ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TRANI Formazione decentrata permanente IL TRATTAMENTO DEL MINORE NELLE CONVIVENZE MORE UXORIO TRA PASSATO E PRESENTE. Molfetta, 15 dicembre 2015 I diritti del minore nella convivenza more uxorio nell antica Roma con particolare riferimento ad alcuni istituti giuridici che la riguardano di GIUSEPPE SCARDIGNO Avvocato del Foro di Trani Ancor prima di entrare nell argomento oggetto di trattazione è importante un cenno alla nozione di famiglia romana. Fin da epoca remota la famiglia romana è considerata una forte realtà giuridica, economica e religiosa al cui capo vi era il pater familias. La potestas di cui egli godeva era inestinguibile e intrasmissibile e tanto sino all introduzione della Legge delle XII tavole che ne prevedeva la cessazione per perdita della cittadinanza, per emancipazione e quando i figli cessavano di essere nella potestas parentum. Nella famiglia, il padre aveva pieni poteri sulle cose e sulle persone che erano considerate sua proprietà e quindi in suo possesso. A tale proposito è necessaria una precisazione: i figli erano solo in possesso del pater familias e non anche in sua proprietà in quanto divenivano con la morte del pater continuatori e successori del pater familias esercitandone la di essa corrispettiva potestas. Era il pater familias a generare un figlio mentre la donna si limitava a dare forma al seme ricevuto; questo ci suggerisce la considerazione della donna all interno della famiglia considerata dai figli legittimi addirittura una estranea. Alle origini, la famiglia non era intesa come nella concezione moderna (persone legate tra loro da vincoli di sangue) ma rappresentava una sorta di comunanza di vita e di beni all interno della casa. Insomma più un significato di patrimonio che di gruppo di persone. Ora, per un riferimento alla famiglia di fatto nel diritto romano, dobbiamo riferirci al concubinato che secondo la tradizione è definito come la convivenza tra un uomo ed
una donna ma che differisce dal matrimonio per l assenza dell honor matrimonii e dell affectio maritalis e dalle unioni passeggere perché ha il carattere della continuità. Solo con Augusto il concubinato si colloca nel novero delle convivenze autorizzate dal diritto naturale e legalmente riconosciute distinto dalle unioni che configurano lo stuprum (unioni fuori dal matrimonio) e dal matrimonio. Questo perché il concubinato era profondamente radicato nella vita dei romani ed in ogni ceto sociale. A partire da Costantino, con la complice influenza del cristianesimo e della Chiesa particolarmente, le cose dovettero necessariamente cambiare nel senso che il concubinato fu osteggiato in ogni senso e non fu più giuridicamente compreso, introducendo a tal fine previsioni più deteriori per la condizione della concubina ed in particolare sollecitando la trasformazione delle unioni da concubinato in matrimoniali. I primi concilii della Chiesa Cattolica sono espressione indelebile di tale tradizione, dal concilio di Toledo del 400 d.c. che aveva previsto il matrimonio presunto a quello di Trento che introduce il matrimonio formale, ossia la pressione sui fedeli perché facciano benedire dal vescovo la loro unione con l avvio in questo modo della celebrazione canonica del matrimonio ritenendo tutte le altre unioni non benedette formalmente illegittime. Solo Giustiniano tornerà a dare tolleranza alle unioni permanenti tra persone di sesso diverso non caratterizzate dall honor matrimonii né dall affectio maritalis riservando considerevole spazio all interno del Digesto. In tema di concubinato il diritto romano usa termini differenti per rappresentare diverse tipologie di convivenze more uxorio quali paelex, concubina amica e conturbenales. In origine, la Paelex è la donna che convive con un uomo al quale non è legata da iustae nuptiae e differisce dalla concubina perché non è solo strumento di piacere ma vive nella casa del suo compagno avendone cura di lui, senza essere sua moglie. Successivamente verrà identificata come colei che ha rapporti sessuali di carattere continuativo con un uomo sposato ad altra donna. Il termine concubina è usato per definire una gamma di unioni tutte in matrimonii causa diverse tra loro.
Il termine amica invece indicava le convivenze meno dignitose tra le ipotesi di concubinato. Il termine contubernalis indica invece la relazione sessuale continua tra schiavi. Giustiniano dedica ampio spazio all interno del Digesto al tema della convivenza more uxorio dedicando un intero titolo De concubinis. In questo periodo la concubina è la liberta che convive con un patrono e tale unione viene inserita all interno della sfera del matrimonium iuris civilis accanto alla confarreatio, coemptio ed usus quali giuste nozze pur essendo un matrimonio privo di forme e dunque una unione extramatrimoniale. I giuristi romani non hanno proceduto ad una sistemazione dei requisiti di validità del matrimonio, hanno invece indicato quali matrimoni sono permessi e quali sono colpiti da divieti. Il concubinato è avvicinato al matrimonio; si differenzia da questi solo per la mancanza del requisito dell honor matrimonii. Va ribadito che nel diritto romano il riconoscimento o meno dell unione extramatrimoniale ha una importanza notevole, non solo per i diritti garantiti ai conviventi ma soprattutto per gli effetti sulla prole generata. Dunque Giustiniano se da un lato mostra tolleranza alla convivenza more uxorio dall altra la condanna. Ora passiamo alla verifica dei diritti del minore nella separazione, non senza un cenno al matrimonio ed al divorzio nel diritto romano da cui trarre i diritti dei minori nel caso di cessazione della convivenza. I giuristi romani non hanno proceduto ad una sistemazione di quelli che per noi sono i requisiti di validità del matrimonio, intesi come la specifica capacità di contrarre matrimonio. Tali requisiti sono raggruppati nel concetto di conubium vale a dire la capacità di contrarre matrimonio tra gli appartenenti a civitates diverse. In base a tale concetto un cittadino romano può sposare una straniera ed i figli nati da tale unione sono considerati legittimi, liberi e cittadini di Roma; nel matrimonio oltre al consenso tra gli sposi serve anche quello del pater familias.
Altro requisito essenziale è l affectio maritalis. In base a tale concetto, si distinguono il matrimonio cum manu concluso nelle forme del diritto civile ed il matrimonio sine manu fondato sulla semplice volontà reciproca di essere marito e moglie. Altro requisito richiesto era l età imposto da Augusto (la lex Iulia de maritandis ordinibus del 18 a.c. ed integrata dalla lex Papia Poppea nuptialis del 9 d.c. Augusto, infatti impone agli uomini tra i 25 ed i 60 anni e le donne tra i 20 ed i 50 anni l obbligo di contrarre matrimonio e di risposarsi in caso di vedovanza o di divorzio secondo criteri fissati dalla legge: ad esempio un tempo intermedio di due anni dopo la morte del coniuge e diciotto mesi dopo il divorzio, oppure che la donna non sia sterile; Inesistente è considerato il matrimonio tardivo cioè al di fuori dai limiti di età fissati. Giustiniano impone invece alle donne divorziate il divieto di contrarre un nuovo matrimonio. Il matrimonio contratto validamente poteva sciogliersi solo con la morte di uno dei coniugi. Per il diritto giustinianeo, invece, il matrimonio si intendeva sciolto solo trascorsi cinque anni dalla mancanza di notizie del soggetto fatto prigioniero dal nemico. Naturalmente il soggetto che non avesse rispettato tale termine ed avesse contratto nuove nozze e si vedeva ritornare il coniuge soggiaceva alle pene previste dal divortium sine causa. Il divortium era invece l allontanamento dei due coniugi che avevano condiviso un percorso della loro vita assieme, per vie diverse: divertunt. Quindi l unione si poteva sciogliere o per accordo delle parti oppure per repudium quale dichiarazione unilaterale e ricettizia di uno dei coniugi rivolta all altro diretta a fare cessare il rapporto coniugale stesso. Era previsto il divorzio per bona gratia e per iusta causa. In mancanza di matrimonio le donazioni tra conviventi non sono valide e se effettuate non entrano a fare parte del patrimonio della donna ma vengono avocate dal fisco. I beni indicano il patrimonio del capo casa e si trovano in mano al pater familias. Ora cosa accadeva nel caso in cui un componente lascia il nucleo familiare per formare una famiglia a sé.
Questi beni rappresentavano la dote che diventa di proprietà del marito che a sua volta è tenuto a restituirla alla fine del matrimonio. Ma la disciplina della dote è diversa a seconda del matrimonio se è avvenuto cum o sine manu. Infatti nel matronio cum manu si può azzardare una sorta di comunione dei beni. In questo matrimonio la donna tronca ogni rapporto con la famiglia di origine e quindi perde ogni aspettativa successoria. Ed è a questo scopo che la famiglia di origine le assegna una certa quantità di beni che confluiscono nel patrimonio del nuovo avente potestà sulla donna. Nel matrimonio sine manu il regime giuridico è quello della separazione dei beni comportando che la donna è titolare del proprio patrimonio e lo amministra senza subire ingerenze dal marito. Nel periodo postclassico l obbligo sociale della dote diventa giuridico e con Giustiniano una obligatio naturalis. In caso di morte della moglie la dote resta al marito il quale ne ha l usufrutto mentre essi restando di proprietà dei figli che li acquistano come bona materna. In caso di divorzio ex iusta causa la dote è persa e si devolve al coniuge senza colpa. Quali erano le garanzie giuridiche che seguivano al restituzione dei beni dotali? La restituzione doveva essere immediata per le cose infungibili non stimate: in tre rate se si trattava di denaro o altre cose fungibili o di dosa estimata. Anche se in questa situazione il pericolo più grave era rappresentato dalla dissipazione dei beni dotali da parte del marito. Vengono dunque stabilite delle garanzie per la moglie. Quanto ai beni mobili l interesse della moglie è garantito mediante la valutazione dei singoli oggetti. Con Giustiniano anche le cose infungibili e non stimate vanno restituite immediatamente. E la restituzione in favore della moglie veniva garantita con ipoteca legale iscritta su tutti i beni del marito. Non rientravano nella dote i beni parafernali vale a dire i beni di uso esclusivamente personale oltre ad una piccola somma che venivano comunque concessi in amministrazione al marito ma che restavano di esclusiva proprietà della moglie. Nel caso di seprazione dei genitori o di rifiuto del figlio o di perdita di potestà su di lui, il primo dovere è di provvedere ai più immediati bisogni del pupillo, a partire dal suo sotentamento.
Giustiniano ha dedicato una speciale rubrica del suo Codice: De alimentis pupillo prestandis dove è specificato che tale obbligo incombe sull adottante o sul tutore. Inoltre il minorie ha diritto ad essere difeso, compito che spetta specificatamente al tutore. Particolare rilievo ha la tutela del nome legata al luogo dove il minore vive specie se bambina e tanto è importante ai fini dell educazione ricevuta dalla persona. Ad esempio la donna cui il marito è morto lasciandola incinta; il pretore era tenuto a designare la casa di una onestissima matrona dove la donna resta sino al parto e tre ostetriche devbono procedere all inspectio ventris. Altro compito del tutotore riguardava anche lal educazione e l istruzione che doveva al minore. Con Teodosio (e vi è traccia all interno del diritto giustinianeo) spetta alla madre il ruolo di tutore nel caso in cui sia deceduto il proprio marito facendo fronte con quei beni che le vengono restituiti in caso di separazione, divorzio o morte del proprio marito. Nel caso in cui non ha mezzi economici necessari, il dovere di prestare aiuto ai piccoli grava sui suoi ascendenti, secondo l ordine di chiamata all eredità. L ordinamento romano preveder l obbligo reciproco degli alimenti in caso di povertà o inabilità al lavoro e questo obbligo doveva essere soddisfatto in proporzione alle condizioni economiche dell obbligato. Tanto comprendeva non solo lo stretto necessario alla vita del minore ma anche ciò che serviva a dare al minore una educazione in corrispondenza al suo rango sociale. Tale obbligo morale grava sul genitore anche in caso di separazione di convivenze more uxorio ed in particolare quando questi rivendica il figlio si procede all accertamento della paternità. Il tutore aveva quale obbligo primario quello di amministrare il patrimonio del pupillo, di darne il rendiconto e di essere autorizzato dal magistrato ad alienare o dare in pegno i beni del pupillo. Era obbligo del tutore avere dei garanti che appunto dovevano garantire eventuali danni che sarebbero derivati al pupillo da una cattiva gestione del suo patrimonio. Infatti con Costantino si afferma a garanzia del crediti del pupillo, il riconoscimento di una ipoteca legale a carattere generale sui beni del tutore.
In conclusione possiamo affermare che l argomento attuale della convivenza more uxorio ha radici profonde nel diritto romano; infatti i romani già applicavano forse inconsapevolmente l estensione analogica delle norme avendo fatto proprie quelle del matrimonio anche nel regolamentare la convivenza more uxorio. Allora come oggi la convivenza che presenta esternamente le stesse caratteristiche dell unione legittima rientra tra le isttuzioni di diritto naturale, diventa istituto tollerato e normato, da Augusto a Giustiniano per il periodo romano, dalla Costituzione alle leggi oggi. In conclusione, come ho sempre sostenuto anche in altri miei interventi precedenti, il diritto romano aveva già regolamentato tutto quello che oggi dopo millenni noi vogliamo far passare quale moderna invenzione giuridica non ultimo la parificazione tra la famiglia legittima ed il concubinato già presente, più ancora di quanto l odierno ordinamento ha sancito negli ultimi sessanta anni.