Appunti per un Manuale di critica del testo di Sebastiano Timpanaro



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Appunti per un Manuale di critica del testo di Sebastiano Timpanaro di Annamaria Vaccaro «Se un giorno mi deciderò a scrivere quel manualetto di critica testuale che da tempo vado progettando <» 1. Così Sebastiano Timpanaro, in una lettera del 30 ottobre 1969, confidava ad Antonio Carlini il suo intento di dedicarsi ad un opera espositiva d insieme sulla critica del testo, un «manuale preciserà poi in una lettera dell ottobre 1970 - più didattico che scientifico, il cui pregio sia (caso mai) la chiarezza espositiva, non l originalità metodologica, poiché novità metodologiche di qualche rilievo non ne ho». Ma non si trattava soltanto di un progetto di lavoro: nella lettera appena citata, Timpanaro diceva anche di aver avviato un paio d anni prima, dunque nel 1968, la raccolta dei materiali: «Raccolsi un po di materiale due anni fa, poi interruppi per portare a termine insieme col Pacella l edizione degli Scritti filologici del Leopardi, e da allora, per tutta una serie di impegni minori, non ho più trovato il tempo di rimettermi al lavoro». La riflessione, e i materiali che la accompagnavano, andavano intanto ad arricchire i lavori minori e maggiori usciti negli anni successivi. È del 1974 il volume sul Lapsus freudiano, nel quale l intento polemico contro la dottrina psicanalitica portava lo 1 A. CARLINI, Note sparse sull insegnamento filologico a Pisa e Firenze, «Il ponte» 57, nrr. 10-11, ottobre-novembre 2001 (Per Sebastiano Timpanaro), pag. 136 sg. 1

studioso a trattare parecchie categorie di corruttele; e coglieva nel segno Silvia Rizzo, che, recensendo il libro, annotò: «Abbiamo così in un certo senso un saggio di quello che potrebbe essere il capitolo dedicato alle corruttele nel manuale di filologia classica che sappiamo progettato dall autore» 2. Gli amici, dunque, erano a conoscenza del progetto; ma le poche dichiarazioni di Timpanaro, il loro tono dubbioso, colmo di modestia, e col passare degli anni rassegnato, inducevano a credere non soltanto ch egli fosse ancora ben lontano dalla stesura finale, ma che non fosse andato oltre i primi passi. Rappresenta dunque una piacevole sorpresa trovare tra le carte conservate presso la biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa, sotto la segnatura «Inediti Sebastiano Timpanaro 34», un grosso fascicolo di appunti per un Manuale di critica del testo. Si tratta di circa centotrenta fogli dattiloscritti 3, accompagnati da una cospicua serie di aggiunte a mano, affidate ai margini o inserite in spazi (in qualche caso più di una pagina) inizialmente lasciati in bianco dalla prima stesura dattiloscritta e successivamente colmati da queste annotazioni, talvolta appuntate su altri fogli di minore grandezza, incollati nei punti più diversi delle pagine o sparsi all interno di questo blocco. È palese che il lavoro dovesse essere ancora rivisto, rielaborato, integrato in molti punti. Traspaiono da 2 S. RIZZO in «RFIC» 105, 1977, pagg. 102-105. 3 L autore li numera di capitolo in capitolo, ricominciando cioè la numerazione all inizio di ognuno, ad eccezione del quinto capitolo che prosegue la numerazione del quarto. Una seconda mano (certamente non quella dell autore), ha ricontato e riordinato l intero blocco di materiali, credo successivamente alla scomparsa dell autore, fino al foglio recante il numero 132. 2

queste integrazioni e annotazioni i dubbi dell autore, i suoi ripensamenti, la consapevolezza di dover approfondire l esame di un certo passo, di dover verificare un certo dato. Ma l esposizione è viva, quale raramente avviene nei manuali; e vi ritroviamo il Timpanaro migliore, con la sua eccezionale competenza, la limpidezza del ragionamento, la felicità di molti enunciati. La trattazione è largamente corredata da esempi. Anche questi ci parlano dello studioso e dell uomo Timpanaro, sia ch egli attinga alle proprie letture dei classici, sia ch egli citi gli scritti dei suoi maestri, in primis Giorgio Pasquali ed Eduard Fraenkel. Dietro ogni enunciato metodologico si scorge l esperienza diretta, con la sua ricchezza e la sua avversione a schemi troppo rigidi. Il torso a noi pervenuto si presenta suddiviso in sei capitoli. Il primo, intitolato La tradizione manoscritta: alterazioni e restauri, tratta dei principali fenomeni di alterazione e di differenziazione che i testi subiscono di copia in copia, dei principali tipi di errore e delle cause che li determinano. Troviamo qui, tra l altro, forse la migliore esposizione del concetto di lettura sintetica e degli errori che ne discendono: «Il nostro modo di leggere scrive Timpanaro - specie se il testo ci è abbastanza familiare per lingua e per contenuto, è un modo sintetico. Noi non leggiamo ad una ad una tutte le lettere, ma riconosciamo l aspetto grafico generale di una parola o di un breve gruppo di parole, avendone realmente vedute solo alcune e avendo integrato mentalmente le altre. Ѐ questo il motivo per cui tante volte, correggendo le bozze o leggendo un libro, non ci accorgiamo di un errore di stampa. *<+. Ora, anche 3

quando copiamo, la lettura sintetica ci fa prendere una parola per un altra che abbia in comune tutte le lettere tranne una o due. La confusione accade più di frequente se la lettera diversa è di aspetto simile *<+; ma può accadere anche se la lettera è di aspetto del tutto diverso, proprio perché nella lettura sintetica alcune lettere, più che scambiarle con altre, non le vediamo nemmeno» 4. Il secondo capitolo La tradizione manoscritta: divergenza e convergenza espone in pagine di esemplare chiarezza i concetti di stemma codicum, di trasmissione verticale e orizzontale, di contaminazione. Avverso ad ogni forma di scrittura oscura e preziosa, da lui considerate frutto di civetteria, Timpanaro ci mostra anche qui come razionalità e rigore possano unirsi felicemente a chiarezza ed incisività. Il terzo capitolo Inventario e lettura dei manoscritti introduce l aspirante filologo nell officina dell edizione critica: problemi di inventariazione, catalogazione, collazione dei manoscritti. Timpanaro, pur nella piena consapevolezza dell importanza e dell interesse di ricerche storico-tradizionali, non perde di vista l obiettivo: «È da desiderare egli scrive un esplorazione del materiale manoscritto il più possibile ampia, ma non tanto ampia da morirci sopra *<+. Il critico del testo ideale dev essere, certo, anche codicologo e molte altre cose ancora; ma non deve 4 Passo tratto dall incompiuto manualetto nelle pagg. numerate dall autore 7-8 interamente dattiloscritte. 4

immergersi così a fondo nel lavoro preliminare all edizione da non arrivare mai all edizione stessa» 5. Assai ampio è il quarto capitolo, Genealogia dei manoscritti e scelta meccanica delle varianti. È qui, ci sembra, di eccezionale interesse vedere come colui che in un libro prezioso aveva illustrato con competenza unica La genesi del metodo del Lachmann, ora presenti e illustri e spieghi quel metodo allo studente universitario. Emerge da queste pagine un equilibrata fiducia nella stemmatica e nella critica testuale, quando vengano esercitate con metodo rigoroso; al contempo vi è il senso vivo della singolarità di ciascuna tradizione manoscritta, la certezza che il critico testuale ha di continuo a che fare con casi complessi, con tradizioni contaminate e in vario modo intricate. Sul delicato problema dell origine delle correzioni di seconda mano in un manoscritto egli scrive: «Conviene ad ogni modo non dimenticare che spessissimo già il primo διορθωτής avrà corretto ora per congettura (quando la correzione dell errore del copista gli sembrava, e non sempre sarà stata davvero, evidente), ora per ricollazione del modello». E aggiunge: «Anche noi, quando correggiamo bozze di stampa di uno scritto altrui, facciamo per lo più così. Dovremmo, a rigore, collazionare ogni parola della bozza con la corrispondente dell originale; ma di solito leggiamo e, se il senso corre, non collazioniamo, e se incontriamo un refuso banale, 5 Tratto dall incompiuto manualetto questo passo si colloca in una pagina non numerata, interamente dattiloscritta, compresa tra la pagina iniziale del terzo capitolo, anch essa priva di numerazione, e quella successiva a cui l autore ha assegnato il numero 2. 5

lo correggiamo senza riscontrare, e soltanto se il testo della bozza ci appare dubbio (o se dubbia è la correzione del testo sicuramente errato) ricorriamo all originale; e se l originale (che per lo più è un dattiloscritto non esente da errori) non dà una risposta soddisfacente, cercheremo di informarci meglio, per es. interrogando direttamente l autore. Non diversamente avranno agito i correttori medievali, salvo che interrogare l autore non era più possibile per loro: essi potevano tutt al più, e non sempre, consultare altri mss». La riflessione si conclude con un esempio: «Talvolta si può ancora constatare come il correttore si sia successivamente appigliato a due partiti diversi: in Frontone p. 170, 18 van den Hout, dove il copista aveva scritto ad omnis bonis artis, il correttore ha prima corretto bonis (errore dovuto ad attrazione di finali) in bonas, poi in sanas. La prima è, probabilmente, una correzione per congettura (o per ricollazione del modello); la seconda è dovuta a collazione di un altro manoscritto» 6. Il quinto capitolo Archetipo e tradizione antica discute le nozioni di originale, archetipo, edizione antica. Spesso i nostri codici, pur non derivando da un unico archetipo, ma da esemplari antichi diversi, presentano un certo numero di lezioni errate in comune, corruttele che, in buona parte, avevano già intaccato la tradizione antica. Come spiegare la diffusione di errori già nella primissima fase della storia di un testo? La risposta dello 6 Passo tratto dall incompiuto manualetto nelle pagine a cui l autore ha dato i numeri 27 (interamente scritta a mano) e 28 (scritta a mano fino a: «o se dubbia è la correzione del testo sicuramente errato», e da qui in poi dattiloscritta). 6

studioso è quanto mai convincente: «Il fatto si spiega scrive senza difficoltà per certi tipi di interpolazioni dovute a precisi motivi (politici, moralistici, ecc.) o di banalizzazioni che si sostituiscono a lezioni genuine tanto difficili da riuscire incomprensibili, o da non piacere al gusto letterario andante di certi ambienti. Non altrettanto facilmente, però, si spiega come lezioni palesemente stentate potessero soppiantare lezioni genuine chiare ed efficaci al tempo stesso. Per renderci conto di come ciò sia potuto avvenire, bisogna considerare che nella storia di un testo vi sono dei particolari periodi critici, in cui è molto facile che errori possano estendersi all intera tradizione ms. Intanto un periodo di questo genere è proprio quello della prima redazione e pubblicazione dell opera. Certi tipi di errori possono essersi addirittura trovati già nell originale di un opera, e di lì essersi propagati a tutti i discendenti. Questa eventualità, nella forma generica in cui è stata prospettata recentemente, rischia di apparire altrettanto o più arbitraria del ricorso indiscriminato alle varianti d autore. Diventa, invece, degna di considerazione se la si precisa un poco». Le precisazioni non tardano ad arrivare. Scrive infatti subito dopo: «Cominciamo col chiarire che per originale non dobbiamo intendere un unico autografo, ma piuttosto una prima fase della storia del testo, nella quale il momento della composizione e quello della trasmissione sono ancora compresenti». Se in età moderna siamo ben informati sui diversi stadi della redazione di un opera, non è così per l antichità greca e latina; ma Timpanaro aggiunge: «Possiamo con sufficiente sicurezza 7

individuare, anche qui, alcune tappe: a) abbozzi e minute; b) scrittura autografa continuata; c) prima copia ufficiale, eseguita da persona di fiducia dell autore, o mediante trascrizione dell autografo o sotto dettatura [...]». E conclude: «Ecco dunque, in questa primissima fase della storia del testo, una duplice possibilità di errori: errori d autore ed errori di prima copia» 7. L ultimo capitolo, intitolato La scelta tra le varianti in base a criteri interni, è un ampia trattazione dei concetti di usus scribendi, lectio difficilior, lectio brevior. La bibliografia utilizzata da Timpanaro in questo suo manuale si arresta alla metà degli anni settanta. Perché lo studioso ne abbia infine, dopo non poco lavoro, interrotta la stesura, è questione che dobbiamo porci, ma alla quale è difficile rispondere. Ad alcuni colleghi e amici confidò di non sentirsi abbastanza esperto di manoscritti. Quali che ne siano state le ragioni, quanto resta dell opera non può che farci sentire forte il rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Il mio compito, in sede di tesi triennale, con l ausilio del prof. Michele Bandini, è stato inizialmente quello di trascrivere l intero manoscritto (o dattiloscritto) così come l autore lo ha lasciato. Trascrizione non sempre semplice, soprattutto laddove alla prima stesura si sono sommati interventi successivi, a volte di lettura 7 Tratto dall incompiuto manualetto questo passo comincia nella pagina interamente scritta a mano a cui l autore ha dato il numero 40, prosegue in una pagina successiva non numerata (scritta a mano fino a «Intanto un periodo di questo genere è proprio quello della prima redazione e pubblicazione dell opera», successivamente dattiloscritta) e si conclude nella pagina recante il numero 41 interamente dattiloscritta. 8

incerta e talora di difficile collocazione nel testo. La visione diretta dell originale mi ha aiutato a sciogliere molti dubbi, purtroppo non tutti. Ora lo sforzo è quello di annotare il testo, se possibile attraverso le parole, pubblicate altrove, dello stesso Timpanaro. Molti passi citati tra le esemplificazioni sono stati da lui studiati altrove, vari concetti (cito ad esempio quello di eliminatio codicum inutilium) sono stati altrove presentati. Alcune lacune evidenziate dal manoscritto potranno essere così integrate ma, è chiaro, le aggiunte dovranno essere tipograficamente distinte dai resti del «Manuale», e chiaramente individuabili ; nel tentativo di riascoltare ancora, per quanto possibile, la lezione di un impareggiabile maestro 8. 8 Mi fa piacere esprimere alcuni ringraziamenti. In primo luogo al prof. Michele Bandini, mio relatore in sede di tesi triennale e con il quale tuttora sto lavorando: tutto suo è il merito di avermi avviato a questo studio e di avermi seguito con costanza e pazienza. Ringrazio inoltre sentitamente la prof.ssa Anna Maria Belardinelli, mia attuale relatrice presso la SAPIENZA - Università di Roma, per aver accettato con entusiasmo di aiutarmi in questo progetto. Sono sinceramente grata al prof. Antonio Carlini che con grande disponibilità mi ha permesso di avere accesso al materiale originale, e al prof. Leopoldo Gamberale per l interesse da subito dimostrato verso il mio lavoro e per i preziosi consigli e suggerimenti che ha saputo darmi. Infine ringrazio il prof. Rosario Pintaudi che con grande gentilezza mi ha consentito di presentare il mio lavoro in una sede prestigiosa quale la Tribuna D Elci della Biblioteca Medicea Laurenziana. 9