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Transcript:

TITOLO REGIA INTERPRETI GENERE DURATA PRODUZIONE C'era una volta in America (Once Upon a Time in America) Sergio Leone Robert De Niro, James Woods, Elizabeth McGovern, Tuesday Weld, Treat Williams, Joe Pesci, Danny Aiello Drammatico 218 min. - Colore USA Italia 1984 Nastro d Argento 1985 per migliore regia, per migliore fotografia, per migliore musica, per migliore sceneggiatura, per migliori effetti speciali Il quartiere ebraico della New York anni '20 costituisce il campo delle gesta di una piccola banda di ragazzini. Li capeggiano Max e Noodles, la strada è il loro regno per scippi, furterelli, ricatti al poliziotto di zona e così via. Ma i ragazzi crescono, è l'epoca del proibizionismo e alla cassa comune, che essi hanno in perfetto e leale accordo istituita, affluiscono i proventi delle loro astute esercitazioni e dei loro marchingegni, in un momento in cui tutti sembrano arrangiarsi. Noodles è, tuttavia, da sempre innamorato di Deborah, una graziosa adolescente ebrea, il cui padre gestisce un bar, seria e tenace nel suo intento di studiare e di danzare, per diventare una autentica "star". Il proibizionismo finisce, ma gli affari della banda continuano con successo e con clientela sempre più larga (il vecchio bar del padre di Deborah è stato rilevato, adibito a ciò e trasformato in locale di lusso). Max ha meditato a lungo su di un suo antico progetto, che ora ritiene doversi attuare: l'attacco al furgone dei valori della Federal Reserve Bank, una impresa di eccezionale difficoltà. Noodles, sicuro com'è che essa si concluderà con un massacro, per salvare l'amico preavverte la polizia. Tre banditi resteranno sul terreno. Un giorno egli riceve un inopinato e misterioso invito: è lo sconosciuto senatore Bailey, che lo prega di intervenire ad una festa nella propria lussuosa villa. Sempre diffidente, Noodles cerca Deborah e si reca nel camerino della donna. Trent'anni sono passati. Deborah lo implora di non andare dal senatore, il quale altri non è che Max, di cui lei è l'amante e che ha un figlio: Max, il vecchio amico, che è ormai un carrierista politico ma, al tempo stesso, un finanziere rovinato e sotto inchiesta. Noodles si presenta all'incontro: il suo invecchiato amico, che è davvero nei guai e teme di essere fatto fuori, gli pone davanti una rivoltella, affinché lo uccida dietro un forte compenso, Noodles rifiuta e se ne va.

Oggi hanno chiesto a te di far fuori Joe, domani chiederanno a me di far fuori te. Se questo sta bene a te, a me non mi sta bene Non c è molto da aggiungere nei riguardi di un film che si può considerare uno dei capolavori della settima arte, ampiamente commentato dalla critica, stroncato in America, paese a cui il nostro Sergio Leone rendeva omaggio e cantava il suo affetto, da una distribuzione e uno scellerato rimaneggiamento per poi essere riscoperto e osannato. Tutto è superlativo, dalla fotografia alla musica (l immancabile Morricone), dalla bravura del cast al montaggio (quello originale). Quarant anni di storia ripercorsi attraverso l epo-pea di un gruppo di gangster, in un viaggio avanti e indietro nel tempo attraverso le sottili nebbie del dubbio di un illusione, di un sogno. Un film che va visto da chiunque manifesti di apprezzare il cinema, sia pure come intrattenimento. Un buon lavoro insomma anche se forse era possibile fare ancora di più. Forse pretendiamo troppo, ma è difficile non sentirsi esigenti quando si parla di un pezzo di storia. Critica: La bellezza, la poesia, la violenza. In una parola: C era una volta in America. Il capolavoro di Sergio Leone che ebbe una gestazione, quasi ventennale e che fu per Sergio Leone, una sorta di testamento spirituale. Da geniale affresco sull apprendistato di un gruppo di delinquenti del Lower East Side di New York negli anni 20, il film è cresciuto come metafora della vita, del rapporto fra i sessi, del peso della memoria, dell imprescindibilità della violenza. In questa ricerca del tempo perduto Leone celebra la grande storia dell America metropolitana. Le origini della violenza sulle strade vista con gli occhi di un europeo e il suo dilatarsi fino a diventare epica nella letteratura e nel cinema. In C era una volta in America, Sergio Leone rende omaggio a un certo cinema americano. E, per molti aspetti, lo supera. Tanto da essere diventato, per il genere western urbano, quello che Ombre rosse resta per il western della nuova frontiera: un modello insuperato. Un cast d eccezione: eccelso Robert De Niro, drogato, fallito, destinato alla sconfitta. Magnifico James Wood, suo complice e rivale, forse mai più così bravo. Perfetti Danny Aiello, Joe Pesci, Treat Williams.

L incontro fra l aspirante star Deborah (Elizabeth McGovern) e il gangster Noodles (Robert De Niro) è una delle pagine chiave del film. «Hai aspettato molto?», chiede uscendo dal teatro la bellissima Deborah, splendida in abito bianco. «Tutta la vita», risponde Noodles, che l aspetta con macchina e autista. E via verso Long Island. «Volevi un ristorante sul mare? Fuori stagione sono chiusi e questo l ho fatto aprire per te. I tavoli sono tutti apparecchiati per due. Scegli quello che vuoi». Sorpresa, abbagliata, ma non intimidita da tanto lusso, Deborah sceglie un tavolo. I camerieri si precipitano e sollecitano le ordinazioni in francese. Lei risponde con sicurezza e intanto un orchestrina con i musicisti in calzoni e camicia marrone alla cosacca intonano Amapola. Tutto è bianco, luminoso, dorato. «Però. Sei libera. Conosci il nome dei piatti. Rispondi in francese. Chi ti insegna tutto questo?», Osserva Noodles che ogni sera, in prigione, leggeva la Bibbia e pensava a Deborah ragazza quando gli leggeva il Cantico dei cantici. «Tu sei la sola persona di cui mi sia mai importato. Ma so che mi vorresti chiusa in casa e che getteresti la chiave, è vero?». «Sì», risponde lui. «Il guaio è che io ci starei volentieri. Ma il guaio è che ho dei progetti». «E io ci sono nei tuoi progetti?». «Il guaio è che io voglio arrivare in cima. Domani devo andare a Hollywood e ti ho voluto vedere stasera per dirtelo. Vuoi che me ne vada?». «No, non voglio che tu te ne vada». «Balliamo?», propone lei. «Mi inviti?». «Ti invito». «Allora ballo». Come una fiaba, metafora del sogno americano. Un film violento e spietato, tenero e commovente. Ma anche la denuncia di una società corrotta. Tanto che quando uscì nelle sale americane, nel 1984, la censura impose una serie di tagli politici. Franco Montini, L Espresso, 26 agosto 2004 Dal romanzo Mano armata (The Hoods, 1983) di Harry Grey (David Aaronson). All'origine dell'ultimo film di Leone (1929-89) c'è il tempo con la sua vertigine. Come struttura narrativa, è un labirinto alla Borges, un giardino dai sentieri incrociati,

una nuova confutazione del tempo. La sua vicenda abbraccia un arco di quasi mezzo secolo, diviso in 3 momenti: 1922-23, quando i protagonisti sono ragazzini, angeli dalla faccia sporca alla dura scuola della strada nel Lower East Side di New York; 1932-33, quando sono diventati una banda di giovani gangster; 1968, quando Noodles (R. De Niro), come emergendo dalla nebbia del passato, ritorna a New York alla ricerca del tempo perduto. Se il 1922 e il 1932 sono flashback rispetto al 1968, il 1968 è un flashforward rispetto al 1933: il Noodles anziano è una proiezione di quel che Noodles, allucinato dall'oppio, ha sognato nella fumeria. Il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l'america metropolitana (e la storia del cinema su quell'america) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: "Amapola", "Summertime", "Night and Day", "Yesterday". E un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all'analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. E l'america vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell'epilogo quando si rifiuta di uccidere l'ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo. Il produttore Arnon Milchan rimontò e ridusse il film a 2 ore per la versione da distribuire negli USA e fece fiasco. Il Morandini, Dizionario dei film, Zanichelli Ha scritto Godard a proposito del cinema di Ingmar Bergman: Un film di Ingmar Bergman è, per così dire, un ventiquattresimo di secondo che si trasforma e si dilata per un'ora e mezzo. È il mondo fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la gioia di vivere fra due battiti di mani. E ancora: La sua macchina da presa cerca una sola cosa: cogliere il momento presente in ciò che esso ha di più fugace e approfondirlo per dargli valore d'eternità. Di qui l'importanza primordiale del flashback, dato che il movente drammatico di ogni film di Bergman è costituito solo da una riflessione dei suoi protagonisti sul momento e sul loro stato presente. Da Quarto potere in poi, cioè dalla dimostrazione dell'impossibilità dell'interpretazione oggettiva del passato e, contemporaneamente, dell'illimitata possibilità analogica del cinema, questa è la tendenza dominante del cinema moderno: attraverso la storia, cogliere l'attimo, quello che conta davvero, presente.

Ogni film è un rendiconto con carattere di ineluttabilità, anche se nessun film è chiuso nella propria parola Fine, ma da qualche altra parte, tra le pieghe di un'inquadratura. Ogni film è una ricognizione sul passato tesa a stabilire una verità presente; per questo il cinema offre più senso di morte che non di vita. Per questo, in ogni film c'è un ventiquattresimo di secondo che riassume un'esistenza intera, ed è, quindi, dilatabile a un'ora e mezzo o, come nel caso di Leone, a tre ore e quaranta. Il film di Leone è racchiuso tra due fumate d'oppio (la stessa, che ritorna) e tra due frasi che riassumono, se non due secoli di storia, certamente ottant'anni di narrazione cinematografica: quelle di NoodIes vecchio a Moe ( I vincenti si riconoscono alla partenza ) e al senatore Bailey/Max ( Molti anni fa avevo un amico, un caro amico. Lo denunciai per salvargli la vita; invece fu ucciso. Volle farsi uccidere. Era una grande amicizia. Andò male a lui, e andò male anche a me ). L'immagine dilatabile a senso complessivo dell'esperienza di NoodIes è quella, notturna e piovosa, in cui egli, anonimamente mescolato alla folla, vede i cadaveri dei tre amici che ha tradito. Mitch, che cosa facciamo qui Mitch? Andiamocene via, ritorniamo giù al fiume, nel nostro rifugio, balbettava perplesso e morente Robert Stack all'amico d'infanzia Rock Hudson che aveva appena tentato di uccidere. Anche se per Noodles, Max, Patsy, Cockeye, Dominic e Moe l'infanzia non è stata davvero una faccenda del genere andare al fiume (nel senso TomSawyeriano del termine), essa ha comunque il senso mitico dell'innocenza e della purezza di rapporti, sebbene secondo regole di violenza. Il tradimento degli amici è per NoodIes il punto di non ritorno. La rottura del codice dell'infanzia, la fine dell'innocenza. Noodles, che è l'eroe puro per antonomasia, non se ne riavrà mai più. Cosa hai fatto tutti questi anni, Noodles? Sono andato a letto presto. Cinematograficamente (e non solo), non ha vissuto. La scoperta dell'esistenza di una forma ben peggiore di tradimento, quella motivata esclusivamente dalla competitività e dall'arrivismo, non modifica la colpa di NoodIes; ne arrotonda semplicemente la fisionomia, abbinando al carattere della purezza il suo correlato classico, la sconfitta.

Noodles è, banalmente, il più tipico dei loosers, una specie di incrocio tra Billy the Kid, Deke Thornton (che tradisce il mucchio per poi riassumerne gli ideali perdenti) e Cable Hogue, in pazientissima attesa dei compagni che lo hanno tradito. NoodIes e la sua storia sono la summa esplicita delle suggestioni del cinema americano. Tanto esplicita che la classica, sfumata amicizia virile si è trasformata in un lampante amore omosessuale, dove l'atto fisico è mediato per ben tre volte dal rapporto con la stessa donna (Peggy, Carol e Deborah), e dove la dinamica psicologica assegna i tratti della mascolinità positiva a NoodIes (eroismo, purezza, anticonformismo) e quelli della femminilità negativa a Max (isteria, non affidabilità, compromissione). La donna non ha più l'ambiguo ruolo di equilibratore delle tensioni maschili: non riduce l'uomo all'adattamento né, come la Hildy di Cable Hogue, fugge per far fortuna dopo essersi concessa una volta sola. Non si concede mai, in una sorta di abbietta caricatura di Mrs. Miller; abbietta perché è una vincente e perché, a differenza di Mrs. Miller, abbandona la baracca molto prima dell'ineluttabile, tragica conclusione. Non è solo per concomitanza di situazioni e di volti che il dialogo sulla spiaggia tra NoodIes e Deborah ricorda quasi testualmente la notte d'amore tra Monroe Sthar e Kathleen in Gli ultimi fuochi di Kazan. Deborah è un'esplicita rappresentazione della terribile vergine americana di Fitzgerald, non più la donna maltrattata, che solo con la sofferenza e la morte riesce a evirare chi l'ha tradita, ma la donna che maltratta, simbolo di un'america imperialista anziché coloniale, come scrive Leslie FiedIer. Come per Fitzgerald, anche per NoodIes il fascino di Deborah è un'illusione, e la bianca fanciulla, una volta conosciuta da vicino, si rivela una strega bianca, la ragazza d'oro un idolo d'oro. Sulla sua tavolozza bianco e oro compongono un colore sporco; perché la ricchezza non è più innocente, l'america non è più innocente, la ragazza che è l'anima di entrambe è divenuta deleteria e corrotta. Con in più, rispetto all'universo istintivamente adolescenziale di Fitzgerald, la consapevolezza della propria determinazione e della propria corruzione. Ancora: Fat Moe, amico di second'ordine perché privo di coraggiosa iniziativa, come arriva di corsa, ultimo della fila, a salutare NoodIes bambino che entra in carcere, così in una sorta di rivalutazione dell'amicizia silenziosa, rimane l'indistruttibile baluardo di fedeltà. La ninfomane isterica e aggressiva, alla resa dei conti, è più umana, sentimentale e pulita dell'eroina di ferro. Quelli che proclamano ai quattro venti la propria purezza di spirito, come il sindacalista O'Donnell, si compromettono puntualmente con il potere. Non si tratta qui di rivisitazione, ma di esplicitazione totale delle sfaccettature di un universo mitico.

Un'esplicitazione che lavora anche sul terreno propriamente stilistico, attraverso la dilatazione del particolare simbolico e la sottolineatura dei significati psicologici dei movimenti di macchina. Ma, mentre gli snervanti preliminari dei duelli nei western racchiudevano precisi intenti simbolici all'interno delle immagini dilatate di oggetti, volti, particolari, qui il simbolo ha ceduto il posto alla presunta verità che sottende. Il sottofondo è risalito in superficie e gli insistiti carrelli in avanti non sottolineano più una maschera rituale, ma l'essenza, la presa di coscienza, l'incontro con se stessi. Troppo spesso: nei primi venti minuti ci sono almeno cinque zoom o carrelli in avanti, in una marcatura di senso che, nell'eccesso, perde di efficacia. Certo, nel film c'è tutta una vita, ma è una vita che ruota (come Leone stesso sottolinea) intorno a un unico momento; tutto il resto rappresenta il percorso (in avanti o indietro) per arrivare a quel momento conclusivo. L'idea di un film costruito come una lunga soggettiva della memoria del protagonista (che è poi la memoria cinematografica di Leone) è senza dubbio la caratteristica più interessante del fìlm. E va rispettato, in questo senso, lo sforzo compositivo di Leone, il suo rifiuto della successione cronologica realistica del flashback consecutivo, la ricerca tormentosa di suoni e immagini catalizzatori del flusso della memoria. La prima parte del film, il ricordo cruciale di NoodIes e il suo ritorno, composta come faticosa ricostruzione di un puzzie in soggettiva, è indubbiamente un pezzo di cinema di grande intensità emotiva ed efficacia narrativa. Gli scarti temporali sono innescati da tre momenti di lancinante puntualità: lo squillo in primo piano del telefono fuori campo, il passaggio del tempo sul volto di Noodles alla stazione, e, sulle note di Amapola, la fuga all'indietro, questa volta negli occhi di Noodles. Non mancano, anche qui, alcuni eccessi calligrafici: i numerosi carrelli in avanti di cui si è detto e una studiata insistenza sulle reciproche attrazioni degli oggetti su cui sono costruite le dissolvenze incrociate (da lampada a lampione stradale, da fotografia della città a squarcio della città in movimento); ma ugualmente il racconto e le immagini hanno una forte carica

fascinatoria. Poi, i tratti della memoria si organizzano e la successione del ricordo procede per blocchi consecutivi, dall'infanzia in avanti, fino al momento cruciale del tradimento. Ancora una volta, al proprio interno, alcuni di questi blocchi sono ineccepibili; pieno di suggestione e di sottili implicazioni il racconto dell'adolescenza; molto teso, nella sua essenzialità da cinema classico, il ritorno di NoodIes dal carcere; dolorosissima la lunga sequenza del corteggiamento e della violenza a Deborah. Ogni volta che si concludono pezzi della vita, la memoria torna all'oggi, alla ricerca di Noodles della verità sul suo passato. Ma ogni volta il giochetto si fa più macchinoso, anche perché la verità è, cinematograficamente, la più ovvia, anticipata da una quantità di segnali, primo fra tutti l'orologio truffato da Max e NoodIes; e perché lo stesso Noodles, essendo pura creatura di cinema, conosce perfettamente il risultato della sua indagine. C'era una volta in America ha la non insolita caratteristica di vivere per brani separati, mescolati però e collegati da eccessi di ridondanza, ovvietà, frammenti inessenziali. Senza per questo arrivare (come avrebbe potuto, seguendo le divagazioni del ricordo) alla visionarietà. Il kitsch qui, più che frutto di una scelta, come accadeva nei western, sembra casuale, se non, appunto, all'interno dei singoli brani autonomamente conclusi. L'eccesso, allora, rischia di confinarsi esclusivamente all'uso della macchina da presa che, spesso, si sente troppo, indugia sull'estetismo, ripete se stessa. C'era una volta in America sta su un ambiguo confine; è contemporaneamente troppo e troppo poco: troppo lungo, sofferto e articolato per essere un fìlm di genere, è anche troppo esile nel tessuto narrativo e troppo classico in quello iconografico per arrivare alla rottura dei genere e alla decisa anche se nascosta autorialità, per esempio, del Padrino. È musicato con troppo elegante ridondanza, troppo ben fotografato (con inquadrature spesso volutamente ardite ), troppo studiato, proponendosi così con insistenza come film d'autore, e denunciando a più riprese la presenza dell'uomo che sta dietro la macchina da presa, secondo un tratto tipico dei cineasti europei. Un tratto che troppo spesso (e non solo nel caso di Leone) si risolve, soprattutto in presenza di ricchissimi budget americani, in puro estetismo. Rimangono l'onestà con cui Leone analizza l'ambiguità del proprio rapporto con l'immaginario e il cinema americani, un'interpretazione straordinaria di Robert De

Niro, controllato, silenzioso, capace di recitare solo con gli occhi, e alcuni momenti di intensità angosciante. L'improvviso ralenti sottolineato dalla musica con cui i ragazzi si disperdono prima della sparatoria, un puro attimo di western metropolitano, e quel lungo, esasperante battito del cucchiaino contro la tazzina, durante il quale NoodIes dimostra la propria istintiva superiorità morale e carismatica a Max, fanno un po' rimpiangere il film che avrebbe potuto essere. C'era una volta in America avrebbe potuto essere un film delirante e barocco o un'elegante e lucida metafora della violenza, purché Leone avesse selezionato con più rigore i propri materiali mitici ed espressivi, sacrificandone qualcuno alla coerenza interna del film Un'immagine finale forte è indimenticabile: tre, in successione, sono esili. NoodIes guarda la macchina delle immondizie che si allontana. NoodIes guarda passare le automobili con i giovani schiamazzanti a bordo. NoodIes, in flashback, sdraiato nella fumeria d'oppio, guarda in macchina e sorride; sino alla fine, il sovraccarico priva le immagini della loro forza. Emanuela Martini, Cineforum n. 238, ottobre 1984 (a cura di Enzo Piersigilli)