Non a caso, l impegno politico e sociale di Luciano Lama inizia nei mesi della Resistenza e della lotta partigiana per la liberazione del paese.



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Transcript:

Il discorso di Guglielmo Epifani su Luciano Lama Ringrazio il Presidente del Senato per la sensibilità e la convinzione con cui ha voluto corrispondere alla proposta di ricordare qui, al Senato, la figura di Luciano Lama a dieci anni dalla sua morte. ( ) Sono passati dieci anni da quando Luciano Lama è morto. Il tempo, come talvolta avviene, ha detto quanto importante sia stata la sua figura, la sua azione, in difesa dei lavoratori e delle lavoratrici e nella vita del paese. ( ) Come sapete - noi celebriamo quest anno i cento anni della nascita della Confederazione Generale del Lavoro. La storia del sindacato italiano, sia negli anni precedenti l avvento del fascismo sia in quelli della Repubblica, storia intesa come narrazione di lotte e conquiste di generazioni e persone, di classi un tempo subalterne e prive di ogni diritto, ha segnato la democrazia e la libertà nel nostro paese. Per questo, la storia del sindacato confederale e del movimento dei lavoratori non è una parte della storia del paese, ma ne è - non da sola ovviamente una delle sue identità più profonde. Luciano Lama, al pari di Giuseppe Di Vittorio e di tanti sindacalisti, di tutte le correnti e culture, ne è la conferma. Dall autunno caldo al 1986, data nella quale lascia la CGIL, in quegli anni così intensi e difficili per i lavoratori, per la democrazia e per il paese, Lama e tutto il sindacato unitario furono un riferimento fondamentale. Contro la strategia della tensione, contro il terrorismo, e tutto quello che dietro si celava, il sindacato seppe difendere la democrazia e con essa il valore della vita delle persone, il rifiuto della violenza, il metodo del confronto e del dialogo, la trasparenza e la correttezza degli organi dello Stato e il ruolo dello stato di diritto. Domenica scorsa si ricordava a Brescia in 32esimo anniversario della strage di Piazza della Loggia; in un angolo della Piazza le fotografie in bianco e nero fissavano la durezza di quella tragedia ed il volto impietrito di Luciano Lama nel giorno del comizio in occasione dei funerali. La stessa espressione che gli abbiamo visto impressa sul volto in occasione dei funerali di Guido Rossa a Genova nel 1979 ed in occasione dell uccisione di Aldo Moro. Se quelle vittime di Brescia, insieme a quelle delle altre stragi per cui non esiste ancora una verità giudiziaria, non furono persone vinte, ma martiri della nostra democrazia, lo si deve alla capacità di riscossa, di mobilitazione morale e civile, di unità del mondo del lavoro, che il sindacato seppe dimostrare. Come avvenne nella Resistenza e in tante altre pagine della nostra storia, vinse la forza della democrazia e quella della libertà. Non a caso, l impegno politico e sociale di Luciano Lama inizia nei mesi della Resistenza e della lotta partigiana per la liberazione del paese. Lama arrivò al sindacato in modo casuale. Nella fase convulsa successiva alla Liberazione della sua città, Forlì, nell autunno del 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale decise di affidare proprio a lui il difficile compito di ricostruire la Camera del Lavoro e dunque il sindacato in quel territorio. In tutta Italia la rinascita del sindacato e la celebrazione del 1 maggio divennero i simboli della libertà riconquistata, perché proprio contro di essi il

fascismo aveva mosso la sua azione violenta e anti democratica. I compagni più anziani ricordano la forza e l energia ed anche il coraggio con cui Lama, si mise al lavoro, forte della carica ideale che gli proveniva dall aver partecipato in prima linea alla guerra di liberazione. Nell aprile 1944 suo fratello Lelio, partigiano come lui, ma più giovane, era stato fucilato dai tedeschi. Lama non volle quasi mai parlare di questo lutto. Lo tenne racchiuso in un dolore privato e riservato. E quando ne tornò a parlare, solo negli ultimi anni della sua vita, lo fece sempre con grande discrezione e nel quadro di una visione che non si rassegnava a quelle ricostruzioni e a quelle interpretazioni che tendevano a considerare tutte uguali le responsabilità ed i ruoli in quella fase della vita del paese. Di chi aveva combattuto ed era morto per la libertà e chi, per la ragione opposta. La forza della sua azione alla guida della Camera del Lavoro di Forlì presto si impose. Giuseppe Di Vittorio, allora segretario della CGIL unitaria, decise di chiamarlo a Roma a ricoprire il ruolo di Vice segretario confederale. L incontro con Di Vittorio avvenne, come ci racconta lo stesso Lama, nel I Congresso della CGIL delle zone dell Italia liberata, tenuto a Napoli all inizio del 1945 quando il Nord era ancora sotto la dura occupazione nazifascista. E fu come un incontro tra padre e figlio, in una reciproca scoperta che destò grande ammirazione in Di Vittorio e che cambiò radicalmente la vita di Lama. Lama prese ad accompagnare Di Vittorio nei tanti viaggi in giro per l Italia; vide l affetto, quasi la venerazione, che le classi popolari nutrivano per un personaggio così grande e insieme così umile; capì la forza che veniva dal contatto diretto con le masse, conobbe la condizione del Mezzogiorno e l ansia di riscatto secolare delle sue genti. Gli anni passati a fianco di Di Vittorio servirono soprattutto ad assimilare la sua lucida lezione politica, che si ritrova in due distinti passaggi, ma fondamentali della fine degli anni quaranta, in una stagione resa difficile dallo scoppio della guerra fredda e dalle scissioni sindacali. In primo luogo, il ruolo avuto da Di Vittorio nella Assemblea Costituente e la forza con cui determinò la stesura degli articoli costituzionali riguardanti il lavoro e la libertà sindacale. E in secondo luogo, il Piano del lavoro, la proposta di politica e sociale che la CGIL lanciò al Congresso di Genova del 1949 e che avrebbe segnato direi per sempre la cultura politica e sindacale della CGIL. In quel congresso, quello di Genova, toccò a Luciano Lama fare la relazione sullo stato dell organizzazione, una compito importante nella vita di ogni organizzazione sindacale e che dimostra la stima e la credibilità che Lama si era presto conquistato. Gli anni cinquanta vedono Lama dirigere prima la categoria dei chimici e poi quella dei metalmeccanici. Esperienze fondamentali negli anni della ricostruzione industriale del paese e nei mutamenti dell organizzazione del lavoro e nelle politiche rivendicative del sindacato. Alla guida della Fiom, in particolare, toccò a Lama dopo il 1957, anno della morte di Giuseppe Di Vittorio - fare i conti i nodi politici e organizzativi che aveva indicato la sconfitta alla Fiat e indicare il bisogno e l esigenza di un rinnovamento che passava per il graduale abbandono di una pratica contrattuale tutta decisa in alto e perciò troppo distante dalla condizione e dai bisogni dei lavoratori. Nei primi anni sessanta, Lama fu nuovamente chiamato nella Segreteria confederale, questa volta a fianco di Agostino Novella, negli anni in cui si apriva per il paese e anche per il sindacato la novità del primo governo di centrosinistra, con la partecipazione al governo di una forza della sinistra italiana, così presente anche tra gli iscritti, i quadri ed i

delegati della CGIL. Furono prove inedite per tutti e scelte spesso difficili, ma anche prove in cui la CGIL seppe mantenere una sua capacità di giudizio e di valutazione autonoma e anche la sua unità. La stessa che tempo prima aveva portato Di Vittorio a criticare i fatti di Ungheria del 1956. Furono quelli, gli anni sessanta, anni delle più grandi trasformazioni sociali e culturali del paese. Una intera società stava cambiando, nelle fabbriche del nord, nelle campagne del sud, nelle città, nella coscienza dei diritti e nelle domande di riforme. L autunno caldo, il movimento degli studenti, le grandi lotte unitarie per le pensioni, per la riforma della scuola, per la pace, per i diritti civili ne sarebbero stati i fenomeni più forti e duraturi. Furono anni in cui rinacque - non a caso - l unità sindacale, l esperienza dei delegati e si affermò la grande forza del movimento sindacale italiano. Luciano Lama diventò Segretario generale della CGIL in questi anni. Egli fu eletto poche settimane dopo il più ampio ciclo di mobilitazione e lotte dell'italia repubblicana, che terminò con la firma del contratto nazionale dei metalmeccanici e con l'ottenimento da parte dei lavoratori di importanti conquiste sia sul piano economico che normativo. Quando sedici anni dopo, Lama lascia la CGIL il sindacato italiano attraversa una fase di divisione e di difficoltà. Finita l esperienza della Federazione unitaria di CGIL, Cisl e Uil e diviso il sindacato - e anche la CGIL - dalla vicenda della scala mobile. Di questi anni i protagonisti e testimoni hanno raccontato e detto le proprie verità e ricostruito i contesti in cui questa parabola del sindacato italiano si compì. Hanno analizzato le fragilità del sistema economico, l acuirsi nei primi anni settanta della seconda grande crisi internazionale e le difficoltà del piano politico e istituzionale di rinnovarsi con la forza e la coerenza necessarie. Ma tutti concordano su un punto: fu proprio grazie all azione di persone come Luciano Lama, Bruno Trentin, Pierre Carniti, Franco Marini e Giorgio Benvenuto se il sindacato tutto riuscì a mantenere un proprio autonomo profilo ideale e di rappresentanza. Quello che, fra alti e bassi, ha portato il sindacato italiano a non dividersi mai definitivamente ed a considerare il pluralismo sindacale una ricchezza costitutiva ed un patrimonio per tutti. Fa fede di questa tensione riformista e unitaria di Luciano Lama, la frase che pronunciò proprio all indomani della forte divisione sul decreto di San Valentino sulla scala mobile: da domani dobbiamo ricominciare a lavorare per l unità. O anche: noi non dobbiamo mai smettere di ricercare l accordo. Il coraggio e la determinazione che Lama portò in quegli anni ebbero due terreni fondamentali di direzione: la convinta scelta europea della CGIL che portò all'abbandono della Federazione Sindacale Mondiale, legata al sistema sovietico e l'ingresso nella Confederazione Europea dei Sindacati. Da quel momento l Europa divenne per la CGIL e per tutto il sindacato unitario il punto di riferimento della propria collocazione e della propria azione, fino ad arrivare alla scelta convinta in favore dell Euro e della battaglia per la Carta dei diritti di Nizza e per il Trattato costituzionale europeo. Il secondo terreno fu rappresentato da quella che fu chiamata la svolta dell Eur: la piattaforma sindacale con cui le variabili indipendenti della politica salariale e rivendicativa finivano per diventare funzioni come disse Luciano Lama di un diverso modo di giudicare la situazione economica e sociale che si faceva concretamente carico, responsabilmente, dei problemi dell occupazione e dell aumento delle risorse. In questa battaglia, come sappiamo Lama mise tutta la sua forza ed il suo prestigio ed una profonda convinzione della gravità della crisi economica e sociale attraversata dal paese.

Se la crisi ha un carattere strutturale questo è il ragionamento di Lama e produce una crescente disoccupazione e inflazione, allargando il divario fra nord e sud, il peso ed i suoi effetti si scaricano sui lavoratori. Per questo scriveva Luciano Lama- ci vuole una politica globale che mettendo al primo posto e senza incertezze i problemi dello sviluppo economico e dell occupazione, preveda in una strategia di cambiamento dell economia italiana, anche misure di austerità, che diventino uno strumento, non una concessione o una contropartita, per il risanamento dell economia ed il cambiamento del vecchio tipo di sviluppo. Così il Mezzogiorno diventava di nuovo centrale nella strategia e nelle priorità della CGIL e nelle scelte della politica economica del paese. Questa strategia e anche la sua forza entrarono presto in contraddizione con le risposte offerte dal quadro politico e di governo del tempo. E anche nel rapporto con la Confindustria e con le imprese, con le quali Lama tenne sempre un atteggiamento di grande rispetto e di grande fermezza. Come confermano l amicizia e l apprezzamento che Gianni Agnelli fino all ultimo volle dimostrargli. E anche quando, quasi due anni dopo, Lama nel 1979 affermò che la politica dell Eur non è morta, questo già apriva in lui una graduale riflessione, in parte critica. Ebbe coraggio Lama anche di affrontare critiche e contestazioni rivolte a questa scelta, come nel caso di quello che avvenne all Università di Roma nel febbraio del 1977. Un episodio di un fenomeno più generale che segnò allora la divaricazione fra il movimento degli studenti e l azione del sindacato. Ricordando quel fatto, tanti anni dopo, Lama disse credo di aver fatto il mio dovere andando lì, una scelta giusta, che rifarei. Anche per queste ragioni, Lama e la CGIL vissero una stagione molto tormentata, aperta con la vertenza Fiat del 1980 e conclusa con l esito del referendum sulla scala mobile. Gli ultimi anni alla direzione della CGIL furono per Lama anche gli anni più difficili. Pesarono le divisioni interne alla CGIL. Pesò in questo anche un progressivo confronto fra le sue posizioni e quelle di Enrico Berlinguer, un uomo che riscosse sempre il suo grande e incondizionato rispetto, ma del quale non sempre condivise le scelte. Si trovò piuttosto in sintonia con dirigenti come Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano. Anche nella polemica nei confronti delle scelte del Pci, Lama tenne ferma una limpida posizione autonoma della CGIL, attenta a preservare il tessuto dei rapporti unitari anche al suo interno ed a mantenere una coerenza di impostazione di fondo, non influenzata dalle scelte tattiche del momento politico. Io credo che anche per questo, quando lascia la CGIL nel congresso di Roma del 1986, la CGIL lo saluta con una intensità enorme di emozioni e con un segno di grandissima riconoscenza. La CGIL mi ha fatto come sono disse nel suo saluto mi ha dato una cultura, un etica, una educazione sociale e politica, divenute parti inscindibili della mia persona. Uscito dalla CGIL, Lama guidò per poco tempo l ufficio di programma del Pci e poi fu eletto in Parlamento, diventando vicepresidente del Senato e Presidente di una importante commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende. Gli ultimi sette anni della sua vita, come sappiamo, li trascorse come sindaco di Amelia, una esperienza apparentemente minore, ma che lui confessò sarebbe stato meglio fare prima. Amelia fu per lui io credo - un modo per tornare a stare in mezzo alle persone, alla concretezza dei problemi e dei rapporti. Finiva dove e come aveva cominciato. Luciano Lama muore come è noto- il giorno stesso in cui il governo guidato da Romano

Prodi dieci anni fa ottiene la fiducia. Quasi una coincidenza fra ieri ed oggi. Richiesto, nella sua ultima intervista, di commentare una definizione di Vittorio Foa su che cosa si intenda per sinistra, pensare oltre che a se stessi anche agli altri, oltre che al presente anche al futuro, Lama si dichiara d accordo aggiungerei afferma - dopo il pensare agli altri, la specificazione di pensare ai più deboli, ai più bisognosi di tutti i campi. Ed in queste parole si riassume il senso profondamente morale di una vita, di una straordinaria esperienza umana e civile, che ha dato molto ai lavoratori, al paese e alla nostra Repubblica.