Efficienza. (Giuseppe O. Longo)



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Transcript:

PARTE SECONDA Efficienza (longo); Il lanciatore di coltelli (De Luca); Itaca (Kavafis); Il manifesto del riduzionismo; Per Coopenaghen (Buiatti); La macchina banale di Heinz von Foerster; La meccanicizzazione del mondo (Buiatti); Sul riduzionismo (Castellani, Addario); Dalla parte degli ultimi (Shiva); I grandi predatori della Terra. La legge di Gaia (U: Mattei); Un salto di paradigma (Viale).

(Giuseppe O. Longo) Efficienza In termini economici e ingegneristici, il funzionamento della vita e degli esseri umani è molto impreciso e il loro rendimento è piuttosto basso: gli uomini esplicano[...] una vasta e differenziata attività, difficile da esprimere con una formula riassuntiva e altrettanto difficile forse da giustificare razionalmente, un'attività in gran parte gratuita e superflua, che fornisce benefici e soddisfazioni marginali e certo non proporzionati all'impegno profuso, ma che non si potrebbe interrompere e neppure ridurre di tanto se non con grave nocumento di qualcosa di imponderabile ma sostanziale. Questo qualcosa si potrebbe, senza esagerare troppo, identificare con la natura umana, o meglio con il funzionamento dell'umanità. Come se questa complicata ed eterogenea macchina, l'umanità, per produrre quel po' che produce, avesse bisogno di sperperare una gran quantità di energia in una sorta di attrito fatto di piccole azioni ripetute, di chiacchiere, di futili contese, di cavilli, di letture inutili, di scritture ancora più inutili, una sorta di pulviscolo sonnolento e disordinato che inviluppasse una gracile ossatura navigante verso un dubitoso e generico progresso. Ma se, animato dalle migliori intenzioni, un rivoluzionario ingegnere sociale tentasse di aumentare il rendimento della macchina eliminando in tutto o in parte quel polverino di azioni in apparenza inutili per conservare solo le più pratiche, le più solide, quelle capaci di aumentare il valore di qualche grandezza importante, la ricchezza, per esempio, o il prodotto nazionale lordo, o l'erogazione di energia elettrica, o altro di ben tangibile, la macchina, pur accelerando a dismisura il suo movimento, perderebbe, con l'attrito, il suo carattere più profondamente umano, quello appunto di girare a vuoto, per mettersi a girare a vuoto in un senso molto più sinistro e spaventoso, nel senso cioè dell'efficienza meccanica. Strappata al regno del disordine ed entrata in quello dell'esattezza, la macchina compirebbe progressi molto più rapidi, ma verso una meta disumana, nella quale solo l'ingegnere sociale si riconoscerebbe. Tutto ciò ha forse a che fare con la natura del nostro corpo, fatto di carne, di sangue, di grassi, e composto in massima parte di acqua: un corpo semiliquido, sfuggente, deteriorabile, un corpo insomma impreciso, anzi casuale, nella forma e nelle funzioni. Un corpo che può concepire l'esattezza e aspirarvi soltanto con la fantasia più inesatta perché, nella pratica, questa famosa e vagheggiata esattezza, esattezza comunque concepita da un cervello sfumato e assai poco esatto, si stempera pur sempre in una serie di gesti sfocati, di parole imprecise, di atti involontari, nella tranquillizzante palude di una relatività senza contorni e senza drammi.

Il lanciatore di coltelli (Erri De Luca) Fai come il lanciatore di coltelli, che tira intorno al corpo. Scrivi di amore senza nominarlo, la precisione sta nell'evitare. Distràiti dal vocabolo solenne, già abbuffato, punta al bordo, costeggia, il lanciatore di coltelli tocca da lontano, l'errore è di raggiungere il bersaglio, la grazia è di mancarlo.

Itaca (Costantinos Kavafis, Cinquantacinque poesie, Einaudi, Torino). Quando ti metterai in viaggio per Itaca/devi augurarti che la strada sia lunga/fertile in avventure e in esperienze/i Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere d'incontri se il pensiero resta alto e il sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo né nell'irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l'anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga che i mattini d'estate siano tanti quando nei porti - finalmente e con che gioia - toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche aromi penetranti d'ogni sorta, più aromi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio metta piede sull'isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio,/ senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos'altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Il manifesto del riduzionismo Così si esprimeva circa duecento anni fa Pierre Simon de Laplace: Se una intelligenza sovraumana conoscesse l attuale stato di tutte le particelle dell universo [ ] nulla più sarebbe incerto, e futuro e passato sarebbero visibili agli occhi di questa intelligenza, ovvero che: Data una descrizione approssimata dello stato dell universo in un certo istante, è possibile ricavarne una descrizione dello stato in qualunque altro istante passato e futuro con lo stesso grado di approssimazione. Ed è proprio quest ultima affermazione che rende impraticabile il riduzionismo ontologico, poiché Laplace aveva ragione nel dire che Se un intelligenza, ma torto nel ritenere che esiste una proporzionalità tra causa ed effetti tale che con lo stesso grado di approssimazione possiamo ricavare la descrizione del futuro.. Più tardi, nel 1927, sarà Werner Heisenberg a smascherare scientificamente l Intelligenza laplaciana: Nella formulazione netta delle leggi della causalità ( se conosciamo il presente possiamo calcolare il futuro ) è falsa non la conclusione, ma la premessa. Noi non possiamo in linea di princìpio (l indeterminazione non è gnoseologica, ma ontologica, ovvero essa parla di come la realtà è) conoscere il presente in ogni elemento determinante. Oggi sappiamo infatti che l evoluzione dei sistemi complessi è fortemente dipendente dalle condizioni iniziali in modo tale che piccole differenze di queste determinano in pochi passi grandi differenze delle condizioni finali. Questo comportamento è quello che comunemente prende il nome di effetto farfalla descritto attraverso l'esempio di un battito d'ali di una farfalla in Amazzonia che provoca un uragano nel Mare della Sonda. Il caos deterministico fu intuito oltre un secolo fa da Poincaré e successivamente riscoperto da Edward Lorenz nel 1963 attraverso l'osservazione di alcuni errori di misura che si manifestavano nei calcolatori che procedevano alle previsioni.

Questo scriveva Marcello Buiatti sull Unità del 16 febbraio nel 1990: Per molto tempo, soprattutto dopo la rivoluzione industriale, l umanità ha creduto di poter interpretare il mondo usando schemi mentali semplici basati sulla linearità dei fenomeni, sulla loro indipendenza, quasi che la natura fosse una macchina costruita dall uomo in cui ogni pezzo è indipendente dagli altri ed è una parte di un progetto in cui tutto è previsto e noto in partenza. Questa concezione era nata insieme alla fede, sempre più incrollabile, mano a mano che si accumulavano i successi della scienza, nella capacità degli esseri umani di comprendere tutti i fenomeni naturali, inclusi quelli che avvengono nella società, usando questi stessi, semplici, strumenti mentali. La non comprensione di un fenomeno veniva attribuita a incapacità, a scarse conoscenze, a insufficiente sperimentazione. Da ciò veniva una visione ottimistica del progresso, inteso come sviluppo senza limiti che non fossero le risorse naturali e senza pericoli in quanto tutto prevedibile una volta conosciute le leggi che lo governano. In questo modo qualsiasi trasformazione della natura ai fini produttivi veniva considerata ininfluente sul resto del mondo e quindi semplicemente ottimizzata ai fini del suo sviluppo quantitativo (Buiatti M., 1990, p.50).

Per Copenaghen Marcello Buiatti 15.12.2009 Una delle caratteristiche del nostro tempo é la tendenza alla frammentazione, caratteristica dei sistemi rigidi in momenti di crisi. La frammentazione agisce innanzitutto a livello sociale creando una aumento continuo dei conflitti ma é presente anche a livello concettuale perché é prevalsa una visione meccanica del Mondo che ce lo fa pensare come costituito di pezzi indipendenti che possono essere modificati a volontà ad uno ad uno e poi assemblati dagli esseri umani secondo i loro progetti. Per questo tendiamo ad affrontare solo pezzi della realtà, dimenticandoci delle connessioni dei sui componenti e non curandoci in alcun modo delle dinamiche in arte intrinsecamente imprevedibili dei processi. Questo atteggiamento é presente a livello globale e ci porta in questo momento storico a considerare come non collegate le quattro crisi che stiamo affrontando: ambientale sociale energetica economica. Ciò rende frammentaria ed inefficace lo nostra risposta, che diventa facilmente governabile dai poteri forti mondiali che invece una visione di insieme per quanto alienata e pericolosa per la nostra stessa sopravvivenza la posseggono e sanno come muoversi. Quanto sta avvenendo a Copenhagen dimostra tutto questo e chiarisce che il cambiamento climatico non può essere affrontato se non si tengono presenti le spaventose divisioni fra Paesi ricchi e Paesi poveri, le disuguaglianze crescenti all interno di essi, e la virtualizzazione della economia globale sempre meno legata alla produzione di beni e servizi. Non a caso l ostacolo probabilmente maggiore al raggiungimento di una accordo reale sulla mitigazione del cambiamento globale é la richiesta dei Paesi poveri di aiuto soprattutto in termini di ricerca e tecnologia, in cambio di un rallentamento dello sviluppo, e in particolare di quello vorticoso dei grandi paesi emergenti. In realtà tutte tre le crisi, economica, ambientale, sociale, sono intimamente legate e derivano dal distacco progressivo della umanità

dalla visione ormai antiquata della economia come motore del beneessere derivante dalla soddisfazione dei bisogni reali umani. Appare ovvio infatti che il cambiamento climatico globale deriva dalla utopia meccanica delle rivoluzioni industriali che mira alla costruzione di un mondo meccanico tutto ottimizzato a nostro favore e non condizionato dalle possibili conseguenze del nostro agire a medio e lungo termine derivanti dalle interazioni delle nostre azioni con il Mondo non umano, vivente e non vivente. E infatti evidente che la occupazione e lo sfruttamento senza regole delle risorse del Pianeta é quello che ha portato al cambiamento climatico che si accelera con la continua accelerazione della occupazione della Terra da parte delle opere e dei residui umani, come annunciato tanto tempo fa dal Club di Roma. E d altra parte questa stessa ideologia, che in teoria ha come idea portante la crescita continua di materia trasformata in prodotto e merce, é quella invece che ha provocato la virtualizzazione della economia sempre meno reale e sempre più monetaria. In altre parole gli innumerevoli fattori che limitano di fatto l aumento della produzione di beni hanno portato a sostituirli nelle dinamiche economiche con la moneta scambiata nei mercati finanziari e nelle borse di tutto il mondo. Un dato recente ci dice infatti che lo scambio di danaro può essere stimato di 120 miliardi di dollari per il PIL, unico indicatore di un qualche legame della moneta con le merci, ma é di 1700 miliardi nelle borse e nei cambi e di ben 5600 miliardi di dollari per i puri scambi finanziari. Secondo Jean Paul Fitoussi una delle ragioni fondamentali per cui la produzione non riesce a crescere sufficientemente per aumentare continuamente il PIL é la disuguaglianza crescente all interno dei Paesi e fra di loro che esclude di fatto fasce sempre più grandi di popolazione dal mercato reale ( un miliardo di persone nel Mondo ha un reddito sotto il livello minimo di sussistenza). Il limite alla crescita ed allo sviluppo viene superato sempre di più in modo virtuale dal dinamismo finanziario e contemporaneamente dall aumento della economia canaglia ( Loretta Napoleoni) basata su fattori di male-essere come la droga, la prostituzione, ecc. In questo periodo quindi, in cui l umanità sembra essersi dimenticata di essere fatta di materia viva e crede invece di essere diventata denaro vivente, é molto difficile introdurre politiche e misure che invece recuperino il senso della realtà e facciano fronte ai problemi veri e materiali della disuguaglianza, della fame, della carenza delle risorse fondamentali (il capitale naturale fatto dei quattro elementi fondamentali, aria, acqua, suolo fuoco-energia) e degli effetti della ideologia meccanica di ottimizzazione/umanizzazione del Pianeta E in questo quadro che si situa la Conferenza di Copenhagen sul cambiamento climatico che, non a caso, é stata impostata inizialmente

solo sulla riduzione delle emissioni di gas serra e quindi sull uso di risorse energetiche non rinnovabili trascurando così i problemi sociali collegati al cambiamento climatico fra cui in primo piano le disuguaglianze, gli effetti della virtualizzazione della economia e la sua crisi mondiale che ovviamente riduce le risorse finanziarie per il cambiamento del modo di produrre, e anche la necessità di lavorare fin da ora per la mitigazione per contenere l aumento di temperatura ma al contempo anche di mettere in atto da subito politiche di adattamento al cambiamento globale che comunque arriverà. In realtà finora nelle trattative non si é nemmeno tenuto presente il fatto che il cambiamento si sta accelerando in modo imprevedibile e siamo già fuori, come dicono con chiarezza gli ultimi studi sull argomento dell aumento di due gradi considerato fino ad ora la soglia di pericolo. Né si é tenuto sufficientemente conto della disuguaglianza del cambiamento climatico stesso, che per ragioni fisiche oltre che economiche colpisce nettamente di più Paesi in via di sviluppo degli altri mentre sono invece proprio alcune di queste nazioni che hanno in questo momento un tasso di sviluppo della economia reale finalmente superiore a quello di altri. E veramente difficile quindi chiedere proprio alle Nazioni emergenti si pieghino ad un rallentamento del loro sviluppo per colpa dei Paesi che lo sviluppo lo hanno già avuto, possono quindi affrontare meglio un suo eventuale rallentamento, e sono poi i veri responsabili della attuale situazione critica. Anzi, devo dire che le richieste dei Paesi emergenti sono ancora troppo deboli nel senso che non viene chiesta una revisione delle norme della organizzazione Mondiale del commercio ( WTO), che sarebbe essenziale per moderare la potenza delle grandi multinazionali e permettere uno sviluppo reale meno costoso ai Paesi poveri. Non a caso da questi vengono voci come quella di Vandana Shiva, addirittura contrarie alle attuali proposte di accordo se queste non tengono conto della necessità impellente di modifica della attuale situazione. Non vi é dubbio secondo me che condizione primaria di un qualche successo di Copenhagen é che ognuno dei Paesi contribuisca a dare ai Paesi poveri i mezzi per affrontare il cambiamento risarcendoli in qualche modo dai danni che la loro crescita senza limiti hanno provocato. Certo, per questo le opinioni pubbliche dei Paesi sviluppati dovrebbero modificarsi e il cambiamento può avvenire solo se i governi del Mondo chiariscono una volta per tutte la pericolosità di quanto sta succedendo e la necessità di un cambiamento delle società umane che popolano il Pianeta che unisca maggiore giustizia a un ritorno alla economia reale e ad un controllo vero di quella virtuale. Questo naturalmente non é possibile se anche all interno di tutti i Paesi non diminuiscono i dislivelli sociali e non si combatte realmente la criminalità mondiale che ha invece sempre più in mano pezzi consistenti della economia virtuale come ho accennato in precedenza.

Certo, contro questo grande cambiamento e contro il ritorno ad una economia diretta a produrre bene-essere reale e sostenibile che riduca i danni inevitabilmente provocati dal cambiamento climatico, si muovono forze molto potenti basate sulla concezione comune che un essere umano é ricco non perché produce beni e servizi utili al benessere con le industrie che possiede, ma soltanto se possiede denaro e non necessariamente materia come avviene per le persone più ricche del mondo come Bill Gates e, nel suo piccolo Silvio Berlusconi. Uno dei modi almeno per avvicinarci ad una mutazione così rilevante é comunque quello di dire unanimemente che il re é nudo mettendo insieme nozioni e concetti e contrastando la disseminazione di informazioni in parte vere e in parte false comunque basate sugli scoops che, per bene che vada fanno comunque pensare ad una cosa alla volta e non all intreccio delle dinamiche dei sistemi viventi e non viventi del nostro Pianeta. Per fare qualche esempio dobbiamo avvertire che in questo secolo il nostro Paese sarà in gran parte desertificato, che la estinzione della diversità naturale e nelle piante ed animali che ci servono per cibarci sta diminuendo con una velocità diversa centinaia di volte quella delle precedenti estinzioni, che da noi, che siamo al Sud dell Europa, passeranno presto da 250 milioni a un miliardo di persone in cerca di cibo ed acqua, che già ora in Africa il numero di conflitti derivati dalla fame e dalla sete stanno aumentando esponenzialmente, che i dati recenti hanno almeno raddoppiato la spesa prevista per il contenimento ( non la eliminazione) dell aumento di temperatura, che una serie di malattie africane arriverà inevitabilmente da noi, che i nostri ecosistemi saranno violentemente modificati dalle specie invasive, che il costo dell acqua potabile chiamata non a caso oro bianco aumenterà rapidamente per la sua carenza e per la forza rapidamente crescente delle multinazionali che operano nel settore della distribuzione, che, infine, non sono prevedibili conflitti, per ora locali ma poi inevitabilmente più ampi, si verificheranno per tutti questo. Queste non sono previsioni di un catastrofista ma dati reali ormai assolutamente accertati a cui ancora almeno in parte si può rimediare contenendo contemporaneamente tutte e quattro le crisi che ho citato all inizio e non soltanto quella energetica e quella ambientale e però puntando ad un aumento del bene-essere e non soltanto della circolazione monetaria. Mi rendo conto che questo che propongo é un cambiamento di dimensioni mai viste ma purtroppo di dimensioni mai viste sono i problemi che affliggono l umanità.

La macchina banale (von Foerster) Il grande sogno della modernità, il sogno dell Occidente, è stato quello di concepire il mondo (e l uomo) come una macchina 7 cui trasferire automaticamente le leggi della meccanica. Noi amiamo le macchine banali, dice Heinz von Foerster, perché esse sono predicabili e infallibili: in esse la funzione di trasferimento resta immutata così che una data entità inserita come input produrrà sempre lo stesso effetto. La macchina banale non necessariamente è costituita da parti meccaniche; essa può anche essere costituita da una qualsiasi regola aritmetica (la radice quadrata, ad esempio), o da deduzioni logiche. Paghiamo volentieri per la banalità. Quando compriamo un automobile nuova, ci facciamo rilasciare una garanzia che per i primi diecimila chilometri o per i prossimi sei mesi questa manterrà la sua banalità. Se improvvisamente non dovessero più funzionare i freni, si fa venire un banalizzatore che ripristina lo stato che ci è stato garantito (von Foerster, 1997). In un mondo così fatto tutto sarebbe prevedibile e pianificabile secondo processi lineari. Questo sogno ha pervaso la cultura dell'occidente ed è diventato ancora più potente con l'alleanza tra la scienza del XVII secolo e la tecnica della rivoluzione industriale del XVIII secolo. Perfino il grande Marx aderì a questo pensiero ammaliante e illuminato (in fondo anche Marx era un uomo del suo tempo) che soprattutto si sviluppò nella seconda metà dell'ottocento (positivismo): una concezione della conoscenza scientifica come marcia inarrestabile verso la scoperta delle leggi necessarie ed oggettive che regolerebbero e determinerebbero il divenire di tutto ciò che accade nell'universo. L'economia, ad esempio, è tra le discipline che ha tentato più delle altre di trasformare il mondo in un meccanismo, una gigantesca procedura logica; essa ha linearizzato tutti i suoi processi, inglobato in sé ogni aspetto della vita e ha semplificato la complessità riducendo tutte le variabili ad una sola variabile: il denaro, la forma merce. Le emozioni degli individui in carne ed ossa, le loro gioie, speranze, aspettative, dolori, sono state ridotte alla razionalità del comportamento teso alla soddisfazione massima dei bisogni attraverso il consumo di merci: l'insieme dei singoli comportamenti umani (razionali) definisce e identifica a sua volta il mercato regolato anch'esso da una mano invisibile e infallibile. Anche oggi quell'idea di equilibrio generale continua a sopravvivere attraverso la condanna del pensiero evoluzionista 8, rigurgiti di darwinismo sociale alla Spencer, nuovi determinismi che qua e là persistono nonostante l'affermazione crescente del pensiero evoluzionista e del ruolo rilevante del caso nei processi naturali e anche sociali. Ma la macchina banale ha ben poco a che vedere con il mondo reale degli esseri viventi; sono macchine che si sottraggono alla storia, al comportamento del vivente e del resto nessuno di noi che pure affermiamo che il mondo (e gli uomini) è una macchina banale accetta l idea di concepirsi come tale. Se do un calcio ad una

pietra, questa si comporterà esattamente secondo le leggi della meccanica classica: seguirà una traiettoria parabolica verso l alto fino a ricadere a terra ad una distanza dal piede proporzionale, secondo una certa costante, alla spinta impressa. La pietra, o meglio il sistema piede-pietra, è una macchina banale. Si comporterà sempre così ogni volta che l esperimento si ripeterà. Ma se lo stesso calcio viene dato a un cane, allora le cose cambiano e l effetto sarà tutt altro come ben sappiamo che prevedibile. Il cane potrebbe prendere male il gesto e di conseguenza mordere il piede dell uomo. Si può dire che la sua reazione dipenderà dalla sua storia di cane e dalla sua relazione con il proprietario del piede. Il sistema, in questo caso, non è predicibile per quanti sforzi possiamo fare, perché il cane non è una macchina banale. La relazione coevolutiva che determina l organizzazione del più vasto sistema individuo/ambiente fa sì che il fenomeno della conoscenza non possa essere concepito come se esistessero dati, fatti od oggetti messi lì, che noi possiamo afferrare e spostare qua e là, conservare, mettere in testa o dare ad altri. Bisogna allora abbandonare le metafore del mondo materiale, caratterizzato dalle regolarità descritte dalle scienze fisiche e pensare ad una metafora del mondo biologico, dove l analogo della causa è l informazione, la differenza, una metafora biologica (Ruffilli, 1999). Se l urbanista abbracciasse interamente questa visione, evitando di concepire la città e il territorio come macchine banali, allora il mondo delle relazioni, il comportamento non sempre razionale degli esseri umani, quello degli altri organismi viventi, la bellezza, l irregolarità dei paesaggi, la discontinuità dell organizzazione vivente, gli suggerirebbe probabilmente una diversa idea della conoscenza: quella di esseri viventi immersi nei mondi circostanti. Le nostre azioni allora potrebbero risultare modalità di reazioni a eventi inaspettati, noi essere ancora capaci di provare stupore, meraviglia e orientati, nell agire, dalla sacralità e dal mistero che avvolge ciò che non sappiamo e che non conosciamo.

La meccanicizzazione del mondo Il tentativo di meccanicizzare il mondo (esprimibile attraverso la metafora dell'orologio e del dio-orologiaio) ha avuto come riflesso quello più subdolo di meccanicizzare il pensiero: il pensiero, in fondo, questa è la tesi, altro non è che un algoritmo riproducibile da una macchina, prodotto di operazioni automatiche sequenziali che non hanno a che vedere con la persona pensante, né con l'involucro contenente il pensiero stesso (il corpo). Questo trasferimento del pensiero in una macchina di calcolo ha da qualche anno prodotto nell'urbanistica le tecniche di aiuto alla decisione che dovrebbero aiutare il planner ad organizzare le informazioni, selezionarle e restituirle in forma di possibili opzioni di scelta. Queste tecniche si fondano, più o meno esplicitamente, da una parte sul presupposto che la macchina è in grado di elaborare più velocemente e più efficacemente la massa delle informazioni che occorre trattare quando ci si trova di fronte a problemi di una certa complessità e, dall'altra, sul presupposto epistemologico che la macchina è in grado, attraverso algoritmi, di riprodurre le fasi del processo del pensiero del planner quando si trova nella situazione di dover prendere decisioni rispetto a situazioni caratterizzate da una molteplicità grande di opzioni. Il problema della responsabilità di queste decisioni (che molto spesso hanno a che fare con la vita di molti individui) verrebbe, almeno in parte, trasferita o affidata alla neutralità della macchina evitando la soggettività del decisore. Soggettività - dicono gli stessi utilizzatori e teorizzatori di queste tecniche - che non può essere completamente evitata sia nella fase di selezione delle informazioni, sia in quella di attribuzione dell'importanza (pesi) da dare alle diverse variabili, sia, infine, in quella di interpretazione delle risposte prodotte dalla macchina. Resta abbastanza misteriosa, in tutto questo processo l esigenza di ridurre la soggettività delle scelte del planner, quasi che quest'ultimo, in quanto umano, sarebbe un modello meno perfezionato della macchina che lo sostituisce. Qui probabilmente si incorre in quello che Longo definisce scentismo - vera iattura e caricatura della scienza - poiché la volubile facilità con cui vengono costruiti i modelli fisico-matematici ha autorizzato una pretesa eccessiva, cioè che tutto si possa descrivere in termini di quei modelli. Se la metafora di riferimento non è più quella di Cartesio del mondo come orologio, ma quella biologica dei processi di interazione tra esseri viventi, allora quell'insieme di dispositivi, algoritmi, procedure, meccanismi che adottiamo nelle discipline urbanistiche per simulare la risposta del sistema (che è sempre una macchina non banale, anzi ad alti livelli di complessità) ai nostri interventi, non potranno mai essere adeguati a simulare tale realtà. Occorrerà allora formulare un altro approccio cognitivo, una diversa interpretazione delle relazioni che legano il vivente: Quei dispositivi rassicuranti che utilizziamo e dei quali spesso siamo fieri, non solo semplificano e riducono la complessità del reale, ma come nel caso del signor Palomar di Calvino, trascurano il particolare rilevante che mentre osserviamo il

mondo, e noi stessi che osserviamo il mondo, il mondo stesso ci osserva con effetti circolari di retroazione ai quali finiamo - con l'adozione di quelle procedure semplificate - col non dare alcun peso. Un po come nella storiella dello scienziato che chiude la scimmia in una stanza del suo laboratorio per osservarne - non visto - le reazioni. Quando l'occhio dello scienziato si affaccia sulla toppa della serratura per scrutare il comportamento dell'animale, si accorge che dall'altra parte del buco c'è l'occhio della scimmia che osserva il comportamento dello scienziato. Quando abbiamo una conversazione con un nostro conoscente, non possiamo mai prevedere al dettaglio quali saranno le risposte alle nostre domande e, comunque, quale corso può prendere la conversazione, così come ancora non possiamo neppure prevedere quale saranno le nostre risposte alle domande del nostro interlocutore. Sappiamo solo che abbiamo stabilito una comunicazione e che il suo sfondo non è prevedibile Del resto, se tale sfondo fosse prevedibile e dato una volta per tutte, se il corso della comunicazione fosse prevedibile, allora non varrebbe la pena neppure di avviarla, poiché non ci sarebbe nulla da apprendere e comunicare che già non sappiamo. Quando imbrigliamo un corso d'acqua obbligandolo a seguire un percorso prestabilito, o quando costruiamo uno sbarramento lungo un fiume, o quand'ancora cementifichiamo una montagna per evitare che suoi pezzi cadano sui nostri tetti, trascuriamo il fatto rilevante che abbiamo impresso una perturbazione, che abbiamo dato un'informazione (nel senso cibernetico del termine) all'ambiente e che questo, prima o poi, restituirà un suo output che non necessariamente, né tanto meno automaticamente, rispetterà le nostre simulazioni e previsioni. In altri termini possiamo dire tutto questo affermando che il riduzionismo non abita nella natura; la natura è dominata dalla complessità del vivente e dalla ridondanza di informazioni. Ora il problema è che i prodotti (piani) dei planners trascurano normalmente questo aspetto rilevante della questione, poiché i piani sono concepiti per soddisfare bisogni specifici in maniera molto diretta e per questo sono molto meno affidabili. Un comportamento, questo, che non trova validazioni nel mondo naturale dove ogni aspetto della vita di una pianta o di un animale è dettato da un complesso di fattori interagenti sia a livello genetico che fisiologico. Non esistono in natura processi di ottimizzazione, così come sono concepiti dagli esseri umani. E del resto gli stessi uomini non mangiano solo per un bisogno fisiologico, ma per esigenze di convivialità, di golosità, ecc. Se l atto del nutrimento venisse meccanizzato in base al puro bisogno fisiologico, allora diventeremmo come quei polli in batteria il cui unico movimento è appunto quello connesso alla nutrizione. Eppure molti urbanisti ritengono che l'efficienza e la funzionalità (la loro) dei sistemi aumenti se ogni variabile o parte del sistema viene progettata direttamente in funzione dello scopo perseguito. Così si spiegano correnti di pensiero che hanno riscosso adesioni e successo, come il funzionalismo, il razionalismo, il pragmatismo, il tecnicismo e perfino, paradossalmente, una certa versione dell'ecologismo. E' insensata questa teorizzazione e queste pratiche disciplinari meccanicistiche, questa tendenza "epigenetica" dell'uomo moderno a

considerare il mondo e gli altri (con l'unica eccezione di se stesso) una macchina banale.

Sul riduzionismo scientifico e ontologico Inviato da: Tommaso Castellani Data: 23 aprile 2010 Sul riduzionismo come metodo. Il riduzionismo come metodo conoscitivo è non solo alla base della scienza moderna, ma è anche uno dei capisaldi del pensiero occidentale. Si può naturalmente rimettere in discussione l intero pensiero occidentale, a partire dalle premesse: la mia attuale posizione in senso letterale: seduto sul mio comodo divano in una casa accogliente davanti al mio personal computer, al riparo dal freddo umido di questa giornata non credo però che mi consenta di farlo con leggerezza. Il pensiero occidentale, che si porta dietro una serie di brutture e aberrazioni, ha comunque prodotto un innegabile progresso. Ritengo urgente e necessario discutere di queste brutture e aberrazioni e di come riportare questo progresso su dei binari che l umanità intera possa considerare più giusti, mentre non sono interessato a una rimessa in discussione tout court del pensiero occidentale. Il riduzionismo nasce con una delle grandi intuizioni di Galileo: separare un singolo fenomeno dall insieme. Galileo, superando il linguaggio metaforico e allusivo che caratterizzava gli studiosi di epoca rinascimentale, si rende conto dell importanza di definire dei limiti entro i quali operare. Osservazione cruciale: isolare un fenomeno non significa spezzettare la realtà. Isolare un fenomeno significa poterlo riconoscere identico in un contesto completamente differente. Quando Newton formula la legge di gravitazione universale e mostra che un aspetto dei fenomeni palla e pianeta può essere studiato con un unica descrizione, compie un unificazione. Quando con una sola legge (l equazione delle onde) studiamo il mare, il suono, un terremoto o la luce, stiamo usando uno stesso modello per descrivere fenomeni che non hanno, in apparenza, nulla in comune. È proprio il riduzionismo metodologico che permette di connettere le diverse parti della realtà. Galileo si spinge però oltre, e arriva ad affermare che l universo è scritto in linguaggio matematico. Ecco che il riduzionismo metodologico sta diventando riduzionismo ontologico. Come scrive Marcello Cini, il riduzionismo è un processo conoscitivo in cui la mente proietta le sue categorie sulla realtà per ordinarla estraendone oggetti e relazioni. Quello che ho chiamato riduzionismo ontologico è l attribuire questa possibilità a una proprietà instrinseca della realtà e non della mente umana. Considero questo un errore, anche se ripercorrendo la storia dei grandi progressi scientifici dal XVII al XIX secolo ritengo sia un errore ben comprensibile. Sono in particolare i grandi successi della termodinamica e dell elettromagnetismo che inducono gli scienziati a lasciarsi prendere la mano e a elaborare (o rielaborare) una serie di

discutibili idee metafisiche sulla realtà: meccanicismo, determinismo, costruttivismo, ecc. Ma queste tre idee filosofiche non sono implicitamente contenute nel riduzionismo metodologico. Per fare alcuni esempi: nella moderna fisica dei sistemi complessi, ambito nel quale ho fatto ricerca per alcuni anni, si studiano i sistemi descritti da relazioni complesse tra le parti, per cui bisogna tenere in considerazione tutti i feedback che le parti del sistema si scambiano tra loro. Questi sistemi sono descritti in maniera del tutto meccanicista e sono studiabili con equazioni la maggior parte delle quali sono completamente deterministiche. L approccio metodologico è assolutamente galileiano. L equazione di Volterra citata in uno degli articoli dell ultimo numero della rivista, che descrive la dinamica delle popolazioni, è dello stesso tipo. Stessa cosa vale per il citatissimo (talvolta a sproposito) effetto farfalla : non a caso si parla di caos deterministico. Non si confonda l oggetto dello studio (un sistema complesso) con il metodo con cui lo si studia (isolare una caratteristica semplice del sistema). L entusiasmo per i successi delle scienze dure ha nel secolo scorso indotto ad applicare con troppa leggerezza il metodo da esse utilizzato in ambiti nuovi: psicologia, medicina, antropologia e via dicendo. Mi pare giusto mettere in evidenza l importanza di un approccio più cauto per affrontare oggetti di studio così complessi; senza dimenticare però che in molti campi, compresa a mio avviso gran parte della biologia, il riduzionismo metodologico continua a produrre i suoi frutti. Se negli ultimi decenni è venuto talvolta a mancare un lavoro successivo di sintesi, la causa va a mio parere ricercata nell organizzazione industriale della comunità scientifica e non in un errato approccio metodologico.

Inviato da: Nicolò Addario Data: 30 aprile 2010 A proposito di riduzionismo. Chi segue o partecipa al dibattito internazionale multidisciplinare che da parecchi decenni si tiene su riduzionismo e emergentismo sa bene che non è in questione tanto il metodo che di fatto ha fondato le scienze moderne assicurando loro il successo che tutti conosciamo. E' in questione, piuttosto, l'interpretazione del metodo e, soprattutto, se questo sia valido (ed eventualmente fino a che punto) pur tutti i livelli di realtà, dalle particelle subatomiche fino alla vita, alla mente e alla società. Tra l'altro ultimamente il dibattito ha avuto un nuovo impulso proprio dalla teoria dei sistemi complessi. E' vero che in molti casi il metodo resta riduzionista (che spesso significa: determinista, almeno in chiave probabilista). E' tuttavia anche vero che si possono ipotizzare sistemi complessi che sono indeterministici nei risultati: non si sa quale sarà lo stato finale (temporaneamente stabile) del sistema a seguito di una piccola perturbazione iniziale. Questo pone interessanti problemi proprio perché il sistema sembra comunque in grado di "auto-organizzarsi" intorno ad un "attrattore" che ha autogenerato. Questo può offrire alcuni spunti a proposito dei diversi livelli di realtà che si sono formati a partire dall'autoorganizzazione della materia. La vita, per esempio, non è spiegabile in termini meramente fisici, pur presupponendo (evidentemente) la materia e le leggi fisiche. Una volta che da una particolare auto-organizzazione della materia si sono formati i primi circuiti biologici e questi hanno dato origine alle forme viventi, la vita non deve più ogni volta riscoprire le leggi e i processi che gli hanno dato forma. La vita si riproduce, semplicemente, dalla vita stessa e mediante evoluzione (che non è spiegata affatto dalla fisica, sebbene la presupponga e la sfrutti per i suoi fini). Dunque, una volta che a partire da certi presupposti un nuovo livello di realtà emerge, ciò significa che questo livello ha trovato in sé stesso, nei suoi processi e nella sua struttura, i modi per mantenersi e per evolvere una complessità propria. Questo non significa che esso produce tutte le sue cause, ma soltanto quelle che esso stesso determina come tali, mentre le altre, per così dire, se le procura all'esterno e le usa come presupposti degli elementi e dei processi che sono del suo stesso livello (si pensi al cibo). La biochimica della vita, insomma, si serve di materia-energia, ma questa di per sé non spiega l'organizzazione del vivente (che infatti potrebbe essere anche d'altro tipo), per esempio i modi della riproduzione che, fatti salvi i vincoli fisici (incorporati), va spiegata al livello del vivente (individui, popolazioni ecc.). A maggior ragione questo vale per la mente e per la società.

(Il Manifesto del 6 gennaio 2009) L'AMBIENTALISTA VANDANA SHIVA ESPONE LE SUE TESI DALLA PARTE degli ultimi (Giuliano Battiston) Dalla connessione tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale, al nesso tra riduzionismo scientifico e rimozione di tutti i limiti etici allo sfruttamento della natura, fino al concetto di «malsviluppo» I «poveri» sostiene Vandana Shiva, non sono coloro che sono «rimasti indietro» perché incapaci di giocare le regole del capitalismo, ma quelli che sono stati esclusi da ogni gioco e a cui è stato impedito l'accesso alle proprie risorse da un sistema economico che erode il controllo pubblico sul patrimonio biologico e culturale. Stare «dalla parte degli ultimi» (come recita il titolo di un suo recente libro pubblicato dalle Edizioni Slow Food) non significa dunque dare di più a chi ha meno, ma restituire ciò che è stato sottratto con la forza di leggi ingiuste, difendere i beni comuni dall'assalto avanzato dalla globalizzazione neo-liberista, impedire la brevettabilità delle forme di vita e di conoscenza e costruire una nuova democrazia ecologica. Una democrazia che difenda la biodiversità e riconosca il reciproco condizionamento tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Abbiamo chiesto a Vandana Shiva, che da decenni continua a rivendicare il diritto di ogni essere umano a opporsi e resistere - in senso gandhiano - alle leggi che lo esautorano dei suoi diritti, di rispondere ad alcune domande sulla sua pratica di scienziata e attivista. Una delle questioni che lei tende a sottolineare con più insistenza è l'intima connessione tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Come spiegherebbe questa connessione a quanti continuano a ritenere che si tratta di ambiti del tutto separati e tra loro impermeabili? Per la maggior parte dei poveri la connessione è evidente, perché le risorse naturali ed ecologiche costituiscono la fonte principale del loro sostentamento, e quando qualcuno se ne appropria indebitamente questo porta da un lato all'insostenibilità ecologica e dall'altro all'ingiustizia sociale ed economica. Mi lasci fare due esempi: se la Coca Cola estrae giornalmente con i suoi impianti milioni di litri d'acqua di cui beneficia di solito una certa comunità, così facendo distrugge il sistema idrico di quella comunità e allo stesso tempo causa una nuova forma di ingiustizia sociale ed economica. Oppure prendiamo la questione della terra: in Bengala, di recente il gruppo Tata ha cercato di appropriarsi

della terra dei contadini, ma la sottomissione agli obiettivi dell'industria automobilistica di una terra che offre sostentamento a migliaia di persone non solo toglie fertilità a quella terra e crea una produttività insostenibile dal punto di vista ecologico, ma determina anche una grave ingiustizia sociale. Ed è proprio contro questa ingiustizia che hanno combattuto, organizzandosi, i contadini del Bengala, impedendo alla Tata di costruire sulle loro terre. Sono soltanto due tra i numerosi esempi che dimostrano, tra l'altro, come sostenibilità ecologica e giustizia sociale siano connesse alla pace, perché è proprio dall'ingiustizia sociale e dalla crescita della disuguaglianza che trae origine il fondamentalismo. Secondo l'analisi che svolge nel «Bene comune della terra», «la globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche», ed è volta a privatizzare ogni aspetto della nostra vita, dall'acqua che beviamo alla biodiversità, dal sistema educativo al patrimonio culturale. Ci può spiegare in che modo la globalizzazione è legata alla recinzione dei beni comuni dell'inghilterra del XVI secolo e quali sono le sue attuali manifestazioni? In Inghilterra, con le recinzioni dei beni comuni ci si è appropriati delle terre dei contadini trasformandole in terreni per la produzione di materie prime destinate all'arricchimento della borghesia emergente e al funzionamento dell'industria tessile. Negli ultimi decenni, attraverso le leggi sulla proprietà intellettuale promosse dal Wto e grazie alle condizioni finanziarie imposte dalla Banca Mondiale con i piani di aggiustamento strutturale e i processi di privatizzazione sono stati inclusi nelle recinzioni proprietarie dei beni di nuovo tipo. Quelli ai quali ho rivolto in particolare la mia attenzione sono le risorse viventi: i sistemi viventi grazie ai quali il pianeta si mantiene vivo e che sono indispensabili per soddisfare i nostri bisogni fondamentali sono stati dichiarati proprietà intellettuale, come fossero una creazione delle corporation: oggi è la vita stessa come bene a venire privatizzata; inoltre, dal momento che i sistemi viventi si accompagnano a particolari tipi di sapere e conoscenza, e che dunque specifici sistemi di conoscenza sono associati a specifiche forme di vita, si cominciano a recintare anche il sapere e i beni intellettuali. È ormai evidente che siamo di fronte a un assalto sferrato verso l'atmosfera così come verso l'aria che respiriamo: le grandi industrie prima recintano l'aria inquinandola e trattandola come un oggetto già morto e di loro proprietà, e poi, una volta che l'inquinamento raggiunge un livello da caos climatico, pensano di farne materia di scambio commerciale. La possibilità di comprare e vendere quote di emissioni inquinanti dimostra che tutti gli attori coinvolti nelle discussioni relative ai protocolli sui cambiamenti climatici credono