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Prestazioni - Congedo di paternità - Estensione al periodo di astensione obbligatoria precedente al parto, in caso di grave patologia della gestante Esclusione - Nascita prematura Periodo relativo Fruizione in aggiunta ai cinque mesi di congedo obbligatorio Esclusione. Corte di Appello di Firenze, Sezione Lavoro - 22 settembre 2011 n. 937 - Pres. Pieri - Rel. Schiavone - INPS (Avv.ti Imbriaci, Maio) D. M. M. (Avv. Gardelli) L art. 6 bis commi 1 e 2 della legge n. 903/1977, oggi art. 28 del T.U. n. 151/2011 che sancisce il diritto del padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, c.d. congedo di paternità, riguarda solo il periodo di astensione obbligatoria post partum in quanto, in caso di grave infermità della madre, per il periodo precedente al parto il padre che presta assistenza alla salute della gestante svolge una attività di assistenza alla salute della madre che è il bene la cui tutela è affidata ad istituti di assistenza diretta o indiretta che prescindono dalla condizione della futura madre. Fermo restando il limite massimo dei cinque mesi fruibili a titolo di astensione, sussiste il diritto a percepire l indennità relativa ai giorni di parto anticipato, nel caso in cui l indennità non sia stata liquidata in aggiunta ai tre mesi di post partum. FATTO - Con sentenza n. 1169 del 16/11/2009 il Tribunale di Firenze, giudice del lavoro, accoglieva, col favore delle spese di lite, il ricorso di D. M. M., dichiarandone il diritto ad ottenere l indennità di maternità ex art. 28 TU. n. 151/2001, all 80% per la durata di quattro mesi e 15 giorni, condannando l INPS al pagamento relativo. Avverso la sentenza interponeva appello l INPS che, sulla base dei motivi meglio di seguito esplicitati, concludeva per la riforma della medesima con integrale rigetto del ricorso di primo grado. Resisteva al gravame il D. M. per il rigetto e la conferma della sentenza gravata. All udienza del 22/9/2011 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo del quale veniva data pubblica lettura. DIRITTO - Il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso di D. M. M. diretto, appunto, a sentir condannare l INPS a pagargli, a causa della nascita prematura della di lui figlia, l indennità di maternità (art. 28, TU. n. 151/2001) non solo per i tre mesi c.d. post partum a cui l Istituto aveva adempiuto, quanto anche per il due mesi precedenti l evento, nonché per ulteriori quindici giorni in dipendenza di prematura nascita del figlio. Il ragionamento seguito dal Tribunale che si è dilungato anche su argomenti che il medesimo ha esplicitamente dichiarato inconferenti per il caso di specie si è basato sulla Circ. INPS n. 8/2003 che, a detta di quel giudice, garantiva assoluta parità di trattamento ad entrambi i genitori, senza che fosse di alcun ostacolo il fatto che la madre fosse lavoratrice o meno, posto che quello a doversi tutelare era l interesse del minore. I motivi di appello sono così articolati: 1. errata interpretazione della normativa di cui al cit. art. 28 TU./2001, non essendo possibile estendere al congedo obbligatorio pre partum l equiparazione operata dalla legge fra i genitori relativamente la periodo post partum; 1

1.a né risulta possibile accedere alla domanda subordinata avanzata dal ricorrente, secondo la quale in ogni caso esso appellato dovrebbe essere ammesso a fruire dell opzione alternativa dei quattro mesi post partum, previsti dall art. 20 cit. TU/2001, essendo mancata l apposita domanda in tal senso prevista dalla normativa; 2. violazione dell art. 112 cpc. in quanto il Tribunale ha condannato l INPS a pagare l indennità commisurata a cinque mensilità oltre a 15 giorni, dedotte le tre mensilità già riconosciute, in quanto il ricorrente ha domandato soltanto le cinque mensilità e ciò conformemente alla legge, imponendo il parto prematuro il recupero del relativo periodo in aggiunta al congedo post partum ma comunque sempre senza che si possa prorogare la durata complessiva oltre i cinque mesi. Ad ogni modo riconosce, al più, il diritto alla percezione dell indennità pari a quindici giorni di parto prematuro che non erano stati aggiunti ai tre mesi già liquidati. Parte appellata si costituisce in lite per il rigetto del gravame e la conferma della sentenza appellata, ampiamente argomentando sul primo motivo, nega la violazione dell art. 112 cpc. in quanto dalla lettura complessiva dell atto introduttivo, il primo giudice aveva correttamente tratto che lo scopo era quello di ottenere l indennità dei quindici giorni per parto prematuro in aggiunta ai cinque mesi d obbligo. A tale proposito, in ultimo, richiamata la recente sentenza della Corte Cost. n. 116/2011, afferma che, in ogni caso, il tempo relativo al parto prematuro debba andare ad incrementare l arco di congedo post-partum. Sul primo motivo: Posta la disciplina di cui al Capo III del TU. n. 151/2001 (già Legge n. 1204/1971), in tema di congedo per maternità, le mosse devono essere prese, per un più chiaro disegno della disciplina de qua, dalla sentenza n. 270/99 con cui la Corte Costituzionale ha dichiara(to) la illegittimità costituzionale dell art. 4, primo comma, lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) nella parte in cui non prevede per l ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino. A seguito di tale decisione è intervenuto il legislatore che con l art. 11 della L. n. 53 dell 8/3/2000 (ora: art. 16 TU. n. 151/2001) ha disposto l aggiunta di due commi all art. 4 L. n. 1204/1971, stabilendo che: "Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto". Premesso che la legislazione a tutela della maternità individua come soggetti protetti tanto la madre (rectius: la sua salute) che il bambino, sia sotto l aspetto salutare, sia della speciale relazione che si instaura fra i due soggetti, il Giudice delle leggi è stato indotto a quella conclusione sulla base della considerazione che la data anticipata del parto rende notoriamente indispensabile che il bambino per un periodo talvolta lungo sia affidato alle cure di specialisti ed all apparato sanitario, mentre la madre, una volta dimessa e pur in astensione obbligatoria dal lavoro, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato nelle strutture ospedaliere ed é invece obbligata a riprendere l attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. Si impone, quindi, la tutela della madre e del bambino che il legislatore ha inteso raggiungere stabilendo che, la fruizione del periodo di congedo precedente il parto non potuta effettuare, avvenga in coda all astensione obbligatoria, successiva all evento. Ciò detto ed in questo quadro, occorre porre attenzione alla vicenda giuridica che può svilupparsi a latere di quella appena illustrata ed attinente ai diritti del padre lavoratore. L art. 6-bis, commi 1 e 2, L. n. 903/1977 (introdotto dall art. 13 L. n. 53/2000, resasi necessaria in seguito alla sent. Corte Cost. n. 1/1987 (1)), oggi art. 28 del TU n. 151/2001 2

(Congedo di paternità), recita: 1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonchè in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Nel caso di specie, non sono in discussione i presupposti legali per la fruizione da parte del padre del congedo post partum, dato che non è mai stato dubitato che la madre del bimbo versasse in condizione di grave infermità. Il contrasto si concentra, invece, solo sul se una simile condizione autorizzi una lettura analogica della norma, consentendo che il padre fruisca del previsto periodo di astensione anteriore al parto. Il carattere analogico dell interpretazione, a cui indiscutibilmente è ammesso il giudice, si impone poiché, da un lato, la lettera della legge parla di congedo di maternità, senza distinguere quello che precede il parto da quello che lo segue, mentre l ambiguità risulterebbe sciolta secondo l interpretazione letterale fornita dall INPS per una limitazione al solo ambito del congedo successivo all evento, in quanto il comma parla di madre gravemente inferma e solo la donna che abbia generato può essere appellata come madre, mentre prima si deve correttamente parlare solo di gestante. Procedendo ad un analisi sistematica degli istituti coinvolti va evidenziato come presso il giudice delle leggi è ormai pacifico che: il congedo obbligatorio, oggi disposto dall art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo, collegate allo sviluppo della personalità del bambino (Corte cost. n. 116/2011). Appare, allora, evidente che l intento del legislatore del 1977, calato in una norma sostanzialmente rimasta inalterata, letto alla luce dell evoluzione successiva, sia stato quello di garantire al figlio come detto, titolare, almeno al pari della madre, di diritti di protezione un assistenza genitoriale quando quella della madre sia impossibile od impedita. Giova ribadire che nella specie non sia revocato in dubbio che il diritto dell appellato sia sorto per effetto delle condizioni di salute del coniuge, stabilmente gravi per tutta la durata della gestazione ed anche successivamente. Ora, senza volersi addentrare in disquisizioni circa il rapporto padre/feto, che richiederebbero troppe specialistiche nozioni, quel che qui preme sottolineare è che secondo il legislatore, il padre è in grado di svolgere una fondamentale opera di supporto familiare quando l altro coniuge non possa, perché ammalato (o non voglia, negli altri casi). A questo punto si erge la differente opzione cui giunge questo Collegio, ritenendo in sintesi, che se il padre può essere chiamato nei visti casi ad una fattiva attività integrativa o sostitutiva della cura del bambino dopo la di lui nascita, egli, invece, prima di quell evento, può svolgere, in ipotesi di grave infermità della madre (l unico fra i casi previsti dalla norma ad essere concretamente applicabile, non potendosi parlare né di abbandono e nemmeno di morte a cui non corrisponda una nascita), solo attività di assistenza alla salute della gestante che è il bene la cui tutela è affidata a tutt una serie di istituti di assistenza diretta od indiretta che prescindono dalla condizione di futura madre, non ultime le varie ipotesi di congedo che l ordinamento o la contrattazione collettiva prevedono per il lavoratore che debba prestare assistenza alla famiglia. Che è cosa diversa dai casi in cui egli necessariamente debba provvedere al neonato. L appello sul punto dev essere, dunque, accolto. Per quanto attiene agli altri motivi: Ritiene il Collegio come non paia sussistere la violazione dell art. 112 cpc., posto che il giudice è tenuto a pronunciarsi nella domanda come complessivamente portata alla sua 3

cognizione, senza restare vincolato dall uso di specifiche formule o alla mera lettera delle parole utilizzate (vds. da ult. C. 3012/10), dovendo estendere la sua indagine al sostanziale contenuto, e con riguardo alle finalità perseguite dalla parte (C. 17760/06). Orbene, la domanda subordinatamente formulata dal D. M. aveva ed ha per obiettivo il pagamento di quattro mesi più quindici giorni. Questa domanda presuppone, ovviamente, da un lato, il diritto a poter spostare uno dei mesi pre partum nel periodo post partum (su cui vds. ultra) ma, dall altro, che si ritenga che i giorni relativi alla nascita prematura finiscano per assommarsi a quelli di astensione obbligatoria, per un totale, quindi, 5 mesi e (nella specie) 15 giorni o, nel caso di non ammissione alla fruizione del periodo pre partum, di quattro mesi più quindici giorni, appunto. Da ciò deriva il dispositivo di condanna adottato dal primo Giudicante al pagamento dell indennità, come detto, per cinque mesi e quindici giorni (detratti tre mesi già riconosciuti). Esclusa, quindi, la violazione dell art. 112 cpc., dev essere disattesa la domanda subordinata diretta ad ottenere, comunque, l aggiunta dei quindici giorni di parto prematuro al periodo di astensione obbligatoria, con le relative indennità. Vero è, piuttosto, che i cinque mesi nel loro complesso non siano superabili e non pertinente pare il richiamo alla recente sentenza della Corte Cost. n. 116/2011 la quale ha: dichiara(to) l illegittimità costituzionale dell articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d ingresso del bambino nella casa familiare. La sentenza ha infatti ritenuto irrazionale la disciplina normativa esistente, per la parte in cui non consente di fissare un diverso dies a quo rispetto al quale calcolare il complessivo congedo obbligatorio ma nel caso in cui, a cagione della prematurità della nascita, l obbligo della madre di astenersi dal lavoro risulterebbe, a causa del prolungato ricovero ospedaliero del neonato, assolutamente inefficace rispetto allo scopo (tutela della salute della madre ed assistenza neonatale) per il quale è previsto. Nel caso che diede origine alla decisione della Consulta, d altronde, la prematurità assommata al ricovero del bimbo, era stata di consistenza tale da esaurire per intero i cinque mesi di congedo obbligatorio. E l astensione obbligatoria della madre dal lavoro non risultava funzionale allo scopo di porgere assistenza al neonato, intanto affidato in via esclusiva alle cure dei medici. Sicchè il bene oggetto della norma tutela della salute del neonato sarebbe risultato meglio protetto autorizzando la madre a ritornare al lavoro. Ecco che, allora, in assonanza con quanto previsto dalla legislazione delle adozioni, risulta legittimo che il detto dies a quo sia fissato nel giorno del rientro in casa del neonato. Epperò questa nuova disciplina (ex inverso, non applicabile nel caso di malattia della madre che consumi, per la relativa durata, tutto o parte del congedo cfr. sent. Corte Cost. cit. - ) in nulla sposta la durata complessiva dell obbligo di astensione che è e deve restare di cinque mesi, come si evince indubbiamente dall art. 16 TU. n. 151/2001. Peraltro, nella specie, risulta che la madre fosse ammalata, sicchè manca il presupposto preso in considerazione da Corte Costituzionale e cioè il ritorno (anche solo potenziale) della medesima all attività lavorativa. Anche questo motivo dev essere disatteso nella sua prospettazione originaria. Tenuto conto, però, che l INPS riconosce - e non avrebbe potuto diversamente fare il diritto a percepire l indennità relativa ai quindici giorni di parto anticipato la cui indennità non è stata liquidata in aggiunta ai tre mesi di post partum, in questi sensi dev essere la pronuncia di questa Corte. 4

Ultimo aspetto della domanda subordinata attiene al diritto a fruire di quattro mesi in luogo di tre post partum negato dall INPS a causa della mancanza della domanda. L eccezione mossa dall Istituto previdenziale è fondata e non attiene a mero formalismo, in quanto il detto adempimento pone in moto un meccanismo necessario alla fruizione del diritto domandato. L istituto è disciplinato, come flessibilità del congedo di maternità, dall art. 20 del TU. n. 151/2001, al cui primo comma si legge: 1. Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Come si vede, non si tratta di un diritto fruibile ad libitum da parte della gestante, in quanto la condizione imprescindibile è che vi sia certificazione che il posticipo non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro (da accertarsi nei suddetti modi). Ecco che, dunque, la domanda svolge la funzione sostanziale di mettere l Istituto previdenziale nelle condizioni di effettuare l accertamento di legge. Nella specie, poi, v è la prova in atti dell inapplicabilità al caso in esame. Infatti, se da un lato si domanda il congedo di paternità anche per il periodo precedente al parto, adducendo la ricorrenza di una delle cause che legittimano la fruizione del post partum e cioè il grave stato di salute della gestante, non si può per la contraddizione che nol consente domandare la fruizione di un istituto che, al contrario, presuppone un ottimo stato di salute, tanto da consentire la prosecuzione del lavoro fino all ottavo mese di gravidanza. Questo secondo aspetto della domanda subordinata dev essere conclusivamente rigettato. Tenuto conto che, ad ogni modo, una parte della domanda è risultata fondata ritiene il Collegio equo compensare per metà le spese del grado, ponendo la restante parte, liquidata in dispositivo, a carico dell INPS parzialmente soccombente (Omissis) (1) V. in q. Riv., 1987, p. 389 5