I livelli essenziali tra salute e assistenza, nella giurisprudenza della Corte costituzionale



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I livelli essenziali tra salute e assistenza, nella giurisprudenza della Corte costituzionale Avv. Davide Paris Relazione alla giornata di formazione Residenze extraospedaliere e diritti degli anziani: il ruolo delle Carte dei servizi Genova, 27 marzo 2012 Testo dell intervento orale, privo di note e indicazioni bibliografiche. 1. L emergere della nozione di livelli essenziali La formula dei livelli essenziali nasce nell ambito della legislazione sanitaria e si ritrova, declinata in maniera diversa, in tutte le riforme che hanno interessato la sanità italiana, a partire dalla legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale. La legge n. 833 del 1978, infatti, all art. 3, stabilisce che «la legge dello Stato, in sede di approvazione del piano sanitario nazionale [ ] fissa i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini». Già in questa prima formulazione, in cui i livelli delle prestazioni non vengono qualificati con alcun aggettivo, si può cogliere il legame tra la formulazione dei livelli da garantire a tutti i cittadini e il principio di uguaglianza: al tempo, la formulazione di tali livelli doveva servire essenzialmente a superare le forti disuguaglianze che avevano sino ad allora caratterizzato il sistema mutualistico dell assistenza sanitaria. Negli anni 90, i livelli delle prestazioni si ritrovano sia nella riforma bis del 1992-1993, sia nella riforma ter del 1999. Secondo l art. 1, c. 4, lett. b), del d.lgs. n. 502 del 1992, il piano sanitario nazionale determina «i livelli uniformi di assistenza sanitaria [ ] con la specificazione delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini, rapportati al volume delle risorse a disposizione». Nel d.lgs. n. 229 del 1999, all art. 1, c. 3, si legge: «L individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio sanitario nazionale [ ] è effettuata contestualmente all individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale [ ]». Queste due formulazioni ben esemplificano due diversi modi di intendere i livelli delle prestazioni, che, schematicamente, posso essere indicati come «livelli minimi» e «livelli essenziali». Su questa alternativa si svilupperà un forte dibattito culturale nel corso degli anni 90 e dei primi anni 2000, che chiama in causa il modo di intendere i compiti e la funzione del Servizio sanitario nazionale e, più in generale, l intero sistema del welfare. Nel caso dei «livelli minimi» l articolo citato del d.lgs. n. 502 lo chiarisce molto bene, si registra una netta prevalenza delle esigenze finanziarie: prima vengono determinate le risorse disponibili e poi, sulla base di quelle, si stabiliscono i livelli di assistenza sanitaria. Il contenuto del diritto alla salute diventa così una variabile dipendente dalle risorse disponibili: siamo nel pieno della categoria del «diritto finanziariamente condizionato». Nel caso dei «livelli essenziali», invece, occorre stabilire che cosa è essenziale, cioè «necessario per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute della popolazione, e appropriato rispetto sia alle specifiche esigenze di salute

del cittadino, sia alle modalità di erogazione delle prestazioni» (così il Piano sanitario nazionale 1998-2000). In questo caso, le disponibilità finanziarie non sono più un vincolo a priori, ma, come afferma il d.lgs. n. 229 del 1999, vengono determinate contestualmente. Non è quindi alla nozione di «diritto finanziariamente condizionato» che ci si richiama, quanto piuttosto a un concetto diverso, che si ritrova nella giurisprudenza costituzionale di quegli anni, cioè il «nucleo essenziale» o «nucleo irriducibile» del diritto alla salute, «protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (così, ad es., la sentenza n.309 del 1999). La disputa fra «minimi» e «essenziali», non è ovviamente una questione soltanto nominalistica, ma investe direttamente, come già segnalato, la visione complessiva dei compiti del sistema di welfare: se il Servizio sanitario deve limitarsi a fornire dei livelli minimi di assistenza si apre un ampio spazio per un sistema di assicurazioni individuali che in chiave sostitutiva rispetto a quanto offerto del Servizio sanitario; al contrario, se il Servizio sanitario offre dei livelli essenziali, tale spazio non si configura, se non per prestazioni integrative (e non sostitutive) [Balduzzi]. La formula «livelli essenziali», pertanto, esprime una precisa concezione del sistema di welfare, ed è ben presente al legislatore di quegli anni che, in due occasioni fondamentali, sceglie consapevolmente la formula dei «livelli essenziali»: - la legge quadro sui servizi sociali, n. 328 del 2000 (v. artt. 2, 9, 18, 20 e 22); - la legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione che, all art. 117, c. 2, lett. m), prevede che lo Stato abbia competenza legislativa esclusiva per la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». 2) La costituzionalizzazione dei «livelli essenziali» La disposizione costituzionale da ultimo citata si inserisce in una riforma volta a valorizzare le autonomie territoriali e, fra queste, in particolare, il ruolo delle Regioni, attraverso un ampliamento delle loro competenze legislative che si verifica rovesciando il criterio di attribuzione della competenza legislativa: le Regioni non sono più titolari delle sole competenze attribuite dalla Costituzione (come era prima del 2001), bensì di tutte le competenze legislative ad esclusione di quelle che la Costituzione riserva allo Stato. Fra queste rientra appunto, il compito di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Così, oltre alla funzione che abbiamo precedentemente visto (la garanzia del nucleo essenziale dei diritti sociali), la clausola dei «livelli essenziali» ne acquista una nuova, quella di intervenire nella ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni. Ecco allora, sommando queste due funzioni, che la clausola dei livelli essenziali diventa la chiave di volta della riforma costituzionale del 2001, poiché è questa formula che deve garantire i diritti fondamentali in condizione di uguaglianza, in un ordinamento sempre più autonomistico (o, se volgiamo, sempre più «federale»). In dottrina, si è parlato pertanto dei livelli essenziali come del «nuovo nome dell uguaglianza» [Balboni]. Per usare le parole della Corte costituzionale (sentenza n. 10 del 2010), si tratta di «un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto». 3) I livelli essenziali nella giurisprudenza della Corte costituzionale

Nella sua giurisprudenza, la Corte costituzionale, ha offerto un interpretazione della clausola dei livelli essenziali che tutela fortemente le ragioni dell uguaglianza e dell uniformità, talvolta forse sacrificando eccessivamente le ragioni dell autonomia regionale. In primo luogo la Corte ha chiarito che i livelli essenziali di assistenza non rappresentano una materia vera e propria, quanto piuttosto una competenza trasversale dello Stato: «non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002). Concretamente questo significa che, attraverso i livelli essenziali, lo Stato potrà intervenire anche in settori che a rigore spetterebbero alle Regioni. Questo rileva particolarmente, ad esempio, nel campo dei servizi sociali: poco tempo dopo l approvazione della tanto attesa legge quadro n. 328 del 2000, la materia dei servizi sociali, con la riforma del Titolo V, è divenuta di piena competenza delle Regioni, con la conseguenza paradossale che una legge quadro attesa per più di un secolo, diviene non vincolante per le Regioni in meno di un anno. Tuttavia, attraverso la competenza «trasversale» dei livelli essenziali, può essere salvata almeno quella parte della legge che disciplina i livelli essenziali di assistenza e il procedimento per la loro determinazione. Inoltre, nella sentenza n. 134 del 2006, la Corte costituzionale ha chiarito che i livelli essenziali si impongono anche alle Regioni speciali: «La natura stessa dei cd. LEA, che riflettono tutele necessariamente uniformi del bene della salute, impone di riferirne la disciplina normativa anche ai soggetti ad autonomia speciale». Ancora, il giudice costituzionale non ha escluso che la competenza a determinare i livelli essenziali abbia un risvolto anche sui profili organizzativi della materia (sentenza n. 134 del 2006), sulla scorta della considerazione che è difficile pensare a un uniformità delle prestazioni offerte, senza un minimo di uniformità nell organizzazione. La sentenza n. 10 del 2010, sulla «social card», rappresenta uno dei momenti di massima espansione del potere statale di disciplinare con legge materie riservate alle Regioni, richiamandosi alla competenza in materia di livelli essenziali. In considerazione della sfavorevole situazione economica, l inizio della crisi, il Governo con decreto legge predispone una speciale misura, la carta acquisti, per far fronte alla popolazione italiana in situazione di particolare bisogno per quanto riguarda l acquisto di generi alimentari, bollette del gas ed energia elettrica. Le Regioni, in una materia di loro competenza come i servizi sociali, sono completamente estromesse, sia dalla disciplina della social card, sia dall attuazione amministrativa della misura (individuazione beneficiari e gestione del servizio). La Corte costituzionale, tuttavia, salva la legge statale: «Un tale intervento da parte dello Stato deve ritenersi ammissibile, nel caso in cui esso risulti necessario allo scopo di assicurare effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in condizioni di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale che, in quanto strettamente inerente alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della persona umana, soprattutto in presenza delle peculiari situazioni [di bisogno] sopra accennate, deve potere essere garantito su tutto il territorio nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo, mediante una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo». È da notare, infine, che la tutela dell uguaglianza nella giurisprudenza costituzionale, va oltre il livello essenziale dei diritti, controllando che, anche per quel che riguarda i livelli aggiuntivi,

cioè le prestazioni ulteriori rispetto ai livelli essenziali, che le Regioni possono scegliere di erogare con proprie risorse. Nella sentenza n. 40 del 2011, viene dichiarata incostituzionale una legge del Friuli Venezia Giulia che riserva l accesso ai livelli aggiuntivi ai soli cittadini comunitari, residenti da almeno tre anni nel territorio regionale: secondo la Corte si tratta di «elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quelle condizioni positive di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta da almeno trentasei mesi, appunto) e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale». Si può ritenere che si tratti, nel complesso di una giurisprudenza eccessivamente sbilanciata sulle ragioni dell uguaglianza e che riduce troppo gli spazi dell autonomia regionale? In realtà, a ben guardare, la Corte ha comunque salvaguardato alcuni spazi per le autonomie regionali, nella definizione dei livelli essenziali, in particolare dei livelli essenziali di assistenza sanitaria. Ai sensi del d.l. n. 347 del 2001, i livelli essenziali di assistenza sanitaria sono determinati con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d intesa con la Conferenza Stato Regioni, e così in effetti è avvenuto (v. l accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2001 e il Decreto Pr. Cons. Min. 29 novembre 2001). La Corte costituzionale, non solo ha avallato questa modalità di determinazione dei livelli essenziali (sentenza n. 134 del 2006), ma ha anche dichiarato incostituzionale il tentativo di discostarsi da questa procedura, riducendo il coinvolgimento delle Regioni a una semplice consultazione della Conferenza Stato-Regioni: v. la sentenza n. 88 del 2003, in materia di SerT, dove viene giudicato incostituzionale il tentativo di imporre nuovi vincoli alle Regioni con un semplice Decreto del Ministro della Salute. Si può così concludere, che, se i livelli essenziali nella giurisprudenza della Corte sono spesso serviti a dilatare le competenze statali con possibile pregiudizio per l autonomia regionale, il giudice costituzionale ha tuttavia recuperato degli spazi per le autonomie regionali attraverso il loro coinvolgimento nella fase della determinazione dei livelli stessi. 4) Alcuni problemi aperti Il problema fondamentale in materia di livelli essenziali rimane quello della loro definizione e del loro aggiornamento, un passaggio fondamentale perché i diritti sociali non rimangano sulla carta ma siano effettivamente esigibili. In ambito sanitario i livelli essenziali sono quelli indicati nel citato DPCM 29 novembre 2001, ma la situazione è ben più difficile nel campo dell assistenza sociale, dove tuttora manca una precisa definizione dei livelli essenziali che vada al di là delle indicazioni generali dell art. 22 della legge n. 328 del 2000. Certamente nel campo dell assistenza sociale la definizione dei Livelli essenziali, i cd. liveas, è più difficile, sia per la varietà dei servizi e degli interventi che rende molto difficile una loro catalogazione, sia per l assenza di una struttura organizzativa di riferimento così articolata come il Servizio sanitario nazionale. Tutto questo non deve però diventare un alibi per lasciare il diritto all assistenza sociale in uno stato indefinito che ne preclude l esigibilità. L esigenza di una chiara definizione dei livelli essenziali, è poi tanto più urgente, se si considera che la legge n. 42 del 2009, la legge delega sul cd. federalismo fiscale, agli articoli 7, 8 e

9, delinea un sistema basato sulla distinzione fondamentale fra spese essenziali, quelle destinate a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni e spese cd. libere. Per le prime è previsto il finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard (finanziato appunto in base a costi standard e non più secondo il criterio della spesa storica), mentre per le seconde non è previsto il finanziamento integrale. Oggi ancor più di ieri, dunque, i livelli essenziali diventano la misura dell uguaglianza e rappresentano la chiave di volta per garantire che il processo del federalismo fiscale sia davvero finalizzato a perseguire obiettivi di efficienza nella garanzia di un elevato grado di uguaglianza nel godimento dei diritti fondamentali, e non aggravi invece situazioni di disuguaglianza di fatto già presenti fra le diverse aree del territorio italiano.