LA SINTESI ECONOMIA E LAVORO LA CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA. Non la stanno raccontando giusta. Una bad bank chiamata Banca Centrale ECONOMIA E LAVORO



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ECONOMIA E LAVORO LA SINTESI 1 LA CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA Non la stanno raccontando giusta Lo Stato non è la soluzione dei problemi, lo Stato è il problema. Così si diceva fino a ieri, con l ideologia neoliberista a permeare di sé il mondo. Oggi molti invocano lo Stato: c è qualcosa che non va in tutto questo. Secondo il Financial Stability Forum, ora trasformato in Financil Stability Board, presieduto dal governatore della Banca d Italia Mario Draghi, le perdite delle banche nel mondo, a partire da gennaio 2007 fino a febbraio 2009, sono state pari a 851,6 miliardi di dollari, con gli istituti finanziari degli Stati Uniti che si classificano al primo posto, a quota 495 miliardi di dollari. Il governo degli Stati Uniti è intervenuto dapprima con il Troubled Asset Relief Program (TARP), un piano da 700 miliardi di dollari deciso ancora nella versione liberista repubblicana, e poi con il sofisticato progetto del nuovo segretario al Tesoro Tim Geithner, denominato Public-Private Investment Program, che mira a bonificare i titoli che non si possono più chiamare tossici ma semplicemente ereditati, con un impegno di denaro pubblico stimato da un minimo di 500 miliardi a un massimo di 1.000 miliardi di dollari. E non è detto che sia finita qui. Intanto però va registrato che sempre il Financial Stability Forum parla di una compensazione complessiva alle banche di 873 miliardi di dollari, pari quindi al 102% delle perdite ufficiali: negli Stati Uniti le ricapitalizzazioni sono state aiutate finora con 448 miliardi di dollari, la metà dei quali erogati dallo Stato. Le Monde dà alcune cifre più impressionanti: Citigroup ha perso 80 miliardi di dollari, ma ha ricevuto flebo di capitali per 94 miliardi; Bank of America ha accusato perdite per 41 miliardi e ha conosciuto interventi per 78 miliardi; J.P. Morgan ne ha persi 30 ma ne ha ricevuti 45 in cambio. E lo stesso vale per Wells Fargo, Morgan Stanley, e Goldman Sachs. La multinazionale delle assicurazioni American International Group (AIG) ha ottenuto finora quasi 180 miliardi di dollari, e i suoi dirigenti non hanno trovato di meglio che spartirsi un po di bonus milionari. Lasciare in mano queste decisioni ai mercati, dice Joseph Stiglitz, vuol dire solo prelevare soldi dalle tasche dei contribuenti: Argentina, Cile e Indonesia hanno speso il 40% del loro PIL per salvare le banche ai tempi delle loro crisi, mentre negli Stati Uniti il debito pubblico è salito a oltre 10.000 miliardi di dollari. ECONOMIA E LAVORO 89 LA SINTESI Una bad bank chiamata Banca Centrale In poco più di un anno il bilancio della Federal Reserve è più che triplicato, arrivando a tre trilioni di dollari. Solo che l attivo in passato era composto da titoli del Tesoro e da riserve valutarie e in oro, mentre adesso è gonfio di titoli spazzatura consegnati dalle banche per ottenere liquidità. Non a caso c è chi dice che una bad bank esiste già, ed è proprio la Federal Reserve, costretta a stampare crediti elettronici invece di carta moneta. Un nuova zecca non sarebbe sufficiente. Qui c è chi dalla crisi finanziaria mondiale e dalla propria ci sta guadagnando e non poco. La strada della nazionalizzazione delle banche sarebbe forse meno costosa e i cittadini, almeno formalmente, potrebbero sentirsi partecipi e non solo defraudati.

RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 DIRITTI ECONOMICO-SINDACALI 90 Le avide follie dei mercati finanziari sono ancora in azione Il Regno Unito e la Germania hanno garantito il proprio sistema bancario per oltre 500 miliardi di euro; la Francia per 360 miliardi; la Spagna per 100 miliardi. A Londra si dice che le banche in questi anni sono andate in giro per il mondo a spendere e a spandere come marinai ubriachi nei porti. Non è così: i marinai buttano via i loro soldi, le banche hanno speso soprattutto quelli degli altri. Tutto era già scritto ne Il tulipano nero di Alexandre Dumas padre: la bolla sui bulbi di tulipano. I bulbi adesso sono diventati case: crescendo di valore, hanno permesso di fare debiti, e agli istituti finanziari di costruire prodotti finanziari derivati: i CDO 2 sui Collateralized Debt Obligations (CDO) apparentemente normali, i CDO 3 sui CDO 2, e così via al galoppo. Oggi i prodotti derivati in giro per la Terra sono 12 volte il Prodotto Interno Lordo mondiale. Tra quelli più diffusi ci sono i Credit Default Swaps (CDS). E qui c è qualcosa d altro che non va. I CDS sul Tesoro del Regno Unito pagano 108 punti base, mentre MacDonald s ne paga 57: questo vuol dire banalmente che nel mercato dei derivati il governo inglese è considerato come un soggetto a rischio doppio di insolvenza rispetto a una fabbrica globale di bistecche. Ecco dove mucca pazza ha trovato il suo brodo di coltura. Quando il primo ministro del Regno Unito Gordon Brown ha disperatamente deciso di nazionalizzare Northern Rock per evitarne il fallimento, ha amaramente scoperto che la banca aveva venduto mutui per 50 miliardi di sterline a uno Structured Investment Vehicle, conosciuto in gergo con l acronimo SIV, registrato come fondazione a scopo benefico per i bambini affetti dalla sindrome di Down nel piccolo paradiso fiscale dell isola di Jersey. I bambini naturalmente non hanno visto nulla, ma la Northern Rock ha potuto mettere fuori bilancio i propri mutui: il governo britannico è diventato così socio di maggioranza di una società specializzata in evasione fiscale contro lo Stato. Il nuovo presidente americano e i poteri forti A fronte di questa situazione, si capisce perché gli economisti critici della deriva neoliberista come Paul Krugman, Nouriel Roubini e Joseph Stiglitz, ma non solo, siano piuttosto impietosi nei confronti del piano Geithner, adottato dal presidente Obama, sui titoli ereditati. Il presidente viene accusato, con qualche ragione, di essersi rivelato troppo accondiscendente nei confronti di Wall Street. L Amministrazione americana poteva nazionalizzare le banche o comprare i titoli tossici e metterli in una bad bank pubblica o spingere gli investitori privati al loro acquisto, garantendoli però con fondi dello Stato. Ha prevalso questa terza ipotesi: se la cosa funzionerà, ci guadagneranno i privati; se la cosa non funzionerà, ci perderà lo Stato, e quindi i cittadini. L azione di lobby è ancora molto forte e, al solito, trasversale. Basti pensare che all origine della sregolatezza senza genio dei mercati finanziari ci sono due atti legislativi: l approvazione della legge Gramm-Leach-Bliley del 1999, che ha permesso l esercizio dell attività speculativa sia alle banche commerciali che a quelle di investimento, e l emendamento che nel 2000 ha dato legittimità al Commodity Futures Modernization Act (CFMA), con cui i derivati finanziari sono stati sottratti a ogni controllo dotato di una qualche efficacia. Sono due progetti portati avanti dal senatore lobbista repubblicano Phil Gramm, ma accettati senza batter ciglio dall Amministrazione del presidente Bill Clinton. Il primo piano elaborato dall Amministrazione Obama è stato comunque, anche simbolicamente, lo stanziamento di 787 miliardi di dollari per combattere la disoccupazione, per costruire infrastrutture materiali e immateriali, per alleggerire la pressione fiscale sui redditi medio-bassi. Una risorsa insufficiente, secondo molti osservatori, in un Paese che ha un Prodotto Interno Lordo da 14.000 miliardi di dollari. Un iniziativa concreta, però, che ha tra i suoi obiettivi la costruzione di tre milioni e mezzo di posti di lavoro. Altro denaro dovreb-

1 be poi essere messo a disposizione per poter rinegoziare i mutui e per promuovere prestiti a famiglie e imprese. Di più: la manovra finanziaria per l anno fiscale 2010, che ammonta a circa 3.606 miliardi di dollari, ha il proprio core business nella riforma del sistema sanitario, che inciderà per 634 miliardi di dollari all anno per un decennio e che sarà finanziabile anche grazie all aumento delle tasse ai ricchi, nella riforma scolastica e in massicci investimenti sulle fonti rinnovabili di energia, con posti di lavoro incorporati. Come dice Rossana Rossanda, il presidente degli Stati Uniti tassa i redditi più alti, estende l assistenza sanitaria e promuove un New Deal per la redistribuzione del reddito: un programma che suona per ora sconosciuto nelle contrade europee. Per non dire in Italia. Una differenza evidente. Come bambini all inseguimento delle bolle di sapone Da almeno vent anni, non esiste una governance finanziaria del mondo. L ineffabile ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, l aveva chiamata esuberanza irrazionale dei mercati. Molti anni fa, i prodotti finanziari derivati erano stati inventati per ridurre il rischio, soprattutto sulla fluttuazione dei prezzi delle materie prime agricole. Senza più alcun controllo, i nuovi stregoni si sono convinti di aver trovato un nuovo processo alchemico per trasformare il letame in oro. L illusione è stata quella di una crescita lineare, basata sulle equazioni matematiche capaci di esorcizzare i cicli dell economia. Invece si è passati di bolla in bolla, la nuova interpretazione finanziaria del ciclo economico. I mercati finanziari, dice uno che se intende, George Soros, non tendono naturalmente all equilibrio, per cui hanno bisogno come il pane di controlli e regole: le regole sono state distrutte, mentre controllati e controllori appartengono alla stessa famiglia allargata. Una bolla speculativa sugli asset è una sorta di catena di sant Antonio in cui le persone continuano a fare soldi finché ci sono altri gonzi da sfruttare. Ma dietro al susseguirsi di bolle sta la superbolla della concorrenza perfetta, su cui ha radicato le proprie certezze il fondamentalismo di mercato. Non a caso Paul Krugman ha chiamato la crisi attuale un pastiche de toutes les crises. ESISTE ANCORA L ECONOMIA REALE? ECONOMIA E LAVORO 91 LA SINTESI La politica salariale della miseria Si dice che buona parte dei guai attuali hanno la loro origine nel dominio della finanza sull economia reale. Ma esiste ancora l economia reale? Tra il 1980 e il 2006, gli asset della finanza sono passati dal 109% al 316% del valore della produzione mondiale: la maggior parte delle grandi imprese sono controllate da attori finanziari in una dimensione che vede in azione la tattica dei risultati immediati e non la strategia di lungo periodo. Circolano più soldi sul mercato speculativo delle valute in una settimana che nel commercio tra Stati per beni e servizi in un anno. L economia reale è diventata l utile strumento della finanza del debito diffuso, ma le merci possono crescere indefinitamente solo nel Paese dei Balocchi. Case, automobili, vacanze sono state incentivate e pagate con i soldi di un nuovo Monopoli. Per questo si parla oggi di sovrapproduzione: non ci sono soldi veri per gli acquisti. Al di là delle considerazioni di carattere ambientale, i Paesi emergenti potrebbero rappresentare benissimo il terreno di una nuova domanda, non fossero stati saccheggiati in questi anni dalla politica salariale della miseria, che ha trascinato con sé al ribasso la quota salariale in tutto il mondo. Non a caso, il

primo ministro cinese Wen Jiabao ha detto con una considerazione molto bertoldiana che la propensione a spendere della gente dipende fondamentalmente da quanti soldi ha in tasca: quindi non resta che riempirgliele. Anche se per ora di buoni sconto e non di denaro fresco. DIRITTI ECONOMICO-SINDACALI 92 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 L illusione della forza autonoma dell economia reale Le grandi case automobilistiche americane dei SUV e affini sono ormai vicine al tracollo, nonostante gli aiuti ottenuti dal governo. Prigioniere per anni dei miti della finanza, non hanno finora avuto alcuna autonoma strategia per il futuro, che non fosse quella di chiedere soldi: General Motors e Chrysler, dopo aver ottenuto 17 miliardi di dollari, hanno chiesto al governo americano altri 22 miliardi. Il presidente Barack Obama, più impaziente rispetto ai tempi relativamente lunghi riconosciuti alle banche, ha dato loro delle scadenze ravvicinate per non finire, o forse proprio per finire, in amministrazione controllata: alla Chrysler ha imposto di sottoscrivere l accordo con FIAT, a GM di ripulirsi dagli oneri tossici. General Motors ha 325.000 dipendenti in giro per il mondo e intende licenziare 47.000 persone. Alla fine, ha messo in pratica il primo licenziamento ragionato: quello dell amministratore delegato Richard Wagoner, che se ne va con una pensione da 20 milioni di dollari. Su un altro versante, il capitalismo informazionale ha dato per anni l illusione di poter traghettare l economia dalla materialità delle merci all immaterialità delle reti: è stato però anche lo strumento principale della finanza senza fili. Di nuovo, la signoria del soggetto sul prodotto si è trasformata nella signoria del prodotto sul soggetto. Il capitalismo informazionale è stato anche un seminatore in proprio di disuguaglianze: a Bengaluru, il centro scientifico d eccellenza dell India, ingegneri e scienziati vivono in distretti tecnologici, attorno ai quali cresce la miseria dell esclusione. L edificio va ricostruito dalle fondamenta di una nuova economia reale, che risponda ai bisogni degli uomini, della società e della natura, non agli artifici del mercato. LA GLOBALIZZAZIONE DEI BASSI SALARI Una potente droga per l economia a debito In questi anni, con la finanza, ha vinto la globalizzazione dei bassi salari: miseri nei Paesi emergenti, poveri nei Paesi ricchi. Quindi ha vinto l ingiustizia sociale, considerata come una virtù. Paradossalmente, ma non tanto, anche un Paese ricco può essere un moltiplicatore di povertà. L immagine più emblematica sta nel cocktail da 35.000 euro nel bar della City di Londra, da una parte, e nell acquisto di una casa senza riuscire a pagarla, dall altra parte. Quasi tutto il mondo adesso è in recessione, ma la recessione non è per tutti. Vi saranno 200 milioni di disoccupati, i working poors diventeranno il 45% del totale, mentre i lavori vulnerabili supereranno la quota del 50%. Si parla molto di un ritorno al keynesismo come soluzione ai guasti del neoliberismo, ma si finge spesso di dimenticare che una delle scelte più importanti del New Deal è stata la politica degli alti salari. Oggi tutto sembra in discussione, meno i bassi salari in circolazione. La sfida politica, dice l ILO, è assicurare incentivi appropriati per favorire il lavoro, l educazione e gli investimenti, evitando che le disparità di reddito diventino socialmente pericolose ed economicamente controproducenti. Il lusso, dice Giulio Sapelli, è stato l inveramento democratico della disuguaglianza. La disuguaglianza fa male a tutti Trent anni fa, la retribuzione media di un amministratore delegato era superiore di 35 volte a quella di un lavoratore dipendente, nel 2007 il rapporto era salito a 344 volte. Una cor-

1 sa verso il baratro. Molti, evidentemente, interpretano alla lettera l aforisma di Warren Buffett: «Dimenticate l antica massima che nulla rende vincenti come il successo: oggi la regola prevalente per i top manager è che niente rende quanto un fallimento». Oltre un certo livello, la ricchezza diventa inutile: non si può comprare il cielo, anche se c è chi è convinto del contrario. I soldi andrebbero dati a chi ha bisogno di spenderli, non a chi non sa più che cosa farsene: in questi anni è accaduto invece esattamente il contrario. Le formiche hanno mantenuto le cicale: cicale così gonfie da scoppiare. L aumento delle disuguaglianze, al contrario delle idee inscritte nel codice neoliberista, porta con sé il blocco della mobilità sociale, non la sua vivacità. Se si permetterà ai ricchi di diventare meno ricchi, anche i poveri diventeranno meno poveri. C è chi mangia nel piatto dei lavoratori Il Rapporto dell OCSE Growing Unequal?: Income Distribution and Poverty in OECD Countries sottolinea che le disuguaglianze sarebbero letteralmente esplose se i governi non avessero attuato politiche di intensificazione fiscale e di espansione della spesa pubblica, per cercare di mantenere livelli dignitosi di welfare. Ciò vuol dire però che i lavoratori si sono pagati i servizi sociali, mentre altri hanno mangiato nel loro piatto. Questo dato, in Italia, è piuttosto clamoroso. I salari dei lavoratori sono fermi da 15 anni: dal 1993 a oggi il fisco si è portato a casa 6.738 euro in più per ogni lavoratore, una cifra determinata dall aumento delle entrate tributarie e dal fiscal drag. Lo Stato ha incassato così 112 miliardi di euro. Le retribuzioni nette sono aumentate di 3,5 punti percentuali in meno rispetto alle retribuzioni lorde, per cui i salari reali non hanno conosciuto alcun aumento del loro potere d acquisto. Tra il 1993 e il 2008, su 14,3 punti di maggiore produttività, solo 3,8 sono andati ai lavoratori: quindi solo il 27% della produttività reale è andato al lavoro. La CGIL chiede 100 euro in più nelle buste paga di tutti i lavoratori a partire dal 2010, da ottenere attraverso detrazioni fiscali: sembra il minimo dovuto. La globalizzazione non può più essere asimmetrica: le politiche di redistribuzione fiscale devono favorire i poveri, non i ricchi. Le ricadute della crisi sull occupazione Negli Stati Uniti, da dicembre 2007 a febbraio 2009 si sono persi quattro milioni e 400.000 posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è salito all 8,1%, ma la prospettiva è che arrivi a superare il 10% entro la fine dell anno. La crisi economica morde anche l Europa: la disoccupazione nella zona euro potrebbe salire, sempre nel 2009, fino a superare la quota del 9%. A farne le spese maggiori è il lavoro debole, quello a termine e quello intermittente, ma la chiusura di fabbriche ha cominciato a intaccare anche la zona del lavoro considerato garantito. Secondo la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) i posti di lavoro a rischio sono molti di più, tra i cinque e i sei milioni: la crisi si è abbattuta finora sull auto e sul mattone, ma il calo della domanda ha cominciato a coinvolgere gli altri settori che producono beni di consumo. In Cina, la recessione globale ha lasciato finora senza lavoro 20 milioni di persone, che sono state costrette a tornare nelle campagne, da dove erano emigrate per trovare condizioni di vita migliori. Pure in India, molti lavoratori che si erano avventurati in città stanno tornando nelle campagne, costretti a ripercorrere a ritroso la strada dell emancipazione sociale. In Brasile il Prodotto Interno Lordo è diminuito del 3,6% nell ultimo trimestre del 2008: tuttavia, l anno nel suo complesso ha mantenuto un segno positivo. Il problema è che i posti di lavoro diminuiscono dove il Prodotto Interno Lordo scende, ma anche dove il PIL aumenta, sia pure a ritmi più lenti rispetto al recente passato. ECONOMIA E LAVORO 93 LA SINTESI

LA CRISI IN ITALIA DIRITTI ECONOMICO-SINDACALI 94 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 Un Paese in difficoltà, nonostante l ottimismo di facciata L Italia è il Paese europeo del G7 che finora ha dato meno alla propria economia. Eppure la crisi, nonostante l irridente ottimismo di facciata espresso fino a poco tempo fa dal premier Silvio Berlusconi, sta mordendo la società, i lavoratori, il sistema industriale. Negli ultimi tre mesi del 2008, il Prodotto Interno Lordo è diminuito del 2,6%, mentre le stime per il 2009 lo danno in arretramento di oltre il 3%. Il governo italiano ha una strategia opposta a quella del governo americano: tanto quest ultima è improntata all idea di un cambiamento forte, perché niente può tornare come prima, quanto l iniziativa in Italia è dominata dalla convinzione che al massimo è necessario qualche aggiustamento, non una radicale trasformazione del sistema economico e finanziario. L azione di governo si svolge in base allo stop and go: negare inizialmente l esistenza del problema, ammetterla poi timidamente, tamponare infine le falle con molti proclami e pochi interventi concreti, spesso riciclati da altri capitoli di spesa. Da qui le concessioni con il contagocce, nei confronti delle imprese, del lavoro, degli ammortizzatori sociali. Con qualche deviazione onirica, come il Ponte di Messina. Negli Stati Uniti il presidente Barack Obama costruisce un piano da tre milioni e mezzo di posti di lavoro ispirati dall economia verde; in Italia un progetto simile è stato elaborato dalla CGIL e da Legambiente, mentre il governo guarda all indietro, a un ritorno al nucleare a cui ormai più nessuno al mondo, salvo l Iran, dedica attenzione. Ma almeno si sa che in Iran il nucleare civile è funzionale a quello militare. Lo stato dell industria in Italia L Italia, come densità dell industria sul PIL, si trova al terzo posto in Europa, dopo la Germania e l Austria, che ovviamente presenta valori in termini assoluti molto più piccoli. Siamo quindi lì, con l antica Mitteleuropa. La crisi finanziaria però ha avuto una ricaduta importante sull industria manifatturiera. Non solo per la contrazione quantitativa dei consumi, ma anche perché la carenza quasi improvvisa di liquidità ha portato con sé forti ritardi nei pagamenti dei fornitori. Da qui il credit crunch, la restrizione del credito, che gli istituti finanziari applicano regolarmente quando ci sarebbe bisogno del suo contrario. Le imprese che esportano o comunque operano sui mercati esteri, incidendo in maniera significativa sull economia, sono circa 200.000: dal 2003 le esportazioni, in rapporto al Prodotto Interno Lordo, sono cresciute più dei consumi interni. Ma, nell ultima parte del 2008 hanno cominciato a subire i contraccolpi della crisi e a perdere terreno. Solo a questo punto il governo ha dato in dotazione al Fondo di garanzia per le imprese un miliardo e 300 milioni di euro, una cifra che dovrebbe garantire liquidità per oltre 60 miliardi di euro. Gli artigiani però si sentono esclusi. Un capitalismo incestuoso La struttura del capitalismo in Italia ha due facce: quella vivace delle Piccole e Medie Imprese e quella statica, da rentier, della grande impresa, soprattutto a carattere finanziario. Il grande capitalismo, in Italia, ha una struttura da maso chiuso. L Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha portato a termine un indagine conoscitiva sui rapporti tra concorrenza e corporate governance, durata oltre un anno e resa pubblica all inizio del 2009. L analisi si è concentrata su banche, compagnie assicurative e società di gestione del risparmio. Il giudizio è sferzante: secondo l Antitrust, l azionariato di buona parte di queste aziende si condensa in un nucleo circoscritto di soci, neanche fossero un circolo privato di canottieri, uniti tra loro da patti, con intrecci radicati e incarichi

1 multipli in imprese concorrenti. Questo nucleo, attraverso l utilizzazione delle deleghe, è in grado di condizionare pesantemente e di guidare sostanzialmente le scelte e la partecipazione dei soci nei passaggi essenziali dell attività societaria, come l approvazione dei bilanci e la nomina degli organismi direttivi. Cercando di guardare oltre, l Antitrust dice che occorre un nuovo processo di regolazione, di autoregolazione e di modifiche statutarie. I capitalisti travestiti da manager La questione degli intrecci non riguarda solo le banche, ma anche buona parte delle grandi imprese. Tra i top manager più pagati, uno su quattro appartiene alle famiglie azioniste delle aziende. Il potere a costi minimi e a prezzi alti viene mantenuto con una soluzione molto semplice: si riduce l impegno di capitale, si rafforzano i patti di sindacato. Un istituto che, come spesso sottolinea Guido Rossi, esperto di finanza come pochi, in molti Paesi è proibito, ed è il vero cancro dell economia italiana. Molti grandi imprenditori sono concentrati su strategie di mantenimento del potere molto più che su progetti di crescita aziendale. Il Risiko è il loro gioco preferito: la contesa di territori conosciuti, non la conquista di nuovi territori. In estrema sintesi, l imperativo del grande capitalismo italiano è: azionisti poveri, manager ricchi. Ci si lamenta giustamente dei top manager delle banche americane che hanno continuato a guadagnare anche quando gli istituti da loro governati hanno cominciato a perdere in maniera eclatante, ma si dice poco o nulla dei grandi imprenditori italiani che hanno guadagnato sulle perdite delle società da loro dirette. Non c è da sorprendersi: i media indipendenti, in Italia, sono in mano a patti di sindacato o al capitalismo familiare. Il settore dell auto La filiera di auto, motori, camion, autobus e componenti coinvolge in Italia 275.000 persone: 77.700, poco più di un quarto, sono occupate presso il Gruppo FIAT. A fronte del crollo del mercato, si è reso necessario un intervento dello Stato. In ritardo, ma è arrivato, sotto la voce di incentivi per la rottamazione delle auto vecchie e l acquisto di auto nuove meno inquinanti. Nonostante le difficoltà, FIAT sta intessendo rapporti di collaborazione con altre case automobilistiche. Ultimo, in ordine di tempo, il rapporto con Chrysler: l accordo prevedeva all inizio lo scambio tra il know how dell industria torinese su motori e vetture di piccola e media taglia contro una quota delle azioni dell azienda americana, il cui valore in questo periodo è poco più che virtuale. Poi, di fatto, FIAT ha acquistato Chrysler, con la robusta partecipazione azionaria dei sindacati coinvolti. Le difficoltà produttive in Italia sono però in atto da tempo. A gennaio e febbraio del 2009, 50.000 dipendenti del Gruppo FIAT hanno conosciuto la cassa integrazione: un operaio di terzo livello in questi casi non arriva a 800 euro al mese. I lavoratori della FIAT di Pomigliano d Arco (Na), uno degli stabilimenti a maggiore incertezza di futuro, il 5 febbraio 2009 hanno cercato di occupare l autostrada per far sentire la loro voce sulle preoccupazioni di futuro: non risultano infatti piani di intervento sul sito da parte dell azienda. La manifestazione ha fatto notizia solo perché gli operai sono stati caricati dalla polizia. Notizia, ovviamente, alla voce scontri e ordine pubblico. Altrimenti, nessuno ne parlerebbe: gli operai non fanno audience. ECONOMIA E LAVORO 95 LA SINTESI Il contributo determinante dei migranti Nel 2007 i cittadini immigrati da altri Paesi rappresentavano il 6% della popolazione, contribuendo per l 8,8% alla formazione del Prodotto Interno Lordo. Di quello ufficiale, ovviamente, perché il sommerso ufficialmente non fa PIL. Senza di loro, addio welfare.

DIRITTI ECONOMICO-SINDACALI 96 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 Alla determinazione del Prodotto Interno Lordo partecipano i lavoratori dipendenti, ma anche quelli autonomi. Gli imprenditori immigrati sono in crescita: erano mosche bianche, sono diventati parte integrante dell economia. Secondo il CENSIS, la spiccata voglia di intraprendere da parte dei migranti costituisce senza dubbio un opportunità da cogliere, che potrebbe portare un contributo decisivo e inaspettato al dinamismo socioeconomico dell Italia. Come tutte le realtà che si muovono verso il miglioramento della propria condizione, l immigrazione in Italia è fatta di molto lavoro, di un po di criminalità e di alcuni fenomeni di marginalità degradata, favorita dalle politiche espulsive. Puntare unicamente e ossessivamente il dito su questa fascia significa negare il valore dell immigrazione come risorsa strategica per il Paese. E negare agli immigrati ogni diritto, a partire da quello alla casa: le immagini sui ricoveri di fortuna, invece di provocare una sana indignazione, accentuano i caratteri espulsivi di un Paese eticamente allo sbando. La fabbrica del rancore La crisi di fondo, in Italia, è quella dei valori solidali. Lo scorso anno, il CENSIS aveva utilizzato il termine mucillagine per descrivere la società italiana senza futuro: un eufemismo per dire poltiglia. La situazione è peggiorata, con l enfatizzazione politica dell economia della paura. A suo modo, il governo Berlusconi applica una forma di democrazia diretta: l obiettivo è quello di codificare le pulsioni più negative presenti nella pancia della società. L esatto contrario di quello che dovrebbe fare la politica: civilizzare le pulsioni. In Italia c è oggi in atto una guerra dichiarata del potere contro gli ultimi, siano essi gli uomini e le donne dei viaggi disperati della speranza, gli immigrati relegati nelle nuove favelas, i senza dimora indigeni. L obiettivo è del tutto evidente: attrarre tutto il resto della società contro questi nemici perfetti, brutti, sporchi e, qualche volta, anche cattivi. Sottrarsi a questa deriva della società italiana è un imperativo morale, prima ancora che politico. IL LAVORO La flessibilità rassegnata La qualità del lavoro, in Italia, a parte alcune esperienze in controtendenza, sembra avviata su uno scivolo che porta verso il basso. Come differenza sostanziale rispetto al passato, il lavoro stenta a dare agli uomini e alle donne un identità sociale. L Italia è uno dei pochi Paesi industrializzati in cui i sussidi di disoccupazione non sono accessibili a tutti: questo condiziona il lavoratore tutelato a non cercare altre opportunità. Della serie: meglio meno, ma più sicuro. Allo stesso tempo, il lavoratore a tempo determinato teme il lavoro, e finisce per prenderne le distanze. Il rapporto dei cittadini italiani con il lavoro è vissuto ormai con un atteggiamento impaurito. E la flessibilità comincia a essere percepita come il male minore. Nelle persone più giovani vi è una maggiore consapevolezza, o forse una maggiore rassegnazione, verso il fatto che il lavoro a tempo determinato è diventato una specie di condizione necessaria per trovare un occupazione. Una sorta di rito di iniziazione informale. Ciò che unisce trasversalmente tutto il mondo del lavoro è, invece, la preoccupazione economica. Secondo il CENSIS, le certezze si allentano oltre la paura della flessibilità, facendola risultare come un modo per rimanere in un mercato del lavoro oggettivamente complesso e soggettivamente stressato.

1 Ammortizzatori sociali Nelle grandi aziende, in caso di difficoltà, i lavoratori possono usufruire della cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria e la mobilità. Si parla, quando va bene, di 700 euro al mese. Meno bene va ai dipendenti delle piccole e medie imprese, che si devono accontentare degli strumenti ordinari. Vengono poi, a scendere, i lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti; in fondo alla scala, i lavoratori atipici, che non hanno nessun paracadute, neppure tascabile. Finora è stata data loro soltanto una una tantum, inizialmente prevista del 10% della retribuzione dell anno precedente e poi generosamente portata al 20%. Il provvedimento, nella nuova formulazione, dovrebbe costare al massimo 100 milioni di euro, ma si è subito incagliato alla Camera per un errore procedurale. L errore è avvenuto ovviamente nei confronti dei precari, non dei banchieri. La CGIL ha proposto, per affrontare meglio la crisi, di estendere l indennità di disoccupazione ordinaria, di intensificare il sostegno al reddito dei lavoratori atipici, di ampliare durata e valore retributivo della cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, e dell indennità di mobilità. Il Partito Democratico ha proposto l erogazione di un assegno di disoccupazione a tutti coloro che perdono il lavoro. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al solito, ha detto che non ci sono i soldi, mentre il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, sostiene che il vero ammortizzatore sociale in Italia è il lavoro sommerso. Non ha specificato però se è compreso quello delle mafie che, sia pure ad alti rischi, danno un buon reddito a chi lavora per loro. Il lavoro femminile costretto alle opportunità mancate Il tasso di occupazione femminile in Italia è salito, tra il 2004 e il 2007, dal 45,2% al 46,6%, un incremento minimo rispetto agli obiettivi di Lisbona per il 2010, che lo hanno fissato al 60%. La media europea che ormai vi si avvicina. Si tratta, ancora una volta, dello spreco di una risorsa, che potrebbe costruire ricchezza, produrre innovazione, sostenere il reddito familiare. E migliorare i conti dell INPS. Tra gli obiettivi europei definiti a Lisbona, una parte importante era dedicata alle politiche della conoscenza e dei saperi e a politiche di promozione del lavoro femminile. Ora tutto questo rischia di essere non solo trascurato come al solito, ma vanificato dalla crisi, che è sempre anche una buona giustificazione per non fare nulla. Non si può più però parlare di ritardo, ma di occasione mancata. Il rischio è concreto: di fronte a una situazione occupazionale che si fa difficile, gli slogan facili come immigrati a casa, donne in casa possono trovare audience in un Paese ormai artificialmente alimentato dal rancore, dall intolleranza e dalla paura. LA SINTESI ECONOMIA E LAVORO 97 LA QUESTIONE SINDACALE I rapporti di forza Fino agli anni Settanta il lavoro salariato è stato la questione centrale nelle società occidentali, con gli operai allo stesso tempo nel ruolo di motore dello sviluppo capitalistico e di classe egemone dei ceti subalterni. Il sindacato è stato, con gli operai, protagonista di quella stagione. La fine del fordismo ha portato a una strategia più difensiva. In altri termini, sono cambiati i rapporti di forza. L attacco concentrico alla CGIL Ci avevano provato nel 2002 con l abolizione dell artico 18 dello Statuto dei lavoratori: se si abbatte o si incrina la forza del sindacato più grande e organizzato, il gioco è fatto. Nei rapporti di lavoro la dimensione individuale vincerà su quella collettiva. Gli era andata male, come la prima volta, nel 1994, con la legge sulle pensioni imposta dall alto. Ma adesso

DIRITTI ECONOMICO-SINDACALI il gioco è diventato più duttile e articolato, in base a uno schema di squadra in cui sono fondamentali i due esterni d attacco, i ministri Renato Brunetta e Maurizio Sacconi: il primo fa delle uscite apparentemente estemporanee, per vedere l effetto che fa; se le proteste non sono troppe, il secondo mira a portare a casa il risultato. Nel caso della contrattazione separata per ora hanno vinto; nel caso dell aumento dell età pensionabile per le donne nel Pubblico Impiego per ora hanno perso. Il ministro del Lavoro, quando ha visto che su questo tema si poteva riunire il sindacato, ha ordinato la ritirata, smentendo il trombettiere. Sul diritto di sciopero, la partita è ancora aperta. Tremilioniseicentoquarantatremilaottocentotrentasei persone: lavoratori, pensionati, precari hanno comunque partecipato alla consultazione indetta dalla CGIL per valutare l Accordo separato sul nuovo modello contrattuale. Sono il 71% rispetto a quanti hanno votato al referendum sul Protocollo relativo al welfare promosso nel 2007 da tutti e tre i sindacati confederali. Si tratta quindi di un risultato notevole, per la partecipazione al voto e l evidenza della posizione espressa: il 96,27% dei partecipanti si è detto contrario al nuovo modello contrattuale. La situazione complessiva, rispetto al 2002, è però cambiata: l articolo 18 era un simbolo, l opposizione politica era forte, le fabbriche non erano chiuse. Vi è poi da dire che l autonomia della CISL di Savino Pezzotta rispetto al governo era più evidente di quella mostrata finora da CISL e UIL sui temi in agenda. Oggi la CGIL, come dice Guglielmo Epifani, è in campo soprattutto per evitare l esasperazione di pochi e la rassegnazione di molti. La grande manifestazione del 4 aprile 2009 ha voluto dire anche questo. 98 RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2009 Al primo posto il lavoro, al secondo l economia, al terzo la finanza Il futuro è in un nuovo protagonismo del valore del lavoro. Il lavoro può essere la moneta comune per una politica dei redditi: una moneta reale, mossa dall idea di eguaglianza e di promozione delle opportunità individuali e collettive. Quando il mondo del lavoro è stato forte, ha svolto il ruolo di motore dello sviluppo sociale; quando il mondo del lavoro si è indebolito, hanno vinto gli egoismi avidi e la società si è frantumata nell esplosione della disuguaglianza. Come dice Guido Rossi, spostare oggi il centro dell economia dal capitale al lavoro non sembra più utopico, e nemmeno impossibile. Torna quindi d attualità, a quasi cento anni di distanza, il discorso visionario di John Maynard Keynes del 1928 Possibilità economiche per i nostri nipoti, in cui l economista inglese sogna una società a capitalismo comunista, che distribuisce benessere diminuendo l orario di lavoro, perché il lavoro è comunque socialmente importante. Per arrivare a questo è fondamentale superare l importanza sociale dell accumulazione di ricchezza. Occorre quindi superare il mondo costruito dalla finanza in questi anni, fondato sull avidità: si tratta di un occasione irripetibile. Rimettere al centro il lavoro significa rimettere al centro la vecchia, attuale idea, che un mondo migliore è possibile.