Relatore: dott. Raffaele FRASCA pretore della Pretura circondariale di Monza



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I GIUDIZI DI COGNIZIONE ORDINARIA INTRODOTTI CON RICORSO DOPO L ENTRATA IN VIGORE DELLA NOVELLA, CON RIFERIMENTO AI PROCEDIMENTI DI OPPOSIZIONE ALL ESECUZIONE (artt. 615, co. 2, 619 c.p.c.) E DI OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI: IL RACCORDO TRA LA FASE SOMMARIA E LA FASE DI MERITO Relatore: dott. Raffaele FRASCA pretore della Pretura circondariale di Monza SOMMARIO: 1. Premesse. 2. Un dato normativo da considerare. 3. Le norme che disciplinano (o dovrebbero) ancora oggi disciplinare il raccordo fra la fase iniziale e quella ordinaria delle opposizioni esecutive. 4. Le opposizioni esecutive nel sistema della stesura originaria del c.p.c. del 1940. 5. Il sistema del raccordo fra fase introduttiva e fase successiva delle opposizioni esecutive in relazione alla disciplina della fase introduttiva ed iniziale del giudizio di cognizione ordinaria nel codice del 1940. 6. Le modalità del raccordo. 7. La possibilità di fissazione di un apposita udienza, anticipata rispetto a quella ex art. 185, per la sola trattazione dell istanza di sospensione dell esecuzione e dell istanza di adozione dei provvedimenti ex art. 618 sul corso dell esecuzione. 8. Le opposizioni esecutive dopo la Novella del 1950. 9. Il problema del raccordo fra il sistema dell introduzione con ricorso delle opposizioni esecutive e la nuova disciplina della fase introduttiva ed iniziale del processo di cognizione dopo le recenti riforme. 10. La perdurante vigenza degli articoli 184 e 185 disp. att. c.p.c.. 11. Il raccordo nel nuovo rito. 12. L udienza che il giudice dell esecuzione deve fissare nelle opposizioni esecutive. Cenni sul ricorso orale e sull opposizione ex art. 512 c.p.c. 13. Il procedimento sull istanza di sospensione dell esecuzione e quello sui provvedimenti ex art. 618 come procedimenti cautelari in corso di causa di merito. 1. Premesse. I. Preliminarmente debbo avvertire che l espressa limitazione del tema affidatomi alla questione dei giudizi introdotti con ricorso relativi alle opposizioni ex artt. 615, 617 e 669 c.p.c. esclude che io debba esaminare in generale la questione del raccordo fra la nuova disciplina del processo civile (risultante dalla tormentata riforma, della quale si è per il momento avuto l'epilogo con la l. n. 534/95, di conversione con modifiche del d.l. n. 432/95) e le altre numerose fattispecie di procedimenti giurisdizionali civili a cognizione piena di primo grado, che si svolgono, almeno a partire da un certo momento, secondo le norme del c.d. rito ordinario, dettate per il procedimento avanti al tribunale e dei quali è, però, prevista l introduzione con quella particolare forma di proposizione della domanda giudiziale che è il ricorso e no con la citazione (1). Basti qui dire che sembra più apparente che reale una contrapposizione che nella scarsa dottrina che si è occupata della questione si coglie fra chi autorevolmente e radicalmente sostiene che la citazione e non invece il ricorso sarebbe idonea a dar luogo all introduzione di un giudizio ordinario di cognizione e che nei procedimenti introdotti da ricorso si ponga un problema di cambiamento del rito dopo una prima fase iniziale che sarebbe a cognizione sommaria, sovente non disciplinato quanto a modi, tempo e forme (2) e chi, al contrario ha affermato che in numerosi casi il ricorso sarebbe idoneo ad introdurre quella cognizione, salvo poi ammettere che un problema di passaggio da una fase sommaria alla fase di cognizione ordinaria si pone e meriti di essere affrontato, con la ricerca di soluzioni in termini di cambiamento di rito o similari (3).

Il contrasto appare più apparente che reale, perché ciò che l'autorevole dottrina che sostiene la prima prospettazione vuole sottolineare, affermando che il ricorso è inidoneo a dar luogo alla cognizione ordinaria, è, non tanto l inidoneità del ricorso a costituire l atto introduttivo di un giudizio che ad un certo momento sfocia nella cognizione ordinaria, quanto che alla domanda con esso proposta deve seguire, perché quella cognizione abbia luogo un qualche provvedimento di adeguamento del rito processuale, della cui necessità non dubita neppure la dottrina che sostiene la seconda delle prospettazioni riferite. In defintiva, l apparenza del contrasto di cui si è detto si rivela, laddove l'una e l'altra prospettazione concordano nella necessità di individuare, in relazione al singolo procedimento introducibile con ricorso, le modalità con le quali esso si adegua alle regole del processo introdotto con citazione. II. Detto questo, basti qui ricordare che il problema di coordinamento di cui si discorre si pone per una serie di procedimenti previsti dalla legge fallimentare (ad es. giudizi di opposizione allo stato passivo ex art. 98 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, giudizi di impugnazione dei crediti ammessi al passivo fallimentare ex art. 100 r.d. citato, giudizi di insinuazione tardiva di crediti ex art. 101 r.d. citato, giudizi ex artt. 102 e 103 r.d. citato), per il procedimento di separazione e di divorzio (art 706 c.p.c. e 4 comma secondo l. 1 dicembre 1970, n. 898), giudizi ex art. 3 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, giudizi ex art. 11 comma terzo del d.p.r. 30 dicembre 1972, n. 1035 (4). Peraltro, la restrizione dell'indagine al problema del raccordo della fase iniziale delle opposizioni esecutive alla fase che si deve svolgere secondo le ordinarie norme del processo di cognizione non può apparire limitativa ed arbitraria, una volta che si tenga conto della circostanza che il nostro Codice di Procedura Civile, anche dopo l ultimo e per ora definitivo intervento di cui alla l. n. 534/95, continua a dettare una serie di norme specifiche (pur se non esaustive) con riguardo ad esso. E, se pure, alcune di esse contengono previsioni simili a quelle di altre norme che disciplinano il problema del raccordo per altri tipi di procedimento introdotti con ricorso, tuttavia è innegabile che nel loro complesso conservano una propria specificità, che giustifica una indagine ad hoc. III. Nell'iniziare tale indagine debbo avvertire che, dopo una certa meditazione, mi è sembrato opportuno accantonare completamente talune conclusioni alle quali, a livello operativo (cioè quale giudice dell'esecuzione, in sede di trattazione di opposizioni all'esecuzione), mi era sembrato possibile giungere. Conclusioni che avevo affermato in alcuni provvedimenti, assunti sia immediatamente a ridosso dell'entrata in vigore (al 30 aprile 1995) della riforma nella stesura originaria di cui alla l. n. 353/90, sia dopo gli interventi di controriforma espressisi nei dd.ll. n. 328, 347 e 432/95 ed ora sedimentatisi nella l. n. 534/95. L'opportunità di prescindere totalmente da quelle conclusioni e di una rimeditazione della questione ex novo mi è stata consigliata, da un lato dall'esigenza di un ulteriore approfondimento imposto dalla natura stessa della funzione cui deve adempiere questa relazione, dall'altro e soprattutto dalla constatazione che gli unici due studiosi che ex professo (almeno per quel che mi consta) l'hanno approfondita ed i cui scritti all'epoca delle scelte interpretative compiute nei miei provvedimenti non conoscevo (5) sono pervenuti (tra l'alto il primo scrivendo in un contesto anteriore ai dd.ll. n. 238, 347 e 432/95) a riscostruzioni della disciplina del raccordo molto diverse fra loro. 2. Un dato normativo da considerare. Come punto di partenza dell'indagine mi è sembrato opportuno riflettere su un dato normativo.

Esso è rappresentato da una circostanza che emerge immediatamente dalle norme che nella disciplina delle tre tipologie di opposizioni esecutive di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c. disciplinano tuttora o dovrebbero disciplinare il problema del raccordo fra la fase di cognizione introdotta dal ricorso e la fase di cognizione successiva da svolgersi secondo il rito previsto per il normale processo di cognizione introdotto dalla citazione. Si tratta della circostanza che tali norme continuano ancora oggi ad essere quelle stesse che il legislatore aveva dettato nella stesura originaria del c.p.c. del 1940. Infatti, queste norme non subirono alcuna modifica a seguito della famosa (o famigerata?) Novella del 1950, di cui alla l. 14 luglio 1950, n. 581, ancorché quella Novella avesse com'è noto apportato radicali modificazioni alla discipina introduttiva del processo di cognizione ed alla sua fase iniziale. Dopo la Novella del 1950 e fino alla riforma di cui alla l. n. 353/90 e, quindi, per ben quarantacinque anni quelle norme hanno potuto disciplinare il problema del raccordo, pur collocandosi in un contesto normativo complessivo del tutto diverso e lo hanno fatto senza creare eccessivi problemi interpretativi, come dimostra la scarsa attenzione che dottrina e giurisprudenza hanno mostrato rispetto a quel problema. Basta leggere uno qualsiasi dei classici manuali di diritto processuale civile o dei più moderni commentari e scorrere le migliori rassegne di giurisprudenza, per convincersene. La riflessione in discorso mi ha subito spinto ad interrogarmi sul perché le dette norme abbiano potuto rivelare questa capacità di regolare tutto sommato senza eccessivi problemi il raccordo con riguardo a contesti normativi tanto diversi quali quelli esistenti prima e dopo la riforma della Novella del 1950. E, pertanto, mi è sembrato doveroso indagare anzitutto su come avrebbero dovuto funzionare (e forse di fatto funzionarono negli anni dal 1942, in cui il c.p.c. del 1940 entrò in vigore, al 1950: dico di fatto, poiché non v'è giurisprudenza edita sul punto, anche per il fatto che parte di quel periodo si collocò negli anni della seconda Guerra Mondiale) le norme dettate per il raccordo nella logica della stesura originaria del c.p.c. del 1940, per poi capire perché poterono restare insensibili alla Novella del 1950 e, quindi, ricavare dalla loro vicenda ormai più che cinquantennale spunti ricostruttivi per il presente. Le considerazioni che seguono si dipaneranno appunto seguendo la falsariga di questo iter di indagine. 3. Le norme che disciplinano (o dovrebbero) ancora oggi disciplinare il raccordo fra la fase iniziale e quella ordinaria delle opposizioni esecutive. L'inventario delle norme che ancora oggi il c.p.c. contiene, le quali hanno rilievo diretto od indiretto, in funzione del raccordo fra la fase iniziale e quella successiva secondo le regole della cognizione ordinaria delle opposizioni esecutive consta di alcune norme contenute direttamente nel Codice e di altre contenute nelle sue disposizioni di attuazione. Per tutti e tre i tipi di opposizione esecutiva relativi ad esecuzione già iniziata è previsto che l introduzione avvenga con ricorso al giudice dell'esecuzione, a seguito del quale si provvede con decreto alla fissazione di un'udienza di comparizione, cui deve seguire la notificazione di entrambi gli atti alla controparte entro un termine espressamente definito perentorio.

Per le opposizioni all'esecuzione ex secondo comma dell'art. 615 e per l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. è previsto che successivamente il giudice dell'esecuzione proceda all'istruzione a norma degli articoli 175 e seguenti, se sussiste la sua competenza, mentre, nel caso in cui tale competenza non sussista e sia competente altro giudice (sia il secondo comma dell'art. 615 che il secondo comma dell'art. 619 fanno riferimento alla sola competenza per valore, ma è pacifico che si potrà trattare anche di competenza per materia) ha luogo la rimessione avanti a questo con la fissazione di un termine sempre qualificato come perentorio per la riassunzione e, quindi, con traslatio iudicii (6). Per l'opposizione ex secondo comma dell'art. 615 c.p.c. e per l'opposizione di terzo è previsto che prima della delibazione della questione di competenza e dei provvedimenti conseguenti, nell'uno o nell'altro dei sensi appena indicati, il giudice dell'esecuzione possa provvedere sull'istanza di sospensone dell'esecuzione, in ordine alla quale va segnalato fin d'ora che risulta dettato uno specifico (e forse compiuto) complesso normativo procedimentale, quello degli artt. 624 e 625 c.p.c., che ha chiaramente (come si desume dall'inciso d'esordio dell'art. 624 se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615 secondo comma e 619 ) posizione endoprocessuale rispetto allo svolgimento della fase delle opposizioni in discorso anteriore alla delibazione della questione di competenza. Per l opposizione agli atti esecutivi, per la quale a stare alla lettera della legge non è ammessa la sospensione dell'esecuzione (7), l'art. 618 c.p.c. prevede che nello stesso decreto o all'udienza di comparizione il giudice dell'esecuzione possa dare i provvedimenti indilazionabili circa il corso dell'esecuzione e che poi, essendo sempre competente anche sulla cognizione ordinaria, provveda all'istruzione, anche qui a norma degli artt. 175 e ss. L art. 184 delle disp. di att. al c.p.c. continua a recitare che i ricorsi previsti negli articoli 615 secondo comma e 619 del codice, oltre le indicazioni volute dall'articolo 125 del codice, debbono contenere quelle di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 163 del codice, mentre l'art. 185 continua formalmente a dire che all udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione fissata a norma degli articoli 615, 618 e 619 del codice si applica l'art. 183 del codice. 4. Le opposizioni esecutive nel sistema della stesura originaria del c.p.c. del 1940. Come ho gia detto le norme indicate nel paragrafo precedente sono rimaste immutate rispetto a com'erano state scritte nella stesura originaria del Codice del 1940. Pertanto, è opportuno domandarsi come esse regolassero il problema del raccordo nel modello del processo civile quale codificato da quella stesura. Ciò, anche per la ragione che quel modello era imperniato su preclusioni anche più rigide di quelle introdotte con le recenti riforme. Al riguardo, è opportuno considerare che la competenza sulle opposizioni esecutive è ancora oggi regolata allo stesso modo in cui era regolata nella stesura originaria del Codice, posto che nessuna delle novellazioni successive, ad eccezione di quella sul processo del lavoro, di cui alla l. n. 533/73 (che introdusse la norma speciale dell'art. 618-bis c.p.c., su cui non mi soffermerò, perché estranea all'indagine), ha introdotto modifiche in ordine ad essa. Così come attualmente, nella stesura originaria del Codice, dall'immutato combinato disposto degli articoli 16, 615 secondo comma, 617 e 619 c.p.c. si evinceva che la competenza sulle opposizioni all'esecuzione, quanto alla fase introdotta con il ricorso era per ragioni funzionali cosi regolata:

a) sull'opposizione all'esecuzione ex secondo comma dell art. 615 c.p.c. ed ex art. 619 c.p.c. avverso l'esecuzione per consegna o rilascio di cose, avverso l esecuzione degli obblighi di fare e di non fare ed avverso l'espropriazione forzata di cose mobili e di crediti era competente il pretore, tenuto conto che in ordine a detti tipi di esecuzione l'art. 16 attribuiva (come attribuisce) la competenza per materia al pretore, che, dunque, si identificava (come si identifica) nel giudice dell'esecuzione forzata, cui gli artt. 615 secondo comma e 619 attribuiscono la competenza sulle opposizioni da essi regolate; b) sull'opposizione all'esecuzione ex secondo comma dell'art. 615 c.p.c. ed ex art. 619 c.p.c. avverso l'esecuzione per espropriazione di beni immobili o di cose mobili assoggettate all'esecuzione insieme a beni immobili (art. 556 c.p.c.) era (ed è) competente il tribunale, posto che l'art. 16 secondo e terzo comma per tali tipi di esecuzione attribuiva (ed attribuisce) la competanza al tribunale; c) sulle opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 secondo comma c.p.c. era (ed è) competente il pretore in relazione alle esecuzioni di sua competenza ed il tribunale in relazione a quelle di sua competenza, sempre ai sensi dell'art. 16 c.p.c. È evidente che all'atto dell'entrata in vigore dal Codice del 1940 come ancora oggi la gran parte delle opposizioni esecutive risultavano attribuite alla competenza del pretore, restando la competenza del tribunale limitata alle sole opposizioni all'espropriazione forzata di immobili (e di mobili insieme a immobili). Ora, chi si interroghi su come si poneva il problema del raccordo al lume delle disposizioni sopra riferite ancora oggi presenti nel Codice non può che prendere atto: aa) che esso risultava regolato chiaramente e con un certo automatismo in modo piano per tutte le opposizioni affidate al pretore; bb) che esso risultava regolato in modo meno chiaro, ma altrettanto piano per le opposizioni affidate al tribunale. 5. Il sistema del raccordo fra fase introduttiva e fase successiva delle opposizioni esecutive in relazione alla disciplina della fase introduttiva ed iniziale del giudizio di cognizione ordinaria nel codice del 1940. I. Per convincersi di quanto affermato in chiusura del paragrafo precedente, basta riflettere un momento sul modo di disciplina della fase introduttiva ed iniziale del giudizio avanti al pretore ed avanti al tribunale nella stesura originaria del Codice.

Per il giudizio avanti al tribunale l'introduzione della lite per la cognizione ordinaria era com'è noto incentrato non sul sistema della notificazione della citazione ad udienza fissa, ma su un sistema per cui alla notificazione della citazione era previsto seguisse la costituzione dell'attore nei dieci giorni dalla notificazione (art. 165 c.p.c.) e la costituzione del convenuto entro venti giorni se il luogo della notificazione della citazione si fosse trovato nella circoscrizione del tribunale adito (entro trenta giorni, se il luogo de quo si fosse trovato fuori di quella circoscrizione, ma entro quella della Corte d'appello, entro quaranta giorni ove il luogo si fosse trovato nella circoscrizione di altra corte d'appello) (8), dopo di che la fissazione dell'udienza di prima comparizione e la designazione del giudice istruttore avvenivano, su istanza contenuta nella citazione o nella comparsa di risposta ovvero presentata separatamente con ricorso, da parte del presidente del tribunale (o, nei tribunali divisi in sezione, da parte del presidente di sezione designato dal presidente del tribunale), una volta scaduto il termine per la costituzione del convenuto (o, nel caso di assenza dell'istanza di designazione del giudice istruttore nella citazione, a seguito di istanza che doveva essere presentata, a pena di estinzione del processo, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto: art. 172, abrogato dalla Novella del 1950). Il relativo decreto veniva comunicato almeno cinque giorni prima dell'udienza alle parti costituite. Tale sistema emergeva dagli ora abrogati articoli 172 e 173 del c.p.c. II. Ora, alla scadenza del termine di costituzione del convenuto ex art. 166 c.p.c. non era ricollegata alcuna effettiva decadenza per il convenuto, ancorché l'art. 167 c.p.c. dicesse nella sua stesura originaria nel primo comma che nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese e le eventuali domande riconvenzionali, indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende valersi e formulare le conclusioni ed il secondo comma che se intende chiamare un terzo in causa per la prima udienza, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa. L'assenza di preclusioni in relazione alla scadenza del termine per il convenuto si evinceva, oltre che dall'assenza di una espressa previsione in tal senso: a1) dal fatto che, ove l attore si fosse costituito nel termine di cui all art. 165 c.p.c., il convenuto si poteva costituire alla prima udienza avanti al giudice istruttore, come prevedeva il secondo comma dell art. 171, senza comminare alcuna decadenza; a2) dal fatto che l art. 269 secondo comma testo originario prevedeva che il giudice istruttore potesse concedere in prima udienza un termine per la chiamata del terzo. Solo nella prima udienza di comparizione avanti al giudice istruttore, che era definita dall'art. 183 come prima udienza di trattazione sostanzialmente scattavano per il convenuto (peraltro eventualmento, come subito si dirà) preclusioni per le attività di allegazione di fatti e di deduzione delle prove. Stabiliva, infatti. l'art, 183 quanto segue: Nella prima udienza di trattazione le partì possono precisare e, quando occorre, modificare le domande, eccezioni e conclusioni formulate nell'atto di citazione e nella comparsa di risposta, sulle quali intendono insistere. Le parti, in ogni caso, possono proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza diretta di quelle già formulate; e, quando il giudice istruttore riconosce che sono rispondenti ai fini di giustizia, possono proporre altre eccezioni o chiedere nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti. Il giudice richiede alle parti gli schiarimenti necessari e indica loro le questioni rilevabili d'ufficio, delle quali ritiene opportuna la trattazione. Quando è necessario, il giudice può fissare altra udienza per il compimento di quanto è prescritto nel presente articolo, autorizzando le parti a presentare memorie. Il successivo articolo 184 evidenziava il ricollegarsi alla prima udienza di trattazione (peraltro, data la possibilità del rinvio e dello scambio di memorie, da intendere non in senso cronologico, potendo scindersi in due udienze) di rigide preclusioni alle allegazioni e alle deduzioni e produzioni probatorie, poiché sanciva che durante l'ulteriore corso del giudizio, soltanto quando concorrono gravi motivi il giudice istruttore può autorizzare le parti a produrre nuovi documenti, chiedere nuovi mezzi di prova e proporre nuove eccezioni che non siano precluse (dove il precluse si intendeva riferito alla disciplina sostanziale dell'eccezione).

Il dato di fatto somministrato da tali norme per il processo avanti al tribunale era nel senso che nessuna preclusione (salva l'impossibilità di una domanda nuova dell'attore rispetto all'originaria e l'onere dell'attore di dedurre le prove e produrre i documenti a sostegno della domanda opportunamente individuata: la necessità che l'attore indicasse le prove ed i documenti si evinceva dal fatto che l'art. 183 condizionava ad un'autorizzazione del giudice l'ulteriore compimento di tali attività) nasceva prima della prima udienza di trattazione. In particolare, il fatto che il primo comma dell'art. 183 consentisse solo la precisazione o modificazione delle eccezioni, delle domande e delle conclusioni formulate dal convenuto nella comparsa di risposta e che, poi, il secondo comma subordinasse all'autorizzazione del giudice la proposizione di nuove eccezioni e di nuove deduzioni probatorie, non toglieva che, potendo il convenuto costituirsi, come si è detto, anche all'udienza di prima trattazione, egli potesse articolare la sua difesa con la comparsa depositata in quella stessa udienza. In questo senso, ciò che si vuol rimarcare è che nel sistema del processo civile di cognizione avanti al tribunale, predisposto dalla stesura originaria del Codice del 1940, la prima udienza di trattazione era il momento iniziale in cui il convenuto poteva incorrere in preclusioni, ove non si fosse costituito con comparsa di risposta almeno in essa. Il convenuto, in particolare, in difetto di deposito di comparsa di risposta almeno nella detta prima udienza vedeva precludersi la formulazione della riconvenzionale, della chiamata in causa del terzo, delle eccezioni e la possibilità di dedurre mezzi di prova e depositare documenti, conservando solo (salva la possibilità di una rimessione in termini ex art. 294, a seguito di tardiva costituzione dopo essere stato dichiarato contumace) la possibilità di introdurre mere difese. III. Per il processo pretorile, viceversa, era previsto (salva la possibilità di formulazione orale della domanda per le cause non eccedenti il valore di lire duemila) il sistema della introduzione della domanda mediante citazione a comparire ad udienza fissa (art. 312 primo comma stesura originaria) e l'art. 313 c.p.c., dopo aver stabilito nel primo comma che la domanda dovesse contenere oltre l'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione dell'oggetto, prevedeva un termine di comparizione di tre giorni (liberi) ove la notificazione fosse avvenuta entro la circoscrizione territoriale del pretore, mentre prevedeva termini di comparizione ridotti alla metà rispetto alle altre ipotesi contemplate dall art. 166 a proposito del termine di costituzione del convenuto, con possibilità di abbreviazione ulteriore alla metà su istanza di parte. L'art. 314 prevedeva poi (a parte il caso della domanda orale) che la costituzione delle parti potesse avvenire in cancelleria o direttamente all'udienza di comparizione mediante presentazione della citazione con la procura da parte dell'attore e della copia notificata della citazione da parte del convenuto con la procura, senza necessità di comparsa di risposta. L art. 315 primo comma disciplinava la prima udienza di comparizione in questi termini: Nella prima udienza la parte attrice, quando occorre, deve chiarire i fatti e l oggetto della domanda, proponendo i mezzi di prova e producendo i documenti; la parte convenuta deve proporre le sue difese, eccezioni, mezzi di prova e produrre i documenti. A tal fine il giudice, se è necessario, può fissare altra udienza. L'esame del complesso normativo appena riferito evidenzia che anche nel processo pretorile nessuna preclusione maturava per il convenuto prima dell'udienza di prima comparizione, le attività previste dalla quale, peraltro potevano compiersi anche in due udienze successive, Va anzi detto che preclusioni non maturavano neanche per l'attore, salva l'impossibilità di introdurre una nuova domanda. In forza del richiamo dell'art. 311 successivamente alla prima udienza (intesa in senso sostanziale) nuove allegazioni e deduzioni e produzioni probatorie erano vietate, salva l'applicazione del già riferito art. 184 c.p.c. 6. Le modalità del raccordo.

I. Ora, se ci si interroga su come le modalità di introduzione del giudizio avanti al tribunale ed al pretore promosso con citazione si potessero raccordare nel Codice del 1940 con la modalità di introduzione con ricorso delle opposizioni esecutive ex artt. 615 secondo comma, 617 secondo comma e 619 c.p.c., ai fini dello svolgimento della cognizione ordinaria, mi sembra che la risposta, una volta considerate le norme innanzi richiamate nel paragrafo precedente, debba essere nel senso che il raccordo fosse assolutamente naturale e, soprattutto, dovesse operare nel presupposto che il ricorso introduttivo di dette opposizioni fosse già di per sé introduttivo di una cognizione piena ed ordinaria, non diversamente da quella introdotta con la citazione di un normale giudizio. Questa conclusione si evinceva, in particolare, dalla considerazione delle norme degli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione. L'art. 184, nel prevedere che il ricorso introduttivo dell'opposizione ex secondo comma dell'art. 615 e quello introduttivo dell'opposizione ex art. 619 c.p.c. dovessero contenere oltre le indicazioni volute dall'art. 125 del codice quelle di cui al n. 4 ed al n. 5 dell'art. 163 del codice rivelava l'intenzione del legislatore di parificare pienamente la domanda introdotta con ricorso alla domanda introdotta con citazione. Infatti, posto che l'art. 125 individuava il contenuto necessario del ricorso nell'indicazione dell'ufficio giudiziario adito, delle parti, dell'oggetto, delle ragioni della domanda e delle conclusioni, l'imposizione della indicazione anche dei requisiti di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 163 (rispettivamente relativi, allora come ancora oggi, alla esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni ed alla indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione ) comportava una sostanziale coincidenza di contenuto fra la citazione ed i ricorsi ex secondo comma dell'art. 615 e 619 c.p.c. E ciò mi pare costituiva l'indice manifesto della volontà del legislatore di considerare con detti ricorsi introdotta l'azione ordinaria di cognizione inerente detti tipi di opposizione. Con la particolarità rappresentata dal fatto che sostanzialmente si verificava una piena parificazione della forma dell'atto introduttivo nelle opposizioni da introdursi avanti al giudice dell'esecuzionetribunale e nelle opposizioni da introdursi avanti al giudice dell'esecuzione-pretore. Queste ultime, una volta considerata la disciplina risultante dalle norme del primo comma dell'art. 313 e dalla possibilità prevista dall'art. 315 della formulazione dei mezzi di prova e della produzione di documenti in prima udienza, risultavano assoggettate alla disciplina di maggior rigore prevista per il giudizio avanti al tribunale. L'assenza nell'art. 184 di un riferimento all'opposizione ex art. 617 c.p.c. d altro canto appariva pressoché innocua, cioè tale da non escludere comunque la stessa valutazione appena espressa, al lume della considerazione del successivo articolo 185, il quale per tutte le opposizioni esecutive in discorso stabiliva espressamente che all'udienza di comparizione fissata avanti al giudice dell'esecuzione a norma degli articoli 615, 618 e 619, del codice si applica la disposizione dell'articolo 183 del codice. L'espressa previsione che l'udienza di comparizione avanti al giudice dell'esecuzione fosse assoggettata al regime dell'art. 183 (e, per le opposizioni esecutive di competenza pretorile non al regime dell'art. 315 c.p.c.), oltre a suggerire che l'art. 184 dovesse estendersi anche all'opposizione ex art. 617, corroborava pienamente l'impressione che la cognizione ordinaria fosse introdotta già fin dal ricorso introduttivo dell'opposizione, poiché significava che con riferimento a quell'udienza (se del caso scindibile in due udienze con l'intermezzo di memorie scritte, giusta la riferita previsione dell'art. 183 ultimo comma) si verificavano le preclusioni previste per il normale processo cognitivo con riguardo alla prima udienza di trattazione avanti al tribunale.

Né una controindicazione al riguardo si poteva trarre dalla circostanza che gli articoli 615 secondo comma, 618 secondo comma e 619 terzo comma prevedessero, il primo ed il terzo per il caso di positiva valutazione sulla competenza, il secondo fisiologicamente (data la coincidenza fra competenza iniziale e competenza sul merito) che il giudice dell'esecuzione adito, competente anche per il merito, procedesse all'istruzione a norma degli articoli 175 e seguenti. Il richiamo a tali norme, infatti, non poteva certo significare che si dovesse rifissare l'udienza ex art. 183, posto che già l'udienza di comparizione era tale. II. Ora, il fatto che il ricorso dovesse avere i requisiti contenutistici della citazione ed il fatto che l'udienza di comparizione avanti al giudice dell'esecuzione fosse un'udienza ex art. 183, rendevano a mio avviso pienamente compatibile la disciplina che gli articoli 615, secondo comma, 617 secondo comma e 619 davano all'introduzione delle opposizioni esecutive con quella normale dell'introduzione del giudizio mediante citazione. E ciò per la ragione che la modalità di introduzione tramite ricorso, seguito da decreto di fissazione dell'udienza di comparizione da notificarsi entro un termine perentorio, risultava pienamente idonea ad assicurare uno svolgimento della fase introduttiva assolutamente analogo a quello del processo introdotto con citazione. Infatti: b1) la previsione dell'art. 184 delle disp. di att. del c.p.c., laddove stabiliva che il ricorso dovesse avere un contenuto simile a quello della citazione garantiva che al ricorrente fossero imposti oneri di allegazione e probatori fin dall'atto introduttivo identici a quelli imposti all'attore in una citazione (avanti al tribunale); b2) la previsione della fissazione dell'udienza da parte del giudice e di un termine perentorio da lui stabilito per la notificazione del ricorso e del relativo decreto, si presentava come perfettamente idonea ad assicurare che il contraddittorio si attivasse in un momento tale, rispetto alla fissata udienza, da garantire alla parte opposta, cioè al convenuto in opposizione, almeno un termine a difesa identico a quello stabilito dagli articoli 166 (rispettivamente per la costituzione) e 313 (per la comparizione), tra il giorno della notificazione e quello dell'udienza, nel senso che il giudice nel fissare l'udienza ed il termine poteva indicare quest'ultimo in modo tale che il termine a difesa fosse rispettato; b3) la possibilità, fisiologica nel sistema degli articoli 615, 617 e 619, che l'opposto si costituisse in udienza, del resto, corrispondeva a quanto previsto come norma per il processo pretorile introdotto con citazione, mentre, per quello avanti al tribunale, non rappresentava alcuna alterazione al sistema delle preclusioni operante per l ordinario processo avanti al tribunale, poiché si è detto sopra che in quel processo, pur essendo previsto che il convenuto si dovesse costituire prima dell'udienza ex art. 183, in definitiva il difetto di tale costituzione non determinava per lui decadenze, essendogli riconosciuta la possibilità di costituirsi con la comparsa anche in detta udienza e svolgere le stesse attività, da compiersi con la comparsa depositata entro il termine per la costituzione ex art. 166.

III. Va notato a questo punto che il quasi totale affidamento al pretore della competenza sulle opposizioni esecutive, una volta considerato che il termine a difesa per il processo pretorile era di tre giorni nel caso di notificazione entro la circoscrizione del giudice adito, di dieci in caso di notificazione entro quella del tribunale, di venti entro quella della corte d'appello (tralascio le ipotesi della notifica nelle colonie ed all'estero) ed una volta tenuto conto che tali termini ridotti potevano essere abbreviati alla metà, comportava di fatto la conseguenza che per provvedere sull'istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 624 e su quella ex art. 618, per il caso che non si fosse ritenuto di provvedere inaudita altera parte si presentava pienamente idonea la stessa udienza di comparizione, senza che occorresse fissare un'udienza anticipata per la trattazione della sola questione di sospensione o di quella ex art. 618 c.p.c.. Infatti, la prospettiva fisiologica della fissazione dell'udienza ex art. 183 in tempi relativamente brevi garantiva la possibilità che si potesse provvedere sollecitamente su quelle istanze, aventi natura cautelare. E tutto sommato, una volta considerato che il termine per la costituzione avanti al tribunale di cui all'art. 166 poteva essere analogamente dimezzate, anche in sede di fissazione dell'udienza di comparizione nei processi di opposizione esecutiva di competenza del tribunale l'udienza di comparizione ex art. 183 avrebbe potuto essere fissata (a seguito di istanza di abbreviazione) a breve, in modo da consentire sollecita possibilità di decisione sulle suddette istanze cautelari. Basti pensare che nei casi in cui il luogo di notificazione del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione dell'udienza si fosse trovato nella circoscrizione del tribunale, l udienza avrebbe potuto essere fissata entro dieci giorni dalla notificazione, mentre ove quel luogo si fosse trovato entro la circoscrizione della corte d'appello entro quindici giorni e ove si fosse trovato nella circoscrizione di altra corte d'appello entro venti giorni (tali termini risultavano dalla divisione alla metà di quelli fissati dall'art. 166). Dunque, nell impianto originario del codice del 1940 ben si comprendeva il senso sia della previsione che il ricorso oppositivo avesse gli stessi requisiti della citazione sia della previsione che l'udienza di comparizione fosse una normale udienza ex art. 183: il processo di opposizione era immaginato né più né meno che come un normale giudizio di cognizione, in cui cambiava solo la modalità di introduzione, ma restava immutata l organizzazione della fase iniziale, essenzialmente in punto di preclusioni alle allegazioni ed alle deduzioni e produzioni probatorie. L'omologazione del contenuto del ricorso a quello della citazione, in punto di oneri di allegazione e probatori dell'attore opponente e la previsione che l'udienza di comparizione fosse un udienza ex art. 183, cioè l'udienza in cui si verificavano, in definitiva, anche nel rito introdotto con la citazione, le preclusioni per il convenuto, si presentavano perfettamente funzionali a far considerare il processo oppositivo un processo che (salvo la modalità introduttiva) ricalcava quello introdotto con citazione ed era direttamente idoneo ad introdurre la cognizione ordinaria. 7. La possibilità di fissazione di un apposita udienza, anticipata rispetto a quella ex art. 185, per la sola trattazione dell istanza di sospensione dell esecuzione e dell istanza di adozione dei provvedimenti ex art. 618 sul corso dell esecuzione.

I. In un tale contesto, d'altro canto, occorreva tenere conto che l'apposita regolamentazione dettata dagli articoli 624 e 625 (rimasti ancora oggi immutati) per il procedimento sull'istanza di sospensione dell'esecuzione in caso di ex art. 615 e 619 e l'ulteriore regolamentazione dettata dall'art. 618 primo e secondo comma per i provvedimenti urgenti in ordine al corso dell esecuzione, si presentava assolutamente idonea a consentire l adozione di tale provvedimento anche prima dell'udienza ex art. 183, nei casi in cui la fissazione di tale udienza in modo da consentire l'osservanza del termine a difesa si fosse collocata a tal distanza dal deposito del ricorso da collidere con l'esigenza di un provvedimento immediato e sollecito in ordine all'adozione di tale provvedimento. Per quanto riguardava il procedimento sull'istanza di sospensione dell'esecuzione, di cui all'art. 695 c.p.c., la previsione del primo comma dell'art. 625 c.p.c., secondo cui sull'istanza si provvede con ordinanza, sentite le parti, si presentava idonea a consentire: c1) sia che si provvedesse nell'udienza di comparizione fissata ai sensi dell'art. 183 c.p.c.; c2) sia che si potesse provvedere in un'apposita udienza, riservata alla sola cognizione dell'istanza e collocantesi prima dell'udienza ex art. 183, da fissarsi congiuntamente ad essa nel decreto pronunciato ex art. 615 secondo comma o ex art. 619 secondo comma c.p.c. oppure a seguito di istanza presentata nelle more del sopraggiungere dell'udienza ex art. 183, anteriormente ad essa. Viceversa, per il caso di provvedimento sull'istanza di sospensione fosse assunto inaudita altera parte, la previsione dell'art. 625 secondo comma, secondo cui nei casi urgenti, il giudice può disporre la sospensione con decreto, nel quale fissa l udienza di comparizione delle parti e che all'udienza provvede con ordinanza, si presentava idonea, sia a giustificare che tale udienza si identificasse, nella stessa udienza ex art. 183, sia, per ragioni di sollecita definizione del procedimento, in un'udienza apposita fissata anteriormente, sulla falsariga di quanto consentiva il primo comma dell'art. 625 c.p.c.. Inducevano a questa ricostruzione: d1) la circostanza che il legislatore avesse dettato un apposito procedimento per provvedere sull'istanza di sospensione; d2) il rilievo che, se il legislatore avesse voluto escludere in caso di provvedimento a seguito di contraddittorio, la possibilità di fissazione di un'udienza apposita anteriore a quella ex art. 183, avrebbe nel primo comma dell'art. 625 detto che sulla sospensione si provvede all'udienza fissata ai sensi del secondo comma dell'art. 615 ed ai sensi del secondo comma dell'art. 619 e non avrebbe usato, invece, l'espressione sentite le parti, la quale, in ossequio al principio di libertà delle forme (art. 121 c.p.c.), ben si prestava alla possibilità della fissazione di un'udienza anticipata; d3) la circostanza del generico riferimento del secondo comma dell'art. 625 c.p.c. ad un decreto di fissazione dell'udienza di comparizione delle parti per il caso di provvedimento assunto senza contraddittorio e non al decreto di fissazione dell'udienza di cui al secondo comma dell'art. 615 ed al secondo comma dell'art. 619. II. Quanto ai provvedimenti urgenti correlati all'opposizione agli atti esecutivi dall'art. 618 c.p.c., mi sembra che potesse sostenersi (e si possa ancora oggi sostenere) che il primo comma di tale norma, laddove dice che il giudice dell'esecuzione dà, nei casi urgenti, i provvedimenti opportuni, non escludesse la possibilità di provvedere in contraddittorio previa fissazione di un'apposita udienza anticipata rispetto a quella ex art. 183 c.p.c., oltre che con il decreto inaudita altera parte. Mi induce a tale conclusione il rilievo che il complemento di modo con decreto, contenuto in precedenza nello stesso comma, è retto dal verbo fissa e sembra non correlarsi anche al successivo verbo dà. 8. Le opposizioni esecutive dopo la Novella del 1950.

I. La Novella del 1950 a mio avviso non comportò alcun effetto sul sistema del raccordo fra la fase introdotta con ricorso delle opposizioni in discorso e quella successiva. In particolare: aa) l'introduzione del sistema della citazione a comparire ad udienza fissa anche per il processo avanti al tribunale e la previsione (art. 163-bis nel testo anteriore alla novella di cui alla l. 353/90, introdotto, dalla Novella del 1950) di termini di comparizione rispettivamente di trenta giorni, quaranta e sessanta giorni, a seconda che la notificazione della sitazione fosse avvenuta nella circoscrizione del tribunale adito, nella circoscrizione della corte d'appello o in quella di altra corte d'appello, unita alla possibilità di una riduzione alla metà di tali termini, consentiva a breve la fissazione dell'udienza di comparizione ex art. 183, sempre in forza dell'immutato art. 185 disp. att. c.p.c., nel rispetto di tali termini, cioè assicurandosi che fra la scadenza del termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto e l'udienza intercorressero i termini, eventualmente ridotti alla metà, di cui all'art. 163-bis c.p.c.; bb) per il processo pretorile, rimasto fermo il termine di comparizione in caso di notifica entro la circoscrizione del pretore e sempre ridotti alla metà di quelli stabiliti ex novo dall'art, 163-bis e comunque ulteriormente riducibili essi stessi alla metà (art. 313 nel testo anteriore alla l. n. 353/90) i termini in caso di notifica fuori da quella circoscrizione, la fissazione a breve dell'udienza ex art. 183 c.p.c. era automaticamente garantita, pur dal rispetto dei termini di comparizione fra scadenza del termine perentorio per la notifica e udienza, in tempi relativamente, brevi; cc) la possibilità che sull'istanza di sospensione dell'esecuzione vi fosse una tale urgenza di provvedere, sia pure nel contraddittorio delle parti, da imporre la fissazione di un'udienza ad hoc prima dell'udienza di comparizione ai fini della cognizione ordinaria, ancorché fissata in modo da dar luogo all'abbreviazione del termine a difesa, rimaneva implicitamente prevista per le ragioni indicate nei paragrafi precedente con riferimento alla stesura originaria del Codice; dd) analoga possibilità si poteva dare per i provvedimenti dell'art. 618 in ordine all'opposizione agli atti esecutivi, sempre per le ragioni indicate con riguardo alla stesura originaria del Codice; ee) l'eliminazione delle preclusioni ricollegate all'atto introduttivo per l'attore, la conservazione delle preclusioni per la chiamata in causa e per la riconvenzionale del convenuto con riguardo al deposito della comparsa di risposta almeno all'udienza ex art. 483 c.p.c. e l'eliminazione delle ulteriori preclusioni previste dall'originario art. 183 con riguardo a tale udienza, risultanti dalla modificazione dell'art. 183 e dell'art. 184 operata dalla Novella del 1950 rimasero, d'altro canto ininfluenti sulla ricostruzione delle opposizioni esecutive nel senso proposto alla luce della stesura originaria del Codice, poiché anche nel nuovo regime lassista di assenza di preclusioni (salvo per la proposizione di domande nuove, la riconvenzionale e la chiamata in causa di un terzo) rimase fermo, in forza del mantenimento delle norme degli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione, che i ricorsi introduttivi delle opposizioni esecutive avverso esecuzione già iniziata introducevano essi stessi l'ordinaria cognizione; ff) l udienza ex art. 183 fissata con i decreti di cui agli artt. 615 secondo comma, 617 e 619 secondo comma restò una normale udienza ex art. 183 c.p.c., assolutamente simile all'udienza di un normale giudizio cognitivo introdotto con citazione e come tale udienza, in forza della eliminazione delle preclusioni emergente dall'art. 184 novellato (9), divenne un'udienza in cui le uniche preclusioni che si potevano verificare erano rappresentate: ff1) dalla mancata proposizione della riconvenzionale da parte del convenuto opposto, che tale domanda non avesse svolto almeno costituendosi in essa ai sensi dell'art. 171 secondo comma rimasto immutato; ff2) dalla mancata formulazione almeno in detta udienza dell'istanza di chiamata in causa del terzo, possibilità mantenuta dagli immutati secondo e terzo comma dell'art. 269 (ancorché l'immutato art. 167 prevedesse come nella stesura originaria del Codice che la chiamata dovesse essere formulata nella comparsa);

gg) il mantenimento nell'art. 184 novellato della preclusione alla possibilità di una domanda nuova dell'attore, cioè dell'opponente, confermava poi quanto già sancito nella stesura originaria del Codice. II. Anche dopo la Novella del 1950, dunque, il problema del raccordo fra la forma processuale con cui le opposizioni esecutive venivano introdotte e lo svolgimento del processo di primo grado a seguito della normale introduzione con citazione, siccome emergente dalle norme degli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione e dalle norme degli articoli 615 secondo comma, 618 e 619 secondo comma rimaneva entro i non disagevoli binari in cui aveva inteso incardinarlo il Codice del 1940 e che sopra sono stati illustrati. Che l'applicazione del sistema come sopra ricostruito non desse luogo a problemi mi sembra emerga da un dato. Nella ricerca di precedenti giurisprudenziali sulle questioni applicative delle norme degli articoli più volte cennati sul raccordo mi sono imbattuto solo in un precedente (10) a proposito della questione del termine di comparizione e in pochissimi precedenti per la questione dell'inizio del giudizio di cognizione con lo stesso ricorso (11), mentre non ho rinvenuto nulla a proposito della possibilità innanzi sostenuta della fissazione di un'udienza ad hoc per la sola trattazione della questione di sospensione dell'esecuzione e dei provvedimenti a seguito dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. Evidentemente, la circostanza che la quasi totalità delle opposizioni esecutive competevano al pretore, unita alla brevità dei termini a comparire avanti a tale giudice, nonché la sostanziale inesistenza di ragioni di urgenza nelle opposizioni avverso gli atti esecutivi in materia di espropriazione immobiliare (dato il suo meccanismo piuttosto lento) hanno fatto sì che non sorgessero questioni in ordine alla inosservanza dei termini a comparire di cui all'art. 163-bis e 313 c.p.c. e neppure si palesasse l'opportunità di fissazione di un'udienza anticipata rispetto a quella ex art. 185 disp. att. c.p.c.. La dottrina, d'altro canto, trovandosi ad operare in un sistema processuale che non prevedeva sostanzialmente preclusioni anteriormente alla prima udienza di trattazione ex art. 183 ed in relazione ad essa prevedeva solo la preclusione alla riconvenzionale del convenuto ed alla chiamata in causa, non ha molto approfondito a mio modesto avviso il problema del raccordo e si è limitata ad affermazioni del tutto fugaci circa il termine di comparizione a difesa da darsi in sede di fissazione dell'udienza ex art. 183 (12) e tralasciando del tutto di considerare la possibilità che l'udienza di comparizione per la trattazione delle questioni inerenti la sospensione ed i provvedimenti ex art. 618 potesse essere fissata anticipatamente rispetto a quella ex art. 185 disp. att. c.p.c. ai sensi dell'art. 183. 9. Il problema del raccordo fra il sistema dell introduzione con ricorso delle opposizioni esecutive e la nuova disciplina della fase introduttiva ed iniziale del processo di cognizione dopo le recenti riforme. I. Il lungo excursus su come era regolato il problema del raccordo nel sistema del Codice del 1940 e successivamente dopo la Novella del 1950 ed i risultati da esso somministrati mi sembra a questo punto che permettano di affrontare e risolvere il problema nei termini nuovi in cui certamente si pone dopo le recenti riforme, che hanno dettato una nuova disciplina della fase introduttiva e della fase iniziale del processo civile di cognizione, introducendo (anche dopo la vera e propria controriforma di cui ai dd.ll. n. 238, 347 e 432 (13) e alla legge n. 534/95) rilevanti novità. Per non appesantire le trattazione esaminerò il problema del raccordo direttamente con riguardo alla stesura definitiva della riforma, risultante dopo la legge n. 534/95, senza considerare, se non per accenni, il problema con riferimento alla stesura originaria della legge 353/90.

Le novità che interessano ai fini del problema sono le seguenti: 1a) la previsione di un termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione (o di dieci, in caso di riduzione del termine a comparire) indicata in citazione, per la costituzione del convenuto (art. 166) con la comminatoria, in difetto, della decadenza dalla possibilità di proporre domanda riconvenzionale e di chiamare in causa il terzo e, quindi, di una decadenza che matura prima dell'udienza di comparizione; tale decadenza risulta per la riconvenzionale dall'espressa comminatoria dell'art. 167, mentre per la chiamata in causa dall'art. 269 secondo comma novellato, ove posti poi entrambi in relazione al secondo comma del pure novellato art. 171, che riconosce ancora la possibilità di una costituzione del convenuto anche alla prima udienza, ma stabilisce che restino ferme le decadenze di cui all'art. 167; 2a) la previsione di un termine di comparizione unitario di sessanta giorni (riducibili a trenta) per il giudizio avanti al pretore e avanti al tribunale, stabilita dall'art, 163-bis novellato e risultante dal fatto che ormai le uniche disposizioni speciali per il processo pretorile sono quelle degli artt. 314 e 315 riguardanti la fase decisoria, restando il processo pretorile interamente disapplicato ex art. 311 dalle norme sul proceso avanti al giudice monocratico del tribunale; 3a) la previsione conseguente di un ulteriore contenuto della citazione, rappresentato dall'enunciazione di un avvertimento al convenuto in ordine alla circostanza che, non costituendosi entro il termine di cui all'art. 166, incorrerà nelle decadenze di cui all'art. 167; 4a) la previsione di una scissione fra udienza di prima comparizione ed udienza di prima trattazione, risultante dalla novellazione dell'art. 180 che appunto risulta ormai disciplinare con una sorta di programma limitato ed obbligato la prima udienza di comparizione indicata nella citazione e prevede indefettibilmente che si fissi altra udienza per la prima trattazione ai sensi dell'art. 183 novellato, per l'espletamento delle numerose attività in essa contemplate, con fissazione al convenuto, anche contumace, di un termine per depositare memoria contenente le eventuali eccezioni di merito e di rito in senso stretto, cioè rilevabili solo ad istanza di parte (14); 5a) la previsione del momento di preclusione della rilevazione, sia d'ufficio che ad istanza di parte, della incompetenza per valore, territorio inderogabile e materia solo nella prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. (15), stante il riferimento dell'art. 38 novellato appunto alla prima udienza di trattazione. 10. La perdurante vigenza degli articoli 184 e 185 disp. att. c.p.c.. I. A tali profonde modifiche della fase introduttiva ed iniziale del processo di cognizione introdotto con citazione non ha fatto riscontro alcuna modificazione delle norme che disciplinano il problema del raccordo a proposito delle opposizioni esecutive. Tuttavia a me sembra che, se si condividono i risultati dell'indagine sopra svolta su come funzionava il raccordo prima della recente riforma e già nella stesura originaria del Codice, l'assenza di quella modificazione non provochi alcun problema, a condizione che si leggano gli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione con un'interpretazione adeguatrice, quanto alla prima norma al mutamento del contenuto del suo referente nella disciplina del processo introdotto con citazione e, quanto alla seconda al mutamento del suo stesso referente normativo.

La ragione per cui bisogna, a mio modesto avviso, procedere ad un'interpretazione adeguatrice nel senso ora detto, risiede nel fatto che anche dopo la riforma deve reputarsi immutata l'idoneità dei ricorsi ex art. 615 secondo comma, 617 secondo comma e 619 ad introdurre essi stessi la cognizione ordinaria tramite una forma dall'atto introduttivo diversa dalla citazione. La conservazione nell'ordinamento delle norme dell'art. 184 e 185 delle disposizioni di attuazione, le quali non sono state abrogate espressamente e non possono reputarsi abrogate per tacita incompatibilità (art. 15 delle preleggi) da norme delle leggi di riforma di cui alla l. n. 353/90 e successive modifiche fino alla l. n. 534/95, rende manifesto ancora oggi che il ricorso propositivo delle opposizioni in discorso introduce esso stesso l azione di cognizione ordinaria che costituisce l'oggetto delle stesse e comporta che ancora oggi l'eventuale traslatio iudicii al giudice competente per il merito dopo la prima fase determini la mera prosecuzione di un processo che deve reputarsi introdotto dalla domanda formulata con il ricorso (16). Che ancora oggi l'art. 184 delle disp. di att. dica, integrando la disciplina che scaturirebbe dall'applicazione dell'art. 125 c.p.c. che il ricorso introduttivo dell'opposizione deve contenere l'indicazione dei requisiti stabiliti per la citazione dai numeri 4 e 5 dell'art. 163, significa chiaramente che continuiamo a trovarci in presenza di un atto che sostanzialmente si appiattisce sulla normale citazione e suggerisce l'interrogativo sul se, a seguito dell'integrazione che la disciplina della citazione ha subito con la previsione del nuovo requisito di cui al numero 7 dell'art. 163, afferente all'avvertimento al convenuto in ordine alle decadenze in cui incorrerà in difetto di tempestiva costituzione venti giorni prima dell'udienza, non si debba reputare automaticamente integrato anche lo stesso art. 185 o meglio si debbano reputare integrati gli artt. 615 secondo comma, 618 primo comma e 619 secondo comma c.p.c. Nel contempo e comunque la permanenza della norma conferma la caratterizzazione del ricorso de quo come introduttivo di una domanda di cognizione ordinaria. Che ancora oggi l'art. 185 delle disposizioni di attuazione dica che all'udienza di comparizione fissata a seguito dei ricorsi all'esame si applica la disposizione dell'art. 183, se induce ad interrogarsi su quale debba essere l'effettivo senso di tale richiamo normativo ed in particolare sul se, in dipendenza della cessazione della connotazione dell'udienza ex art. 183 come prima udienza di comparizione, detto richiamo non si debba intendere ora fatto all'art. 180 c.p.c., tuttavia continua a rendere manifesto che la prima udienza di comparizione è udienza di un processo di cognizione piena già instaurato dal ricorso, posto che ad essa trova applicazione una norma regolatrice di tale processo e considerato quanto si deve sempre desumere e si è appena desunto dalla conservazione dell'art. 184. II. Ebbene, una volta considerato il significato della permanente vigenza delle due norme in discorso, mi sembra che, non diversamente da quanto avveniva nella stesura originaria del Codice del 1940 ed in quella risultante dalla Novella del 1950, oggi la linea interpretativa da seguire nella soluzione del problema del raccordo debba essere nel senso che la fase introduttiva avanti al giudice dell'esecuzione del processo oppositivo deve essere idonea ad assicurare lo svolgimento del processo di cognizione introdotto fin dal ricorso, con quelle stesse modalità che lo caratterizzano nell'ipotesi normale di introduzione mediante citazione. In particolare, la regolamentazione che nel processo riformato (o controriformato?) ha il formarsi delle preclusioni in ordine alle allegazioni dei fatti rilevanti per il decidere ed alle deduzioni e produzioni probatorie deve operare anche nel processo introdotto dai ricorsi ex artt. 615, 617 e 619 c.p.c..

Una diversa soluzione potrebbe accettarsi, solo se si dimostrasse che detti ricorsi non introducono direttamente l'azione di cognizione oggetto dei relativi giudizi e che essa si deve reputare introdotta in un momento successivo e precisamente dopo l'esaurimento della fase cautelare concernente l'istanza di sospensione dell esecuzione o l'adozione de provvedimenti ex art. 618 e, quindi, con l'ordinanza che dispone la trattazione avanti allo stesso giudice dell'esecuzione o la rimessione avanti al giudice competente. Ma tale dimostrazione è preclusa dalla perdurante vigenza degli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione (17). III. La necessità che l'ordinaria disciplina in punto di preclusioni operi anche con riguardo ai giudizi introdotti con ricorso di cui si discorre esclude qualsiasi possibilità sia di ricollegare il verificarsi di preclusioni anteriormente alla prima udienza di comparizione fissata con il decreto ex secondo comma dell'art. 615, 617 e 619 a modalità e garanzie diverse da quelle stabilite per la cognizione ordinaria introdotta con citazione, sia di ricollegare all'udienza di comparizione preclusioni stabilite con riguardo a momenti precedenti ad essa, sia di ricollegare a detta udienza preclusioni che scattano normalmente dopo. Una diversa soluzione, oltre a contrastare con gli articoli 184 e 185 delle disposizioni di attuazione, sarebbe gravemente sospetta di illegittimità costituzionale, laddove stabilisse un modo di operare delle preclusioni diverso o meglio più radicale di quello previsto per il processo introdotto con citazione. In contrario, non potrebbe valere, del resto, la diversità e peculiarità della funzione dei processi di opposizione ad esecuzione già iniziata, perché questa esigenza concerne a ben vedere solo la fase di essi che si esprime nel procedimento sull'istanza di sospensione dell'esecuzione e sull'adozione dei provvedimenti in merito allo svolgimento dell'esecuzione ex art. 618. 11. Il raccordo nel nuovo rito. A questo punto si possono ricostruire le linee del raccordo alla luce delle ultime riforme. Mi pare anzitutto che debba accettarsi l'idea che il giudice dell'esecuzione, nel fissare l'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 615 secondo comma, 618 primo comma e 619 secondo comma debba fissare l'udienza rispettando il termine di comparizione di sessanta giorni od eventualmente (su istanza di parte) quello ridotto alla metà, stabilito dal nuovo art. 163-bis c.p.c. (18). E ciò esattamente come avveniva (o doveva avvenire) nel sistema risultante dall originario impianto del Codice del 1940 e poi nel sistema risultante dalla Novella del 1950. In secondo luogo, il convenuto opposto ed eventualmente i convenuti litisconsorti necessari (per esempio il debitore esecutato in caso di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., ove voglia svolgere domanda riconvenzionale o chiamare in causa un terzo deve costituirsi venti giorni prima di detta udienza con comparsa depositata ai sensi dell'art 167. In difetto, incorrerà nella decadenza da tali attività (19). In linea preliminare a tale affermazione va, poi, ritenuto che nel decreto di fissazione dell'udienza da parte del giudice dell'esecuzione deve essere contenuto ciò che è strettamente funzionale all'operare delle preclusioni di cui all'art. 167, cioè l'avviso di cui al n. 7 dell'art. 163 c.p.c.

Invero, la mancata modificazione dell'art. 184 delle disposizioni di attuazione, nel senso di prevedere che lo stesso ricorso introduttivo dell'opposizione debba contenere l'avvertimento, ben si comprende, se si riflette che tale avvertimento è un requisito della vocatio in jus, la quale nella forma della domanda giudiziale costituita al ricorso (salva qualche eccezione, che qui non stò a richiamare) è elemento che si forma a livello statico, cioè sotto il profilo contenutistico, attraverso la necessaria mediazione del giudice che fissa l'udienza di comparizione, cui segue poi la notificazione di ricorso e relativo decreto. Il legislatore non poteva, dunque, integrare l'art. 184, stabilendo che il ricorso debba contenere l'avvertimento in discorso. È il giudice dell'esecuzione che deve inserirlo nel decreto di fissazione dell'udienza, una volta considerato che il ricorso introduce una domanda di cognizione ordinaria, le cui forme di svolgimento vanno assicurate. L'inserimento nel ricorso da parte dell'opponente, d'altro canto, sarebbe inidoneo a richiamare l'attenzione dell'opposto, in quanto precederebbe la parte dell'atto formatasi con l'aggiunta del decreto di fissazione dell'udienza. Né mi pare fondato sostenere (20) che ammettendo che il giudice dell'esecuzione debba includere nel decreto l'avvertimento all'opposto che non costituendosi venti giorni prima dell'udienza incorrerà nelle decadenze di cui all'art. 167, si finirerebbe per consentire al giudice di fissare un termine perentorio, nonostante che l'art. 152, primo comma secondo inciso preveda che il giudice possa fissarne solo se la legge lo permette espressamente. È sufficiente replicare che non il giudice fisserebbe in tale modo il termine perentorio, ma la stessa legge, del cui adattamento alla peculiarità dell'introduzione della cognizione ordinaria il giudice deve doverosamente tener conto. Se la vocatio in jus sotto il profilo contenutistico si deve esprimere attraverso il decreto di fissazione dell'udienza e non con l'indicazione dell'udienza come nella citazione, da parte dell'attore, cui in quel caso compete farsi carico dell'avvertimento, risulta fisiologico che il giudice, nel dar corpo ad essa inserisca quel suo elemento che è l'avvertimento. La volontà del legislatore della riforma in tal senso non mi sembra discutibile e, quindi, è essa stessa che attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di fissazione del termine perentorio. Va poi ricordato che sul significato dell'avverbio espressamente, di cui al primo comma dell'art. 152 la dottrina ha avvertito da tempo che esso va inteso nel senso che il termine deve essere previsto manifestamente, cosa che implica che esso possa risultare non solo da un'espressa manifestazione linguistica della legge, ma anche dalla stessa qualificazione dell atto o dagli effetti che la sua scadenza produce (21). Nella specie è appunto il requisito funzionale cui adempie il decreto di fissazione dell'udienza, che è assolutamente analogo all'indicazione dell'udienza di comparizione di cui al n. 7 dell'art. 163 che fa ritenere la sussistenza della volontà di legge attributiva al giudice dell'esecuzione dell'implicito potere di concedere il termine, risultante dall'inserzione dell'avvertimento di cui si discorre. Né potrebbe, inoltre, pensarsi che l'avvertimento sia inutile, per la ragione che il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza debbano pervenire ad un soggetto edotto delle prescrizioni normative sulla costituzione in giudizio e sulle conseguenze della sua intempestività (22). Osservo, in proposito: 1b) che, secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte (23), le opposizioni ad esecuzione già iniziata non possono essere notificate nel domicilio eletto ex art. 480 terzo comma in relazione all'art. 489, ma debbono notificarsi personalmente alla parte, cosa da cui consegue che la notifica del ricorso e del decreto siano ricevute da soggetto che certamente non è edotto sulla disciplina processuale dell'art. 167 c.p.c.; 2b) che la notificazione in discorso, anche se si rigettasse la tesi della Cassazione, talvolta può essere diretta a soggetto che non ha ancora difensore, come il debitore esecutato nell'opposizione ex art. 619 c.p.c.; 3b) che in generale, quando pure la notifica fosse ricevuta da legale, l'avvertimento, in quanto esprime una certezza in ordine al verificarsi della preclusione, non cessa di essere opportuno od esclude equivoci e fraintendimenti, tanto più in un sistema che viene ricostruito in via interpretativa.

Dunque, la necessità che nel decreto di fissazione dell'udienza sia contenuto l'avvertimento ai sensi del n. 7 dell'art. 163 mi sembra difficilmente contestabile (24). 12. L udienza che il giudice dell esecuzione deve fissare nelle opposizioni esecutive. Cenni sul ricorso orale e sull opposizione ex art. 512 c.p.c. I. Resta a questo punto da chiarire che tipo di udienza il giudice dall'esecuzione deve fissare ai sensi del secondo comma dell'art. 615, del primo comma dell'art. 617 e del secondo comma dell'art. 619 c.p.c., posto che l'art. 185 continua a dire formalmente che all'udienza fissata ai sensi di tali norme si applica l'art. 183 c.p.c. Nella stesura originaria della riforma di cui alla l. n. 353/90 la coincidenza tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione ai sensi dell'art. 183 c.p.c., alla luce della ricostruzione qui proposta rendeva automatico il raccordo, non diversamente da quanto avveniva nell'impianto originario del Codice del 1940 ed in quello risultante dopo la Novella del 1950. L'udienza fissata dal giudice dell'esecuzione era (o avrebbe dovuto essere) proprio una vera udienza ex art. 183, nella quale si dovevano svolgere le attività in essa previste e cui poteva seguire l'appendice di trattazione scritta di cui al quinto comma del testo dell'art. 183 originariamente novellato dalla legge 353/90. Solo dopo l'esaurimento delle attività previste dall'art. 183 c.p.c., non diversamente da quanto prevede l'art. 184 con l inciso salva l'applicazione dell'art. 187, per le opposizioni ex secondo comma dell'art. 615 c.p.c. e per quelle ex art. 619 c.p.c. poteva avvenire la delibazione della competenza e la rimessione al giudice competente, con sentenza in caso di contrasto fra le parti e con ordinanza in caso di accordo. Non mi sembra che fosse possibile un'altra soluzione nell'ottica, che ho accolto, della introduzione da parte delle opposizioni esecutive della normale azione di cognizione ed in quella conseguente della fissazione dell'udienza nel rispetto dei termini di comparizione e con onere del convenuto di costituirsi a pena di decadenza venti giorni prima (o dieci giorni prima in caso di abbreviazione del termine a comparire), a pena di decadenza dalle attività che si precludevano con lo scadere del termine per la tempestiva costituzione, fra le quali nel sistema originario della l. 353/90 vi erano anche le eccezioni di merito e di rito in senso stretto (25). II. Nella situazione determinatasi a seguito della l. 534/95 che ha scisso la prima udienza di comparizione dalla prima udienza di trattazione, mi sembra che il coordinamento, per chi accetta l'idea qui sostenuta della instaurazione con le opposizioni esecutive di azioni di cognizione ordinaria fin dal ricorso, si debba e si possa realizzare agevolmente, ipotizzando che l'art. 185 delle disp. di att. sia stato tacitamente modificato e che il riferimento in esso formalmente contenuto all udienza ex art. 183 si debba leggere come un riferimento all'udienza ex art. 180. Ciò, sulla base del rilievo che la funzione primaria cui assolveva l'udienza ex art. 183 nell'impianto originario del Codice, dopo la Novella del 1950 ed anche in modo effimero dal 30 aprile 1995 fino al d.l. n. 238/95 era quella di udienza di comparizione delle parti. Poiché ora l'udienza di comparizione delle parti è regolata dall'art. 180 c.p.c. mi sembra che sia consentito immaginare che il frettoloso legislatore dei dd.ll. n. 238, 347 e 432/95 e poi della l. n. 534/95 abbia semplicemente dimenticato di modificare formalmente il riferimento normativo contenuto nell'art. 185. L'udienza di comparizione fissata ai sensi dell'art. 615 secondo comma, 618 primo comma e 619 secondo comma è ora, dunque, una vera e propria udienza ex art. 180. I corollari di questa ricostruzione sono i seguenti: 1c) in tale udienza possono essere compiute (ferme le attività inerenti la pronuncia sulle istanze cautelari ex art. 624 e 618 c.p.c.) solo le attività specificamente previste dall'art. 180 primo comma;

2c) ai sensi del secondo comma dell'art. 180 il giudice dell esecuzione deve fissare necessariamente altra udienza ai sensi dell'art. 183, dando termine al convenuto (cioè all'opposto o agli opposti, anche se contumaci) per dedurre le eccezioni di merito e di rito in senso stretto; 3c) all'udienza ex art. 183 il giudice dell'esecuzione dovrà, se del caso (cioè ove le parti compaiano) procedere al loro libero interrogatorio ed al tentativo di conciliazione e dovranno essere svolte le attività previste dal quarto comma dell'art. 183 e se del caso potrà essere chiesta la trattazione scritta ai sensi dell'art. 183 quinto comma; 4c) solo dopo l'esaurimento delle attività di cui sub 3c) e quindi nella stessa udienza ex art. 183 in caso di mancata richiesta di trattazione scritta ovvero in una successiva udienza nel caso sia stata richiesta tale trattazione, il giudice dell'esecuzione dovrà applicare l'art. 616 e l'art. 619 terzo comma, provvedendo nel caso di sussistenza della sua competenza ai sensi dell'art. 184 ovvero, nel caso di insussistenza di tale competenza alla rimessione del processo avanti al giudice competente con ordinanza in caso di accordo delle parti, con sentenza secondo le normali regole in caso di disaccordo; 5c) anche il secondo comma dell'art. 618 per la parte in cui dispone circa l'istruzione della causa deve reputarsi tacitamente modificato nel senso suddetto. Il sistema delineato nei numeri precedenti è l'unico che è coerente con la struttura che le opposizioni esecutive hanno mantenuto anche dopo la recente riforma, cioè quella di ordinarie azioni di cognizione introdotte da ricorso. Il sistema così ricostruito comporta due effetti: 1d) assicura il formarsi delle preclusioni, ricollegate alla fase introduttiva, all'art. 180 ed all'art. 183, comunque nella fase avanti al giudice dell'esecuzione avanti, rendendo veramente meramente propulsivo il provvedimento di eventuale rimessione al diverso giudice competente, laddove contrasterebbe con la cennata idoneità del ricorso ad introdurre l'azione ordinaria che esse si formino successivamente avanti a quel giudice; 2d) consente che le parti e lo stesso giudice discutano della competenza nella sede normale, che, ex art. 38 c.p.c., è la prima udienza di trattazione, cioè quella ex art. 183 ed una volta avvenuta la rimessione sull'accordo delle parti la questione di competenza, salvo che sussistano gli estremi per il conflitto d'ufficio ex art. 45 c.p.c. (che considero con buona parte della dottrina ancora in vigore) sollevabile ad istanza del giudice ad quem. III. Circa la possibilità della proposizione del ricorso in forma orale in caso di opposizione all'esecuzione ex art. 615 ed in caso di opposizione agli atti esecutivi, nel corso di un'udienza del processo esecutivo (ammessa dalla giurisprudenza), mi sembra che non potranno sorgere particolari problemi, nel senso che, ferma la possibilità di discutere immediatamente sulle istanze cautelari, occorrerà fissare l udienza ex art. 180, ma sarà necessario mi sembra concedere un previo termine all'opponente per depositare memoria integrativa subordinatamente all'iscrizione a ruolo della causa, per poi rispettare la normale disciplina nel senso sopra ritenuto. IV. Non mi sono soffermato sull'opposizione ex art. 512 c.p.c., perché il tema non lo richiedeva, ma rilevo comunque che quanto appena osservato circa il ricorso orale, andrà applicato senz'altro, nel senso che occorrerà fissare un'udienza ex art. 180 c.p.c., dando termine all'attore in opposizione per depositare memoria integrativa ed ai convenuti opposti per depositare comparsa entro un termine fissato a venti giorni prima dell'udienza. 13. Il procedimento sull istanza di sospensione dell esecuzione e quello sui provvedimenti ex art. 618 come procedimenti cautelari in corso di causa di merito.

La proposta ricostruzione ha finora volutamente ignorato le problematiche relative al procedimento ex art. 664-625 in ordine alla sospensione dell esecuzione ed ai provvedimenti inerenti il corso dell esecuzione di cui all art. 618 c.p.c.. Ebbene, mi sembra che il coordinamento con tali problematiche del sistema sopra delineato sia agevole e facilmente intuibile. Al riguardo va considerato che il nuovo termine di comparizione ex art. 163-bis che il giudice dell esecuzione deve rispettare nel fissare l udienza di prima comparizione, se aggiunto al termine concesso per la notificazione, mal si concilia con la normale esigenza di provvedere, sia pure in contraddittorio, in tempi brevi, connaturata alle dette misure. E ciò neanche in caso di abbreviazione dei termini, sulla falsariga dell'art. 163-bis comma secondo. Allo stesso modo, ove abbia luogo con il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione l'adozione del provvedimento di sospensione dell'esecuzione inaudita altera parte o l'adozione dei provvedimenti opportuni ex primo comma dell'art. 618 sempre inaudita altera parte, attendere l'udienza di comparizione per il riesame in contraddittorio stride con il diritto di difesa e soprattutto con la disciplina generale del procedimento cautelare uniforme di cui all'art. 669-sexies, che vuole che in tempi brevi sia fissata l'udienza per l'attivazione del contraddittorio in caso di misura cautelare concessa inaudita altera parte (26). Ma in proposito non possono che tornare utili le considerazioni che si sono ampiamente svolte in precedenza, a proposito del regime anteriore alla Novella del l950 e successivo ad essa, circa la possibilità, che per la trattazione dell'istanza di sospensione e dei provvedimenti in ordine al corso dell'esecuzione ex art. 618 c.p.c., possa farsi luogo alla fissazione di un'udienza ad hoc, anteriore all'udienza di comparizione in funzione della cognizione ordinaria, nella quale saranno trattate solo quelle questioni. La medesima cosa potrà accadere per il caso di adozione di provvedimenti urgenti ex art. 618. In tal modo si verrà a realizzare una sorta di sostanziale parificazione fra le ipotesi di cognizione cautelare in discorso e quanto può accadere in una normale ipotesi di domanda cautelare presentata in corso di causa nello stesso atto di citazione (27). E ciò in piena aderenza alla natura di domanda cautelare in corso di causa che hanno sia l'istanza di sospensione dell'esecuzione, sia l'istanza per i provvedimenti ex art. 618 c.p.c. In definiva, dunque, il giudice dell'esecuzione, adito ex secondo comma dell'art. 615 o ai sensi del secondo comma dell'art. 618 o ai sensi dell'art. 619 c.p.c., ove gliene sia fatta istanza od anche d'ufficio, potrà fissare oltre all'udienza di comparizione ex art. 180 nel rispetto del termine ex art. 163-bis c.p.c., altra udienza per la preventiva trattazione dell'istanza cautelare di sospensione o di adozione dei provvedimenti ex art. 618 c.p.c., nella quale avrà luogo la sola trattazione di tali istanze e la parte opposta non sarà tenuta a costituirsi ai fini dello svolgimento della cognizione ordinaria, ma solo ai fini della cognizione dell'istanza cautelare. A seguito della relativa trattazione, che potrà anche protrarsi ad altra udienza le parti saranno rimesse all'udienza ex art. 180, nella quale il giudizio seguirà il corso che ho descritto sopra. Analogamente, ove con il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione ex art. 180 si sia provveduto inaudita altera parte mi sembra che si potrà fissare (come avveniva anche nella stesura originaria del Codice del 1940) un'udienza anticipata per la sola trattazione della questione della conferma o modifica del provvedimento, con successiva rimessione delle parti all'udienza ex art. 180. Ed eventualmente, per chi accolga l'idea che il procedimento cautelare uniforme possa estendersi ove compatibile anche ai procedimenti cautelari previsti dal c.p.c. fuori del capo III del titolo I del quarto libro del Codice, si potrebbe sostenere che nel fissare l'udienza di conferma il giudice del'esecuzione debba osservare i termini del secondo comma dell'art. 669-sexies.