12. Gestione dei sistemi forestali di Loredana Barreca, Pasquale A. Marziliano *, Giuliano Menguzzato *, Luca Pelle *, Giancarlo Ruello **, Angelo Scuderi * 1. Introduzione Lo studio prevede una valutazione degli aspetti ecologici, economici e sociali che interagiscono con l efficienza e la funzionalità del bosco e, di conseguenza, consente la scelta di un uso sostenibile della risorsa rinnovabile (Ciancio, 1998) e di adottare una gestione che tenda verso soluzioni in grado di soddisfare la più ampia richiesta di beni e servigi, non solo sul piano ecologico e ambientale ma anche su quello storico e culturale. Esso contiene gli elementi indispensabili per quanto attiene la struttura dei sistemi forestali e consente di individuare una strategia di sviluppo sostenibile che sia in grado di mettere a disposizione delle popolazioni locali e dell intera società, risorse materiali e opportunità. Esso rappresenta, pertanto, un esempio di pianificazione forestale di secondo ordine riferita a un comprensorio che manifesta caratteristiche comuni sia a livello forestale sia a livello economico e sociale. Rappresenta il punto di riferimento per l elaborazione di piani aziendali basati su una gestione che non penalizzi gli interessi dei proprietari a, al contempo, salvaguardi gli interessi della collettività e la continuità della produzione e dei servigi che il bosco è in grado di fornire (Ciancio, 1998). Si tratta di un Piano Territoriale Forestale (sensu Bovio et al., 2004, IPLA, 2004, Cullotta e Maetzke, 2008a, Cullotta e Maetzke, 2008b) e costituisce un esempio di pianificazione intermedia tra quella regionale o provinciale e quella di tipo aziendale (Agnoloni et al, 2009). Sulla base di quanto affermato sopra questa scala sembra la più idonea a considerare la sostenibilità del rapporto tra l uomo e il bosco e a garantire la tutela degli interessi della collettività nei confronti del bosco stesso (Sottovia, 2001; Cantiani e Bettelini, 2002; Cullotta e Maetzke, 2008b). Come afferma anche Bernetti (1989), la pianificazione forestale territoriale consiste, appunto, nella raccolta di notizie e conseguente formulazione di decisioni relative all uso di tutte le risorse e alla conservazione delle caratteristiche dell ambiente. Pertanto questo studio Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali (GESAF), Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria. ** Scienze e Tecnologie applicate all Ambiente Sezione Tecnologie innovative per la Gestione del Territorio, Università degli Studi di Siena. 311
vuole essere un contributo alla formulazione di un Piano Forestale Territoriale di Indirizzo, ossia di uno strumento di pianificazione di una realtà territoriale omogenea da un punto di vista geografico e amministrativo, come ad esempio il territorio di una Comunità Montana o di un bacino. Le informazioni contenute in questo documento saranno, quindi, alla base della pianificazione a livello aziendale (comune, singoli proprietari o associazioni tra singoli e proprietà pubblica) in modo da avere una visione e una gestione congruente con ipotesi da tutti condivise e concorrenti al raggiungimento di obiettivi comuni. Solo così si potranno attivare le sinergie indispensabili per un efficace e duratura politica del territorio. Una politica che, recependo le linee guida della programmazione forestale a livello nazionale, sarà capace di conservare e valorizzare le foreste e i prodotti forestali nell ottica di una gestione sostenibile delle risorse rinnovabili e più in generale del territorio, tenendo conto delle componenti ecologiche, socioculturali ed economiche nel rispetto degli impegni internazionali e comunitari sottoscritti dal nostro Paese (D. 16-6-2005, GU n 255/2-11-2005). Sarà così possibile attuare (1) una corretta e puntuale tutela dell'ambiente, attraverso il mantenimento, la conservazione e l'appropriato sviluppo della biodiversità negli ecosistemi forestali e il miglioramento del loro contributo al ciclo globale del carbonio, il mantenimento della salute e vitalità dell'ecosistema forestale, il mantenimento, la conservazione e lo sviluppo delle funzioni protettive nella gestione forestale, con particolare riguardo all'assetto idrogeologico e alla tutela delle acque; (2) perseguire il rafforzamento della competitività della filiera foresta-legno attraverso il mantenimento e la promozione delle funzioni produttive delle foreste - sia dei prodotti legnosi che non e attraverso interventi tesi a favorire il settore della trasformazione e utilizzazione della materia prima legno; (3) favorire il miglioramento delle condizioni socio-economiche locali ed in particolare degli addetti, attraverso l'attenta formazione delle maestranze forestali, la promozione di interventi per la tutela e la gestione ordinaria del territorio in grado di stimolare l'occupazione diretta e indotta, la formazione degli operatori ambientali, delle guide e degli addetti alla sorveglianza del territorio dipendenti dalle amministrazioni locali, l'incentivazione di iniziative che valorizzino la funzione socio-economica della foresta, assicurando un adeguato ritorno finanziario ai proprietari o gestori. 2. La gestione forestale Gli ultimi decenni del secolo appena trascorso sono stati caratterizzati da mutamenti talmente rapidi in tutti i settori della società, senza paragoni nella storia, che hanno comportato un radicale cambiamento nel modo di pensare, 312
di comportarsi, di agire e i cui effetti hanno coinvolto l uomo e il modo stesso di vivere e di rapportarsi con ciò che lo circonda. Dal punto di vista strettamente forestale, ciò ha determinato anche una profonda evoluzione nel modo di interagire dell uomo con il bosco, di considerarlo e, di conseguenza, di gestirlo. Lo sviluppo del pensiero ecologico ha portato ad un mutamento scientifico-culturale che ha cambiato il modo di interpretare il concetto di gestione e conservazione delle risorse naturali. Ciononostante in questi ultimi lustri il modo di vivere ha accentuato il distacco dalla natura. L uomo vive in modo molto discontinuo il rapporto con il bosco e con l ambiente che lo circonda. Molto spesso è un rapporto limitato ai soli aspetti turistico-ricreativi. Manca quella quotidianità di rapporti che nel passato legava l uomo alla natura, fonte diretta e indiretta di materie prime indispensabili per la stessa vita. I mutamenti nella società non hanno cambiato solamente il rapporto uomo-bosco, ma hanno inciso in modo evidente anche sulla qualità di beni e servizi che la società, nel suo complesso, chiede al bosco e che il bosco è chiamato ad erogare. Nella società postindustriale e postmoderna, del terziario avanzato e della comunicazione globale il mondo appunto come villaggio globale dove tempo e spazio sembrano quasi annullati l importanza della produzione legnosa che negli ultimi due secoli ha condizionato la gestione del bosco, si è notevolmente ridotta. In sintesi, si è gradualmente sviluppata, anche nell opinione comune, una coscienza ecologica. La presa di coscienza delle problematiche ambientali e la consapevolezza della necessità di adottare forme di comportamento riguardose nei confronti della natura che non implichino danni per l ambiente, ha determinato l elaborazione e l applicazione di forme di gestione che non alterino i complessi equilibri che regolano i sistemi naturali oltre la capacità di resilienza dei sistemi stessi. È la gestione forestale sostenibile che implica un attento esame delle varie realtà senza aver la pretesa di gestirle in funzione di una predeterminata composizione specifica o di obiettivi da raggiungere, poiché questo comprometterebbe la loro dinamicità e diversità. I suddetti sistemi sono così complessi da essere praticamente impossibile conoscere e gestire tutte le loro componenti (Marcot, 1997). Il paesaggio forestale, e non solo, è spesso il risultato di un azione antropica che da secoli modella l ambiente, ma oggi assume anche un valore culturale. Clark (1989) sostiene che la natura del terzo millennio sarà il risultato dei valori della Società. L uomo conserverà attivamente solo ciò cui attribuisce importanza e, pertanto, è fondamentale esplicitare i valori che sono alla base della gestione dei sistemi forestali. 313
2.1. La gestione forestale sostenibile Per molto tempo il bosco è stato considerato una macchina per produrre legno, un officina a cielo aperto, utilizzato non come una risorsa rinnovabile, ma una miniera dalla quale estrarre in breve tempo quanto più possibile (Ciancio, 1998). La coltivazione e la gestione avevano l obiettivo di conseguire per un tempo illimitato il massimo beneficio fondiario e il massimo di beni e servigi. La perpetuità del bosco veniva assicurata attraverso l applicazione di tecniche colturali atte a garantire la rinnovazione del popolamento arboreo (il trattamento) e la pianificazione delle operazioni selvicolturali, nel tempo e nello spazio, in modo da fornire un prodotto annuo, massimo e pressoché costante. Per garantire una produzione legnosa massima e costante, la selvicoltura e la gestione forestale classica hanno portato alla semplificazione del bosco (Ciancio et al., 1999; Nocentini, 2001). A partire dalla seconda metà del secolo scorso, il rapporto bosco-uomo è profondamente cambiato. La crisi della società industriale, la presa di coscienza, anche da parte della gente comune, delle gravi problematiche di natura ambientale e l affermazione del pensiero ecologico, hanno evidenziato, in modo chiaro, la necessità di ripensare il modello di sviluppo fino allora dominante, quale presupposto per la stessa possibilità e qualità di vita dell uomo sul pianeta. Soprattutto, l elaborazione e la formulazione del pensiero ecologico ha dato luogo ad un importante dibattito sui temi ambientali e generato tutta una serie di movimenti culturali che, tra l altro, hanno promosso la rivisitazione critica delle problematiche relative alla gestione forestale determinandone una evoluzione. Nel pensiero forestale si è registrato il passaggio da una concezione di tipo prevalentemente produttivistico, che valuta i sistemi, le tecniche colturali e i metodi di pianificazione in base alla misura della produzione legnosa, a quella attuale in cui al sostantivo gestione si associa l aggettivo sostenibile, che tiene conto non solo del prodotto legnoso ma anche delle variabili ecologiche e sociali (Ciancio, 1998). Il bosco non è un semplice insieme di alberi di interesse economico. È un soggetto, un soggetto di diritti, un bene di interesse pubblico (Ciancio, 1988), una delle condizioni della vita sulla terra (Siegwald, 1993). Non è un bene totalmente disponibile che possa essere gestito secondo i principi dell economia di mercato (Ciancio e Nocentini, 1996; 2001). Le nuove conoscenze nel campo dell ecologia e della biologia, i mutamenti di natura socio-economica e culturale che hanno investito la Società nel suo complesso, spesso costringendola a grandi cambiamenti in tempi estremamente brevi, impongono un rapido mutamento anche della gestione forestale. La società richiede, con insistenza, una maggiore attenzione nei 314
riguardi della foresta. E i forestali ne debbono tener conto (Ciancio e Nocentini, 1995). Da tutto ciò deriva che, per conseguire l efficienza complessiva dei sistemi forestali e la conservazione della biodiversità, è necessario abbandonare la visione riduttiva che vede il bosco come un insieme di alberi di interesse economico o una lista di specie, per considerarlo e gestirlo invece come un sistema biologico complesso e adattativo che impara ed evolve. Il bosco reagisce a ogni evento naturale, a ogni azione umana, determinando nuove realtà, sintesi di interazioni e interconnessioni (Ciancio e Nocentini, 1996). La presa di coscienza che il bosco è un sistema biologico complesso, in grado di auto-organizzarsi, porta alla concezione della selvicoltura sistemica. Ciò significa che la conservazione della diversità biologica può essere efficacemente perseguita solo se si adotta un approccio sistemico basato, appunto, sulla selvicoltura sistemica (Ciancio e Nocentini, 1996; 1998; Ciancio et al., 2003). Sul piano della gestione, l applicazione della selvicoltura sistemica comporta profondi cambiamenti rispetto alla quella classica. Essa presuppone un bosco astrutturato, disomogeneo, autopoietico. L intervento colturale è mirato ad assecondare i meccanismi relazionali tra le parti che compongono il sistema, favorendo le interazioni tra queste e l ambiente. Obiettivo dell azione selvicolturale è il perseguimento dell efficienza funzionale dell ecosistema. Gli strumenti che consentono il raggiungimento di questi obiettivi sono basati sull esecuzione di interventi cauti, continui e capillari, effettuati su piccole superfici mediante il prelievo di singole piante o di piccoli gruppi di alberi. Il fine di queste azioni colturali è quello di favorire lo sviluppo dei nuclei di rinnovazione naturale già esistenti, oppure l ingresso della rinnovazione naturale. Le operazioni colturali non seguono specifici schemi. Si effettuano in relazione alle necessità del popolamento in modo da facilitare una rinnovazione naturale, continua e diffusa. I soprassuoli sono, il più possibile, diversificati per composizione, struttura e funzionalità. Si ottengono popolamenti la cui composizione specifica è in equilibrio dinamico con l ambiente. Gli algoritmi colturali prevedono la verifica dei risultati conseguiti con gli interventi. Ciò consente l eventuale correzione ed eliminazione degli errori. Il monitoraggio bioecologico degli effetti della reazione dei popolamenti ai vari interventi effettuati deve essere la guida per apportare eventuali correttivi. Si adotta l approccio scientifico di prova ed errore. La scarsità di conoscenze in campo biologico e la stessa complessità degli ecosistemi, che determina comportamenti incerti ed imprevedibili, rendono un certo grado di incertezza e di rischio, elementi inevitabili della gestione (Ludwig et al., 1993). 315
Il bosco è un sistema caratterizzato da una organizzazione e una struttura ad alto contenuto di informazione, costituito da un gran numero di elementi che interagiscono fra loro. Le relazioni interne si connettono con una rete esterna di relazioni più ampia. Il gioco delle interazioni è un processo sempre in atto e comporta il principio di incertezza, di indeterminatezza e di incompletezza, tipico di tutto ciò che è complesso. Pertanto, la gestione deve essere flessibile, adattativa, sperimentale a scale compatibili con le scale delle funzioni critiche degli ecosistemi (Holling, 1978; Walters, 1986). Essa, di conseguenza, deve trasformarsi in un processo di apprendimento e in un continuo esperimento dove la verifica delle azioni precedenti consentono una maggiore flessibilità e un migliore adattamento alle condizioni di incertezza in cui si lavora (Grumbine, 1994). La provvigione è basata sul criterio minimale. È maggiore o uguale a 200-250 m 3 a ettaro se il bosco è costituito prevalentemente da specie a temperamento intermedio; a 300-350 m 3 a ettaro se è edificato da specie che sopportano l aduggiamento (Regione Calabria P.M.P.F., 2008). Questi valori rappresentano i limiti insuperabili affinché, pur nelle diverse condizioni stazionali, compositive e strutturali e delle reali necessità dei singoli popolamenti, si possano conservare e aumentare la biodiversità e la complessità del sistema. La selvicoltura sistemica prefigura boschi misti che non presentano una struttura definita nello spazio e nel tempo. Vale a dire, che non si caratterizzano né per la struttura coetanea né per quella disetanea né, tantomeno, per quella che comunemente è definita irregolare (Ciancio, 2002). I boschi trattati secondo i criteri guida della selvicoltura sistemica costituiscono silvosistemi in equilibrio con l ambiente. Anche su superfici limitate c è la presenza di condizioni ecologiche varie, di vari stadi di sviluppo, di una pluralità di nicchie ecologiche e di spazi trofici diversificati. È garantita anche la presenza di una ricca e diversificata componente vegetale e animale. La gestione forestale sostenibile, quindi, va molto al di là della protezione di singole specie o di biotopi, interessa gli ecosistemi e il loro funzionamento e include i processi co-evolutivi tra le componenti che li costituiscono. Ecosistemi diversi danno luogo a forme di vita, culture e habitat diversi, la cui co-evoluzione determina la conservazione della biodiversità (Ciancio, 2007). La gestione di una risorsa rinnovabile, quale è appunto il bosco, non ne esclude a priori l uso ma impone limiti dati dal ciclo naturale di rinnovazione della risorsa stessa. I forestali sono chiamati a essere i difensori, i promotori dell interesse generale per ciò che riguarda la foresta (Siegwald, 1995). Hanno, quindi, responsabilità verso la società tutta, non solo quella di oggi, ma anche di ieri e, soprattutto, di domani. L uomo per poter vivere deve 316
coltivare la natura in modo responsabile, per non mettere in discussione la base stessa dell esistenza dell umanità. Quindi l uomo ha il diritto-dovere di gestire il bosco in modo da soddisfare le proprie esigenze e di trasmetterlo alle generazioni future in condizioni almeno pari, se non addirittura migliori, rispetto a quelle in cui gli è stato consegnato (Ciancio et al., 1998). L uomo chiamato a gestire i sistemi forestali deve trovare soluzioni ecologicamente sostenibili, economicamente proficue e socialmente accettabili (Gilmore, 1977). Si deve porre l obiettivo di recuperare la composizione, la struttura e la funzionalità degli ecosistemi naturali o alterati, al fine di conseguire la sostenibilità nel lungo periodo (Meffee e Carroll, 1997). Da qui, la necessità di guardare con maggiore attenzione alle modalità e alle conseguenze della gestione forestale. Il bosco è un sistema biologico complesso che reagisce a ogni evento naturale o a ogni azione umana determinando una nuova realtà, sintesi di interazioni e interconnessioni (Ciancio, 1998). Quando l uso di una risorsa supera la capacità di resilienza del sistema stesso, si hanno forti diminuzioni del capitale naturale, cui si coniugano modificazioni degli habitat, il decremento della capacità di accumulo di carbonio, la perdita e il degrado dl suolo, l inquinamento e la riduzione dell acqua, la contrazione della microflora e della microfuana, il calo della presenza della macrofauna, con danni ambientali talvolta irreversibili. 3. La gestione forestale sostenibile nei sistemi forestali La complessità della realtà forestale presente nei boschi che ricadono nel territorio della Comunità Montana impone una differenziazione degli interventi in rapporto alle diverse tipologie e in funzione del diverso grado di protezione cui molte zone sono sottoposte. Qualsiasi intervento selvicolturale deve sottendere un comune filo conduttore, rappresentato dalla necessità di prevedere, sempre e comunque, interventi che mirino alla conservazione e al miglioramento dei popolamenti. Ciò significa operare in accordo con i processi naturali in atto e con la variabilità esistente, piuttosto che tentare di modificarli e controllarli. Uomo e esseri viventi devono sviluppare una comune cooperazione basata su mutui interessi (Grumbine, 1994). Solo così la capacità di resistenza e di resilienza del sistema, i processi autoorganizzativi e la struttura dell ecosistema potranno essere mantenuti e servire il sistema stesso e la sua biodiversità e, insieme gli interessi dell umanità nel lungo periodo (Holling e Meffee, 1996). 317
Gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di questo obiettivo sono quelli tipici della Gestione Forestale Sostenibile, ossia la selvicoltura sistemica e la rinaturalizzazione dei sistemi semplificati a seguito dell applicazione della selvicoltura tradizionale classica. Una selvicoltura quest ultima che, mirando a privilegiare quasi esclusivamente gli aspetti di ordine finanziario legati alla gestione del bosco, lo ha semplificato nella struttura riducendolo spesso a un semplice insieme di alberi. Ha imposto turni molto inferiori alla longevità delle varie specie considerandole mature quando le loro dimensioni sono ancora inferiori rispetto a quelle massime raggiungibili. L esame delle varie tipologie boschive ha evidenziato come esistano cenosi che, pur edificate da specie forestali tipiche delle varie zone e in equilibrio con le caratteristiche ecologiche delle diverse aree, per le finalità e modalità di gestione cui sono sottoposte nel passato, si configurano più come attività tipiche dell arboricoltura da legno piuttosto che come sistemi forestali complessi. Molte realtà caratterizzate dalla presenza delle latifoglie hanno sofferto, nel passato, l impatto negativo dell azione dell uomo, per cui oggi richiedono un attenta azione di recupero che sia in grado di ripristinare una maggiore funzionalità bioecologica. Ci sono anche ampie zone, in gran parte abbandonate dall attività agricola, dove sono necessari interventi finalizzati al ripristino della copertura forestale, in modo da difenderle contro gli agenti atmosferici e creare i presupposti per un miglioramento che possa rappresentare il primo passo verso l attivazione di efficaci dinamiche evolutive in grado di assicurare maggiori condizioni di stabilità e biodiversità, per corrispondere sempre meglio alle esigenze e alle aspettative della Società di oggi e, soprattutto, di domani. Ne consegue che la gestione forestale deve essere basata su due opzioni, la selvicoltura sistemica che consente di conoscere, mantenere e accrescere i dinamismi interni degli ecosistemi e la rinaturalizzazione. Quest ultima non si basa tanto su modelli di naturalità individuati a priori o su uno stato ritenuto originario, quanto, piuttosto, sulla necessità di favorire il ripristino dei processi naturali, cioè dei meccanismi di auto-regolazione, di autoperpetuazione, sull aumento della resistenza e della resilienza del sistema (Nocentini, 2000). In altre parole, si tratta di lavorare in sintonia con i processi in atto nel sistema e non contro di essi. Si massimizza il contributo naturale di energia al funzionamento del sistema e si minimizzano gli input energetici artificiali (Allen e Hoekstra, 1992). In quest ottica, gli interventi selvicolturali devono sostenere o innescare le dinamiche naturali lavorando in accordo con i processi naturali, entro i limiti di flessibilità del sistema e a sostegno del bosco. 318
La presenza di aree sottoposte a diverse forme di protezione Parco Nazionale dell Aspromonte, Aree psic e ZPS, Aree IBA impone l adozione di forme di gestione differenziate in rapporto alle finalità che la legge prevede di perseguire sulle aree protette. Per quanto riguarda il Parco Nazionale dell Aspromonte, nelle aree classificate come zona A aree di riserva naturale integrale presenti nel Comune di Molochio, si dovrà adottare una gestione basata sulla preservazione. In questo caso si esclude l intervento dell uomo e si lascia libero spazio alla natura e alla sua capacità di auto-organizzazione. La gestione si concretizza nell attività di monitoraggio dei processi in atto. Nelle aree che ricadono nella zona B aree di riserva naturale orientata che contraddistinguono gran parte delle aree pianeggianti che si trovano tra (700) 800 e 1000 m di quota e, nelle zone più meridionali che si spingono fino alle quote più elevate, la gestione dei sistemi forestali dovrà mirare alla loro rinaturalizzazione attraverso la valorizzazione dei meccanismi intrinseci di autorganizzazione del sistema e l azione a sostegno dei processi evolutivi naturali che si verificano nei vari popolamenti. La gestione delle aree psic è regolata dalle norme contenute nella Direttiva Habitat e recentemente precisate nel Commento all articolo 6 della stessa Direttiva che, in modo specifico, tratta questo argomento. La gestione dei Siti di Interesse Comunitario proposti e le misure di conservazione necessarie devono essere tali da assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche tenendo conto anche dei bisogni economici, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali. Le misure di conservazione devono essere conformi alle esigenze ecologiche degli habitat e delle specie presenti nei siti. Quindi, per garantire uno stato di conservazione soddisfacente, bisogna tener conto dei fattori abiotici e biotici necessari e di tutte le influenze sull ambiente (aria, acqua, suolo, territorio), sugli habitat e sulle specie presenti sul sito. Questi bisogni sono frutto di conoscenze scientifiche e possono essere definite unicamente caso per caso in funzione dei tipi di habitat naturali e delle specie che li caratterizzano. Infatti, le esigenze ecologiche possono variare da una specie all altra ma, per la stessa specie, anche da un sito all altro. Per quanto riguarda la gestione dei boschi che non rientrano fra le aree protette, per le loro caratteristiche che non differiscono molto da quelle sottoposte a protezione e di cui rappresentano un naturale completamento, essa non potrà differire in modo significativo da quella prevista per le zone di riserva naturale orientata. Quindi si tratta anche in questo caso di adottare una gestione che si ponga l obiettivo di una loro rinaturalizzazione. 319
Anche la gestione dei rimboschimenti dovrà perseguire l obiettivo della rinaturalizzazione. Gli interventi dovranno mirare a stimolare le dinamiche interne già in atto, in modo da trasformare, in tempi relativamente brevi, strutture estremamente semplificate, spesso realizzate mediante l impiego di specie estranee all ambiente di introduzione, in cenosi caratterizzate, prevalentemente, da specie indigene, con un elevato grado di complessità e, perfettamente inserite nell ambiente. In tutti i casi, si dovranno adottare interventi che tengano conto delle singole realtà, senza voler forzare le dinamiche evolutive in atto sulla base di schemi precostituiti. Un caso a parte è rappresentato dai cedui di leccio e, soprattutto, di castagno, che hanno sempre avuto una grande importanza dal punto di vista finanziario, tanto da costituire nel passato un esempio di industria forestale strettamente legata al territorio. La gestione di questi boschi, oggi come nel passato, risponde a esigenze di carattere finanziario che non possono essere disconosciute. Oggi la forte richiesta di paleria in genere e di legna da ardere impone, però, l adozione di una serie di accorgimenti di carattere selvicolturale e gestionale in grado di attenuare gli aspetti negativi legati a una non corretta applicazione di questa forma di governo e alle precipitazioni elevate che si verificano in tutta l area caratterizzata da questi boschi. 3.1. Le forme di trattamento Sulla base di quanto prima esposto la gestione dei popolamenti forestali non potrà non prescindere dalle rigide norme previste dalla selvicoltura classica e adottare forme di trattamento che consentano di valorizzare al massimo le potenzialità della stazione e le dinamiche interne ai sistemi stessi. Si tratta di recuperare i metodi tradizionali di gestione, quelli che oggi sono definiti saperi locali, elaborati dalle popolazioni che per secoli hanno utilizzato questi boschi rispettandone le peculiarità e ottenuto vantaggi diretti e indiretti. Partendo da queste considerazioni Ciancio et al. (1981-1982) hanno proposto una nuova forma colturale, definita a tagli modulari, concepita appunto con l obiettivo di imprimere una svolta a una programmazione in atto nel settore forestale che, direttamente o indirettamente, ha portato a ridurre la selvicoltura a essere la gestione di una semplice coltivazione di alberi e, quindi, a invertire la tendenza secondo la quale le esigenze di ordine finanziario debbano essere preminenti rispetto a quelle bioecologiche. Questa nuova forma colturale è caratterizzata da tagli che, in funzione delle reazioni del popolamento ai singoli eventi, variano sulla base del monitoraggio dei processi evolutivi nel tempo e nello spazio allo scopo di ottimizzare il fenomeno della rinnovazione naturale. La forma colturale a tagli modulari si fonda su un assioma: la 320
provvigione minimale. Una provvigione al di sotto della quale non è possibile effettuare alcun taglio per non compromettere la funzionalità del sistema. L applicazione del trattamento a tagli modulari prevede la lettura del sistema bosco e la scrittura degli interventi colturali. La provvigione e l entità dei prelievi sono state definite attraverso i dati rilevati nelle aree di saggio e l analisi delle tavole alsometriche relative alle varie tipologie forestali, tenendo conto sempre e comunque della provvigione minimale. Il monitoraggio, così come previsto dalla nuova forma colturale a tagli modulari, rappresenta un aspetto peculiare del piano. Sulla base delle prerogative su cui si fonda la gestione forestale sostenibile e delle attuali tendenze nella gestione dei sistemi forestali, improntate sulla selvicoltura sistemica e sui tagli modulari, è possibile fare riferimento a due forme di trattamento che si ritiene possano trovare ampia applicazione in una gestione come quella sopra delineata. 3.1.1. Taglio a scelta Il taglio a scelta (Ciancio et al., 2004) è una forma di trattamento che ha il duplice obiettivo di interrompere la continuità strutturale del bosco e di creare i presupposti per l insediamento e l affermazione della rinnovazione naturale. Esclude, in via teorica e pratica, la connotazione colturale del tradizionale taglio saltuario. Il trattamento si caratterizza: per il taglio di singole piante o gruppi di piante (generalmente 2-3), in grado di assicurare gli assortimenti richiesti dal mercato; per la creazione di piccolissime buche; per la formazione di strutture del soprassuolo disetanee per piccoli gruppi. Queste piccolissime aperture, di ampiezza compresa tra 50 e 80 (100) m 2, sono distribuite a macchia di leopardo all interno del bosco. Nei gaps si determinano favorevoli condizioni ecologiche che facilitano la decomposizione della lettiera per cui, in pochi anni, si insediano piccoli gruppi di rinnovazione, per lo più misti. Non si tratta quasi mai di nuclei fitti, per cui la concorrenza fra i singoli soggetti è limitata e le giovani piantine crescono in condizioni di ridotta concorrenza. Il loro numero è però sufficiente a stimolare l accrescimento longitudinale dei fusti, a contenere l ampliamento della chioma, per cui i rami sono sottili, seccano con una certa facilità e cadono rapidamente. In tal modo è possibile ottenere tronchi privi di nodi e, quindi, assortimenti di pregio. Per contenere la diffusione e l affermazione di specie erbacee, arbustive e di suffrutici nei piccoli vuoti che si creano a seguito delle utilizzazioni è opportuno rilasciare sul terreno, sparsa, la ramaglia minuta (Ø < 3 cm). Questa, nelle prime fasi dopo le utilizzazioni, è in grado di contrastare efficacemente l inserimento del sottobosco senza, però, ostacolare 321
l insediamento e l affermazione del novellame. In seguito, si decompone con facilità e contribuisce a migliorare la struttura dei suoli, con effetti positivi sulla riserva idrica e in termini di restituzione al terreno degli elementi minerali sottratti dalle piante durante la loro crescita. Anche nelle successive fasi di crescita della giovane rinnovazione non sono necessari interventi di diradamento in quanto il gruppo è in grado di autodiradarsi secondo quelle che sono le esigenze ecologiche delle singole piante e le caratteristiche della stazione. Le piante morte (generalmente la mortalità avviene abbastanza precocemente) cadono a terra e contribuisco ad aumentare la sua biodiversità. La densità del gruppo corrisponde, pertanto, a quella che il gruppo stesso è in grado di sopportare. In tal modo si evita di prelevare piante di dimensioni ridotte, la cui utilizzazione spesso non conviene dal punto di vista finanziario; si riduce l intensità di intervento all interno del sistema; si attenua il pericolo di generare stress difficilmente assorbibili e si aumenta la capacità di resistenza e di resilienza del sistema stesso. In sintesi, il taglio a scelta fa assumere al bosco una struttura disetanea che, utilizzando la terminologia adottata da Patrone (1975), può definirsi di tipo atomistico. Esso rappresenta il punto di sintesi tra le necessità dell uomo e le caratteristiche ed esigenze del sistema bosco. E, qualora vengano rispettati i diritti e i doveri di entrambi e i limiti imposti da una gestione forestale sostenibile, potranno servire il sistema stesso e la sua biodiversità e, insieme, gli interessi dell uomo (Holling e Meffee, 1996). 3.1.2. Taglio colturale Il taglio colturale è una forma di trattamento che si pone l obiettivo di sostenere la funzionalità del bosco, di aumentare la stabilità e la funzionalità del sistema, in modo da creare i presupposti per eliminare o quanto meno attenuare fortemente la semplificazione specifica e strutturale dovuta a una gestione che, per lungo tempo, è stata orientata alla produzione legnosa. Ha come scopo quello di favorire la graduale trasformazione di boschi coetanei in boschi misti, possibilmente a struttura disetanea, attraverso la creazione di condizioni favorevoli per la rinnovazione naturale. Prevede interventi differenti in relazione all età, fertilità, densità, composizione, struttura e provvigione del bosco; alla diffusione e al grado di insediamento della cosiddetta pre-rinnovazione; alla distribuzione e consistenza della rinnovazione naturale. Caso per caso, situazione per situazione, si effettueranno tagli localizzati delle piante che ostacolano la creazione di condizioni favorevoli per la disomogeneizzazione della struttura e, di conseguenza, non consentono 322
l affermazione della rinnovazione. Questi interventi, seppure l uno diverso dall altro per tipologia e intensità, si pongono l obiettivo di sostenere il fenomeno della rinnovazione naturale nelle sue varie espressioni e consistenza (Ciancio et al., 2006). Lo scopo di ogni intervento è quello di preparare il suolo e il soprassuolo alla rinnovazione naturale. In ogni caso, si tutelerà la pre-rinnovazione, liberandola dalla vegetazione arbustiva e arborea che ne ostacola la completa affermazione. L obiettivo è quello di favorire quanto più possibile la rinnovazione naturale delle specie autoctone, qualunque esse siano. La capillarità di intervento è determinante al fine di orientare le operazioni colturali partendo dai nuclei di rinnovazione preesistenti: si procede a macchia di leopardo in modo da ottenere una struttura disomogenea per piccolissimi gruppi di varie dimensioni e di diversa età. Il taglio colturale, proprio perché tale, esclude il concetto di turno e di diametro di recidibilità e rappresenta il sostegno per realizzare, nel più breve tempo possibile, quello che, senza tale intervento, sarebbe avvenuto in tempi più lunghi. 3.1.3. Diradamenti I diradamenti sono operazioni colturali dai quali dipendono la struttura e la funzionalità del sistema bosco. Essi si fondano su un evidente e importante fenomeno naturale: la selezione naturale. Secondo la selvicoltura classica, essi sono indispensabili in tutti i rimboschimenti per favorire la produzione legnosa. Oggi, in un ottica diversa, essi permettono di favorire l evoluzione verso strutture sempre più complesse. Nella fattispecie, i tagli assumono la connotazione di diradamento di tipo basso e di grado debole o moderato. L affermazione di rinnovazione sotto copertura delle specie che costituiscono il soprassuolo o di altre essenze presenti nelle vicinanze, indica l inizio di questo processo. Gli interventi selvicolturali, partendo da questa prerinnovazione, dovranno gradualmente favorire lo sviluppo e l ampliamento di questi nuclei. Saranno, quindi, differenziati, nel tempo e nello spazio, a seconda dell intensità della dinamica evolutiva. Qualsiasi indicazione su come, dove e quando intervenire, quali modalità seguire, dipenderà esclusivamente dalle condizioni del sistema e dall interpretazione delle sue esigenze. La definizione di diradamento di tipo basso debole o moderato, pur rispettando i classici canoni selvicolturali, è alquanto generica e lascia spazio a interpretazioni soggettive che si traducono in interventi colturali di diversa intensità. Il grado del diradamento, se non definito in modo puntuale, perlopiù dipende dalla sensibilità dei singoli operatori, con risultati efficaci in alcuni casi, mentre in altri si possono provocare stress pericolosi per l equilibrio del 323
bosco. In generale, con il diradamento basso moderato si elimina il 30% del numero di piante pari a circa il 25% dell area basimetrica e a circa il 20% del volume. I valori prima riportati possono variare entro limiti non superiori o inferiori al 5%. Nel corso delle operazioni di diradamento, qualunque sia l intensità di intervento, le specie a legno pregiato e quelle sporadiche aceri, frassini, tigli, ciliegio, rovere, sorbi ecc. devono sempre e comunque essere tutelate e favorite. 3.2. Provvigione minimale e intensità degli interventi Un elemento distintivo e differenziale della gestione forestale sostenibile e della selvicoltura sistemica è rappresentato dalla presenza, costante e continua, di una «provvigione minimale». Questa costituisce il limite al di sotto del quale potrebbero innescarsi meccanismi e processi evolutivi o involutivi non preconizzati. Un bosco con una provvigione inferiore a quella minimale non può considerarsi un sistema biologico complesso. In tale condizione i processi naturali potrebbero subire stress di varia natura in grado di compromettere la funzionalità del sistema. La provvigione minimale si configura come una proposizione, posta a base di un ragionamento, che non ha bisogno di dimostrazione perché evidente di per sé. Essa varia in funzione delle caratteristiche intrinseche delle diverse specie temperamento, longevità e ampiezza del periodo di maturità biologica o di massima funzionalità delle varie specie e dei fattori fisici ed ecologici che interagiscono con quelli biologici (Ciancio e Nocentini, 2004). Nel caso di soprassuoli costituiti da specie a temperamento intermedio la provvigione non dovrà scendere al di sotto di 200-250 m 3 ha -1, valori che salgono a 300-350 m 3 quando si tratta di specie che tollerano l aduggiamento. La costante presenza di una provvigione minima in grado di assicurare un adeguato grado di copertura del terreno assicura benèfici effetti sulla conservazione e sul ripristino della funzionalità del sistema-bosco a livelli sempre più elevati, ne valorizza le precipue peculiarità; predispone il soprassuolo alla fruttificazione e alla disseminazione in modo da ottenere la rinnovazione naturale, uniformemente distribuita o per piccoli gruppi sul terreno in modo da garantire la perpetuità del bosco. Inoltre, consente di utilizzare quella parte della provvigione corrispondente al saggio di accrescimento naturale del bosco. Una parte della quale è in grado di fornire assortimenti di elevata qualità e alto valore. L intensità degli interventi potrà variare anche in rapporto alla fertilità della stazione e alle caratteristiche del soprassuolo. Là dove la provvigione è inferiore o uguale a quella minimale non si effettua alcun prelievo e si lascia il 324
sistema all evoluzione naturale fino a quando non avrà raggiunto il livello minimale. Se, invece, al momento dell intervento colturale la provvigione è superiore, l intensità dell utilizzazione sarà proporzionale alla differenza fra quella minimale e quella reale (tab. 1). Tabella 1 - Intensità degli interventi selvicolturali in funzione della differenza fra provvigione reale e provvigione minimale. Provvigione 100% di quella minimale 80% < 100% di quella minimale 60% < 80% di quella minimale 40% < 60% di quella minimale 20% < 40% di quella minimale Prelievo 30% della massa 25% della massa 20% della massa 15% della massa 10% della massa Questi dati di ordine generale, ovviamente, possono subire variazioni caso per caso, situazione per situazione, in funzione dell effettiva capacità di reazione del popolamento e del processo di insediamento e affermazione della rinnovazione naturale. 3.3.Gestione dei cedui La forma di governo a ceduo ha connotato per secoli la gestione dei boschi di montagna, soprattutto, dell Appennino dove dominavano le latifoglie caratterizzate da una grande facilità di rinnovazione per polloni e che potevano essere utilizzate a brevi intervalli di tempo per fornire ottima legna da ardere o carbone. Questi soprassuoli erano in grado di fornire una molteplicità di prodotti: frasca, frutti (ghiande, castagne, faggiole, ecc.) e cortecce che potevano trovare utile impiego nell ambito di una società prevalentemente agricola. Nella seconda metà del secolo scorso, l introduzione e la diffusione di altre fonti di energia a basso costo e il contemporaneo spopolamento della montagna e di gran parte dell alta collina hanno determinato la crisi del ceduo (Ciancio e Nocentini, 2004). Una crisi che non ha ancora trovato una valida soluzione, tanto che Morandini (1999) ebbe ad affermare che le conoscenze sui modi di gestione sono ben lontane dall essere soddisfacenti. In questi ultimi anni, di fronte alla presa di coscienza delle problematiche di natura ambientale da parte della Società civile e della necessità di un rapporto diverso con la natura e con il bosco, che non contempli solamente l aspetto della produzione legnosa e del tornaconto esclusivo del proprietario è 325
necessario un mutamento cambiamento che integri gli aspetti più tradizionali con le nuove problematiche di interesse più generale, in cui oggi si riconosce la Società civile. Per questo in alcuni casi è necessario ripensare la gestione basata sulla forma di governo a ceduo, come per esempio per i boschi di faggio che caratterizzano le aree più prettamente montane, dove il bosco assolve funzioni più direttamente legate all ambiente e al paesaggio inteso anche come una identità culturale della gente che abita e vive un determinato luogo. È opportuno fare delle scelte che nel breve periodo certamente chiedono sacrifici ai proprietari, ma che nel medio e lungo periodo si riveleranno vincenti e per i proprietari e per l intera società. In questi casi, la scelta più opportuna è ancora quella della rinaturalizzazione che porti, attraverso la cura degli attuali boschi, semplificati nella struttura, all affermazione della rinnovazione naturale delle stesse specie che costituiscono il bosco e favoriscano la ridiffusione di quelle sporadiche. Si tratta di attuare una conversione basata sulla rinnovazione naturale valorizzando al massimo le specie già presenti e le dinamiche evolutive in atto nel sistema ceduo, seppure molto semplificato. Recentemente è stato proposto un metodo innovativo, quello del rilascio intensivo di allievi (Ciancio et al. 2002; Ciancio e Nocentini, 2004; Ciancio et al., 2006). Questo metodo prevede il rilascio delle piante da seme e di un numero variabile di polloni, in relazione alle caratteristiche intrinseche delle specie presenti nei popolamenti (longevità, temperamento, rapidità di accrescimento, capacità di affrancamento dei polloni, predisposizione ad emettere rami epicormici, facoltà di resistenza alle avversità meteoriche, ecc.), alle dimensioni dei singoli soggetti (diametro, altezza del fusto e della chioma, densità del popolamento), notevolmente superiore a quello generalmente raccomandato dai metodi previsti dalla selvicoltura classica. Il numero di tali piante è definito generalmente in modo empirico, in modo da conservare una buona copertura del terreno, di non creare collassi all ecosistema e di non provocare turbative nei riguardi del paesaggio. In pratica, l algoritmo colturale prevede una serie di interventi di debole intensità, ripetuti a brevi intervalli di tempo in genere ogni 5-7 anni in relazione alla specie a alla fertilità della stazione. La lettura del bosco consentirà di comprendere le necessità del sistema e di definire le caratteristiche dell intervento. La scrittura dell intervento non sarà, quindi, che la conseguenza di un processo logico di analisi (Ciancio e Nocentini, 2004). Ne consegue che non è possibile definire schemi di carattere generale che, in quanto tali, non sono in grado di interpretare la molteplice realtà dei sistemi forestali. 326
Un discorso a parte meritano i cedui di castagno e in parte quelli di leccio. Si tratta di boschi che hanno una grandissima importanza dal punto di vista finanziario - si possono avvicinare a veri e propri interventi di arboricoltura da legno - ma non sempre svolgono un ruolo significativo dal punto di vista ambientale e paesaggistico. In altri casi, è proprio la loro conservazione che fa sì che rivestano una grande importanza dal punto di vista paesaggistico e culturale. Pertanto, si tratta di adottare tutti quegli accorgimenti che consentono un loro miglioramento funzionale (riduzione dell ampiezza delle tagliate, allungamento dei turni, esecuzione di cure colturali, entità della matricinatura, ecc.). Ciò assume particolare importanza nei cedui di leccio dove non infrequentemente le pendenze sono molto elevate e il non rispetto delle più elementari norme di buona selvicoltura può compromettere la stabilità e funzionalità bioecologica del ceduo stesso. 4. Gestione delle cenosi forestali nella Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale Le caratteristiche dei boschi, indipendentemente dalle loro condizioni attuali, sono il risultato delle intense utilizzazioni attuate nel passato, che hanno portato alla costituzione di popolamenti semplificati nella struttura e relativamente omogenei su ampie superfici. Si tratta certamente di soprassuoli efficienti dal punto di vista della produzione legnosa. Nella società attuale questa finalità non è più l unico metro con cui viene misurata la validità della gestione forestale. Ci sono altre prerogative cui la società attuale attribuisce grande valore, soprattutto in seguito ai grandi cambiamenti cui essa è soggetta e che rischiano di travolgere la sua stessa esistenza, almeno nella forma in cui oggi essa è conosciuta. Di fronte a queste emergenze, c è la necessità di adottare forme di gestione che diano la possibilità di poter scegliere fra una molteplicità di soluzioni, di lasciare che sia il sistema bosco, sulla base delle proprie caratteristiche, a indicare all uomo le sue esigenze. È una gestione che rispetta le caratteristiche del sistema e che, pertanto, non può fare riferimento a modelli che, in quanto tali, portano alla semplificazione delle strutture. La gestione dovrà, quindi, basarsi sull adozione di interventi colturali diversificati in rapporto alle differenti condizioni dei soprassuoli e alle dinamiche evolutive in atto con l obiettivo di accrescerne la biodiversità e diversificarne la struttura. In tal modo sarà possibile, fra l altro, la ridiffusione, quale elemento qualificante delle cenosi forestali, di numerose specie arboree, presenti fino a non molti decenni fa, drasticamente ridotte in termini di frequenza a seguito dell adozione della forma di governo a ceduo o con l applicazione di sistemi 327
di trattamento riconducibili ai tagli successivi con un forte taglio di sementazione, non completato dai tagli secondari e da quello di sgombero. È noto che queste forme di trattamento hanno determinato condizioni inidonee alla rinnovazione di specie tipicamente esigenti quali il tasso, lo stesso abete, l acero montano, l olmo, il tiglio oggi quasi scomparse da questi popolamenti. Alcuni esemplari si sono conservati in zone difficilmente agibili, vere e proprie aree rifugio, dalle quali solo recentemente e a seguito di un significativo cambiamento nella gestione dei sistemi forestali, si stanno ridiffondendo nelle zone circostanti. 4.1. Faggeta monoplana Si tratta di popolamenti, quasi esclusivamente puri, che oggi presentano una struttura coetanea di tipo monoplano, frutto dell applicazione del trattamento a tagli successivi. Sono caratterizzati da una omogeneità piuttosto elevata e da una ridotta biodiversità. Localmente, dove, per cause diverse, sono morte o sono state asportate singole piante, si sono spesso affermati piccoli gruppi di novellame di faggio, talvolta anche con qualche piantina di abete. Nel medio e lungo periodo, gli interventi di gestione dovranno mirare alla disetaneizzazione di questi soprassuoli e a favorire l inserimento di altre specie, in primo luogo dell abete e dell acero montano, entrambe relativamente frequenti, anche se non diffuse su ampie superfici, all interno della faggeta. Laddove una attenta e puntuale analisi selvicolturale evidenzia i presupposti di ordine ecologico e biologico per l insediamento e l affermazione del novellame, nel breve periodo, gli interventi selvicolturali dovranno favorire una abbondante fruttificazione delle piante in modo da incoraggiare i processi di rinnovazione. A volte possono essere sufficienti interventi di diradamento, in altri casi si dovranno aprire dei piccoli vuoti (superficie non superiore a 60-80 (100) m 2 mediante l utilizzazione di singole piante o piccoli gruppi). Ed è proprio in tali vuoti che si registra, con una certa facilità e sicurezza, l insediamento del novellame. Sarà così possibile ottenere, nel medio e lungo periodo, soprassuoli caratterizzati da gruppi di piante tendenzialmente coetanei al loro interno che conferiscono a tutto il complesso un carattere di spiccata disetaneità. Questa condizione rappresenterà lo strumento fondamentale per accentuare ulteriormente la complessità strutturale del sistema. In tutti i casi, per raggiungere gli obiettivi che derivano dall accettazione dei principi connessi con la gestione forestale sostenibile è indispensabile rinunciare ai parametri della selvicoltura classica, legati al turno o al diametro di recidibilità, e prestare attenzione alle dinamiche che si innescano nei popolamenti a seguito degli interventi colturali. Questi sono riconducibili, a 328