Sovranazionalismo illegittimo: la marginalizzazione del Parlamento Europeo nella crisi dell euro.



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Sovranazionalismo illegittimo: la marginalizzazione del Parlamento Europeo nella crisi dell euro. Nome: Alessio Sacchi Affiliazione: IMT Istituto Alti Studi, Lucca; PhD in Political History Indirizzo mail: alessio.sacchi@imtlucca.it Abstract. La crisi economica che si è abbattuta recentemente sull Europa, e sull Eurozona in particolare, ha determinato dinamiche complesse di evoluzione della governance dell Unione Europea. Sul fronte istituzionale, il Consiglio Europeo ha guadagnato visibilità e poteri, determinando una fase di intergovernamentalismo di ampiezza inedita. Tuttavia tale processo non ha automaticamente indebolito le altre istituzioni: la Banca Centrale Europea si è ritagliata un ruolo di primissimo piano e la Commissione Europea, pur delegando in parte il proprio potere di iniziativa, ha aumentato le proprie prerogative nei confronti degli Stati membri. Il grande sconfitto di questo rimaneggiamento istituzionale è dunque il Parlamento Europeo, marginalizzato nel processo - più o meno consapevole - di riforma della governance comunitaria. Il modello di integrazione che ha caratterizzato recentemente l Unione può dunque essere definito di sovranazionalismo illegittimo. L intergovernamentalismo di questi anni non ha cioè precluso totalmente un aumento della sovranazionalità, ma questa si è realizzata a vantaggio delle istituzioni comunitarie non rappresentative e con limitata accountability. Del resto, il risultato delle recenti elezioni non è una variabile capace di rinvigorire il ruolo del Pe nella governance comunitaria nei prossimi anni. Fino a quando il Pe sarà nei fatti estromesso dal decision-making che determina le grandi evoluzioni dell integrazione, l impatto creato dalla distribuzione dei seggi sarà solo limitatamente apprezzabile. Le condizioni strutturali di sovranazionalismo illegittimo condizioneranno la prossima legislatura a difendere le proprie prerogative in quanto istituzione, relegando in secondo piano le differenze politiche. La lunga crisi scatenatasi nel 2008 e non ancora del tutto superata ha determinato in Europa un processo complesso di cambiamento istituzionale, ridisegnando la governance della moneta unica e i rapporti tra le istituzioni comunitarie e tra esse e gli Stati membri. Tali evoluzioni possono essere viste come una conseguenza diretta della pressione che gli stravolgimenti economici hanno operato sulle strutture comunitarie, strette tra la necessità di rinforzare le difese contro la crisi e le comprensibili resistenze domestiche a tali misure (Macartney, 2013). La fase acuta della crisi economica peraltro si è inserita in una dinamica di cambiamento in opera in seguito all entrata in vigore del Trattato di Lisbona a fine 2009 (Dinan, 2011). Di conseguenza gli ultimi cinque anni hanno rappresentato per l Unione Europea nel suo complesso un periodo di intenso cambiamento istituzionale, sviluppatosi a prima vista attorno ad alcune linee conduttrici ben definite, tra cui spiccherebbe l aumento del livello di intergovernamentalismo per la gestione della crisi con un rafforzamento 1

del ruolo di iniziativa del Consiglio Europeo 1 a discapito della Commissione Europea. La semi-formalizzazione di alcuni incontri quali ad esempio l Eurosummit, o la moltiplicazione dei vertici intergovernativi ne sarebbero un segnale. Tuttavia, l analisi condotta nel presente articolo ridiscute in parte tale narrativa e suggerisce una visione evolutiva secondo cui una prima fase di gestione intergovernativa della crisi, forte dei cambiamenti introdotti dall ultima revisione dei Trattati e dalla legacy del Trattato di Maastricht, ha mostrato molti dei suoi limiti, non riuscendo ad offrire soluzioni credibili ed efficaci nel breve e medio periodo, determinando un vuoto politico e cedendo il passo ad un aumento della sovranazionalità. Difatti nel vuoto politico creatosi si sono inserite due istituzioni genuinamente sovranazionali: la Banca Centrale Europea (Bce), forte delle risorse organizzative e materiali di cui può godere, e la Commissione, che è riuscita a ritagliarsi un ruolo non secondario nei confronti degli Stati membri. In altre parole, l Ue ha assistito al paradosso per cui l aumento esponenziale delle responsabilità dei governi ha avuto l effetto collaterale di mostrare i limiti della gestione intergovernamentale, determinandone se non il completo fallimento, almeno una severa battuta d arresto. In questo quadro il Parlamento Europeo (Pe) ha subìto una marginalizzazione, determinando un assetto istituzionale complessivo che può essere definito di sovranazionalismo illegittimo. L obiettivo del paper è duplice. In prima istanza esso si propone di affrontare in una prospettiva empirica la serie di cambiamenti istituzionali intervenuti a livello politico ed istituzionale nella governance della moneta unica degli ultimi anni. In secondo luogo, ed a partire dall osservazione empirica dei policy outcomes derivati dalla lunga crisi in Europa, il paper intende introdurre e caratterizzare un interpretazione dell assetto istituzionale scaturito dalla crisi, qui definito di sovranazionalismo illegittimo. Tale interpretazione è il frutto dell osservazione empirica svolta e della contestuale analisi delle trasformazioni intervenute in Europa negli ultimi anni, con un attenzione particolare al ruolo del Pe. Lo sviluppo del concetto di sovranazionalismo illegittimo vuole essere un contributo preliminare all analisi dell evoluzione di cui l Ue si è resa protagonista durante la crisi, fornendo elementi per disegnare un quadro completo del complesso sistema di interazioni e cambiamenti degli anni più turbolenti nella storia dell integrazione comunitaria. L ambizione del paper è quella di presentare le tendenze di trasformazione che hanno interessato e probabilmente continueranno ad interessare le strutture istituzionali comunitarie, analizzandone le dinamiche e la portata, contribuendo dunque ad una comprensione più approfondita degli affari europei. Esso si promette di non oltrepassare i limiti della materia, senza inoltrarsi dunque nel campo della filosofia politica per apprezzare le pur determinanti ricadute di un tale assetto per il futuro della democrazia in Europa o per la legittimità delle scelte prese a livello comunitario (ad esempio, qual è il diritto dei policy-makers comunitari di imporre le loro decisioni ai cittadini in mancanza di una compiuta legittimità democratica? Può ancora essere valida la logica dei benefici derivanti dall integrazione se nel suo complesso il sistema manca di legittimità?); allo stesso modo, esso manterrà il focus dell analisi sul livello sovranazionale, senza analizzare le ripercussioni di politica interna di tale dinamiche di cambiamento (ad esempio, quali contromisure domestiche vengono elaborate per far fronte alla presunta illegittimità delle politiche comunitarie, sia dai Parlamenti nazionali sia dalle Corti Costituzionali?). L analisi, Nell articolo il focus è concentrato sui lavori e sul ruolo del Consiglio Europeo, anche se ovviamente ad esso va 1 associato il Consiglio dei Ministri quale ulteriore istanza di coordinamento intergovernamentale nelle strutture istituzionali comunitarie. La scelta di trattare il Consiglio dei Ministri solo marginalmente deriva dalla constatazione della preminenza assunta dal Consiglio Europeo negli ultimi anni, soprattutto per le decisioni relative alle politiche economiche e monetarie, anche nel campo legislativo data la specificità delle decisioni prese, che ne fanno una sorta di supervisore del Consiglio dei Ministri (Puetter, 2012, 162). 2

come accennato, non riguarderà l insieme delle politiche comunitarie, ma sarà circoscritta alle materie relative alla governance economica dell area euro, comprendente cioè l insieme dei rapporti tra le istituzioni nella gestione della moneta unica, ma anche la gestione delle politiche monetarie e l insieme delle politiche economiche che ruotano attorno alla moneta unica, quali ad esempio le regole di supervisione degli indicatori macroeconomici dei paesi membri e le disposizioni fiscali, materie per cui negli ultimi anni si sono testimoniati importanti cambiamenti. Il paper è sviluppato come segue: la prima sezione è dedicata all osservazione empirica dei policy outcomes realizzati durante la crisi dell Eurozona. Tentando di tenere analiticamente separate le decisioni che hanno caratterizzato il lavoro dei governi da una parte, per il tramite dell istanza intergovernativa per eccellenza, il Consiglio Europeo, e le istituzioni sovranazionali dall altra, verranno brevemente presentate le misure di gestione e prevenzione della crisi elaborate dallo scoppio della crisi. A partire da questa narrazione, la seconda parte sarà dedicata ad una interpretazione dei processi di cambiamento in atto in Ue, attraverso la caratterizzazione del concetto analitico di sovranazionalismo illegittimo. Un ultima sezione sarà infine dedicata alla recente tornata elettorale di maggio 2014, che aprirà degli scorci sull assetto futuro dell Ue. Una breve presentazione delle negoziazioni per la scelta delle nuove cariche per le istituzioni suggeriscono che il trend del sovranazionalismo illegittimo possa perpetuarsi nel futuro prossimo dell Unione. Le risposte di policy alla crisi dell Eurozona La crisi dell Eurozona è una faccenda complicata, una sfaccettata serie di eventi collegata ad uno shock finanziario, una recessione economica, una crisi dei debiti sovrani e, soprattutto, una crisi politica tra gli Stati membri dell Ue e dell area Euro in particolare con serie implicazioni istituzionali (Dehousse, 2012). Il rapido susseguirsi degli eventi e lo stato di allerta vissuto dal continente negli ultimi anni ha stimolato la creazione di numerose risposte di policy volte ad offrire una via d uscita dalla crisi, che ha avuto per protagonisti indiscussi i governi degli Stati membri, rappresentati nel Consiglio Europeo e nel Consiglio dei Ministri, e le altre istituzioni comunitarie, Bce in testa. Sfruttando la già ampia letteratura sul tema della crisi dell Eurozona 2, risulta utile ripercorrere sinteticamente le principali risposte alla crisi messe in campo, tentando di tenere analiticamente distinte le misure prese in ambito intergovernamentale da quelle scaturite attraverso il metodo comunitario e l azione di istituzioni sovranazionali, a discapito di una narrazione strettamente cronologica e con la consapevolezza di dover in qualche modo ridurre la complessità degli eventi susseguitisi negli ultimi anni. Le due direttrici di intervento nelle quali si sono concentrate le politiche di risposta alla crisi sono state quella di gestione della crisi e quella di prevenzione. Il primo ambito riguarda essenzialmente gli strumenti necessari a aiutare finanziariamente i paesi colpiti più duramente dalla crisi, mentre il secondo comprende gli strumenti legislativi atti a prevenire una ulteriore crisi, attraverso la riscrittura ed il potenziamento delle regole di bilancio da rispettare, in materia di deficit e debito, considerate le inefficienze via via emerse dal Patto di stabilità e crescita (Psc) del 1997. Una presentazione, sicuramente non esaustiva, della letteratura sulla crisi dell euro non può prescindere dalle 2 narrazioni effettuate da Bastasin (2012) e Irwin (2013), oltre che dall eccellente saggio di Hall (2012); per una comparazione critica con il recente passato dell unione monetaria Lucarelli (2013); per una analisi preliminare delle risposte di policy alla crisi Buti e Carnot (2012) e il numero speciale del Journal of European Integration (2013) per un focus sui cambiamenti alla governance economica dell area euro; De Witte et al. (2012) si concentrano sulle conseguenze della crisi per la democrazia in Europa a livello domestico ed europeo. 3

L attore istituzionale nella posizione migliore per affrontare la crisi è stato indubbiamente il Consiglio Europeo. I capi di Stato e di governo hanno infatti affrontato i primi anni della crisi forti del potere e delle responsabilità conferitegli in materia di politica fiscale dall assetto uscito dal Trattato di Maastricht - una sostanziale libertà di manovra accordata ai governi di coordinare lascamente le loro politiche fiscali pur appartenendo ad una unione monetaria - e da quello di Lisbona, che attraverso la figura del Presidente del Consiglio Europeo ha provveduto a dare ulteriore legittimazione al consesso dei capi di governo, inaugurando un inedita fase di gestione intergovernamentale degli affari europei (Puetter, 2012; Fabbrini 2013). La dinamica intergovernamentale si è ulteriormente rafforzata a partire dal 2008, quando di fronte ad una situazione di emergenza in cui mancavano istituzioni deputate a gestire una crisi inedita, gli Stati hanno assunto su di essi una funzione quasi costituente (Dehousse, 2012). La storia della crisi dell Eurozona è però, in parte, anche la storia del fallimento di questo processo di gestione intergovernamentale della moneta unica. Ripercorrendo le vicende della crisi, un primo esempio di mancata coordinazione tra i governi, con conseguente fallimento della risposta di policy predisposta, è da ritrovare nelle settimane immediatamente successive al fallimento della Lehman Brothers, nel settembre 2008. Allora gli Stati fallirono nel tentativo di offrire un piano di aiuti coordinato a livello continentale al settore bancario fortemente sotto stress, e all insegna dell imperativo di lavare i panni sporchi in casa preferirono ricorrere a dei piani di aiuto finanziario nazionali (Bastasin, 2012, 15). Il risultato fu un programma di aiuti patchwork in cui ogni Stato si impegnava a garantire un aiuto alle proprie banche senza alcun respiro europeo (Summit dei paesi dell area euro, 2008), in cui gli interessi nazionali prevalevano sulle necessità europee, come sarebbe spesso accaduto negli anni a seguire. Tuttavia, il capolavoro delle mezze soluzioni è rappresentato dalla vicenda della crisi greca, scoppiata a seguito delle elezioni vinte dal Pasok di George Papandreou di ottobre 2009, trovatosi con dei conti pubblici gestiti con eccessiva spregiudicatezza dai governi precedenti, risultati in livelli di deficit e debito di gran lunga superiori a quelli dichiarati. I problemi fiscali ellenici sarebbero stati in teoria facilmente gestibili agli albori della crisi, considerate le limitate dimensioni relative dell economia greca nel contesto dell Ue, ma essi sono diventati a più riprese una minaccia all esistenza stessa dell area euro, appesa per mesi sul filo del grexit, la temuta uscita della Grecia dalla moneta unica. Lo spettro dell azzardo morale, l atteggiamento quasietico delle Germania nel richiedere una sorta di punizione per i paesi accusati di aver vissuto al di sopra dei propri mezzi, oltre che i limiti dei Trattati che vietano qualunque forma di salvataggio per uno Stato membro (art. 125 TFUE), sono stati gli elementi che hanno determinato un allungamento eccessivo delle negoziazioni per raggiungere un accordo sul piano finanziario di aiuti al paese ellenico. Sostegno finanziario che non è arrivato prima di marzo 2010 sotto forma di un insieme di prestiti bilaterali da parte dei paesi dell area euro e con un impronta marcatamente tedesca (Bastasin, 2012, 180-182), cioè ad un tasso di interesse non preferenziale e dietro draconiane misure di condizionalità, per un totale di 80 miliardi di euro (Summit dei paesi dell area euro, 2010), distribuiti in diversi pacchetti di aiuti collegati al rispetto di impegni di bilancio prestabiliti. Nei mesi successivi lo stesso schema è stato applicato ad alcuni dei paesi periferici dell Ue più colpiti dalla crisi, variamente ribattezzati in maniera più o meno benevola e allusiva, e qui definiti con l acronimo GIPSI (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia). Gli aiuti hanno dunque riguardato l Irlanda (85 miliardi a novembre 2010), il Portogallo (78 miliardi a maggio 2011), poi di nuovo la Grecia per un secondo piano di aiuti (130 miliardi a marzo 2012), oltre che la Spagna per la 4

ricapitalizzazione del proprio sistema bancario (38,9 miliardi a luglio 2012) 3. I pacchetti di aiuto finanziario, elargiti dietro onerose misure di condizionalità, hanno rappresentato il maggiore strumento di crisis management, difficili però da definire come risposte di policy ottimali. Oltre alle diffuse critiche sull inopportunità di imporre pesanti misure di austerità a paesi in difficoltà fiscali (Blyth, 2013), e alla mancanza di un analisi specifica per ogni situazione nazionale all insegna delle soluzioni one-fits-all 4, le aspre negoziazioni hanno visto posizioni inconciliabili, determinando soluzioni troppo tardive e con condizioni non credibili poiché troppo onerose. Negli anni della crisi si sono difatti acuite le divergenze economiche, e di conseguenza quelle politiche, tra paesi considerati core (Germania, Olanda e Finlandia) e la cosiddetta periferia dell area euro, paesi mediterranei in testa. Oggetto del contendere è stato ovviamente la modalità di gestione dei conti pubblici e la necessità di perseguire ad ogni costo politiche di aggiustamento fiscale senza alcuna possibilità di flessibilità, considerate dai falchi dell austerità l unica possibilità per ristabilire i presupposti della crescita e riottenere la fiducia dei mercati, ma bollate da altre parti come inopportune e controproducenti, soprattutto se applicate allo stesso momento, collettivamente e - soprattutto - in una fase economica già recessiva (ibid.). Abbandonata la logica dei prestiti bilaterali, nel corso del 2010 si è fatta largo la necessità di creare degli strumenti finanziari che potessero elargire aiuti, qualora necessari, con procedure più rapide, in modo da ovviare alle difficoltà intrinseche nelle negoziazioni intergovernamentali. In questo senso l EFSM - European Financial Stabilization Mechanism, creato dalla Commissione nel maggio 2010 e capace di raccogliere fino a 60 miliardi, è stato pensato come un primo strumento di emergenza. La necessità di aumentare le disponibilità del fondo ha portato qualche mese dopo alla creazione dell EFSF - European Financial Stability Facility, un meccanismo di salvataggio temporaneo, dalla capacità di prestito di 440 miliardi (Consiglio dei Ministri dell Unione Europea, 2010). Tuttavia, la natura temporanea del fondo (tre anni, con scadenza dunque a luglio 2013) ha minato la sua credibilità, rendendo necessaria la creazione di un ulteriore meccanismo, di natura stabile e per questo inserito nei Trattati: lo European Stability Mechanism, Esm (Consiglio Europeo, 2011). Quest ultimo è formalmente un organizzazione internazionale di diritto pubblico, con sede in Lussemburgo, i cui azionisti sono i paesi membri dell area Euro, che contribuiscono alle sue capacità finanziarie. L Esm ha una capacità di prestito complessiva di 500 miliardi, consistente se paragonata alle prime misure messe in campo, ma ancora insufficiente se le vicende della crisi dovessero colpire una delle principali economie europee, quali ad esempio Spagna o Italia. La moltiplicazione stessa degli strumenti finanziari creati segnala quanti e quali limiti di ciascuno strumento siano emersi progressivamente, una volta confrontati con la prova del fuoco dei mercati finanziari. Da questo punto di vista è possibile sostenere che la gestione della crisi da parte degli Stati è stata quantomeno non all altezza della situazione, inedita nella storia dell integrazione comunitaria, determinando un 3 Mentre il primo pacchetto di aiuti alla Grecia era strutturato come un insieme di prestiti bilaterali accordati dai partner europei e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), il secondo pacchetto è stato finanziato dallo European Financial Stability Facility (EFSF), gli aiuti all Irlanda e al Portogallo attraverso un impegno congiunto di EFSF, EFSM (European Financial Stabilization Mechanism) e FMI. Ulteriori aiuti sono inoltre stati accordati a Cipro e ad altri Stati non membri dell Eurozona (un quadro completo dei programmi di assistenza finanziaria è disponibile al sito http://ec.europa.eu/economy_finance/assistance_eu_ms. Consultato il 9.7.2014) Significativamente, secondo O Callaghan (2013) l atteggiamento dei decisori europei di applicare indistintamente 4 misure di austerità per superare la crisi, retaggio di una visione economica improntata all ordoliberalismo, è un esempio di pensiero monologico (monological thinking), concetto sviluppato dal russo Bakhtin, ovvero di una narrativa che una volta instaurata e diffusa impedisce qualsiasi falsificazione, contro-argomentazione o narrative alternative. 5

allungamento e un progressivo peggioramento delle difficoltà economiche e finanziarie dell Eurozona. Dal lato delle misure di crisis prevention, gli Stati hanno progressivamente messo in campo una serie di strumenti pensati per evitare che le condizioni di bilancio interne degli Stati determinassero l insorgere di nuove crisi, passando da una modalità di coordinamento più morbida che caratterizzava le politiche fiscali a livello continentale prima della crisi, all introduzione di misure di hard law a maglie via via più strette (Hennessy, 2014). Sulla base del Psc del 1997 che fissava i vincoli di bilancio per i paesi appartenenti all Uem, gli strumenti di prevenzione adottati mirano a rafforzare tali paletti, prevedendo un sistema più credibile di sanzioni e contestualmente un aumento dei poteri di monitoraggio degli organi ad esso predisposti. Cronologicamente, sono stati messi in campo il Semestre Europeo a settembre 2010, il Patto Euro Plus a marzo 2011, il Six Pack a dicembre 2011 (che ha assorbito il Semestre Europeo), il cosiddetto Fiscal Compact (ufficialmente Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance dell Ue) a marzo 2012 ed infine il Two Pack a marzo 2013. Il Six Pack e il Two Pack sono due pacchetti di regolamenti e una direttiva della Commissione Europea adottati con il metodo comunitario, ed entrambi prevedono un insieme di misure volte a riformare le disposizioni del Psc (Buti e Carnot, 2012). Tra le misure previste, spiccano l introduzione di sanzioni ad un livello meno avanzato della procedura di deficit eccessivo, il meccanismo della maggioranza inversa, oltre che un coordinamento rafforzato nelle procedure di bilancio nazionali, così da ottenere un timing condiviso per tutti gli Stati membri sotto una supervisione rafforzata della Commissione. Le misure del patto Euro Plus e del Fiscal Compact si inseriscono nello stesso scenario, rafforzando i vincoli di bilancio degli Stati, anche attraverso l inserimento in Costituzione dell obbligo di pareggio di bilancio, e imponendo un rientro del debito a marce forzate. Questi ultimi due accordi sono formalmente dei Trattati internazionali firmati al di fuori della cornice del metodo comunitario, e infatti non tutti gli Stati membri sono tra i firmatari 5 che coinvolgono tuttavia parte delle strutture comunitarie in alcune delle loro misure (es. la Corte di Giustizia ha il compito di vigilare sull inserimento in Costituzione delle norme di bilancio previste). L analisi delle politiche messe in campo in risposta alla crisi non può tralasciare l impegno profuso dalla Bce, che è spesso servito da contraltare ai fallimenti e alle mezze misure previste dagli Stati membri riuniti nel Consiglio Europeo. Una possibile narrativa della crisi è appunto quella che vede l istituzione di Francoforte trovarsi a supplire alle carenze dei governi, incapaci di trovare soluzioni all altezza della sfida (Bastasin, 2012). Forte delle proprie risorse materiali e organizzative, la Banca Centrale ha messo in campo una serie di misure di politica monetaria al limite del rispetto della parola e dello spirito dei Trattati, che limitano il suo mandato alla difesa dell Eurozona dall inflazione, diventando un attore di primissimo piano nel panorama della crisi (Irwin, 2013). Interessata formalmente al raggiungimento di una trasmissione ottimale della politica monetaria all economia reale, la Bce - oltre ad essere uno dei tre membri dell organo tecnico deputato a vigilare sul rispetto delle clausole di condizionalità stabilite nei programmi di aiuto finanziario, sollevando non poche polemiche sulla legittimità di tale posizione (Barbier, 2012) - si è impegnata in due principali direttrici: il sostegno al sistema bancario e le misure a sostegno dei paesi i cui titoli di debito si sono trovati sotto lo stress dei mercati. In relazione al sostegno alle banche europee, la Bce ha previsto due azioni di finanziamento a lungo Il Patto Euro Plus, come suggerisce il nome, è stato firmato dagli Stati membri dell Eurozona e da Danimarca, 5 Polonia, Romania e Bulgaria; il Fiscal Compact invece è stato firmato da tutti gli Stati membri dell Ue ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca. 6

termine a tassi preferenziali (LTRO, Long Term Refinancing Operations) tra il 2011 e il 2012 (Bce Monthly Bulletin, January 2012), ed un ulteriore recente programma di quantitative easing con un numero ancora indefinito di tornate di prestiti a tassi concorrenziali (The Economist, 5 giugno 2014). Le attività che più hanno dato risalto al ruolo della Bce riguardano tuttavia il sostegno dato agli Stati membri per facilitare il finanziamento del loro debito sui mercati internazionali, attraverso operazioni volte ad abbassare il differenziale dei tassi di interesse, arrivato in alcune fasi della crisi a livelli insostenibili per le finanze dei GIPSI, facendo prefigurare a più riprese una loro possibile bancarotta. L atteggiamento della Bce, costretta dai limiti del suo mandato 6 e dalle divisioni interne ai suoi organi decisionali 7, è stata a questo riguardo evolutiva, attuando un entrata in campo progressiva. La necessità infatti di assicurare una trasmissione monetaria ottimale all economia reale e l indispensabile difesa della moneta unica si è scontrata in questi anni con l impossibilità oggettiva di operare da prestatore di ultimo istanza (Hu, 2014), rendendo necessarie delle misure al limite del rispetto dei trattati. Un primo esempio è dato dal cosiddetto Grand Bargain del 2009 (Bastasin, 2012, p. 111) attraverso cui la Bce ha allentato lo stress sui debiti sovrani prestando grandi somme di liquidità alle banche europee, a loro volta caldamente invitate dai rispettivi governi a reinvestire tale liquidità in titoli di Stato. Sospeso a pochi mesi dal suo inizio a causa della reticenza degli Stati ad operare le necessarie riforme nella supervisione dei loro sistemi bancari, il Grand Bargain è stato sostituito negli anni successivi da programmi diversi rispondenti alla stessa logica: considerata la pressione dei mercati sugli Stati, la Bce si sarebbe impegnata ad alleggerire tale pressione sui titoli in cambio della promessa di implementare severe riforme strutturali per adeguare i sistemi economici nazionali alle variate condizioni esterne. Quanto tali pressioni vadano considerate un ingerenza sulle politiche economiche nazionali è argomento di aspro dibattito tra gli osservatori ma soprattutto tra le componenti politiche interne agli Stati oggetto delle attenzioni della Bce. Di certo c è che nessuna violazione esplicita dei Trattati è stata commessa, quanto poi il loro spirito sia stato adattato alle contingenze eccezionali di questi anni può essere dibattuto. In questo senso potrebbe essere necessaria una formalizzazione delle accresciute responsabilità dell istituzione di Francoforte attraverso una revisione dei Trattati, che tuttavia sembra di difficile attuazione nel contesto attuale. Tra il 2010 e il 2012 la Bce ha messo in campo il Security Market Programme, Smp (Banca Central Europea, 2010b), un programma di acquisti dei titoli di Stato effettuato a più riprese sul mercato secondario, rispettando dunque l impossibilità di acquisto diretto degli stessi, per un totale di 220 miliardi di euro, a beneficio soprattutto di Italia e Spagna. Gli Smp si sono tuttavia rivelati deboli poiché pensati per periodi limitati di tempo senza alcuna forma esplicita di condizionalità. Essi dunque mostrano i loro effetti solo quando la Bce agisce effettivamente, senza creare alcun circolo virtuoso nei mercati (Eser e Schwaab, 2013). Alle deficienze delle Smp emerse nel tempo, è stato posto rimedio attraverso le Outright Monetary Transactions (Omt) il cosiddetto bazooka nelle mani della Banca Centrale per porre un freno alla speculazione e alla pressione degli investitori sui titoli di Stato dei paesi dell Eurozona (Banca Centrale Europea, 2012). Esse prevedono acquisti illimitati di 6 I Trattati (art. 123 Tfue) vietano infatti alla Banca Centrale l acquisto diretto di titoli di debito degli Stati membri. Nonostante le trascrizioni delle riunioni del Board della BCE siano secretate per trent anni, a maggiore garanzia 7 dell indipendenza dei membri, è conosciuta l avversione di alcuni membri ad ogni misura ch potesse in alcun modo finanziare il debito pubblico dei paesi in difficoltà. In quest ottica vanno viste le dimissioni nel 2011 di Juergen Stark, capo economista tedesco della Bce, e poi quelle di Axel Weber, presidente della Bundesbank, oltre a quelle minacciate da Jens Weidmann, suo successore, in aperto contrasto per le misure adottate dalla Bce a sostegno dei paesi in crisi. 7

titoli di Stato qualora un paese faccia richiesta dell Esm, accettando dunque formalmente misure di condizionalità da concordare. Le Omt hanno finora funzionato come arma di deterrenza, dato che non sono mai state azionate, e questo fa pensare che possano essere uno degli strumenti di policy definitivi capaci di invertire la rotta della crisi intrapresa cinque anni fa. La marginalizzazione del Parlamento Europeo L osservazione delle risposte di policy della sezione precedente offre un quadro fortemente polarizzato delle azioni intraprese dalle istituzioni europee negli ultimi anni. Da una parte troviamo infatti un attivismo dei governi degli Stati membri che in un susseguirsi di incontri formali ed informali 8 si è rivelato meno efficace di quanto ci si sarebbe aspettato: nonostante la moltitudine di misure messe in campo, spesso mal concordate, implementate solo parzialmente o inadatte allo scopo, gli Stati membri non sono riusciti a sconfiggere definitivamente lo spettro della crisi. Dall altra, l unica istituzione genuinamente federale, la Bce, forte delle proprie risorse materiali e organizzative, si è ritagliata un ruolo di primissimo piano, colmando quel vuoto politico lasciato dagli Stati e riuscendo - per ora - a garantire la sopravvivenza della moneta unica, messa fortemente in dubbio in diverse fasi della crisi, non senza aspre critiche sulla legittimità delle proprie azioni. Alcuni autori sottolineano che tale incremento di potere della Bce possa essere una deliberata strategia del Consiglio per contrastare gli oppositori interni ed esterni dell integrazione (Schimmelfennig, 2014), in linea con il modello di integrazione postulato dal liberalismo intergovernamentale (Moravscick, 1998). Tuttavia, si potrebbe obiettare che il peso della Bce risulta il contraltare dell impotenza mostrata dal Consiglio, più che un deliberato progetto di quest ultimo, un ingresso di emergenza nelle questioni più politiche per supplire alle mancanze dei governi. In ogni caso, non può passare inosservata l inadeguatezza, dei governi europei nell affrontare lo shock della crisi. Tra i due poli troviamo la Commissione Europea che, nonostante abbia delegato in buona parte il suo potere di iniziativa al Consiglio Europeo 9 (Ponzano et al., 2012) e si sia dimostrata più timida di quanto ci si potesse aspettare (Hodson, 2013), ha aumentato le proprie prerogative, soprattutto in materia di vigilanza e monitoraggio dei bilanci nazionali (Bauer e Becker, 2014). Essa ha visto cioè trasformare il suo ruolo da agente predominante di agenda-setting a quello di policy management e policy enforcement (Bauer, 2006). Sebbene in maniera più sfumata rispetto al palese incremento di poteri della Bce, è possibile concludere che la bilancia della Commissione penda dal lato di un rafforzamento delle sue prerogative nei confronti degli Stati membri. In questo quadro istituzionale, appare defilato il Parlamento Europeo. Un analisi del ruolo del Pe negli anni della crisi non può prescindere dal riconoscimento della sua progressiva marginalizzazione (Schmidt, 2012a). Sebbene l assetto istituzionale 8 Diversamente dalle disposizioni del Trattato (art. 15 TUE) che prevede che il Consiglio di riunisca almeno due volte all anno, durante gli anni della crisi i capi di Stato e di governo si sono incontrati almeno sei volte all anno; a questi incontri vanno aggiunti gli incontri informali e i vertici effettuati dai soli capi di Stato e di governo dei paesi dell Eurozona (Eurosummit). Allo stesso modo, per quanto riguarda il Consiglio dei ministri, si sono moltiplicati gli incontri dell Eurogruppo, che riunisce i ministri dell economia e delle finanze dell area euro. Fermo restando il formale monopolio di iniziativa legislativa della Commissione, il carattere via via più esplicito e 9 puntuale delle risoluzioni del Consiglio che propongono misure concrete da adottare, suggeriscono che tale monopolio sia nei fatti più sfumato e meno assoluto di quanto non lo fosse alcuni anni fa. Ponzano et al. (2012) sottolineano come parallelamente le innovazioni del Trattato di Lisbona facciano scivolare il ruolo della Commissione Europea da iniziatore autonomo a iniziatore reattivo alle richieste (o alle pressioni) delle altre istituzioni. 8

dell Unione Economica e Monetaria (Uem) battezzata a Maastricht non abbia assegnato un ruolo centrale al Pe, e sebbene la materia delle politiche monetarie non sia oggetto esplicito delle competenze affidate allo scrutinio del Pe, stupisce quanto limitato sia stato il ruolo giocato dall unico organo elettivo comunitario negli sconvolgimenti degli ultimi anni. Se si esclude la partecipazione del Pe nella definizione dei due pacchetti di regolamenti comunitari tra il 2011 e il 2013, il Six Pack e il Two Pack 10, l istanza rappresentativa per eccellenza dell Ue è stata tenuta ai margini del processo decisionale sul riassetto della governance comunitaria. Tra l altro, nei due pacchetti legislativi non è promossa alcuna misura che aumenti le responsabilità del Pe, se non la previsione nel Two Pack del diritto della commissione parlamentare competente ad invitare le altre istituzioni a dei dialoghi economici (istituito nelle disposizioni finali di uno dei due regolamenti). Né vi è alcun riferimento al Parlamento all interno del trattato che istituisce l Esm. A dispetto della necessità oggettiva di imprimere legittimità all operato di organi tecnocratici quali la Commissione e la Bce, le recenti revisioni della governance comunitaria non hanno previsto un controllo del Pe sull operato della Troika, né strette forme di collaborazione tra il Pe ed i Parlamenti nazionali. Né i maggiori esponenti dell assemblea di Strasburgo si sono ritagliati un ruolo di primo piano tra i decisionmakers comunitari in questa fase di crisi: al fianco della cosiddetta Task force Van Rompuy, il gruppo di lavoro guidato dal Presidente del Consiglio Europeo per riscrivere le regole dell area euro (Task force to the European Council, 2010), o alle proposte della Bce per la ridefinizione della governance dell Eurozona (Banca Centrale Europea, 2010a), nessun documento firmato dai membri del Pe ha ottenuto la ribalta mediatica inserendosi nel dibattito comunitario per la riforma del sistema. Ne consegue che l assetto istituzionale stabilito in Europa a seguito della crisi può essere definito come un sistema di sovranazionalismo illegittimo, con cui si intende l indebolimento del metodo intergovernamentale, risultato inadatto a prevenire e gestire la crisi, a favore dell ampliamento delle prerogative delle istituzioni sovranazionali non rappresentative (Commissione Europea e Banca Centrale), ma a discapito essenzialmente del Parlamento Europeo. Paradossalmente, cioè, sebbene al suo apice al principio della crisi, il metodo intergovernamentale ha mostrato molti dei suoi limiti (Fabbrini, 2013), rendendo inevitabile un aumento del sovranazionalismo, che ha però marginalizzato il Pe. Il sovranazionalismo illegittimo presenta dunque due dimensioni tra esse collegate: la prima concerne il fallimento dell intergovernamentalismo nella risoluzione della crisi, che ha determinato un affidamento di maggiori prerogative alle istituzioni sovranazionali (Commissione e Bce); la seconda dimensione si presenta nel rapporto che tali istituzioni sovranazionali hanno con il P.E, improntato alla non rappresentatività. L illegittimità qui sottolineata non riguarda dunque il progressivo distacco tra il policy-making comunitario ed i cittadini, di cui gli indici di insoddisfazione sfiducia sono un chiaro segnale, quanto la progressiva estromissione dell unica istituzione che gode di un potere di rappresentanza diretta dei cittadini stessi, e che da questa rappresentanza trae legittimità. Nè essa ha che fare con la legalità del sistema emerso dalla crisi: per quanto le operazioni della Bce possano ritenersi al limite della violazione dello spirito dei Trattati, essa si è attenuta alla loro lettera, rientrando dunque pienamente nella sfera della legalità, così come il Pe non è stato estromesso dal policy-making, semmai le sue prerogative non sono aumentate in linea con l evoluzione subita complessivamente dalle strutture istituzionali europee. Alcune delle dinamiche presenti nelle negoziazioni per i due pacchetti legislativi sono disponibili nel sito del 10 Parlamento Europeo, http://europarl.europa.eu/news/en/news-room/backgrounds. Nello specifico, le background notes del 21 settembre 2011 si riferiscono alle negoziazioni per il Six-pack e quelle del 7 giugno 2012 al Two-pack. 9

Tale dinamica è ancor più sorprendente se si pensa che il Trattato di Lisbona aveva disegnato un sistema di pesi e contrappesi piuttosto equilibrato tra le istituzioni. Il definitivo riconoscimento dello statuto di istituzione accordato al Consiglio Europeo e alla Bce aveva un contraltare nell adozione della codecisione come modalità legislativa ordinaria 11, sancendo un equilibrio tra intergovernamentalismo e sovranazionalismo. Tale dinamica tra l altro, sebbene inedita in Ue - che anzi nei decenni ha assistito a un progressivo processo di empowerment del Pe - riflette dei cambiamenti ben noti a livello nazionale (Andersen e Burns, 1996; Raunio, 1999). Le condizioni imposte dall ambiente economico e finanziario internazionale, il progressivo aumento delle transazioni e il rapido incremento della loro velocità, hanno di fatto sfasato il timing tra i mercati e la democrazia, rendendo le procedure legislative nazionali troppo pesanti per competere con la velocità dei mercati, senza considerare che alcuni paesi hanno visto durante la crisi l instaurazione di governi tecnici. A livello comunitario questo si concretizza nell impotenza di reagire alla velocità dei mercati di Consiglio e Pe, per loro natura istituzioni di confronto, dialogo e negoziazione che comportano inevitabili tempi lunghi e dunque con un timing sfasato rispetto ai mercati, a vantaggio di organi tecnicamente più adatti alle nuove sfide globali, sebbene prive di legittimità democratica. Le conseguenze dell assetto post-crisi e le possibili soluzioni La marginalizzazione del Pe, ed il conseguente assetto di sovranazionalismo illegittimo qui descritto, non fa che acuire il deficit democratico delle istituzioni comunitarie, sollevando seri dubbi sulla sostenibilità del processo di integrazione (Habermas, 2012; Persson, 2012). Il ruolo del Pe ai fini della legittimità delle politiche economiche e monetarie dell Ue non è infatti di secondaria importanza. Esso costituisce una garanzia di legittimità sia in fase di input sia in fase di output, riprendendo la distinzione fatta da Scharpf (1999), secondo cui la input legitimacy è la misura della partecipazione del popolo al processo decisionale attraverso gli organi rappresentativi, mentre la output legitimacy attiene al benessere dei cittadini in seguito alle decisioni prese, che conferisce loro una sorta di legittimazione supplementare. Da questo punto di vista, un ruolo del Pe sarebbe auspicabile per imprimere le due dimensioni di legittimazione ai processi di trasformazione intercorsi in questi anni (Hallerberg et al., 2011): sul lato dell input, un ruolo centrale del Pe sarebbe fondamentale per conferire rappresentatività alle decisioni prese, mentre dal lato dell output il Pe conferirebbe chiarezza e trasparenza ai processi decisionali, che se attuati a livello intergovernamentale o all interno di organi tecnocratici possono risultare oscuri. Del resto il Pe è l istituzione meglio piazzata per conferire legittimità ai processi decisionali comunitari, più che gli stessi parlamenti nazionali, per quanto attiene le politiche economiche e monetarie dell Eurozona. Come infatti avviene in sede di negoziazioni all interno del Consiglio, ogni singolo governo è strutturalmente (e legittimamente) chiamato a difendere gli interessi del proprio paese. Allo stesso modo, i parlamenti nazionali, se chiamati ad esprimere la loro visione, sarebbero ovviamente orientati alla difesa degli interessi nazionali, contribuendo a frammentare ulteriormente il quadro delle policies comunitarie (Fasone, 2012). Il Pe rappresenterebbe dunque l unica istanza capace non solo di dare rappresentazione ai cittadini, ma di farlo al di là dei confini nazionali. La codecisione (art. 294 TFUE) è la procedura legislativa secondo cui una norma comunitaria è adottata solo se 11 approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dei Ministri, con il sistema della maggioranza qualificata. 10

Recentemente Schmidt (2012b) ha suggerito l inserimento di una ulteriore forma di legittimazione dell Ue al di là delle legittimazioni input e output, definita throughput legitimation, che consiste nel conferire legittimità ai processi decisionali comunitari attraverso il coinvolgimento della società civile, la trasparenza e dunque l accesso alle informazioni, l accountability e la responsiveness dei decisori politici. A ben vedere, la marginalizzazione del Pe avvenuta negli ultimi contribuisce a scalfire parzialmente anche questo ulteriore dimensione di legittimità, poiché vengono eliminate potenziali sorgenti di legittimità throughput: il coinvolgimento della società civile attraverso i rappresentanti al Parlamento non è attuabile, così come ne risentono la trasparenza e la responsiveness dei processi decisionali comunitari. Il ruolo di controllo democratico del Pe è ancor più necessario se si considerano i profili di legittimità delle istituzioni comunitarie che più hanno ottenuto visibilità e responsabilità, la Bce e la Commissione. In quanto organi essenzialmente tecnici, alla Bce e all esecutivo comunitario non è richiesta rappresentatività. Tuttavia di fronte ad un ingigantimento delle loro prerogative si sente quantomeno la necessità di effettuare un controllo democratico sul loro operato, tanto più che negli ultimi tempi esso ha a che fare con l imposizione ed il controllo di misure di condizionalità agli stati membri, che limitano addirittura il potere discrezionale dei Parlamenti nazionali nella definizione del bilancio. Lo stesso rapporto tra il Pe e la Bce, considerato l esponenziale incremento delle prerogative di quest ultima, fa della Banca di Francoforte una delle istituzioni del suo genere più indipendenti al mondo. Di fatti, negli Stati Uniti le modifiche allo statuto della Federal Reserve sono possibili attraverso una decisione del Congresso, quando invece in Europa è necessaria una ben più gravosa revisione dei Trattati (Barbier, 2012, 216), determinando un indipendenza della stessa unica al mondo, ed un conseguente limitato potere del Pe nei suoi confronti. Se infatti il Presidente della Fed è responsabile (accountable) nei confronti del Congresso, il suo omologo della Bce gode di un indipendenza maggiore (ibid.). Le stesse audizioni del Presidente di fronte alla commissione parlamentare per i problemi economici e monetari, quattro volte all anno, e il resoconto annuale in seduta plenaria sono considerate poco più che formalità, vista l impossibilità del Pe di sanzionare in alcun modo l operato della Bce, e dunque lontane da quel controllo democratico richiesto dal Pe con l istituzione del cosiddetto dialogo monetario (Parlamento Europeo, 1996). Se è vero che il Pe è formalmente escluso dalla gestione della politica monetaria, non facendo parte di quelle istituzioni che regolano l Uem, gli spazi che potrebbe riempire relativi alle questioni di crisis management e crisis prevention sono ampi. Per conferire maggiore legittimità democratica agli strumenti creati durante la crisi il Pe potrebbe essere stato coinvolto in un controllo dell operato della Troika, avrebbe potuto esprimere con un voto l opportunità delle sanzioni applicate agli Stati membri risultati inadempienti ai limiti di budget, o si sarebbe potuto esprimere sulle misure di condizionalità richieste per la concessione degli aiuti finanziari. Ancora, si potrebbe immaginare un rapporto formale più stretto tra il Pe e l Eurogruppo, o l Eurosummit dalla data della sua creazione informale 12, pur con le difficoltà tecniche e politiche L Eurogruppo è la riunione dei ministri dell economia e delle finanze dei paesi appartenenti all Eurozona, che negli 12 anni ha ottenuto uno status formale (ad esempio con la designazione di un Presidente per un mandato di due anni e mezzo), mentre l Eurosummit è la riunione informale, tenutasi per la prima volta nell ottobre del 2008, dei capi di Stato e di governo dei paesi appartenenti all area euro. 11

che questo incontrerebbe 13. Ancora, considerato l aumento esponenziale delle responsabilità assunte dalla Bce, si potrebbero immaginare meccanismi di supervisione maggiore sull operato della Banca di Francoforte da parte del Pe, pur tenendo fermo il necessario principio di indipendenza di questa, intervento questo che richiederebbe una complicata revisione dei Trattai. Infine, al di là delle misure legislative qui elencate, sarebbe prerogativa del Pe, in quanto pilastro dei processi legislativi comunitari, quello di imprimere una dimensione più politica agli stessi. Il Pe dovrebbe cioè farsi veicolo di una visione politica degli affari europei, sfruttando le maggioranze politiche che potrebbero risultare dalle elezioni europee, per imprimere una visione che rispecchi quella dei cittadini. In questo senso, esso diventerebbe un normale parlamento che esprime una visione che spazia lungo la frattura destra-sinistra, piuttosto che la consueta linea di frattura pro-anti Europa, che si è rivelata incapace di far imprimere al Pe una sua visione sul corso degli eventi. Il valore delle elezioni europee 2014 In vista delle elezioni europee di maggio 2014, da più parti veniva auspicata un inversione di rotta nel ruolo del Pe nella governance comunitaria, con una maggiore responsabilizzazione dell assemblea e un più stretto controllo democratico sulle altre istituzioni (si veda ad esempio il manifesto elaborato dai due eurodeputati Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt, 2012). Gli stessi gruppi politici europei hanno fatto campagna, comprensibilmente, per un aumento dell accountability elettorale del Parlamento Europeo, esemplificato nella candidatura di un proprio membro alla presidenza della Commissione Europea 14. Tuttavia, difficilmente la prossima legislatura sarà la protagonista di una rivoluzione copernicana della governance comunitaria, per ragioni strutturali e contingenti. Le ragioni strutturali sono le stesse alla base della marginalizzazione del Pe in questi ultimi anni, ed hanno a che fare con l evoluzione istituzionale di medio-lungo periodo dell Ue, la crisi economica ed in generale le relazioni tra democrazia e mercato della fase storica che viviamo. Per quanto riguarda l evoluzione istituzionale, è già stato ampiamente discusso di come a partire dal fallimento del Trattato Costituzionale, ma più in generale dalle strutture create a Maastricht, l Unione abbia vissuto prima una lunga fase di intergovernamentalismo, in special modo nella gestione delle politiche relative alla moneta unica. Si è poi detto di come la crisi abbia contribuito a trasformare recentemente nell assetto qui definito di sovranazionalismo illegittimo, complice anche una tendenza generale alla deparlamentarizzazione delle logiche politiche nazionali, sacrificate sull altare della rapidità e delle tempistiche imposte dai mercati. Di conseguenza, il Pe si trova in una posizione di svantaggio relativo rispetto ad altre istituzioni per poter influire su una riforma della governance dell Eurozona. I motivi contingenti derivano dal risultato elettorale e dalla composizione del nuovo Parlamento uscito dalle urne. Esso non presenta una chiara maggioranza partitica, costringendo i partiti al centro dell asse politico (Popolari e Socialisti, più 13 L Eurogruppo riunisce infatti i soli paesi Ue che hanno adottato la moneta unica, mentre ovviamente al Pe siedono anche deputati provenienti da paesi che non appartengono all euro; sebbene la linea del Pe sia stata da sempre quella di permettere a tutti i deputati di esprimere il loro voto anche in materie riguardati solo misure relative ai paesi euro, tale discordanza potrebbe aprire spazi di contestazione delle decisioni prese in caso di un aumento di poteri del Parlamento stesso. Il Trattato di Lisbona prevede infatti che la nomina del Presidente della Commissione Europea debba tenere conto 14 dei risultati delle elezioni europee (art 17.7. TUE). Tale disposizione è stata interpretata estensivamente dai gruppi politici del Pe, che hanno avanzato delle candidature, tuttavia il procedimento prevede una deliberazione a maggioranza qualificata del Consiglio Europeo che avanza una proposta da approvare in sede parlamentare. 12

Liberali) ad una grande coalizione sui generis, che è oramai una costante nell emiciclo di Strasburgo dall indizione delle prime elezioni a suffragio universale. Complice il sistema proporzionale di rappresentanza, nessun gruppo parlamentare è riuscito ad ottenere la metà più uno dei seggi. La prima seduta plenaria, a luglio 2014, ha visto la presenza di sette gruppi parlamentari, con i seggi così ripartiti: 221 seggi ai Popolari, 191 ai Socialisti, 70 ai conservatori, 67 ai liberali, 52 alla Sinistra Unitaria, 50 ai Verdi e 48 al gruppo Europa della Libertà e della Democrazia, più altri 52 seggi tra altri e non iscritti 15. Come da sempre accade nel Pe, la maggioranza non sarà dunque espressione di un chiaro orientamento politico, in linea con l asse destrasinistra che caratterizza le dinamiche di politics nazionali. L assemblea di Strasburgo continuerà a rispecchiare un altro cleavage, che pure si sta acuendo a livello nazionale, e cioè quello della spaccatura pro/anti Europa, che divide da una parte i partiti mainstream (Popolari, Socialisti e Liberali), tendenzialmente integrazionisti sebbene con differenze anche marcate sul modello di integrazione da perseguire, e i gruppi più o meno apertamente euroscettici 16. Tale configurazione ripropone nei fatti la necessità di un accordo tra i partiti al centro dell asse politico, che secondo una consolidata logica consensuale in seno al Pe, formeranno una sorta di grande coalizione a livello europeo. Un siffatto assetto politico non è senza conseguenze per il ruolo complessivo del Parlamento all interno delle logiche istituzionali comunitarie. Il principio consensuale in seno al Pe, oltre a ridurre la possibilità di identificare i responsabili del policymaking e quindi ad offuscare ulteriormente l accountability elettorale (Rombi e Valbruzzi, 2014), limita di fatto i poteri del Pe nel triangolo istituzionale. Non essendo presente una chiara maggioranza politica, i maggiori gruppi politici sono costretti a trovare delle posizioni comuni che possano rappresentare un comun denominatore tra le loro preferenze. In questo senso non prevale una chiara visione politica, che farebbe probabilmente più incisiva nell avanzare proposte di riforma, bensì prevale uno spirito corporativo in difesa dell istituzione di fronte agli altri organi comunitari, Consiglio Europeo in primis, che rischia di annacquare le istanze parlamentari in nome di un necessario compromesso tra le forze politiche. Da questo punto di vista, potrebbe essere poco apprezzabile nel corso dei prossimi mesi il fatto che la vittoria sia stata appannaggio dei popolari piuttosto che dei socialisti. La stessa elezione a Presidente della Commissione di Jean-Claude Juncker, candidato dei popolari per la guida dell esecutivo comunitario, avvenuta a luglio, sebbene un indubbio progresso per il peso del Pe all interno del triangolo istituzionale ed un indiscutibile cambiamento di metodo, presenta dei caratteri che ne limitano la portata. Se è vero che l aspettativa di vedere a capo della Commissione il candidato del partito di maggioranza relativa in seno al Pe non sia stata disattesa, la sua designazione da parte del Consiglio non è il frutto del un braccio di ferro che ci si poteva aspettare tra le legittime aspirazioni del Pe di vedere rispettato l esito del voto e la volontà degli Stati membri. Juncker cioè rappresentava di per sé un punto di equilibrio tra i governi, ed anzi se c è una notizia nella sua designazione, è che questa 15 Tra i non iscritti sono compresi gli eletti del Front National francese ed altri deputati euroscettici, tra cui i parlamentari della Lega Nord, che non sono riusciti a formare un gruppi autonomo. Per un analisi dettagliata dei risultati delle elezioni europee a livello continentale e nazionale si rimanda alla recente raccolta di saggi curata da Valbruzzi e Vignati (2014). Può essere utile richiamare la condivisa distinzione tra euroscetticismo hard e soft (metti riferimento): il primo 16 sottintende una critica radicale a qualsiasi forma di integrazione sovranazionale, ed è tipico della galassia di partiti nazionalisti, no-euro e xenofobi (FN, Lega Nord, Vlaams Belang ); l euroscetticismo soft caratterizza quei partiti che pur riconoscendo un valore all integrazione europea, criticano i modi in cui le politiche sono condotte, o sono in favore di una completa rifondazione del processo di integrazione su basi diverse (tra questi, il gruppo dei Verdi e la Sinistra Unitaria). 13

non sia stata presa all unanimità all interno del Consiglio Europeo, ma a maggioranza qualificata con l opposizione di Regno Unito e Ungheria. In altre parole, la sensazione è che Juncker l abbia spuntata perché é una figura capace di rassicurare i governi, più che in veste candidato del gruppo più votato al Parlamento. Tra l altro, il sostegno dei socialisti al lussemburghese stride con le logiche politiche tradizionali di destra-sinistra, ed è un sintomo di quella difesa corporativa dell istituzione di cui si è detto. La tornata di nomine, nel suo complesso, non sono dunque il vero e proprio inizio di quello scenario di politica realmente democratica preconizzato da Hix (2011). Sebbene il cambiamento di metodo sia evidente, una vera e propria riabilitazione del Pe è ancora lontana da venire, e le elezioni, creando una situazione di stallo politico, non hanno certamente contribuito a dinamizzare lo scenario politico. Conclusioni La lunga crisi economica e il parallelo processo di riconfigurazione istituzionale inaugurato a fine 2009 dal Trattato di Lisbona hanno in larga parte ridisegnato il volto dell Ue, ridistribuendo poteri e responsabilità tra il livello nazionale e quello sovranazionale, e all interno di quest ultimo tra i vari attori istituzionali. L analisi condotta nel paper, attraverso la ricostruzione delle risposte di policy più rilevanti in materia di politiche economiche e monetarie realizzate in questi anni di crisi, e attraverso un interpretazione in chiave istituzionalista del ruolo svolto dalle istituzioni europee, ha rivelato due dinamiche di cambiamento convergenti. La prima riguarda il ridimensionamento della fase intergovernamentale: pur affrontando gli albori della crisi forti della legacy lasciata da Maastricht nella gestione dell Uem e delle novità introdotte dalla recente riforma dei Trattati, l approccio intergovernamentale alla crisi nei fatti non ha prodotto gli outcomes desiderati, rallentando il percorso di uscita dalla crisi ed anzi aggravando le condizioni di alcuni Stati membri, a causa dei limiti di tale metodo emersi negli anni. La seconda dinamica riguarda invece il rafforzamento delle prerogative delle due istituzioni tecnocratiche dell Ue, la Commissione e la Bce. Se la prima è riuscita ad ottenere maggiori poteri di sorveglianza e vigilanza sul rispetto delle regole di bilancio da parte degli Stati, la banca di Francoforte ha assunto il ruolo di dominus della crisi, riempendo il vuoto politico lasciato dagli stati membri attraverso un insieme di misure convenzionali e non convenzionali inedite. L assetto determinato dalla convergenza delle due dinamiche è stato definito come sovranazionalismo illegittimo. Paradossalmente, cioè, la fase di intergovernamentalismo ha aperto gli spazi per un rafforzamento di alcune istituzioni sovranazionali. Tuttavia, la marginalizzazione del Pe ha ridotto ulteriormente il tasso di rappresentatività, e dunque di legittimità democratica, delle politiche comunitarie. Lo sviluppo di un assetto di sovranazionalismo illegittimo, ovviamente, non presuppone l annientamento tout court dei governi all interno delle dinamiche istituzionali comunitarie. Come la recente tornata di nomine comunitarie dimostra, essi sono ancora un attore fondamentale in Europa, e per molti aspetti continueranno ad esserlo. Piuttosto, si è assistito ad un loro ridimensionamento nella governance economica dell euro, nella quale sono emerse prepotentemente le figure della Bce e della Commissione, a dispetto dell idea prima diffusa che un semplice coordinamento tra governi fosse sufficiente a gestire la moneta unica. Gli eventi della crisi hanno mostrato che in un sistema di interdipendenze complesse le istituzioni sovranazionali sono indispensabili per ridurre l azzardo morale e i problemi di committment. Tuttavia, se grazie al coinvolgimento attivo della Bce (palesi interferenze nella 14

politica nazionale secondo alcuni osservatori) i problemi di efficacia delle policies è stato momentaneamente risolto, il problema della legittimità democratica dell impianto comunitario resta intatto, anzi acuito se possibile. Cosa il futuro riserverà all Ue e alle sorti del Pe nell assetto istituzionale comunitario, è altamente incerto. La marginalizzazione del Pe potrebbe innescare dinamiche di path dependency, tra l altro diffuse nell ambito istituzionale comunitario durante la crisi (Gocaj e Meunier, 2013) per cui la sua figura potrà difficilmente essere riabilitata nel breve periodo. La portata dell assetto istituzionale partorito negli anni di crisi può cioè potenzialmente portare ad un sistema di perpetuata illegittimità democratica sui cui effetti a lungo termine è doveroso interrogarsi: qual è lo spazio per il metodo comunitario nella gestione della moneta unica considerando il fallimento della gestione integrovernamentale degli ultimi anni? E soprattuto, come accennato in introduzione, quale valore attribuire ai benefici dell integrazione europea se questi vengono ottenuti a discapito della rappresentanza dei cittadini? D altra parte, le dinamiche in atto potrebbero rivelarsi essenzialmente un adattamento temporaneo a delle condizioni eccezionali di crisi, la marginalizzazione del Pe potrebbe rientrare nelle ricorrenti dinamiche di adattamento dell Unione e negli anni il sistema potrebbe riequilibrarsi, anche attraverso una decisa riforma dei Trattati. La strada che apre a questi due scenari è tuttora in divenire e difficile da interpretare. Gli eventi degli ultimi anni hanno dimostrato quanto l integrazione europea sia allo stesso tempo fragile e resiliente, capace di resistere nonostante le debolezze che via via emergono nel suo cammino. Solo il tempo potrà dunque fornire elementi di analisi ulteriori in questi scenari tutt altro che nitidi per il futuro della costruzione europea. Riferimenti bibliografici Andersen, S. e Burns, T. (1996), The European Union and the Erosion of Parliamentary Democracy: A Study of Post-Parliamentary Governance, in Svein, S., Andersen, S. e Kjell A. Eliassen (a cura di), The European Union: How Democratic Is It?, Londra, Sage. Banca Centrale Europea (2010a), Reinforcing the economic governance in the euro area, Francoforte, 10 giugno 2010. Banca Centrale Europea (2010b), Decisione del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea 2010/281/UE, Francoforte, 14 maggio 2010. Banca Centrale Europea (2012), Monthly Bulletin, Gennaio 2012, Francoforte. Banca Centrale Europea, Press Release, Francoforte, 6 settembre 2012. Barbier, C. (2012), La prise d autorité de la Banque centrale européenne et les dangers démocratiques de la nouvelle gouvernance économique dans l Union européenne, in De Witte B., Héritier, A. e Trecschel, A. (a cura di) (2012), The Euro Crisis and the State of European Democracy. Firenze, Istituto Universitario Europeo - European Union Democracy Observatory, pp. 212-240. Bastasin, C. (2012), Saving Euro. How national politics nearly destroyed the Euro, Washington, Brooking Institute Press. 15

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