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Gli Approfondimenti di LavoroFacile MGConsulting srl Numero 19/2009 Giovedì 14 Maggio 2009 TRANSAZIONI, RINUNCE E CONCILIAZIONI La questione della possibilità di disporre dei propri diritti da parte dei lavoratori, già presente nella legislazione del codice civile, è stata riformata nel 1973 con la modifica dell art. 2113 che appunto regolamenta tale possibilità. A cura di Pietro Gremigni Gli atti di disposizione da parte del lavoratore La norma afferma che le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide. Da ciò consegue la facoltà di impugnazione di tali atti dispostivi entro un preciso termine di decadenza e con modalità determinate (v. successivamente). La questione, lo rimarchiamo, attiene a diritti inderogabili e non indisponibili. Questi ultimi sono riferiti a quei diritti che ancora devono entrare nel patrimonio del lavoratore e riguardano in particolare la fase di costituzione del rapporto: il lavoratore non può rinunciare ad un diritto futuro che ancora non gli appartiene. In tale caso l atto di disposizione sarebbe nullo. Viceversa se un diritto è già patrimonio del lavoratore, la legge permette di disporne, anche se è inderogabile, permettendo al lavoratore di scegliere se impugnare l atto di disposizione, facendolo quindi invalidare, oppure lasciandolo com è. Pertanto il lavoratore: - non può disporre diritti indisponibili, pena la nullità dell atto: si tratta di diritti soprattutto di origine costituzionale (relativi alla persona, al riposo settimanale, alla retribuzione minima, alle ferie ecc.); - può disporre di diritti inderogabili, salvo chiederne l invalidità con apposita impugnazione in base all art. 2113 cod. civ., - può disporre di diritti inderogabili nell ambito di una conciliazione prevista dalla legge; - può disporre di diritti derogabili, tra cui la giurisprudenza inserisce gli atti che riguardano la cessazione del rapporto di lavoro (dimissioni normali o incentivate; rinuncia ad impugnare il licenziamento; rinuncia al preavviso ecc.), senza alcuna ripercussione che non sia la presenza di eventuali vizi del consenso. Ciò non significa infatti che questi ultimi atti su diritti derogabili non possano essere impugnati. Lo possono essere in base agli strumenti comuni previsti dal Codice civile (per errore, dolo, violenza ecc.). Rinuncia - Si tratta di un negozio giuridico unilaterale diretto alla dismissione di un diritto da parte del titolare del diritto stesso. 1

L'atto di rinuncia deve essere un atto univoco e specifico, anche se può desumersi implicitamente in comportamenti che manifestano chiaramente l'intento di rinunciare ad un diritto (Cass. n. 9407/2001). Ciò significa che l atto di rinuncia deve individuare l oggetto della dismissione. Non sono cioè ammissibili formulazioni generiche, quali non ho nulla a pretendere. Da qui ne consegue che non è ammissibile ad integrare un valido atto di rinuncia, la cosiddetta rinuncia tacita, desumibile cioè dal solo silenzio serbato dal titolare o dal ritardo nell'esercizio del diritto medesimo. Tuttavia l'esistenza di una volontà abdicativa può risultare da un comportamento dell'interessato che, per le circostanze in cui viene osservato o che lo accompagnano, risulti incompatibile con un'intenzione contraria; l'accertamento al riguardo compiuto dal Giudice del merito e' incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione (Cass. sent. n. 28254/2005, n. 13322 del 2005, n. 14909 del 2002). Transazione - È un contratto vero e proprio con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può insorgere (art. 1965 cod. civ.). Essendo un contratto l'oggetto della transazione deve essere lecito. Presupposto fondamentale per la stipulazione di una transazione è l'esistenza di una situazione di incertezza tra le parti come potrebbe essere, ad esempio, la qualificazione di un rapporto in senso autonomo o subordinato, e la volontà di prevenire una controversia anche potenziale (Cass. n. 62 del 6.1.1984). La transazione deve essere realizzata per iscritto ai fini della prova della stessa (art. 1967 cod. civ.). Ciò significa che la transazione non può essere provata con testimoni, mentre la giurisprudenza ammette, come prova alternativa, la confessione o il giuramento. La transazione (e anche l atto di rinuncia) sono annullabili per errore (di fatto o di diritto) purché rispetto ad un presupposto dell oggetto del contendere (Cass. 17015/2007). Ai fini dell'annullamento della transazione per errore, rileva il solo errore di diritto sulla situazione costituente il presupposto della controversia e quindi su un antecedente logico della transazione e non quello che ricade su una questione che sia stata oggetto di controversia tra le parti. Pertanto non è annullabile, in base alle regole comuni del Codice civile, la transazione con la quale le parti abbiano convenuto un determinato corrispettivo come incentivo all'esodo ed a tacitazione di tutti i diritti del lavoratore in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro. In tal caso infatti, l'errore, incidendo sulle reciproche concessioni, attiene direttamente all'oggetto della transazione e non già ad un suo presupposto. Quando l errore riguarda l oggetto della controversia, il sistema di impugnazione è quello previsto dall art. 2112 cod. civ. Quietanza a saldo - Spesso il lavoratore all'atto di cessazione del rapporto rilascia su moduli predisposti dal datore di lavoro delle dichiarazioni di non aver nulla a pretendere dal datore stesso. Se si tratta di una semplice e generica dichiarazione liberatoria, nella quale il lavoratore non ha avuto l'esatta percezione dei diritti a cui intendeva rinunciare, non si realizza una rinuncia a diritti del lavoratore e come tale può essere impugnata per errore entro i limiti di prescrizione (5 anni) stabiliti dal codice civile. ( Cass. 15371 del 14.10.2003 - Cass. 1194 del 3.2.2003 ), senza cioè essere 2

soggetti agli stretti termini di impugnativa prevista per i veri atti di rinuncia. Se invece la quietanza contiene una rinuncia o una transazione con volontà di privarsi di certi diritti inderogabili può essere impugnata in base alla disciplina dell'art. 2113 c. c. ( Cass. n. 12411, 8.11.1999 - Cass. n. 12983 del 9.12.1992 - Cass. n. 15737 del 27.5.2005 Cass. n. 1373 del 14.6.2006), purché sia dimostrata la precisa consapevolezza del lavoratore di aver rinunciato a dei diritti specifici. In particolare: - per la rinuncia si deve riscontrare una precisa volontà di privarsi di un determinato diritto inderogabile; - per la transazione occorre che vi sia in corso una disputa tra le parti risolta con un accordo transattivo del quale la quietanza liberatoria è il risultato finale. Impugnazione: termine - L' impugnazione della rinuncia o transazione deve essere effettuata, a pena di decadenza entro 6 mesi con decorrenza variabile a seconda del periodo in cui è stata realizzata la rinuncia o la transazione ed in particolare: Rinuncia o transazione compiuta nel corso del rapporto Impugnazione entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto Rinuncia o transazione compiuta dopo la cessazione del rapporto Impugnazione entro 6 mesi dalla data di compimento dell'atto Una volta realizzata l' impugnazione dell'atto entro il termine di 6 mesi la conseguente azione giudiziale di annullamento deve essere proposta entro il termine di prescrizione di 5 anni. In caso di risoluzione del rapporto con preavviso, il termine di cessazione coincide con l ultimo giorno del periodo di preavviso. Viceversa, in caso di mancato preavviso, il rapporto è cessato nel giorno in cui lo stesso si realizza. Soggetto legittimato alla impugnazione - Legittimato all'impugnazione è il lavoratore, e non i suoi aventi causa che abbiano realizzato rinunce o transazioni di diritti pervenuti per successione o per trasmissione dello stesso diritto (contro l estensione del diritto agli eredi è Cass. n. 1805 del 19.2.1987). Riteniamo che siano autorizzati all impugnazione i soggetti beneficiari del TFR e delle indennità di fine rapporto del lavoratore deceduto (art, 2122 cod. civ.) ossia il coniuge, i figli e se viventi a carico, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, nel momento in cui il lavoratore deceduto abbia realizzato atti di rinuncia o transazione che possa avere compromesso il loro diritto. Non sono legittimate all'impugnazione nemmeno le organizzazioni sindacali, a meno che il lavoratore abbia conferito loro uno specifico mandato (Cass. n. 77 del 4.1.1995). Modalità di impugnazione - L' impugnazione può avvenire con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché idoneo a render nota la volontà del lavoratore 3

(art. 2113 c. c., comma 3). L' atto di impugnazione inoltre (essendo ricettizio) deve essere portata a conoscenza del datore di lavoro entro il suddetto termine di 6 mesi. La forma dell atto di impugnazione deve essere scritta pena la nullità dell impugnazione. Dal momento poi che occorre dimostrare la ricezione da parte del datore di lavoro, va comunicata o con raccomandata AR o tramite Ufficiale giudiziario. Effetti dell impugnazione L impugnazione impedisce la decadenza e apre al lavoratore la possibilità di ricorrere in via giudiziale entro il termine di prescrizione di 5 anni. In ogni caso l atto impugnato resta valido ed efficace (Cass. 338/1998). Impugnazione dopo i 6 mesi L atto di rinuncia e di transazione non impugnato nel termine di 6 mesi, può però essere oggetto di un azione di nullità o di annullamento secondo le regole comuni stabilite dal codice civile per qualsiasi contratto. Nel primo caso l azione è imprescrittibile e può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, nel secondo caso l azione di annullamento per incapacità di intendere, per errore, violenza o dolo, si prescrive in 5 anni. Clausole contrattuali di decadenza Spesso la contrattazione collettiva (e anche quella individuale) prevedono termini brevi per l esercizio di un determinato diritto da parte del lavoratore. Se il lavoratore non esercita il diritto nei termini, decade dal suo esercizio. Con riferimento alle clausole convenzionali di decadenza, la stessa giurisprudenza ha richiamato, quale parametro per "misurare" la congruità del termine, l' art. 2113 c.c. in tema di rinunzie e transazioni. Ispirandosi a tale disposizione - secondo cui l'impugnazione del lavoratore subordinato contro le rinunzie e le transazioni invalide deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi, ed è giunta, così, a ritenere la nullità della riduzione convenzionale di tale termine (Cass. 11875/2003). Comportamenti del datore di lavoro dopo l impugnazione Il lavoratore impugna entro i 6 mesi e fa ricorso Si instaura il giudizio di merito e il datore di lavoro può chiedere, in questa sede, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme pagate al lavoratore Il lavoratore impugna entro i 6 mesi ma non fa ricorso Il datore di lavoro può chiedere, per evitare l incertezza, una sentenza dichiarativa al giudice che confermi la validità dell atto di rinuncia/transazione La conciliazione Gli atti di disposizione di diritti inderogabili avvenuti nell'ambito di una delle seguenti procedure sono pienamente validi e non possono essere impugnati in base all' art. 2113 c.c. : 4

- conciliazione in sede giudiziale (art. 185 c.p.c.); - amministrativa (art. 410 c.p.c.); - sindacale (art. 411 c.p.c.). Gli atti stessi possono però essere impugnati per nullità o annullabilità in base alla disciplina del codice civile. L indicazione della legge è tassativa ossia non è estensibile a conciliazioni concluse in altre sedi e con altri soggetti. Tutte le rivendicazioni derivanti dal rapporto di lavoro (compresi quelli parasubordinati e di agenzia) e che intendono sfociare in una controversia giudiziaria, devono essere precedute da un tentativo obbligatorio di conciliazione in una delle tre sedi indicate. Il ricorso è obbligatorio e la comunicazione della richiesta del tentativo di conciliazione provoca i seguenti effetti: - interrompe la prescrizione; - sospende per la durata del tentativo e per i 20 giorni successivi il decorso di ogni termine di decadenza. In considerazione, inoltre, della natura ricettizia degli atti interruttivi della prescrizione e considerato che il legislatore parla di interruzione e non di sospensione della prescrizione, la Cassazione ritiene che la comunicazione che interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza è quella fatta al datore di lavoro (Cass. 20153/2005). Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro 60 giorni dalla presentazione della richiesta e qualora tale termine decorra inutilmente, il tentativo obbligatorio di conciliazione si cordiera comunque espletato per poter procedere giudizialmente. Altre conciliazioni - Eventuali altre conciliazioni non compiute nei modi e nelle forme di quelle indicate al punto precedente, come ad esempio quelle intercorse con i liquidatori del concordato preventivo, non rientrano nella deroga prevista dalla legge, e come tali sono eventualmente impugnabili in base all' art. 2113 c.c. (Cass. n. 3202 del 2.4.1987). Ai fini processuali la legge consente di esercitare il diritto di ricorrere davanti al giudice solo dopo avere esperito il tentativo di conciliazione in una delle sedi indicate di seguito. Conciliazione amministrativa - Ciascuna delle parti, prima di ricorrere davanti al Giudice del lavoro, deve promuovere il tentativo di conciliazione nei confronti delle Commissioni istituite presso la Direzione Provinciale del Lavoro, anche tramite un'associazione sindacale ( art. 410 c.p.c., modificato dall'art. 36 del D.Lgs. 80/1998 ). La Commissione competente è quella: 1) nella cui circoscrizione è sorto il rapporto o dove il datore di lavoro ha la sede o una sua dipendenza per i rapporti subordinati; 2) nella cui circoscrizione c è il domicilio del lavoratore nei rapporti di collaborazione e di agenzia. La conciliazione tra le parti non ha effetto nei confronti di terzi tranne che nei casi tassativamente previsti. Una conciliazione giudiziale, fatta davanti al giudice, finalizzata ad escludere l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non produce effetti nei confronti della DPL, ai fini dell'applicazione delle sanzioni, per 5

omessa comunicazione dell'assunzione ai servizi per l'impiego ( Cass. n. 3344 del 18 febbraio 2005 ). La Commissione provinciale viene nominata dal direttore della Direzione Provinciale del Lavoro ed è composta dal direttore stesso (Presidente) e da 4 rappresentanti effettivi e 4 supplenti dei datori di lavoro e dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Le riunioni della Commissione sono valide in presenza del Presidente e di almeno un rappresentante dei lavoratori e dei datori di lavoro Se viene raggiunto un accordo viene redatto un verbale che deve essere depositato presso la cancelleria del Tribunale competente a cura delle parti o della Commissione. Il giudice, accertata la regolarità formale del procedimento, dichiara il verbale esecutivo. Il mancato deposito del verbale non incide sulla validità della transazione, ma non permette allo stesso di essere esecutivo in base all art. 474 cod. proc. Civ. Un titolo esecutivo è quello che permette l esecuzione forzata sui beni del debitore Nel caso di mancato raggiungimento dell accordo occorre comunque redigere un verbale nel quale deve essere indicato l eventuale accordo parziale, rispetto al quale, se depositato, il verbale acquista forza di titolo esecutivo. Ricorso alla Commissione presso la DPL La conciliazione riesce Convocazione delle parti entro 10 giorni per il tentativo obbligatorio La conciliazione non riesce Si redige un processo verbale sottoscritto dalle parti e dal Presidente Deposito del verbale nella cancelleria del tribunale Si redige un processo verbale con l indicazione della soluzione parziale e del credito spettante al lavoratore Il verbale diventa esecutivo con decreto del Tribunale previa domanda di parte Conciliazione sindacale - Anche il tentativo di conciliazione sindacale è strumento che deve essere obbligatoriamente esperito prima di poter promuovere l' azione giudiziale ed è alternativo alla conciliazione amministrativa ( art. 410 c.p.c..) Come detto la conciliazione sindacale non è impugnabile in base all' art. 2113 c. c. anche nel caso di irregolarità delle procedure previste al punto successivo. Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro 60 giorni dalla richiesta. La conciliazione sindacale segue le modalità e i tempi stabiliti dai contratti collettivi e, una volta raggiunta l' intesa, il verbale d' accordo deve essere depositato presso la Direzione Provinciale del Lavoro a cura di una delle parti o dell'associazione sindacale. 6

Il direttore della Direzione Provinciale del Lavoro, accertata l' autenticità, lo deposita presso la cancelleria del Tribunale e il giudice, su domanda di una delle parti, lo dichiara esecutivo ( art. 411, c. 3 c.p.c. ). Pertanto la validità delle conciliazioni sindacali, nel senso di essere sottratta la regime di tutela dell art. 2113 del cod. civ. presuppone: - la previsione della relativa procedura da parte del contratto collettivo; - l assistenza da parte di rappresentanti sindacali appartenenti a organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Le organizzazioni sindacali presenti nella fase di conciliazione assumono una posizione di garanti esterni della parità di posizione delle parti (Cass. n. 827 del 25.01.1992). Secondo altri orientamenti più recenti è invece necessaria l'assistenza effettiva di un sindacalista appartenente all'organizzazione cui fa parte il lavoratore ( Cass. n. 11167 del 22.10.1991 Cass. 16386/2008) affinché l' atto di disposizione sia sottratto all'impugnazione di cui all'( art. 2113 c.c. ). E necessario che, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fase conciliativa (Cass. 13217/2008). Conciliazione senza procedura contrattuale Se la conciliazione è avvenuta con l assistenza di rappresentanti sindacali, ma non sulla base delle procedure previste dal contratto collettivo, si ritiene che: 1) la conciliazione sia sufficiente a rendere valido l atto di rinuncia o transazione sottraendolo al particolare regime previsto dall art. 2113 del cod. civ. (pochi i precedenti in giurisprudenza, salvo Cass. 5274/1987); 2) la conciliazione non sia idonea a costituire un tentativo obbligatorio necessario per instaurare un giudizio davanti al Tribunale del lavoro, dal momento che la norma parla di tentativo di conciliazione in base alle procedure previste dal contratto collettivo. IN questo caso bisogna che le parti promuovano il tentativo di conciliazione amministrativa. Conciliazione giudiziale - Per poter procedere nella domanda giudiziale deve essere esperito preventivamente il tentativo di conciliazione o amministrativa o sindacale ( art. 412 bis c.p.c.). L'improcedibilità può essere eccepita dalla parte convenuta nella memoria difensiva, oppure d'ufficio dal giudice, non oltre l'udienza fissata per la discussione della causa ( art. 420 c.p.c.). Rilevata l'improcedibilità il giudice sospende il giudizio e fissa il termine di 60 giorni per proporre la richiesta del tentativo di conciliazione. Trascorsi altri 60 giorni senza che si sia espletata la conciliazione, il processo può essere riassunto entro i successivi 180 giorni. Le parti possono farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale e la procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di transigere o conciliare la controversia. Se la conciliazione riesce si redige apposito verbale sottoscritto dalle parti o dai procuratori, verbale che ha valore di titolo esecutivo. In caso contrario il giudice può ritenere la causa matura per la decisione. Conciliazione su contratto certificato Ecco le fasi procedurali necessarie per attivare una conciliazione davanti alla Commissione di certificazione dei contratti, 7

fermo restando che sono i rispettivi regolamenti a stabilire le specifiche procedure applicabili: 1. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. 2. La Commissione, ricevuta la richiesta, dà luogo al tentativo di conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre venti giorni dal ricevimento della richiesta. 3. Per la validità della riunione e l'adozione dei relativi provvedimenti, si osservano le disposizioni del regolamento della Commissione.. 4. Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412 bis c.p.c. 5. Se la conciliazione riesce, si procede alla redazione del verbale. 6. Il verbale di conciliazione deve essere sottoscritto dalle parti e dalla Commissione che ha esperito il tentativo di conciliazione, che certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere (2113 c.c.). 7. Il verbale dovrà contenere la descrizione dettagliata delle intese raggiunte dalle parti, le eventuali variazioni apportate al contratto certificato o al programma negoziale oppure alla successiva attuazione. 8. Nell'ipotesi che tra le parti sia stata concordata la corresponsione di eventuali somme, a qualsiasi titolo (differenze retributive o risarcimento danni), dovranno essere precisate, nel verbale di conciliazione, le relative epoche di pagamento. 9. Copia del verbale deve essere consegnata, dal Presidente della Commissione, a ciascuna delle parti presenti contestualmente alla sottoscrizione. 10. Il Segretario della Commissione provvederà al deposito di una copia del verbale presso la Direzione Provinciale del Lavoro di competenza entro il termine di 5 giorni lavorativi dalla data di sottoscrizione del verbale stesso. 11. Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. 12. La mancata presentazione di una od entrambe le parti comporta l'impossibilità di procedere alla conciliazione, del che dovrà essere annotato nel verbale previsto ai sensi del precedente punto. Conciliazione monocratica - La conciliazione monocratica, prevista dall art. 11 del D.Lgs. 124/2004, può trovare applicazione con una semplice presentazione di una richiesta di intervento o col solo accesso in azienda da parte dell organo ispettivo, con riferimento alla conciliazione contestuale all'ispezione. Essa non vincola l'organo ispettivo in quanto il presupposto per l applicazione è che non si sia ancora proceduto ad alcun accertamento in ordine alla effettiva esistenza o alla veridicità delle situazioni e delle circostanze comunque rappresentate. I presupposti per la sua attivazione sono: 1) la richiesta di intervento del lavoratore (o della propria organizzazione sindacale); 2) la sussistenza di elementi per una risoluzione conciliativa della controversia; 3) la sussistenza dei presupposti perché la Direzione provinciale del lavoro possa avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate. 8

Richiesta di accesso ispettivo (preventiva) Accesso autonomo da parte dell organo ispettivo (contestuale) non si è ancora proceduto ad alcun accertamento non sono emersi evidenti e chiari indizi di violazioni penalmente rilevanti Il rapporto non deve essere stato certificato Istituzione della Conciliazione presso la DPL che deve verificare l'esistenza dei presupposti per una possibile soluzione conciliativa delle questioni Raggiungimento conciliativo dell accordo Mancato accordo Pagamento oneri retributivi e contributivi nei termini previsti, anche ratealmente Ripresa della normale attività ispettiva In base al citato art. 11 i versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo. Al fine di verificare l avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione. La conciliazione monocratica deve riguardare i diritti patrimoniali del lavoratore (Min. lavoro circ. 24/2004) e il datore di lavoro deve provvedere al pagamento integrale, nel termine stabilito dal verbale di accordo, sia delle somme dovute a qualsiasi titolo al lavoratore, sia al versamento totale dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi determinati in base alla legislazione vigente con riferimento alle somme concordate in sede di conciliazione. Sulla base di tali premesse la circolate 6/2007 dell INPS ha precisato, anche in riferimento ad analoga conclusione del Ministero del lavoro (nota 26 ottobre 2006) che l efficacia estintiva del procedimento ispettivo si realizza previo versamento delle somme quantificate e dei relativi contributi e premi, in base alla legislazione vigente. Ciò comporta pertanto che, se l accordo tra le parti del rapporto di lavoro si realizza su parametri retributivi che si collocano al di sotto dei minimali, ai fini previdenziali il computo degli oneri contributivi va comunque operato con riferimento ai minimali stessi. Ai fini della quantificazione della contribuzione e dell accredito sulle posizioni individuali, le somme conciliate 9

devono essere ripartite ad anno, come di consueto avviene per le regolarizzazioni di lungo periodo. Aspetti contributivi delle somme conciliate Il regime contributivo delle somme corrisposte al lavoratore nel corso di transazioni o conciliazioni è così disciplinato: L atto transattivo contiene lo specifico riconoscimento di somme a carattere retributivo Sono assoggettate a contribuzione ordinaria con applicazione delle sanzioni civili in caso di ritardato pagamento. Normalmente si applica la procedura di regolarizzazione contributiva. L atto transattivo contiene somme corrisposte a titolo risarcitorio Le somme sono esenti da contribuzione. In particolare vi rientrano quelle somme pagate non ad eliminare l oggetto della controversia tra le parti, ma ad evitare il ricorso alla lite stessa (Cass. 7552/1999). Conciliazione monocratica In relazione alle somme concordate in sede di conciliazione monocratica il momento di insorgenza dell obbligo contributivo coincide col termine indicato nel verbale di accordo (INPS circ. 6/2007). Il versamento di quanto dovuto dovrà realizzarsi entro il 16 giorno del mese successivo a tale termine. Devono a tale fine essere redatti i modelli DM 10/V. Aspetti fiscali delle somme conciliate In linea generale le somme corrisposte in sede di transazione/conciliazione sono assoggettate a imposte con la seguente distinzione: 1) la tassazione è ordinaria se le somme sono riferite all anno in corso; 2) la tassazione è separata, come arretrati anni precedenti, se riferite a periodi precedenti l anno di pagamento (l aliquota si determina utilizzando il reddito medio del biennio precedente); 3) la tassazione è separata, con l aliquota del TFR, se le somme sono riferite alla cessazione del rapporto di lavoro. Gli interessi e la rivalutazione monetaria sono assoggettabili a ritenute fiscali con le stesse modalità previste per la tassazione del capitale che li ha creati. Tuttavia sono esclusi dalla tassazione gli indennizzi risarcitori del danno emergente e non quelli risarcitori del lucro cessante (Min. finanze circ. 326/1997). IL risarcimento del danno alla professionalità e all immagine derivato dal demansionamento non è soggetto a ritenuta IRPEF (Cass. 9 dicembre 2008, n. 28887). 10