DINO BUZZATI, NARRATORE FANTASTICO DI OPPOSTI

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DINO BUZZATI, NARRATORE FANTASTICO DI OPPOSTI DI IRENE BATTAGLINI http://polopsicodinamiche.forumattivo.com 12 marzo 2012 Mark Twain insinua che il racconto della nostra vita tende a prendere il sopravvento sul dato storico. Ma chi è il narratore che con queste invenzioni e censure costruisce la nostra biografia? Chi è l editor che opera tutti quei tagli per comporre con i fatti un romanzo? Eugene Delacroix aveva messo in giro la voce che il suo vero padre fosse Talleyrand. La leggenda di Jung era di discendere da una relazione illegittima di Goethe. [ ] La mia vita è, come dice Auden, «superflua»; il motivo per cui vi interessa la mia biografia è dato dalle mie opere, perciò è in esse che si trova il «me» che cercate. I James Hillman, Il codice dell Anima. Carattere, vocazione, destino. Adelphi, 1997, pp. 219 e segg. Se l attitudine al multiforme poggia sulla duttilità espressiva del mezzo, della sostanza che si modella alla forma, fino ad farne un'unica realtà tesa verso il Sé dell opera messa a disposizione del mondo, ed è una questione collocata nella storia dell arte, la domanda irrisolta dell artista Buzzati, innovatore e precursore della multimedialità, resta a carico dell identità dell uomo (Belluno, 1906 Milano 1972). Dino Buzzati, pittore. Fu anche giornalista, critico d arte, scrittore di talento senza pari, metafisico della letteratura contemporanea. I biografi e gli studiosi hanno indovinato il

talento di Dino Buzzati attraverso la sua larghissima opera di cronista capace di una foto artistica della realtà (Carlo Bo), di romanziere che tocca l apice della notorietà con Il deserto dei tartari, di illustratore, di fumettista, di critico d arte e librettista, e naturalmente di pittore. L utilizzo dei mezzi, dei supporti e delle tecniche di tutto lo spettro della figurazione e della linguistica, è considerato dai critici un epifenomeno allargato del suo talento di narratore del fantastico, del surrealismo, capace di una potente misura metafisica. Ed è certamente questa lettura ad accreditarsi presso coloro che indagano una produzione che abbraccia una vita spesa nel tentativo di raggiungere, ogni volta, un luogo ulteriore dell identità. Non si tratta di passaggi, di fasi. Il lavoro di Buzzati sembra procedere proprio con quella dinamica propria della contaminazione tra linguaggi, e può essere considerato un precursore di una multimedialità che sta connotando il fantastico e il trasversale che è proprio del nostro tempo. Moltissimo si è scritto a proposito del rapporto tra giornalista cronista, acclamato, brillante, noir, e scrittore dalla fantasmatica abilità di narratore di immagini e di atmosfere cupe, di sortilegi scampati, di letture di angoli invisibili del quotidiano, di mitologie giocate ai margini tra fiaba, fantascienza, allegoria. Dino Buzzati sostiene in Vecchia auto, di essere «un pittore per il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa, le mie pitture quindi non le può prendere sul serio. Le pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie». In questa rivelazione, Hillman sosterebbe essere esplicitata la teoria della ghianda, nella quale sono conservati gli elementi, le voci, quel qualcosa che ci chiama a percorrere una determinata strada, un curioso insieme circostanze che ci ha colpito con la forza di un annunciazione: Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono. [ ] O forse la chiamata non è stata così vivida, così netta, ma più simile a piccole spinte verso un determinato approdo, mentre ci lasciavamo galleggiare nella corrente pensando ad altro. Retrospettivamente, sentiamo che era la mano del destino (Hillman, Il codice dell Anima, p. 17). II

La teoria della ghianda sostiene che siamo venuti al mondo con un immagine che ci definisce, che definisce la nostra individualità e la nostra identità ultima. In questa teoria, ciascuno di noi incarna l idea di se stesso, come direbbero Platone e Plotino, in una forma, un idea, un immagine, che possiede una innata intenzionalità angelica o demoniaca, come se fosse una scintilla di coscienza ; la teoria inoltre afferma che tale immagine, definita come daimon, abbia a cuore il nostro interesse perché ci ha scelti come compagni e come immagine per il proprio, in un reciproco scambio di sostegno e di indicazioni, in una sorta di mentoring interiore. Il daimon di Dino Buzzati lo ha tenuto in vita facendogli attraversare il destino della narrazione, dandogli il compito di raccontare delle storie. Raccontare una storia, l ha mantenuto in vita indipendentemente dal mezzo usato, l ha reso protagonista della propria esistenza a tutto tondo, rendendolo voce autorevole della contemporaneità nel mondo della comunicazione, dell arte, della letteratura. Mondi differenti, abitati da diverse forme di navigazione e di esplorazione. Egli sostiene, poco prima di morire: «la vita si allontana così rapidamente peccato: avrei ancora molti quadri da dipingere». Che, secondo la nostra teoria, potrebbe voler dire, ho ancora molte storie da raccontare, ma so che il mio tempo è limitato, come se il garante dell esistenza gli mostrasse una clessidra, e non un abbandono. E interessante la posizione di Dino Buzzati rispetto alla sua personale teoria della ghianda e rispetto alla chiamata del destino. Buzzati sembra emergere dalla condizione di gettatezza, di solitudine e di vulnerabilità, proprio attraverso questa provvidenziale e copiosa necessità di raccontare, di donare al pubblico quel mondo fantastico che in lui albergava, e nel quale faceva ritorno di quando in quando, per attingervi ogni forma di idea rivoluzionaria sulla comunicazione, come fa con l opera Poema a fumetti nel 1969, che rappresenta, come sostiene egli stesso «un deciso ritorno ai motivi e all atmosfera che frequentavo in gioventù». III Le opere fanno ampio ricorso all ironia, e non possiederanno mai la connotazione drammatica di Salvador Dalì o la potenza onirica di René Magritte; egli non sembra sposare un manifesto politico attraverso le sue opere, mentre la sua opera è quasi un apprendimento continuo al policentrismo, una didattica del polisemico fuorviato dallo spostamento sempre in avanti, sempre oltre l argine di una possibile chiamata del daimon.

Egli impone al destino una dialettica, si mette a discutere, attraverso i suoi lavori, sulla bontà delle scelte del daimon. Mette in discussione; frammenta; va a ritroso (Egli stesso dirà che il Poema a Fumetti rappresenta «un deciso ritorno ai motivi e all atmosfera che frequentavo in gioventù», un richiamo al romantico viaggio tra il disegno e la scrittura), pone in contrasto all interno di una ambivalenza, (come nel famosissimo quadro del 1958, Piazza del Duomo a Milano, in cui la piazza ricorda un pascolo ultramondano e il duomo una corona di rocce che rassomiglia ad un fantastico caravanserraglio vagamente antropomorfo); non si sottrae al confronto con il passato (come nel quadro racconto I giorni perduti, «I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso? Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno. C era dentro una strada d autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata, che se ne andava per sempre. E lui neppure la chiamava.»); si prende molte libertà, grazie al fantastico, che lo tiene in qualche modo lontano dal mondo letterario degli anni cinquanta e sessanta, tutto orientato al dibattito politico sociale. IV Il fantastico quindi, come via di fuga e come ormeggio, come tappeto volante e come lampada dei desideri, in una opposizione simultanea o successiva di due sentimenti, di due espressioni, di due atti contraddittori (desiderio paura, amore odio, affermazione negazione), come si vede chiaramente nei fumetti, nelle potenti immagini che lo hanno assimilato alla popart di Andy Wharol e Lichtenstein, con il contrasto potente del colore, con l uso della

didascalia denuncia, come ad esempio nei lavori ispirati a Peellaert (la cui influenza daimonica è già presente nei primi dipinti di Buzzati). I termini opposti sono vissuti assieme e sperimentati separatamente in una specie di giustapposizione o di mescolanza inestricabile, in cui la maestria del giornalista si fa risposta alla domanda pittorica, che è più ingenua all apparenza formale. La bizzarria, il fantastico, ma soprattutto l onirico, integrano tutta l opera caratterizzata da aberrazioni e deformità, che pur senza aderire al manifesto mistico di Dalì, ci fa entrare in contatto con la stranezza che ci rimane addosso dopo aver ascoltato con timore e tremore il frastuono senza risposta del mondo. I fumetti appaiono in una sequela di azioni che sembrano un susseguirsi di paradossi capricciosamente concatenati, alludendo ad un Sé caratterizzato dalla impenetrabilità ma straordinariamente coerente nella ricerca tematica e nell uso dei linguaggi. Se andassimo a ritroso a ricercare gli elementi a supporto della teoria della ghianda, potremmo anche dire che la progettualità di Buzzati non appartiene ad una distribuzione temporale lineare, e che tutto il movimento della sua carriera artistica si esprime in una dinamica a grappolo, come se intorno ad un tema, ad un concetto, ci fossero l illustrazione, il dipinto, il colore, il racconto, il personaggio, il tema esistenziale, il libretto musicale, il dramma, il romanzo, la cronaca, il reportage. Tutte caratterizzazioni di categorie che non stanno negli stessi campi semantici, e che si avvicendano in una danza polimorfa ed enigmatica, in cui sta nascosta la verità ultima che lui vuole passare al lettore, al pubblico. Una mescolanza semiotica che ti impone un ragionamento largo, una logica metaforica sfumata, decentrata dall Io, che è portato come sulla Luna, o sull Isola dei Morti di Boecklin, a rendere ragione delle sue istanze tutte differenti, tutte possibili, il più delle volte invisibili e nascoste, eroiche nel silenzio di un sipario che si chiude. V L identità dello stesso autore è dunque la tematizzazione centrale, la ricerca di questa descrive una ondivaga traiettoria che ricorda un diagramma frattalico, incentrato sull ulteriore, sul rimando ad altro, come accade con la firma dipinta, che sarà poi inserita in tante sue opere, messa a rimarcare non tanto il possesso di un opera, quanto il diritto ad una lettura personale, che sposti il Sé nel racconto di Sé.

Le azioni nascoste sono le più stimabili. Più ne vedo nella storia, più mi piace. Non sono state nascoste del tutto. Si sono venute a sapere. Quel poco da cui sono trapelate, ne aumenta il merito. La cosa più bella è non averle potute nascondere. Il fascino della morte esiste solo per i coraggiosi. L'uomo è così grande, che la sua grandezza appare soprattutto nel fatto che non vuole riconoscersi miserabile. Un albero non si riconosce grande. Significa essere grandi, riconoscersi grandi. Significa essere grandi, non volersi riconoscere miserabili. La sua grandezza confuta la sua miseria. Grandezza di un re. Quando scrivo il mio pensiero, non mi sfugge. Quest'azione mi fa ricordare la mia forza, che dimentico a ogni istante. Io m'istruisco in proporzione al mio pensiero incatenato. Tendo soltanto a conoscere la contraddizione tra la mia mente e il nulla. Il cuore dell'uomo è un libro che ho imparato ad apprezzare. Non imperfetto, non decaduto, l'uomo non è più il grande mistero. Non permetto a nessuno, neppure a Elohim, di dubitare della mia sincerità. Noi siamo liberi di fare il bene. Il giudizio è infallibile. Noi non siamo liberi di fare il male. L'uomo è il vincitore delle chimere, la novità di domani, la regolarità di cui geme il caos, il soggetto della conciliazione. Giudica ogni cosa. Non è debole. Non è verme. È il depositario del vero, l'accumulo di certezze, la gloria, non il rifiuto dell'universo. Se si umilia, io lo esalto. Se si esalta, io lo esalto ancora di più. Lo concilio con se stesso. Giunge a capire di essere la sorella dell'angelo. Non c'è niente d'incomprensibile. Conte di Lautréamont Se l identità artistica proposta da Dino Buzzati rimanda a quella degli antichissimi filosofi, degli autorevoli studiosi dell uomo, presso i quali la scienza, la musica, la poesia, non erano che elementi espressivi della Musa, l identità dell uomo fa pensare ad un Buzzati precursore della modernità liquida di Bauman, alla perdita dei parametri identitari nella cosiddetta post modernità, fenomeno che gli psicologi sociali osservano verificarsi, sebbene con declinazioni e modalità le più diverse, nelle relazioni in rete. VI Dino Buzzati ci àncora al concreto, al fatto, al disegno, alla parola, al segno, come ultima zattera per traghettarci al simbolico estremo, nel quale la perdita delle coordinate si fa virale necessità di sperimentazione di assenza del corpo. Su questo avrebbe avuto molto da dire e da raccontare. Come ha fatto Pirandello, in Uno, nessuno e centomila, e in Sei personaggi in cerca d autore. Tema difficile quello della non identità, cui l arte contemporanea sta cercando di rispondere.