Rivista di psicologia, pedagogia ed epistemologia delle scienze umane



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SPC Scienze del pensiero e del comportamento Rivista di psicologia, pedagogia ed epistemologia delle scienze umane La Multimedialità al tempo della Nuvola Pietro Ramellini* (*Liceo Mancinelli Falconi Velletri. Università Pontificia Regina Apostolorum Roma)

La Multimedialità al tempo della Nuvola di Pietro Ramellini Quasi seguendo una sorta di ciclo macropedagogico, periodicamente la scuola torna ad interrogarsi sulla multimedialità. Da una parte, una dose omeopatica e subliminale di multimedialità tiene sempre bordone, per la banale ragione che è assolutamente inevitabile; dall altra, assistiamo di tempo in tempo a fiammate di rinnovato interesse, siano esse innescate dall irruzione del registro elettronico o dalla sospirata inaugurazione di un aula multimediale. Ora, notoriamente tutti sanno cos è la multimedialità finché qualcuno non chiede di cosa si tratta. A quel punto, dopo aver imbastito una definizione più o meno traballante, si scopre che già La Settimana Enigmistica è intimamente multimediale, e non si comprende più la necessità di tanto clamore pedagogico e fervore didattico. Per dare sostanza a queste affermazioni, leggiamo la definizione della multimedialità che figura in uno degli ultimi aggiornamenti dell Enciclopedia Italiana (Morelli 2000): In senso stretto, il termine multimedialità indica la possibilità di utilizzare più mezzi (media), diversi fra loro, per rappresentare delle informazioni. Va peraltro diffondendosi un significato più esteso della m., corrispondente al caso in cui, all'impiego di più mezzi, si associa la possibilità di interagire con i vari supporti delle informazioni e il contenuto informativo che essi veicolano. Tra i media utilizzabili a questi fini figurano testi, immagini fisse, immagini in movimento, grafica e suoni. Pertanto, la presenza su La Settimana Enigmistica delle intriganti domande nell Edipeo enciclopedico, delle foto di improbabili paesini della provincia italiana, delle grafiche create ad hoc per supportare i più svariati giochi di parole, di rebus che miscelano disinvoltamente immagini e lettere, di collegamenti interni alle risposte di pagina 46, e dei link esterni che rinviano la soluzione del Bartezzaghi al numero successivo, ebbene, tutto ciò rivela già un ricco, sapiente e assai pedagogico uso della multimedialità. Dopo di che, se qualcuno ritiene che la digitalizzazione, la presenza in rete e l interattività non possano mancare, allora il sito www.aenigmatica.it è davvero l apoteosi della multimedialità. Per passare dal faceto al serio, occorre trovare un punto di attacco, una prospettiva di analisi, che ci permettano di sondare più a fondo la natura e la finalità della multimedialità come oggi si presenta, hic et nunc et sic. Proverò allora ad inquadrare il tema della multimedialità all interno di una più ampia riflessione sull attuale Età dell Informazione, della Noosfera e soprattutto, ai nostri fini, dei New Media.

Da qualche anno a questa parte, grazie alla felice metafora della liquidità, il sociologo Zygmunt Bauman ha potuto scandagliare e radiografare la nostra attuale forma di vita (Bauman 2011: v), e più ancora l intera modernità, passando con disinvoltura dall amore liquido alle paure liquide, fino a coinvolgere l intera vita liquida. La liquidità si sposava bene, del resto, con un altra potente e pervasiva metafora della contemporaneità, cioè la rete: intesa come fishing net più che come spider web, attrezzo da pesca più che ragnatela, la Rete è subito apparsa come un immenso tramaglio teso nel mare magnum dell informazione digitale, sdoganando così metafore che andavano dall innocente netsurfing sulle onde telematiche all odioso phishing dei nostri dati più confidenziali. Ebbene, a solo pochi anni di distanza dalla pubblicazione, nel 2000, di Liquid Modernity, l impressione è che la metafora della liquidità si sia già usurata, ridotta all obsolescenza dall affacciarsi di un nuovo campo metaforico, se possibile ancora più duttile, sottile ed impalpabile: quello dei vapori, dei gas e più in generale degli aeriformi. Abbiamo sempre a che fare con fluidostatica e fluidodinamica, ma stavolta si tratta di aerodinamica anziché idrodinamica, di fenomeni atmosferici anziché idrosferici. Se questo segni un ritorno a teorie dei fluidi sottili e imponderabili, come quelle che hanno segnato lo sviluppo della filosofia naturale e della fisica moderna, è ancora presto per dirlo; così pure, non sappiamo se sarà l intera società a diventare gassosa, se i suoi aspetti liquidi e aeriformi si fonderanno in un fluido supercritico oppure come mi sembra più probabile se si troverà un punto triplo di equilibrio tra le sue fasi solida, liquida e aeriforme. In ogni caso, siamo qui a registrare il mutamento e a sondarne le ricadute. La nuova icona di questa concezione, o meglio visione del mondo, è sicuramente il Cloud, la nuvola. Non basta più che la programmazione radiotelevisiva sia On Air o su Sky: si tratta ora del trasloco in cielo dell ingente massa delle informazioni di cui abbiamo, o crediamo di avere, bisogno. È una quantità inimmaginabile di dati, di cui è assai facile apprezzare l imponderabilità perché come ben aveva intuito Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane i bit non hanno peso; stiamo tuttavia perdendo rapidamente cognizione delle loro proporzioni, avendo solo la vaga sensazione che a misurarle non bastino più né Peta- né Esabyte. Tutta questa congerie di informazioni, di cui buona parte è sicuramente costituita da junk data o per dirla heideggerianamente Verfallenheit, chiacchiera inautentica e fuga da sé stessi, la stiamo trasferendo sulla Nuvola o comunque in cielo, nei vari SkyDrive, icloud, Cloud Drive o CloudMe. Nel frattempo, possiamo anche servirci del cloud computing su EMC Atmos o Rackspace Cloud, o avviare forme di cloud collaboration grazie a piattaforme quali Nimbula, OpenNebula e GreenQloud. Al sentire tutti questi nomi, riaffiora il ricordo della Nubicuculia di Aristofane o del gran deposito lunare in cui ciò che si perde qui, là si raguna ; l importante è che la Nuvola venga associata nell immaginazione alla candida morbidezza dei cumuli o, ancor meglio, alle diafane vaporosità dei cirri, e mai e poi mai alla torreggiante e minacciosa densità di un cumulonembo temporalesco. Disponibili in ogni luogo e tempo, fedeli e docili ai nostri richiami secondo i dettami della tecnologia RAS reliability, availability, serviceability i nostri dati sono fisicamente incorporati in qualche server remoto nei deserti della California, ma liricamente assunti al cielo. Dopo di che, chiunque può lanciarsi nello sfruttamento della metafora: in architettura, ad esempio, dopo aver constatato la solida concretezza

dell Empire State Building ed esserci meravigliati per la liquida spumosità del Water Cube a Beijing, siamo tutti in trepidante attesa della Nuvola di Fuksas al quartiere EUR di Roma. Ora, il Cloud sarebbe largamente inefficace se non fosse accompagnato da altri due «segni d aria», la moltiplicazione dei personal device e l estensione ad essi delle tecnologie wireless. Nel giro di pochi anni siamo passati dall ormai paleolitica postazione fissa, con tanto di ingombranti computer case ed inestricabili matasse di cavi elettrici, ad una pletora di cellular, personal, laptop, smart, portable e wrist device, formidabile panoplia dell eroe netizen. La tecnologia wireless ha reso nel frattempo possibile la comunicazione e la sincronizzazione di queste estensioni neurosensoriali, dando vita ad una sorta di ectosimbiosi tra media portatili e corpi umani. L atomizzazione dei dispositivi e la liberazione dalle connessioni materiali con i network telematici hanno così moltiplicato le suggestioni di vaporosità, leggerezza e ariosità di una rete ormai fatta di nodi senza più fili. La transizione alla fase gassosa si presenta dunque sotto il Segno dei Tre: il Cloud, ovvero la mediateca di Nubicuculia; il wireless, ovvero il taglio dei cavi ombelicali; la moltiplicazione dei device, ovvero la riproduzione cellulare. Il dubbio che permane, e che non affronteremo in questa sede, è semmai a quale elemento, mahābhūta o godai ricollegare la fase gassosa: all aria, come abbiamo sinora supposto, o ad un più quintessenziale etere, akasha o kū? Da un lato, le nuvole sono indubbiamente fenomeni atmosferici, nel complesso assai liberi anche se soggetti ai capricci di Eolo; dall altro, nell etere sono state concepite le onde hertziane, e ancora oggi abbondano le connessioni Ethernet. Comunque stiano le cose, ad evitare il reincantamento o la sacralizzazione di una metafora in effetti assai laica come il Cloud, è bene scendere nel concreto: quali sono i risvolti della transizione dal liquido all aeriforme nella pratica quotidiana dell interazione multimediale? Come si presenta la multimedialità ai tempi della Nuvola? Quale relazione si instaura tra la modernità gassosa e i processi di insegnamento e apprendimento? Una prima notazione è che, nell immaginario collettivo, i dati immessi e scaricati dalle nuvole appaiono, proprio per la loro fantasmatica collocazione, disancorati da questo nostro imperfetto mondo sublunare: fluttuano liberi nel cielo, non conoscono barriere e confini; non sappiamo da dove vengono e dove vanno, quali venti li sospingano, come giungano in cielo e piovano su smartphones e tablet. Le informazioni sono immagazzinate non in un sistema organicamente strutturato, ma in un aggregato proteiforme e indefinitamente rimodellabile: informazione informe, stoccata in un altrove remoto, fascinoso e pericoloso come ogni Hic sunt leones che si rispetti. La realtà così rappresentata ricorda la celebre quartina finale del Sūtra del Diamante, in cui Buddha paragona il mondo impermanente ad una nuvola e al balenare di un lampo (ma anche, con liquida metafora, ad una bolla o una goccia di rugiada). Certo, si tratta di un modo di pensare lontano dalla mentalità occidentale corrente, che preferisce forse lasciarsi sedurre dalle connotazioni di freschezza e libertà delle nuvole; tuttavia, è possibile che l attuale successo degli I-device, anziché segnalare un ipertrofia dell Ego, derivi anche dal bisogno più o meno consapevole di ancorarsi al proprio Io come a qualcosa di fisso e stabile, e alla volontà di sentirsi almeno come palloni frenati nell azzurro del cyberspace.

Un secondo aspetto è che le informazioni piovono dalla Nuvola come aerosol atomizzati (quando non si tratta di nubifragi da overload informativo) e permangono come disiecta membra che è difficile organizzare in sistema. Il fatto poi che giungano a noi attraverso media differenti più diversi di quanto si immagini, come avvertiva Marshall McLuhan già negli scorsi anni Sessanta aggiunge un ulteriore livello di eterogeneità e frammentazione. Prendiamo ad esempio la geografia: l impressione è che per molti studenti e studentesse i luoghi di cui sentono parlare sui mass-media non vengano associati ad alcuna carta geografica mentale, ma persistano ostinatamente come dati atomici, collegati più al ricordo di un servizio televisivo che dai loro effettivi rapporti topografici. Ora, venire a conoscenza di frammentarie informazioni multimediali sulla guerriglia afghana sarà sufficiente per collocarle nelle giuste coordinate geografiche? Basterà uno sciame di cognizioni geografiche particellari per discutere le relazioni concettuali tra landscape e mediascape? Analoghe considerazioni valgono per qualsiasi altra disciplina: una volta che abbiano visto una docufiction multimediale, più o meno cupa e sanguinolenta, sulla fondazione di Roma, e abbiano preparato la solita ricerca su Wikipedia sulla predicazione di Isaia, siamo sicuri che le nostre liceali abbiano afferrato che quei fatti sono grosso modo contemporanei? Come saranno ordinati quegli eventi nella loro mente, e come se li rappresenteranno? Saranno pronte per affrontare le idee di Karl Jaspers sulle Epoche Assiali? Si dirà che anche prima della Network Society gli studenti non erano capaci di simili comparazioni, pur avendo studiato sui migliori manuali cartacei del tempo. Ma anche lasciando da parte il fatto che un testo illustrato è già multimediale, l obiezione non regge: un conto è non saper sistemare luoghi ed eventi perché un manuale carente o un insegnante insensibile alla metodologia non ti hanno insegnato a farlo, un altro è non porsi neppure il problema delle relazioni tra luoghi ed eventi, perché l apprendimento è avvenuto per accumulazione di schegge tra loro programmaticamente scollegate. Non è detto con ciò che tutto sia perduto. Forse, l apprendimento nell infosocietà gassosa consiste precisamente nell accumulare informazioni puntiformi e dati adimensionali, tessendo contemporaneamente relazioni a breve e lunga distanza fino a quando cristallizzi un sistema ben compaginato di concetti; come ha mostrato il biologo Stuart Kauffman (1993), dato un insieme di nodi puntiformi si può ottenere una serie di grafi parziali connettendo i nodi a coppie attraverso archi di connessione; oltrepassando una soglia che dipende dal rapporto tra nodi e archi, si assiste ad una transizione di fase in cui quasi tutti i grafi parziali coalescono istantaneamente in un gigantesco grafo. Così pure, l apprendimento può avvenire attraverso piccoli o grandi insight sistemici, che improvvisamente rivelano connessioni insospettate tra dati atomici: Toh, New York è vicina a Washington! E lontana dallo stato di Washington! Chi l avrebbe mai detto?. Si affaccia allora una possibile tattica pedagogica per i nostri tempi: anziché lamentarsi per un Arcadia scolastica sì bella e perduta, occorre comprendere a fondo la nostra età e cogliere i segni dei tempi; su questa base, si potrà proporre una didattica che parta da un modo diffuso di apprendere le informazioni per punti isolati, per exempla singolari e aiuti studenti e studentesse a organizzarle in sistema. Si tratta, a ben vedere, di una doppia inversione metodologica: da una parte, si dà per scontata l impossibilità di un percorso microriduzionista, perché non c è in partenza alcun tutto da scomporre nei

suoi atomi elementari; parallelamente, si decostruisce dall altro lato qualsiasi velleità decostruzionista, che pure sembrerebbe adeguata alla scuola postmoderna o liquida, perché non si dà almeno in prima battuta alcun sistema da decostruire. Piuttosto, dando per scontato che, in un certo senso, il microriduzionismo e il decostruzionismo hanno già lavorato e prodotto particelle elementari in abbondanza, si parte proprio da queste membra, talmente disiecta che gli studenti nemmeno sospettano che fossero precedentemente unite, e pian piano si tesse, si cuce fino a ricomporre la totalità, o a comporre una totalità; il docente invita gli studenti a mettere in comune i fili che possiedono, fa notare come collettivamente la classe disponga di una ricca e variopinta mazzetta di fili, ne aggiunge altri ma soprattutto mostra come intrecciarli in un arazzo, in un sistema dotato di senso. Questo metodo non considera l apprendimento come la mietitura di un campo maturo, da condurre secondo un ordine prefissato ed invariabile, bensì come la tessitura di sontuosi arazzi su telai ad alto liccio culturale. La scuola come manufacture des Gobelins: non sarebbe un bell esempio di quella didattica laboratoriale, multimediale e pedocentrica che molti insegnanti e pedagogisti vagheggiano? Tanto per proporre un esempio anche in ambito scientifico, oggi gli studenti arrivano a scuola con un bagaglio di spezzoni di documentari visti in televisione, di esperimenti condotti in qualche Exploratorium, di videoclip da paura condivisi sui social network attraverso i loro misteriosi tam-tam. Occorre allora con pazienza far decantare questa nebulosa di nozioni atomiche, questo gas ad alta temperatura emotiva e bassa temperatura cognitiva, liberarsi dalla melassa multimediale dell infotainment e delle docufiction, per cominciare a collegare, tessere, annodare e indicare relazioni. Le nozioni degli studenti, solitamente più numerose di quanto immaginano i docenti, serviranno allora come trampolini di lancio, punti d appoggio e fulcri della leva didattica e pedagogica; il maestro è il ragno che si appoggia ad essi per tessere un web o net di relazioni culturali tra dati elementari: the teacher plays the spider, and hath woven A golden mesh t entrap the hearts and minds of students Sorge a questo punto la più classica delle obiezioni postmoderne: c è in giro qualcuno tanto pieno di sé da pretendere di conoscere il cartone preparatorio dell arazzo, tessere il métarécit o insegnare la Grande Sintesi? Non siamo forse condannati all impossibilità di ogni metanarrazione, alla sola certezza dell incertezza, e perciò ad accontentarci di più o meno informi pastiche di nozioni? Se invece si preferisce la nozione di modernità liquida, non sarebbe questo il momento di ricordare lo slogan dantesco di Bauman: Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida? Se così stanno le cose, possiamo davvero, e sarà effettivamente un bene, collegare le nozioni molecolari in un sistema molare, o dobbiamo considerare i nostri quadri concettuali come costellazioni illusorie, che uniscono artificiosamente astri lontani anni luce l uno dall altro? Le nostre sintesi sono naturali o convenzionali, le possiamo veramente riconoscere e cogliere nella realtà, oppure sono frutto di costruzione e tessitura mentale? Per quanto è dato osservare storicamente, nel corso dei secoli si sono succeduti almeno in certe società e culture tempi di frammentazione e ricomposizione, epoche di analisi e sintesi, periodi enciclopedici e monografici. Dunque, è ben possibile che il

postmoderno, questo bell esempio di manierismo in cui viviamo, sia una fase di transizione da un sistema ad un altro, ad esempio dall attuale egemonia occidentale ad un incipiente e inedita cultura mondiale, sincretica e meticcia; di questo avviso è ad esempio lo stesso Bauman, che ha recentemente supposto che la modernità liquida sia un «interregno» tra due forme diverse di conditio humana (2011: v). Ma concediamo per un momento che invece stia definitivamente tramontando l idea stessa di sistema di pensiero, e che il passaggio dal solido sistema positivista di fine Ottocento, alla sua liquefazione (il fisico direbbe fusione, ma la parola non ha la stessa forza retorica) novecentesca preluda ad un irreversibile evaporazione dei sistemi concettuali in un gas di nozioni atomiche. Che fare allora? Intravedo almeno due risposte. In primo luogo, di fronte ad una nebulosa di nozioni che non fanno e non possono fare sistema, si può almeno adottare un approccio prospettivista: si sceglie con oculatezza un punto di vista da cui osservare e giudicare le informazioni disponibili; si dispone così di un robusto principio di critica e giudizio, se non di unità e organizzazione, del pensiero e soprattutto dell azione. L educazione consiste allora nell abilitare gli alunni a dotarsi di un proprio punto di vista, arricchendolo e modificandolo poi nel confronto con quello dei compagni, e traducendolo in pratiche consapevoli e responsabili. Collocato per così dire ail interno della realtà, il punto di vista opera dall interno della realtà, e in quanto capace di discernere e scandagliare, cioè di inter legere e quasi intus legere, lo possiamo qualificare come intelligente. In questo modo possiamo resistere all acuta osservazione di Marshall McLuhan, quando sosteneva che il carattere particolare di ogni singolo, anche nobilissimo, punto di vista ha perduto nell era elettrica, ogni funzione, perché pretende di tirarsi fuori, di esaminare il mondo da una posizione di estraneità e superiorità; allo stesso tempo, proprio perché immerso nella realtà, il punto di vista salva un altra idea di McLuhan, secondo cui l avvento dell elettricità comporta un coinvolgimento profondo e responsabile del singolo nell umanità, perché fa implodere il mondo e ci avvicina a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo (McLuhan 2011: 23-25). Un simile approccio prospettivista solleva immediatamente il metaproblema della nebulosa dei punti di vista; entra allora in campo il secondo aspetto cui accennavo, che chiamerei provvisoriamente della sostenibilità. Criterio di discernimento e scelta tra punti di vista è la loro sostenibilità intergenerazionale: ad esempio, una prospettiva che, di fronte ai sempre più diffusi, anche se atomici, segnali di crisi ecologica, ne dichiari l irrilevanza pratica avrebbe come esito non tanto la distruzione dell ecosfera, dato che batteri e scarafaggi ci sopravviverebbero allegramente, quanto un progressivo deterioramento della conditio humana. A ben vedere, tuttavia, la questione non ruota tanto intorno alla sostenibilità, quanto al movente e alla finalità profondi dei vari punti di vista: quali sono l origine e l orizzonte, e soprattutto il centro e il cuore di un punto di vista? Da cosa trae alimento, e verso cosa è diretto? È su questo livello che occorre giudicare e scegliere: se un punto di vista è animato da finalità di comunione e condivisione, di conoscenza e amore, allora sarà fecondo e umanizzante; se invece è per principio e in prospettiva centrato solo su conflitto, inimicizia e divisione, allora condurrà verso la sterilità e la disumanità.

Ma possiamo davvero pensare di eliminare polemos e neikos dall umanità? È evidente che stiamo raggiungendo frontiere di riflessione assai lontane dagli intenti iniziali, eppure è il filo stesso del discorso e del ragionamento che ci ha condotto sin qui; sottrarsi a queste domande ultime significherebbe lasciarle sullo sfondo, come spade di Damocle o nodi gordiani irrisolti, che sonnecchiano nel profondo pronti a balzar fuori alla minima occasione. Per abbozzare una replica, e riagganciarci concretamente al discorso sulla multimedialità, possiamo ricordare che non ogni conflitto è scatenato dalla malvagità umana: ci sono guerre che scoppiano per difetti nella comunicazione tra popoli o etnie, per limiti nella comprensione delle posizioni altrui, o per quella profonda carenza umana che la morale classica chiama invincibile ignoranza. Ebbene, la multimedialità può dare un contributo positivo alla soluzione di questa conflittualità sui generis, tanto peculiare in quanto nociva e innocente al tempo stesso, simile più ad una «malattia» sociale che morale, bisognosa di terapie anziché processi; poiché la sua radice risiede proprio in un difetto di comunicazione, di informazione e di rappresentazione, ogni medium disponibile, dal livello individuale a quello di massa, dalla medialità semplice alla multimedialità, può e deve essere messo in campo per sconfiggere sul nascere questa conflittualità. Un altro campo in cui la (multi)medialità può dare buona prova di sé è quello dei conflitti di crescita e delle crisi di sviluppo, ovviamente di grande importanza in campo pedagogico. Qui i media di comunicazione sociale, e segnatamente quelli che supportano i social networks, possono rivelarsi davvero preziosi nel confronto e nei passaggi di consegne intergenerazionali; ancor più importante è il loro ruolo nello scambio sociale tra coetanei e nella solidarietà intragenerazionale, con positive ricadute sull elaborazione e il raffreddamento dei conflitti. I media e la multimedialità sono nelle nostre mani, appunto come strumenti e mezzi: sta a noi farne buon uso e piegarli ai nostri fini. Questa «educazione» dei media affinché si adeguino in funzione ancillare alla nostra vita procederà di pari passo con l educazione ai media, nell ottica di quella media literacy che costituisce un obiettivo imprescindibile di ogni sistema scolastico contemporaneo. Così stando le cose, potremo tornare in classe e pronunciare le fatidiche parole: Aprite i cellulari a pagina 20. Ringraziamenti Ringrazio studenti e studentesse, colleghi e colleghe del Liceo Mancinelli-Falconi di Velletri (Roma) per le vivaci e divertenti ore passate insieme a discutere di questi temi. Bibliografia Bauman, Z. (2011). Modernità liquida. Roma-Bari, Laterza (ed. or. 2000). Kauffman, S. A. (1993). The Origins of Order. New York, Oxford U. P. McLuhan, M. (2011). Capire i media. Milano, il Saggiatore (ed. or. 1964). Morelli, M. (2000). Multimedialità. In: Enciclopedia Italiana, VI Appendice. Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana.