corporea. Le indicazioni sul loro modo di vita vengono dedotte da osservazioni sui rappresentanti attuali che abitano la penisola italiana. Sulla base degli studi effettuati, si pensa che Tyrrenicola henseli potesse essere una specie che viveva in spazi piuttosto aperti, mentre Ragamys orthodon fosse legato ad un ambiente più boscoso. Vetrina n. 8 Nella stessa sala è stata ricomposta la stratigrafia della Grotta Corbeddu che si apre nelle pareti calcaree nella Valle di Lanaitto. Negli anni Ottanta del secolo scorso, il paleontologo olandese Paul Sondaar iniziò all interno della grotta una ricerca sul Prolagus sardus. La vetrina espone uno scheletro e una ricostruzione del Prolagus, un Lagomorfo molto simile agli attuali conigli selvatici, che durante la preistoria costituiva ancora un importante base alimentare per l uomo. L esplorazione della grotta mise in luce i resti ossei del Megaceros cazioti, un cervo di grandi dimensioni vissuto nel Pleistocene, che all interno della valle non sembra aver subito il fenomeno del nanismo, documentato fra le stesse specie animali nelle isole del Mediterraneo ed in altri contesti insulari. In associazione a questa specie era presente il canide, Cynotherium sardous e due roditori Tyrrhenicola henseli e Ragamys orthodon, attualmente estinti, appartenenti a due diverse famiglie, rispettivamente a quella delle arvicole e a quella dei topi selvatici. Il ritrovamento, per la prima volta in Sardegna, di un mascellare ed un temporale umano, fanno supporre che l uomo stesso con l attività di caccia, sostituendo i predatori naturali che non sono stati documentati fra i resti faunistici della valle, abbia consentito una selezione della specie impedendo al cervo di diventare nano. Lo scavo della grotta ha restituito una particolare industria litica in calcare locale, composta da raschiatoi, bulini ed altri strumenti scheggiati che nell esposizione vengono illustrati anche graficamente, e frammenti ceramici del Neolitico medio con decorazione impressa. Seguono reperti in ossidiana e in osso che testimoniano i vari momenti di frequentazione e la graduale evoluzione nella tecnica di 17

Fig. 8. Oliena, Grotta Corbeddu. Ricostruzione della stratigrafia con la fauna e i materiali archeologici. realizzazione di strumenti prodotti per le diverse attività. La frequentazione della grotta è attestata fino al Bronzo antico con il rinvenimento, nella parte più esterna, di strumenti litici, tripodi e ciotoloni con ansa asciforme tipici della fase più antica della Cultura di Bonnanaro che si colloca nella fase finale del Bronzo antico (1800 a.c.). Pannelli didattici Pannello che illustra la cronologia dei vari complessi faunistici del Monte Tuttavista. Pannelli che illustrano le cave di materiale lapideo del Monte Tuttavista dove si rinvengono i giacimenti paleontologici. Pannello che illustra le tecniche di recupero e di preparazione dei reperti fossili in cantiere. Pannello dedicato alla Grotta Corbeddu che illustra la pianta e la trincea dello scavo nella sala 2. 18

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Sala II L esposizione dei materiali, a testimoniare l uso delle grotte da parte dell uomo nel territorio nuorese, continua nella Sala II, nelle vetrine, a partire dal lato destro, con i materiali neolitici provenienti dalla Grotta Rifugio e dalla Grotta del Guano nel territorio di Oliena. Un sintetico pannello didattico illustra le peculiarità della cultura materiale e dei contesti archeologici del Neolitico. La quantità e qualità dei materiali vuole sfatare un radicato preconcetto che attribuisce ai territori delle zone interne fenomeni di attardamento ed isolamento culturale in considerzione della semplicità degli impianti planimetrici delle tombe ipogeiche, prive delle decorazioni simboliche che caratterizzano le necropoli della Nurra, del Logudoro e dell Iglesiente. Si ritiene che le scelte architettoniche siano state in parte condizionate dalle rocce difficili da lavorare e soprattutto da un rituale diverso che predilige sepolture per singoli individui o per piccoli nuclei familiari. Vetrina n. 1 La prima vetrina contiene materiali del Neolitico medio della Cultura di Bonu Ighinu che prende il nome dall omonima grotta nel comune di Mara (SS). Un raffinato vaso a collo cilindrico munito di due anse Fig. 9. Oliena, Grotta Rifugio. Vaso carenato con due anse zoomorfe e superfici con decorazioni tipiche della Cultura Bonu Ighinu (4700-4000 a.c.). 20

Fig. 10. Oliena, Grotta Rifugio. Composizione ideale di collane con elementi in pietra, conchiglie e zanne di animali. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). Fig. 11. Ollolai, riparo sotto roccia di Sa Conca Fravihà. Idoletto fittile femminile acefalo. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). 21

Fig. 12. Oliena, Grotta del Guano. Idoletto fittile femminile. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). con appendici raffiguranti teste di animale stilizzate impostate sulla carena, segnata da due file di punti impressi. Le superfici, lucidate a stecca, sono decorate da festoni e triangoli pendenti e da elementi uncinati che potrebbero voler rappresentare una testa di muflone. Appartengono allo stesso ambito culturale le ciotole e le tazze decorate da tacche impresse che segnano l orlo e la carena del vaso. Segue l esposizione di punteruoli e spatole in osso, alcune collane, ricomposte idealmente, fatte con vaghi di molluschi, zanne di cinghiale o con l alternanza di piccoli dischi forati in pietra di colore diverso. Dal grande riparo sotto roccia di Sa Conca Fravihà di San Basilio di Ollolai proviene l idoletto fittile, a placca, di una divinità femminile, mancante della testa, con due seni ben evidenziati che rimandano simbolicamente ai riti della fertilità che si svolgevano nel sito di rinvenimento. Un altro idoletto fittile, proveniente dalla Grotta del Guano, rappresenta un viso dai tratti animaleschi che giustificano la denominazione di dea pipistrello. La grotta, frequentata da una colonia di pipistrelli che hanno lasciato abbondanti quantità di guano (da cui deriva il nome), ha restituito abbondanti resti di vasi del Neolitico finale che, per le loro forme e dimensioni, fanno ritenere che all interno della grotta si svol- 22

Fig. 13. Ilbono, necropoli ipogeica di Scerì. Testa miniaturistica di idolo femminile in osso. Neolitico medio (4000 a.c.). gessero anche riti religiosi. Un terzo idoletto miniaturistico in osso, proveniente dagli ipogei presenti sotto il Nuraghe Scerì di Ilbono e del quale si conserva solo la testa, presenta le stesse caratteristiche degli idoli Bonu Ighinu, già noti in altri areali della Sardegna, rappresentati con un particolare copricapo. Gli idoletti esposti costituiscono dei rari esempi di rappresentazioni della divinità femminile che non rientrano negli abituali rituali funerari e cultuali documentati nel Nuorese dove, finora, mancano esempi di idoli volumetrici, schematici a placca intera o a placca traforata diffusi nelle altre aree della Sardegna. Nella stessa vetrina sono esposti resti di graminacee provenienti dalla Grotta del Guano che attestano la pratica dell agricoltura da parte dell uomo neolitico che, dopo la rivoluzione agricola, si insediò stabilmente anche nelle zone più interne del Nuorese privilegiando vallate attraversate da corsi d acqua e zone collinari. Vetrina n. 2 La fase finale del Neolitico è rappresentata, nella vetrina, da vasi d impasto provenienti dalla Grotta del Guano e da due singolari vasi in pietra; si tratta di un vaso su piede proveniente da una tomba ipogeica 23

Fig. 14. Oliena, tomba ipogeica di Su Avagliu. Vasetto in pietra biansato con piede ad anello. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). di Su Avagliu (Oliena) e da un piattino in clorite scoperto nella Valle di Locoe, nel territorio di Orgosolo, dove si conserva l omonimo ipogeo, scavato in un trovante di roccia, ed i resti di un altro ipogeo con un antropomorfo capovolto inciso sulle pareti granitiche. Il piattino ha le superfici interne ed esterne decorate con un fitto motivo a spirali incise e figure geometriche angolate disposte in modo irregolare su tutte le superfici. I materiali ceramici del Neolitico finale provenienti da diverse località del territorio della provincia di Nuoro, ripropongono le forme diffuse in tutta l Isola: vasi a cestello, vasi biconici con anse a tunnel o sottocutanee, pissidi con peducci, vasi a collo cilindrico distinto, tripodi di varie dimensioni, e dei pithoi per conservare derrate. Vetrina n. 3 Il repertorio ceramico del Neolitico si completa con i materiali provenienti dalla necropoli di Su Monti di Orroli nel Sarcidano che, per la sua posizione centro-meridionale, presenta nella tipologia dei manufatti molte affinità con i materiali del Cagliaritano. I vari tipi di vasi colpi- 24

Fig. 15. Orgosolo, tomba ipogeica di Locoe. Piattino in clorite con superfici decorate a spirali. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). Fig. 16. Oliena, Grotta del Guano. Peso da telaio fittile reniforme con due fori passanti. Neolitico recente (3800-2900 a.c.). 25

26 Fig. 17. Orroli, necropoli di Su Monti. Frammenti di vasi con le decorazioni del repertorio ceramico del Neolitico recente (3800-2900 a.c.).

scono per l esuberante decorazione delle superfici, esterne ed interne, ottenuta con la tecnica ad impressione a crudo, graffita dopo la cottura, con applicazioni plastiche e con l uso di pigmenti naturali. Motivi decorativi ricorrenti sono i festoni pendenti, i triangoli pendenti campiti da piccoli punti impressi, i cerchi concentrici disposti sulle pareti globulari, i festoni impressi con rotelle dentate o punteruoli, evidenziati con particolari effetti cromatici dall uso di ocre e paste a base di caolino. Le decorazioni sono enfatizzate da una accurata lucidatura delle superfici ottenuta con l uso di brunitoi e spatole. Questa ricca produzione ceramica attesta un radicato gusto estetico che va interpretato come la conseguenza di un rassicurante tenore di vita che consentì all uomo di rivolgere la sua attenzione agli aspetti funzionali ed estetici dei manufatti, alla costruzione di tombe ipogeiche che traevano ispirazione dall architettura abitativa e alle rappresentazioni simboliche di divinità maschili e femminili che interpretavano i cicli vitali della natura e rimandavano ai riti della fertilità. Le vetrine dei materiali neolitici contengono una scelta di cuspidi di freccia in ossidiana, lame in selce, asce in pietra con una ricostruzione dell antico sistema di immanicatura. Tra i materiali neolitici sono presenti alcuni strumenti di lavoro di uso quotidiano come una Fig. 18. Macomer, necropoli di Filigosa. Ciotole a profilo angolato e tazze mono e biansate. Eneolitico antico (2800 a.c.). 27

Fig. 19. Oliena, Grotta Rifugio. Vaso pluriansato con superfici decorate da linee impresse e tacche oblique. Eneolitico medio (2600 a.c.). Fig. 20. Nuoro, Villaggio eneolitico in Loc. Su Molimentu. Situle decorate al momento del rinvenimento (2600 a.c.). 28

Fig. 21. Nuoro, Villaggio eneolitico in Loc. Su Molimentu. Situle con decorazione a foglioline e pesi da telaio (2600 a.c.). Fig. 22. Nuoro, Villaggio eneolitico in Loc. Su Molimentu. Situla con decorazioni geometriche impresse sul collo (2600 a.c.). 29

lunga mazza in pietra con impugnatura, un peso da telaio fittile reniforme con due fori passanti e due fusaiole fittili biconiche che testimoniano l arte della filatura e della tessitura. Completano l esposizione un picco da scavo in pietra ed un pestello con resti di ocra rossa proveniente dalla tomba ipogeica di Ianna Ventosa di Nuoro che conserva tracce di pigmenti colorati che originariamente ne ornavano le pareti. Sala II L ENEOLITICO. ETÀ DEI PRIMI METALLI 2800 A.C. Vetrina n. 4 Nella fase di passaggio dal Neolitico all Eneolitico viene documentato in tutta l Isola un cambiamento sostanziale nella scelta dei luoghi di insediamento, ora in posizioni arroccate e fortificate, che apportò conseguenti cambiamenti nell economia e nell architettura. La prima Età dei metalli è rappresentata dalle culture di Filigosa e Abealzu che si affermano nel territorio nuorese lentamente e in modo disomogeneo. La Cultura di Filigosa, dalla eponima necropoli in domus de janas in agro di Macomer, è caratterizzata da una produzione di manufatti prevalentemente inornati che predilige forme di vasi con carene molto marcate, vasi di piccole dimensioni, tazze mono e biansate, vasi a bottiglia, bicchieri. I vasi esposti nella vetrina mostrano chiaramente la scomparsa dell ornato che si riduce a scarse decorazioni graffite, impresse e plastiche. Vetrina n. 5 La successiva vetrina illustra le fasi evolute dell età del Rame con i materiali di Cultura Monte Claro, dal nome dell eponima necropoli scoperta nel centro urbano di Cagliari. I materiali ceramici di questo periodo sono documentati in tutta l Isola ma con evidenti varianti, nelle forme e nelle decorazioni, nel Campidano di Cagliari e Oristano e nel Sassarese. La produzione ceramica del Monte Claro dell Ogliastra e della Barbagia ripropone forme vascolari chiuse ancora legate all Eneolitico antico e caratterizzate da una decorazione detta a foglioline, documentata nella Grotta Rifugio, nel villaggio di Biriai di Oliena e nel villaggio Su Moli- 30

mentu, alle pendici del Monte Ortobene di Nuoro. Le zone più periferiche della provincia, come la necropoli di Su Monti di Orroli e l abitato di Bidu e Concas di Sorgono (dove si conserva la più alta concentrazione di menhirs), restituiscono contenitori ceramici di forma aperta con le superfici decorate a larghe scanalature parallele tipiche degli areali meridionali. Dal villaggio di Biriai, che ha restituito abbondanti materiali di un unica fase culturale pura, provengono numerosi vasi con orlo espanso pluriansati, bicchieri monoansati, un piccolo coperchio con presa decorato da file di punti impressi. La vita e l attività delle donne del villaggio è raccontata da pesi da telaio con una fila di fori passanti nella parte apicale e con superfici decorate da motivi geometrici metopali, da pesi troncoconici con unico foro passante e fusaiole biconiche che testimoniano la lavorazione dei tessuti, prodotti prevalentemente con fibre animali. Allo stesso orizzonte culturale appartiene un vaso ad alto collo proveniente da una sepoltura scoperta nella Grotta Morroccu di Urzulei che si apre in una parete calcarea. La forma a fiasco del vaso rimanda alla Cultura di Fig. 23. Oliena, Villaggio di Biriai. Pesi da telaio fittili con fori passanti e superfici con decorazioni metopali, fusaiole biconiche. Eneolitico medio (2600 a.c.). 31

Fig. 24. Urzulei, Grotta Morroccu. Vaso a fiasco biansato ornato da scanalature parallele sul collo. Eneolitico medio (2600 a.c.). Abealzu, ma le quattro ansette diametralmente opposte e le profonde linee parallele impresse in prossimità dell orlo lo collocano nella Cultura di Monte Claro tipica del Nuorese dove sembrano fondersi aspetti di diverse fasi dell Eneolitico. La lunga permanenza nella grotta ha lasciato sulle superfici evidenti concrezioni calcaree. Vetrina n. 6 Il quadro illustrativo dell Eneolitico si completa con i materiali provenienti dalla necropoli di Sas Concas di Oniferi che si inquadrano nell ambito della Cultura Campaniforme (2300-2000 a.c.). Il complesso di ipogei di Oniferi è fra i più noti della provincia di Nuoro per l articolazione planimetrica e soprattutto per le figurine antropomorfe del tipo a candelabro incise capovolte quasi a voler rappresentare simbolicamente la morte, in modo semplice e incisivo, come il contrario della vita. In altri siti del Nuorese esistono altre figure antropomorfe colte in preghiera o in una danza rituale, come quelle della Grotta del Bue Marino di Dorgali o quelle incise in un masso della spiaggia di Orrì di Tortolì visibile solo con la bassa marea. Seguono due antropomorfi recentemente scoperti in un ipogeo di Locoe a Orgosolo e nella parete del vestibolo della tomba ipogeica di Istevene di Mamoiada. Fra i materiali di Sas Concas sono esposte ciotole emisferiche con superfici decorate a bande parallele e motivi geometrici evidenziati dall uso di paste bianche a contrasto con le superfici scure accuratamente lucidate. I corredi funerari comprendevano cuspidi di freccia in ossidiana con alette oblique, penda- 32

Fig. 25. Collezione Marchi. Vaso di Cultura Campaniforme con decorazioni geometriche a bande parallele. Eneolitico finale (2300 a.c.). gli forati di gusci di molluschi e denti animali, tre placchette litiche rettangolari frammentarie (una proveniente dal Nuraghe San Pietro di Torpè e una dalla Collezione Cabras di Orosei), note con il nome di brassard, con due o tre fori all estremità, che gli arcieri legavano al polso come bracciale di protezione. La stessa vetrina contiene tre bicchieri campaniformi da una collezione privata di Gavoi, con superfici decorate a fasce parallele con triangoli campiti da fitti punti impressi, che ripropongono forme e schemi decorativi del Campaniforme. I vasi a campana sono del tipo internazionale, così definito per la sua presenza in tutto il territorio europeo, diffuso, con le stesse forme e le stesse decorazioni, da gruppi nomadi che divulgarono l arte della metallurgia in tutta l Europa. In Sardegna il vaso campaniforme è documentato in contesti funerari ed associato a deposizioni di Cultura Monte Claro o Bonnanaro, fino alle fasi finali dell età del Bronzo antico. La Cultura di Bonnanaro (2000-1800 a.c.) è documentata nei manufatti del corredo funerario di una sepoltura in grotta (vedi Sala III, vetrina n. 5), ricostruita in una teca che separa le diverse sale. I 33

Fig. 26. Dorgali, Grotta di Sisaia. Ricostruzione della sepoltura e del corredo funerario di una donna con i segni di varie patologie e una trapanazione cranica. Età del Bronzo antico-cultura di Bonnanaro (2000 a.c.). Fig. 27. Particolare del foro di trapanazione in cui è stata reinserita la rondella ossea prelevata in precedenza e perfettamente saldata. 34

resti ossei, trovati in posizione anatomica, appartengono ad una donna sepolta nella Grotta di Sisaia, che si apre su una parete di calcare nella Valle di Lanaitto, nel versante del comune di Dorgali. La donna, contrariamente ad ogni prassi, è stata sepolta da sola con un corredo composto da un ciotolone ansato, un tegame troncoconico biansato e una macina in granito con superfici consumate dall uso. Lo scheletro della defunta presenta chiari segni di paleopatologie: un tumore osseo al coccige, artrosi dorsale e lombare, fratture sull osso del braccio sinistro, un evidente rachitismo e il segno di una trapanazione cranica con una perfetta saldatura della rondella ossea riposizionata dopo l intervento chirurgico perfettamente riuscito. La trapanazione cranica della donna di Lanaitto desta grande interesse anche fra gli specialisti di neurochirurgia perché la donna è sopravissuta molto più a lungo di altri defunti esaminati in Sardegna e in Europa, dove la trapanazione cranica era molto diffusa per motivi terapeutici e per motivi magico-religiosi. Vetrina n. 7 Le fasi finali dell età del Bronzo antico introducono il periodo nuragico, il più noto della civiltà dei sardi che ha lasciato una tale quantità di testimonianze architettoniche da condizionare il paesaggio dell Isola ancora costellata da migliaia di torri. Una grande vetrina contiene un modellino di nuraghe in pietra da Noragugume. I fori praticati sul coronamento per l inserimento di exvoto in bronzo, ricostruiti idealmente nell esposizione, denunciano la sua provenienza da un luogo di culto sconosciuto. Le grandi olle a colletto, le ciotole ed i ciotoloni provengono dagli scavi nel Nuraghe Is Paras di Isili, a pianta complessa, che conserva la camera a falsa volta della torre centrale alta metri 11,50 e annoverata fra le più belle dell Isola. Segue l esposizione di una serie di vasi miniaturistici della Collezione Bussu, provenienti dagli strati nuragici del riparo sotto roccia di Sa Conca Fravihà nel Monte San Basilio di Ollolai, nel quale è stata documentata una frequentazione ininterrotta a partire dal Neolitico medio fino all età del Ferro. Dal sito proviene un gruppo di asce a margini rialzati, una protome cervina e frammentari pugnali. Un altra protome cervina proviene dal territorio di Silanus. Completano l esposizione alcuni lisciatoi provenienti dai nuraghi 35

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Fig. 28. Noragugume, modello di nuraghe in basalto con fori apicali che sostenevano oggetti in bronzo. Età nuragica-bronzo recente e finale (1300-1000 a.c.). Fig. 29. Ollolai, San Basilio. Vasetti miniaturistici. Età nuragica (1200-1000 a.c.). 37

Fig. 30. Ollolai, San Basilio. Protome cervina in bronzo. Età nuragica (1000 a.c.). Fig. 31. Orani, Nuraghe Nurdole. Orgosolo, Nuraghe Sirilò. Lisciatoi litici uno dei quali con fori impervi. Età nuragica (1200-1000 a.c.). Nurdole (Orani) e Sirilò (Orgosolo): dagli ambienti del villaggio di quest ultimo nuraghe provengono una doppia ascia miniaturistica in piombo ed una piccola ascia a margini rialzati con tallone piatto. Vetrina n. 8 La vetrina successiva contiene materiali provenienti dal villaggio santuario di Su Romanzesu (Poddi Arvu), nell altopiano di Bitti. Il sito è noto per la straordinaria concentrazione di tre templi a megaron, un tempio a pozzo con vasca lustrale e una grande area cerimoniale. Dal megaron 2, che in una fase edilizia successiva venne trasformato in un cenotafio (una tomba simbolica dedicata ad un eroe divinizzato), provengono punte e puntali di lancia in bronzo, numerosi resti ceramici, una notevole quantità di vaghi di collana d ambra (una resina fossile arrivata nel santuario nuragico dai lontani paesi baltici, probabilmente attraverso traffici commerciali diretti ed indiretti). La forma e la lavorazione a scanalature parallele rimandano a tipologie documentate nel Polesine, nel Lazio ed in contesti micenei a partire dal 1300 a.c. Dall area cerimoniale con 38

Fig. 32. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Composizione ideale di collane con vaghi d ambra con superfici a scanalature parallele di tipo Tirinto e Allumiere. Età nuragica (1200-900 a.c.). Fig. 33. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Particolare della vasca gradonata per le abluzioni rituali. Età nuragica (1500-900 a.c.). 39

Fig. 34. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Pozzo sacro. Planimetria e sezione. Età nuragica (1500-900 a.c.) (da Archeologia Viva 69, p. 61). 40 Fig. 35. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Tempio a megaron. 1, 5, 11-14, 16, 18-19, 24-25, 30-31, 33-34, 36-38: materiali dall area esterna presso lingresso del vestibolo; 2-4, 6-7, 10, 15, 17, 20-22, 26-29, 35: materiali da vestibolo; 8-9, 23, 32: materiali dalla cella. Età nuragica (1200-900 a.c.)

Fig. 36. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Tempio a megaron. 1, 3, 6, 9-10, 13-14, 20; materiali dall area esterna presso l ingresso del vestibolo, 2, 4, 7-8, 12, 15-17; materiali da vestibolo, b5, 21; materiali dall area esterna; 11, 18-19; materiali dalla cella; 22-26: materiali dalla capanna a sud del megaron. Età nuragica (1200-900 a.c.). Fig. 37. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Punte e puntale di lancia in bronzo. Età nuragica (1200-900 a.c.). 41

Fig. 38. Bitti, Villaggio nuragico di Su Romanzesu. Collo di fiasca del pellegrino a forma di torre di nuraghe. Età nuragica (1000-900 a.c.). un camminamento labirintico proviene il collo a forma di nuraghe, di una originaria fiasca del pellegrino che imita forme di tradizione egeo orientale poco diffuse in contesti nuragici. Vetrina n. 9 Confermano i contatti della Sardegna nuragica con altre civiltà del Mediterraneo i materiali del Nuraghe San Pietro di Torpè costruito nella piana attraversata dal fiume Posada, strategicamente controllata da imponenti nuraghi impostati sulle colline circostanti. La vita nel nuraghe ebbe inizio nel Bronzo medio (1500 a.c.), documentato dai contenitori lavorati con uno strumento a pettine, da olle con orlo ingrossato e da singolari vasi supporto a clessidra. La vita del nuraghe continuò fino all età del Ferro con chiari contatti con l Italia centro-settentrionale, soprattutto con le popolazioni protovillanoviane insediate nelle regioni tirreniche. Uno specchio in bronzo con mani- 42

Fig. 39. Torpè, Nuraghe San Pietro. Vasi su piede troncoconico. Età nuragica (1500-1200 a.c.). Fig. 40. Torpè, Nuraghe San Pietro. Specchio in bronzo con manico traforato lavorato a cordicella. Età nuragica (1000-800 a.c.). 43

co traforato lavorato a cordicella, un pendaglio ed un bracciale a capi aperti esemplificano la produzione bronzea della prima età del Ferro. Dal nuraghe proviene una statuina fittile, realizzata in modo sommario, che probabilmente aveva un significato rituale nelle ultime fasi di vita del monumento. Vetrina n. 10 La vetrina successiva espone vasi d impasto che esemplificano le più note tipologie del repertorio ceramico nuragico: dalle più arcaiche olle a tesa interna, con decorazione metopale, provenienti dalla tomba di giganti di S Altare de Logula di Sarule, ai tegami troncoconici del Nuraghe Monte Idda di Posada, un nuraghe a corridoio costruito su uno sperone di calcare che controlla la sottostante pianura del fiume Posada. La particolare planimetria del nuraghe è il risultato dell adattamento della muratura alla naturale conformazione della roccia che viene integrata nella tessitura muraria. L abbondante quantità di tegami con decorazioni geometriche realizzate con uno strumento a pettine conferma la grande diffusione di questa tipologia ceramica soprattutto nella Sardegna centro-settentrionale, mentre è scarsamente documentata nel sud dell Isola. Segue l esposizione Fig. 41. Posada, Nuraghe Monte Idda. Frammenti di tegami con superfici interne decorate a pettine impresso. Età nuragica (1500-1300 a.c.). 44

Fig. 42. Desulo, Monte Corte. Brocca piriforme decorata a tacche impresse disposte a spina di pesce. Fig. 43. Orani, Nuraghe Sa Monza. Brocche askoidi frammentarie con anse e pareti con decorazioni geometriche impresse. Età nuragica (900-800 a.c.). 45

della brocca piriforme da Monte Corte di Desulo con grande ansa decorata da profonde tacche disposte a spina di pesce, delle brocche askoidi e delle anse a gomito rovesciato provenienti dal Nuraghe Sa Monza di Orani, con superfici ornate da decorazioni impresse che formano motivi floreali e dischi plastici che si inquadrano nelle fasi conclusive dell età del Bronzo e nelle fasi iniziali dell età del Ferro. Sala III Vetrina n. 1 La Sala III inizia con una vetrina composta da oggetti di varia provenienza esposti con l intento di ricostruire tutta la strumentazione impiegata nel laboratorio di un artigiano nuragico dedito alla lavorazione dei metalli. La materia prima è rappresentata da diversi frammenti di pani o Fig. 44. Composizione di vari strumenti utilizzati in una antica officina fusoria con i principali metalli usati per la composizione della lega di bronzo. Provenienza varia. Età nuragica (1200-900 a.c.). 46

lingotti di rame a forma di pelle di bue (Villagrande Strisaili), noti col nome di oxide-ingot, che rimandano a modelli diffusi nei paesi dell Egeo e del Vicino Oriente: le panelle circolari, piano convesse, rappresentano la tipologia più diffusa nell attività fusoria e nella tesaurizzazione del rame nel periodo nuragico. Fra gli strumenti è presente un crogiuolo d impasto (Torpè) con frammenti di rame e di stagno (Villagrande Strisaili) componenti la lega del bronzo, una matrice di fusione (Nuoro) usata per produrre in serie diversi strumenti di lavoro, una molla ed una paletta che l artigiano fusore usava per governare il fuoco della fucina. Una navicella con protome bovina (Lula) ed un toro (Lodine) sono stati realizzati con la tecnica della cera persa che rendeva ogni oggetto unico. La vetrina contiene inoltre un grande lingotto discoidale di piombo con due fori centrali che facilitavano il trasporto ed un altro pane di piombo frammentario di forma subellitica più comune. Il piombo, poiché fonde a basse temperature, era molto usato nella produzione di grappe o colate per tenere aderenti gli elementi architettonici, per fissare i bronzi votivi negli appositi basamenti in pietra per le offerte e, più raramente, per la produzione di piccoli animali o navicelle. Studi recenti hanno dimostrato che i nuragici sperimentavano la formazione di leghe di bronzo sostituendo, in diverse percentuali, lo stagno con il piombo proveniente dai ricchi giacimenti di galena presenti in tutta l Isola. Il procedimento consentiva così di limitare il consumo dello stagno che, non Fig. 45. Oliena, Grotta Su Benticheddu. Orlo di bacile in lamina bronzea con attacco a tripla spirale e anello da presa. Età nuragica (1100-900 a.c.). Fig. 46. Oliena, Grotta Su Benticheddu. Orlo di bacile in lamina bronzea con attacco rettangolare decorato e anello da presa. Età nuragica (1100-900 a.c.). 47

Fig. 47. Oliena, Villaggio di Costa Nighedda. Navicella in bronzo con protome bovina e scafo sostenuto da quattro peducci e con anello di sospensione. Età nuragica (1000-900 a.c.). Fig. 48. Oliena, Villaggio di Costa Nighedda. Anellone in bronzo. Età nuragica (1000-900 a.c.). 48

essendo presente in Sardegna, veniva importato, con difficoltà, dai lontani paesi produttori d Oriente e d Occidente. Vetrina n. 2 L abilità dei nuragici nella lavorazione dei metalli è ben rappresentata da due bacili in lamina bronzea, provenienti dalla Grotta Su Bentigheddu (Oliena), uno dei quali conserva l orlo con maniglie con attacco a tripla spirale, di tradizione cipriota, e l altro l orlo con placca rettangolare. La vetrina contiene una pregevole navicella in bronzo, con protome bovina e lo scafo sostenuto da quattro peducci, che poteva essere tenuta con un anello di sospensione. Segue l esposizione di una collana formata da diversi elementi biconici ricomposti idealmente, di pugnaletti, di bottoni a calotta, di un anellone e di bracciali provenienti da una capanna dell insediamento nuragico di Costa Nighedda di Oliena. Vetrina n. 3 L esposizione museale prosegue con la vetrina dei materiali provenienti da Su Tempiesu di Orune, uno dei più noti luoghi di culto nuragici della provincia di Nuoro. La fonte sacra è costruita in opera isodo- Fig. 49. Oliena, Villaggio di Costa Nighedda. Pugnaletto-pendaglio ad elsa gammata. Età nuragica (1000-900 a.c.). 49

Fig. 50. Orune, Fonte sacra di Su Tempiesu. Veduta del tempio e del bacino per la raccolta dell acqua che scorreva dal pozzo. Età nuragica (1200-900 a.c.). Fig. 51. Orune, Fonte sacra di Su Tempiesu. Composizione di una tavola per l esposizione dei bronzi votivi che venivano fissati nei fori con colate di piombo. Età nuragica (1100-900 a.c.). 50

Fig. 52. Orune, Nuraghe Santa Lulla. Figura in bronzo di offerente cantore. Il viso mostra caratteri negroidi e le gambe flesse sono ancora inglobate nell originaria colata di piombo che le fissava sulla base per le offerte del vicino tempio di Su Tempiesu. Età nuragica (1000-900 a.c.). ma con blocchi di rocce vulcaniche disposti a filari regolari rispettando impianti idraulici già noti: vestibolo a pianta rettangolare con panchina laterale, piccola scala trapezoidale strombata all esterno, vano circolare ipogeico con copertura a tholos che racchiudeva in profondità l acqua sorgiva. Gli architetti del tempio di Orune, pur rispettando l impianto planimetrico dei templi a pozzo, hanno elaborato moduli architettonici nuovi realizzando una struttura sopra suolo che si sviluppava in altezza per m 6,65 con una copertura a doppio spiovente. La facciata ha un timpano delimitato da una cornice in rilievo con vertice formato da un blocco trapezoidale che reggeva, in origine, venti spade votive in bronzo infisse negli appositi fori da colate di piombo. Da un pozzetto votivo esterno che riproduce, in scala minore, quello superiore e dall area circostante destinata ai pellegrini, provengono i bronzi esposti nella vetri- 51