Intermediazione finanziaria Cd. mini class action Litisconsorzio facoltativo Mancanza di connessione Inapplicabilità.



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Tribunale di Padova Pres. M. Farini, Rel. D. Bruni 22 settembre - 13 gennaio 2006. Segnalazione dell Avv. Lorenza Bergamo Intermediazione finanziaria Cd. mini class action Litisconsorzio facoltativo Mancanza di connessione Inapplicabilità. No vi è rapporto di connessione tale da giustificare il processo litisconsortile tra le domande avanzate da più investitori contro lo stesso intermediario ove l apparente identità del petitum muova da titoli distinti, diversi essendo i singoli atti di acquisto nonché il contratto di negoziazione sottostante; né vi è necessaria coincidenza delle questioni da risolvere per il fatto che il contenzioso attinga alla medesima materia della intermediazione immobiliare. Litisconsorzio facoltativo Mancanza di connessione tra le domande Inammissibilità Insussistenza. La violazione della norma di cui all art. 103 c.p.c., dovuta a mancanza di connessione tra le domande, non comporta la inammissibilità delle stesse ma solo la necessità di una distinta pronuncia sul merito di ciascuna di esse. Intermediazione finanziaria Violazione dei doveri informativi - Nullità e annullabilità degli ordini di negoziazione Contestazioni relative alla esecuzione dell ordine ex art. 16 Raccolta Usi Unificati di Borsa Inapplicabilità. Non è fondata l eccezione di decadenza ex art. 16 della Raccolta degli usi unificabili di borsa -la quale dispone che le contestazioni relative all'esecuzione di ordini devono essere proposte prima dell'inizio della riunione di Borsa successiva al giorno in cui l'avviso di esecuzione, o di mancata esecuzione, giunge all'indirizzo del committente- qualora l investitore deduca la nullità, l annullabilità ovvero l inefficacia degli ordini dovuta alla violazione delle norme sui doveri di informazione. Intermediazione finanziaria Titoli destinati ad investitori istituzionali Offering circular Negoziazione sul mercato secondario Ammissibilità. L assenza di prospetto informativo di titoli riservati ai soli investitori istituzionali impedisce agli intermediari autorizzati di sollecitare il pubblico all acquisto dei titoli ma non di negoziarli ai propri clienti sul mercato secondario nella fase successiva al loro collocamento. Intermediazione finanziaria Violazione dei doveri di comportamento dell intermediario Nullità Insussistenza Risarcimento del danno. E indubbia la natura collettiva degli interessi sottesi alle previsioni degli artt. 21 del T.U.F e 26, 28 e 29 del reg. Consob n. 11522/98. All interprete non è tuttavia consentito generalizzare la sanzione della nullità espressamente prevista dal legislatore solo per ragioni di forma ed in presenza dell espresso riferimento dell art. 23 T.U.F. ai "giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi dì investimento", espressione questa che rivela l'intento di colpire non il contratto, ma la condotta dell'intermediario. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'atto di citazione come sopra notificato T. L., unitamente a C. S., G. M., S. M. C., F. N. e F. F., premesso di essere contestatario, unitamente al fratello, del e/e n. 2834N e del conto deposito titoli n. 443969 presso Banca Antoniana Popolare Veneta, la conveniva in giudizio per sentire dichiarare la nullità, l'inefficacia ovvero l'annullabilità degli acquisti di obbligazioni Cirio effettuati, il primo in data 7 agosto 2001 per l'importo di eu. 36.607,19 ed il secondo in data 14 novembre 2001 per l'importo di eu. 15.901,89. Rappresentava che gli investimenti gli erano stati proposti da funzionari della convenuta, i quali avevano sottolineato l'alto tasso di interesse e la serietà dell'emittente, ma che non gli era stato rilasciato alcun prospetto informativo o fornite comunque informazioni sul titolo e sul profilo di rischio: il successivo 18 febbraio 2003 gli era stato comunicato il mancato pagamento delle cedole ed in data 1 aprile 2004 egli aveva

presentato un esposto presso la locale Procura. Premesso quanto sopra e premessa altresì una ricostruzione della vicenda del Gruppo Cirio, veniva lamentato che le obbligazioni compravendute facevano parte di un prestito obbligazionario privo di rating, emesso in Lussemburgo e riservato ad investitori istituzionali e pertanto con divieto di vendita al pubblico: tanto era stato taciuto all'attore con conseguente violazione dell'art. 94 T.U.I.F. cioè degli obblighi gravanti sugli emittenti che effettuano una sollecitazione all'investimento. Veniva inoltre dedotta la nullità, e l'obbligo di risarcimento del danno per violazione di numerose norme imperative in specie degli articoli 21 e 28 TUIF, da cui emergeva l'obbligo degli intermediari di agire con diligenza, correttezza e trasparenza ed in particolare dì un obbligo di informazione in duplice senso: prestare ai clienti un'informazione sugli strumenti finanziari, sui servizi nonché sui prodotti offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire sia acquisire dall'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, la sua propensione al rischio facendo risultare dal contratto o da apposita sottoscrizione dell'investitore l'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste. Si sottolineava altresì che ai sensi dell'art. 29 Reg. Consob gli intermediari avevano l'obbligo di astenersi dall'effettuare, con o per conto degli investitori, operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione sicché l'ordine dell'investitore di dar comunque corso all'ordine richiedeva la forma scritta. Veniva poi dedotto che la convenuta aveva operato in spregio dell'art. 27 del reg. Consob e precisamente in conflitto di interessi con il cliente, perché collocando i titoli Cirio aveva contribuito a ridurre il debito complessivo di quest'ultimo verso le Banche e che inoltre il comportamento tenuto dalla Banca era inficiato da dolo perché la conclusione del contratto era stata favorita da omissioni e da utilizzo di espressioni che facevano apparire l'offerta come sicura e vantaggiosa. Da ultimo veniva dedotta una responsabilità precontrattuale della Banca che aveva violato l'obbligo di diligenza e di buona fede nelle trattative omettendo di dare tutte le indicazioni necessarie a consentire una determinazione consapevole ed informata del cliente. Si costituiva la Banca Antoniana Popolare Veneta contestando anzitutto la ricostruzione in fatto dell'attore: in particolare rilevava che l'investimento in obbligazioni Cirio non era stato consigliato, ma era stato richiesto dallo stesso T. al quale erano state fornite tutte le informazioni sulla natura del titolo, sulle sue caratteristiche nonché sui rischi dell'operazione che peraltro era in linea con la sua precedente operatività in titoli. Veniva sottolineato altresì che l'attore non aveva inteso rilasciare alcuna informazione sulla sua situazione finanziaria né in occasione della firma del contratto di negoziazione in valori mobiliari né successivamente, e che tra le avvertenze degli ordini di acquisto sottoscritti figurava l'avviso "obiettivi dì investimento non dichiarati"; si segnalava altresì che l'attore si recava regolarmente in Agenzia per seguire l'andamento dei propri investimenti sui quali veniva puntualmente aggiornato e che, ciò nonostante, non aveva ritenuto di disinvestire. Ciò premesso, e premesso altresì di essere stata convenuta in giudizio da sei diversi attori sulla

base di quattro rapporti diversi perché facenti riferimento a distinti contratti di negoziazione titoli e correlativi ordini di acquisto, veniva eccepito che non sussistevano i presupposti del processo con pluralità di parti ai sensi dell'art. 103 c.p.c. e chiedeva la declaratoria di inammissibilità di ogni domanda attorea perché intesa ad instaurare un processo litisconsortile in assenza di connessione tra le cause. Sempre in via preliminare veniva eccepita la decadenza delle domande attore sia ai sensi dell'art. 16 della Raccolta degli usi unificabili di Borsa, la quale dispone che le contestazioni relative all'esecuzione di ordini devono essere proposte prima dell'inizio della riunione di Borsa successiva al giorno in cui l'avviso di esecuzione, o di mancata esecuzione, era giunto all'indirizzo del committente, sia ai sensi dell'art. 13 dei contratti sottoscritti dagli attori il quale stabiliva che la documentazione relativa alle singole operazioni eseguite si intende "tacitamente approvata dal cliente in mancanza di reclamo scritto, che dovrà essere trasmesso alla Banca entro quarantacinque giorni dalla data di spedizione della documentazione stessa". In terzo luogo veniva rilevato che nella specie non vi era stata alcuna sollecitazione all'investimento, ma semplice negoziazione dì valori mobiliari per conto terzi, poiché la prima consisteva nell'offerta al pubblico cioè in incertam personam e si caratterizzava per la presenza di molteplici proposte contrattuali, svolte nell'ambito di una campagna promozionale ed aventi un contenuto uniforme e standardizzato senza possibilità di un contatto diretto tra offerente e investitore: conseguentemente non vi era alcun obbligo di predispone il prospetto informativo di cui all'art. 94 TUIF. Nel merito la Banca sosteneva di avere correttamente adempiuto a tutti gli obblighi discendenti dalla normativa in materia perché il T. aveva sottoscritto sia il contratto sia gli ordini di cui era stata rilasciata attestazione cartacea con descrizione della natura e dei rischi dell'operazione, era stata data anche conferma dell'esecuzione, inviati gli estratti conto ed accreditate le cedole. Veniva quindi radicalmente contestato che ogni e qualsiasi violazione delle nonne del TUIF fosse sanzionata di nullità trattandosi invece di regole di condotta il cui mancato rispetto integrava semmai inadempimento. Veniva indi radicalmente negata l'esistenza dì un conflitto di interessi sia ai sensi degli articoli 1394 e 1395 cc. richiamati dagli attori, sia ai sensi dell'art. 21 TUIF, pertinente alla fattispecie, osservando che la Banca non era proprietaria dei titoli che aveva provveduto ad acquistare da terzi sicché aveva operato da mero tramite tra il mercato ed i singoli clienti. Veniva altresì contestata la pretesa annullabilità per dolo rilevando che non vi era stata alcuna condotta maliziosa o ingannatoria della Banca, i funzionari avevano operato con trasparenza e l'attore era consapevole del rischio connesso all'investimento in un titolo con uno spread superiore di tre punti percentuali rispetto al tasso di interesse garantito da titoli di Stato, giusta le avvertenze di cui al Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, sicché l'investimento era stato determinato proprio dall'obiettivo speculativo di conseguire un rendimento doppio. La banca respingeva altresì la pretesa responsabilità extracontrattuale rimarcando ancora che la fase delle trattative si era svolta correttamente e che l'investimento non era mai stato

presentato come "riservato, sicuro e vantaggioso" Per il caso di declaratoria di nullità o di annullamento e di conseguente restituzione di quanto versato, la Banca opponeva in compensazione l'importo delle cedole mentre in caso di condanna al risarcimento del danno chiedeva che il danno fosse quantificato tenuto conto del concorso degli attori che non avevano, pur potendolo, proceduto alla liquidazione dei titoli con quanto già percepito dagli attori a titolo di interessi sul prestito obbligazionario nonché il valore attuale dei titoli stessi. Parte attrice replicava contestando le difese della convenuta che replicava con memoria ex art. 7 DLG. N. 5/2003; infine su istanza degli attori, veniva fissata l'udienza collegiale del 22 settembre 2005 in cui gli attori illustravano le proprie difese come riepilogate nelle comparse conclusionali. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va ricordato che la Banca era stata convenuta in giudizio sia dal T. sia da altri soggetti e che aveva eccepito l'irritualità del processo litisconsortile così instaurato per mancanza di connessione tra le domande attoree in quanto fondate su rapporti distinti. In effetti l'art. 103 c.p.c. postula la connessione tra le domande attore o per oggetto o per titolo, laddove nella specie l'apparente identità del petitum muove da titoli distinti, diversi essendo i singoli atti di acquisto nonché il contratto di negoziazione sottostante, né vi è necessaria coincidenza delle questioni da risolvere per il fatto che il contenzioso attinga alla medesima materia della intermediazione mobiliare. Comunque dalla violazione della norma non discende alcuna inammissibilità, ma solo la necessità di una distinta pronuncia nel merito. Per l'effetto all'udienza del 22 settembre, il collegio preso atto che il contenzioso con i consorti G. e C. è stato estinto giusta reciproca rinuncia agli atti e correlativa accettazione, ha disposto la separazione delle domande introdotte da T. rispetto a quelle delle altre parti (consorti F. e C. M. C.). Ciò posto, va rilevato che con comparsa conclusionale la Banca convenuta ha eccepito la illegittimità costituzionale sia del decreto delegato per eccesso rispetto alla legge delega, laddove ha delineato un nuovo rito a cognizione piena mentre era abilitato solo a concentrare il procedimento e a ridurre i termini processuali e a prevedere la trattazione collegiale delle controversie sia la illegittimità costituzionale dell'articolo 12 della legge delega (n. 366/01) per assoluta mancanza di specificità e indeterminatezza dei principi e criteri direttivi proposti al legislatore delegato. Il collegio osserva che non emerge la rilevanza della questione proposta giacché la convenuta l'ha svolta in conclusionale senza specificare quale menomazione processuale le sia derivata dalla trattazione con il rito societario. Non risultando svolta alcuna lamentela né in ordine al leale e corretto svolgimento del contraddittorio o allo spiegamento di singoli poteri processuali, sul piano delle allegazioni o su quello istruttorio, e dovendosi invece constatare che ciascuna parte ha potuto esporre le sue difese, produrre documenti e proporre prove costituende, non è possibile individuare uno specifico pregiudizio. Ancor meno esso è ravvisabile, in assenza di indicazioni, nella fase della decisione della causa perché le prescrizioni di rito dettate nella specie - deposito di comparse conclusionali e discussione orale avanti al

collegio - sono pressoché sovrapponibili a ipotesi decisorie considerate dal rito ordinario (per es. art. 281 quinquies, 2 c. c.p.c.). L'eccezione di decadenza svolta dalla Banca convenuta è infondata perchè sia l'art. 16 della Raccolta degli usi di borsa sia l'art. 13 del contratto di negoziazione riguardano l'esecuzione degli ordini di acquisto mentre parte attrice ne contesta la validità assumendone la nullità, l'annullabilità ovvero l'inefficacia. Non è possibile dunque applicare una normativa che presuppone la preventiva definizione ed esclusione di ogni profilo attinente alla validità degli ordini. Per converso non è fondato neppure l'assunto di parte attrice secondo cui la Banca avrebbe violato la disciplina del TUIF relativa alla sollecitazione all'investimento. Va considerato anzitutto che la sollecitazione all'investimento, che è definita dall'art. 1, comma 1 lett. t) TUIF come ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari, ha come destinatario un pubblico indiscriminato di soggetti a cui la banca offre il prodotto finanziario che sta collocando. Deve però escludersi che nel caso di specie debbano applicarsi le norme pertinenti alla sollecitazione, di cui all'art. 1, comma 1, lett. t) e 94 TUIF, ricorrendo invece uno dei casi di esenzione come previsto dagli articoli 30, secondo comma e 100, 1 comma lett. a) dello stesso Testo Unico. Va considerato infatti, come risulta dal Bollettino Economico della Banca d'italia n. 41 del novembre 2000, che le procedure di emissione e collocamento dei Bond Cirio sono conformi a quelle adottate "per la maggior parte dei prestiti internazionali emessi dai gruppi italiani nel corso degli ultimi anni"; in concreto si applica la disciplina della direttiva CEE n. 89:929 e gli eurobond sono stati collocati presso la Borsa valori del Lussemburgo o altri mercati OTC (over the counter, cioè telematici) da un consorzio o sindacato di collocamento. Nella specie la fase di prima emissione fu curata da un consorzio internazionale di collocamento di cui Banca Antonveneta non faceva parte (circostanza noncontestata) così come risulta documentato (sub. 15 convenuta) che la Banca ha acquistato sul mercato i titoli richiesti dall'attore. Infatti mentre i titoli proposti sull'euromercato sono riservati a soli investitori istituzionali, proprio perché accompagnati da un documento informativo semplificato (c.d. offering circular), l'assenza di prospetto informativo impedisce agli intermediari di sollecitare il pubblico a comprare i titoli, ma non di venderli ai clienti dopo che siano stati già collocati nel mercato secondario: ivi infatti la circolazione delle obbligazioni è pur sempre regolata dalle norme che governano la compravendita di titoli già emessi ed i servizi di investimento sicchè l'investitore retail non è per ciò stesso privo di tutela. All'intermediario è consentito sia di negoziare i titoli per conto terzi, acquistandoli in borsa o in mercati organizzati, oppure per conto proprio come accade per i titoli di frequente richiesta, ma non quotati, di cui l'intermediario preferisce tenerne una scorta e negoziarli direttamente con i clienti. Tale ultima modalità è regolata dalla Consob che ha imposto l'organizzazione di un sistema di scambi organizzati con cui il pubblico viene informato dei titoli disponibili e dei relativi prezzi. Nel caso di specie il comportamento della Banca, che ha acquistato i titoli da terzi per rivenderli

al T., non rivela alcuna violazione delle norme sulla "sollecitazione all'investimento", ma va invece verificato in rapporto alla normativa applicabile ai servizi di investimento. Ciò posto, e venendo in particolare al difetto di informazione lamentato, la previsione dell'art. 21 lett. b) TUIL, che impone ai soggetti abilitati di "acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che siano sempre adeguatamente in-formati" è stata integrata dall'art. 28 del reg. Consob n. 1152211998 il quale dispone `Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all1lllegato n. 3. Tali obblighi sono rinforzati dal comma 2 Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento. L'art. 29 del regolamento in esame integra la tutela imponendo agli intermediari l'obbligo di astenersi "dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, frequenza, dimensione"; a tal fine essi devono tener "conto delle informazioni " di cui all'art. 28, (acquisite con la consegna del documento sui rischi generali) sia di ogni altra informazione disponibile". Il terzo comma dell'art. 29 prosegue prescrivendo Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni por cui non opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. La Consob, con comunicazione n. D1/73030396 dei 21 aprile 2000, ha precisato che gli intermediari non sono esonerati dall'obbligo di valutare l'adeguatezza della obbligazione disposta dal cliente neppure nel caso in cui egli abbia rifiutato di fornire informazioni sulla propria situazione patrimoniale e finanziaria sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio e che nel caso la valutazione andrà condotta tenendo conto di tutte le notizie di cui l'intermediario sia in possesso (età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività,situazione di mercato). Venendo al caso concreto va considerato che il contratto di negoziazione risulta sottoscritto in epoca imprecisata; dalla scheda allegata al contratto emerge che gli obiettivi di investimento

non sono stati raccolti; non risulta consegnato il documento sui rischi generali di investimento; gli ordini di acquisto del 2001 dimessi recano l'avvertenza "obiettivi di investimento non rilasciati". Deve considerarsi non contestato quanto altresì precisato dalla difesa dell'attore: il sig, T. è pensionato, nel 2001 aveva un patrimonio mobiliare di eu. 110.000, frutto dei risparmi della sua vita lavorativa; i titoli Cirio rappresentano la metà della somma totale. Risultano pertanto violate le norme di settore: sia per la mancata consegna dei documento sui rischi generali, sia per il difetto di informazione circa la inadeguatezza dell'operazione rispetto alla situazione dell'investitore, sia infine per la mancanza di specifica autorizzazione all'operazione intrapresa. Va considerato infatti che la mancata comunicazione degli obiettivi di investimento doveva indurre la banca a particolare prudenza attribuendo al cliente un profilo di rischio basso e soprattutto a farsi specificatamente autorizzare rispetto ad una operazione altamente rischiosa solo a considerare la quota proporzionale del patrimonio investito. Le prove orali della Banca sono sia irrilevanti poiché non affrontano neppure tale ultimo profilo sia superflue tenuto conto che la mancata risposta del T. sugli obiettivi di investimento risulta già documentalmente. Ciò posto, deve escludersi che le violazioni in esame integrino ulteriori ipotesi di nullità "virtuale", come ritenuto da altra giurisprudenza di merito. Ed infatti se la natura collettiva degli interessi sottesi alle previsioni dell'art. 21 T.U.F nonché degli articoli 26, 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522/98, è indubbia, va ricordato che però non è consentito all'interprete generalizzare la sanzione della nullità quando il legislatore l'ha introdotta espressamente solo per ragioni formali (mancanza forma scritta) e che lo stesso art. 23 che la prevede, fa riferimento ai "giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi dì investimento" sicché l'espressione rivela l'intento di colpire non il contratto, ma la condotta dell'intermediario all'art. 23 T.U.F. Inoltre, considerato che non vi è alcun nesso necessario tra la conclusione del contratto di investimento ed il canone di comportamento dell'intermediario (potendo esservi gestione prudente ed assennata rispetto ad un contratto non rispettoso delle nonne sull'intermediazione finanziaria), il collegio ritiene di condividere la tesi che la sanzione per la violazione degli obblighi di correttezza debba essere apprezzata sul piano risarcitorio. Ciò posto, va accolta la domanda dell'attore di restituzione del capitale investito oltre interessi legali dal 18 febbraio 2003, data in cui gli era stato comunicato il mancato pagamento delle cedole all'effettivo pagamento. Pur trattandosi di debito di valore non risulta dovuto il risarcimento del danno sotto il profilo richiesto per svalutazione monetaria secondo indici ISTAT, perché la misura del tasso in vigore fino al 31 dicembre 1996 era obiettivamente idonea a coprire sia il danno da perdita del potere di acquisto sia il mancato lucro per l'interesse attivo riconosciuto su depositi bancari di importo consimile. Con l'art. 2, comma 185, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (c.d. finanziaria per il 1997), è stato modificato l'art. 1284 c.c. (reintroducendo dal 1 gennaio 1997 il tasso del 5%) ed è stato previsto il costante adeguamento del saggio legale a mezzo decreto del Ministero del Tesoro «tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell'anno» (infatti con decreto ministeriale del 10 dicembre il

saggio legale è stato ancora abbassato al 2,5% a decorrere dal 1 gennaio 1999). Il tenore del citato articolo induce a a ritenere che la misura dell'interesse legale, così come via via adeguata dal Governo, copra il tasso di inflazione registrato nell'anno. Non risulta neppure un danno per diverso investimento, poiché ritenuto congruo al profilo del T. l'acquisto di obbligazioni di Stato, il rendimento dei buoni del Tesoro si attesta su valori moderati sostanzialmente assimilabili a quelli del saggio legale di interessi dacché esso è fissato in misura variabile (Trib. Palermo, 16 marzo 2005). Da tale importo va però detratto il valore dei titoli quale risultante alla data della pubblicazione della presente sentenza nonché l'importo degli accessori già, corrisposti agli attori. Le spese seguono la soccombenza. omissis