Brevi riflessioni sui dati ufficiali, riferiti al quinquennio 2/24, relativi al mobbing quale malattia professionale Alessia Deidda Il fenomeno del mobbing da alcuni decenni a questa parte è stato studiato ed approfondito in tutti i diversi aspetti nei quali si presenta; peraltro, nonostante la sua rapida e continua espansione nel mondo del lavoro pubblico e privato, solo di recente è stato ufficialmente considerato una malattia professionale. Infatti, l'istituto gestore dell'assicurazione obbligatoria, con la circolare n. 71 del 17 dicembre 23, ha riconosciuto il mobbing quale malattia professionale non tabellata, ufficializzandone le modalità di riconoscimento, in perfetta aderenza con la nuova impostazione che il D.L.vo n. 38/2 aveva fornito per il riconoscimento delle malattie professionali. Tale impostazione, infatti, abbandonato il tradizionale riconoscimento delle sole malattie professionali formalmente riconosciute dal T.U. sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - imperniato sul principio della nocività delle singole lavorazioni nelle quali si sviluppano i processi produttivi aziendali - ha adottato quel sistema misto suggerito dalla giurisprudenza nel corso degli anni, per cui accanto alla nocività lavorativa riconosceva anche tutte quelle malattie per le quali veniva in qualche modo dimostrata la causa lavorativa. Il nostro ordinamento ha sinora considerato il mobbing quale fenomeno negativo del lavoro, sia pure senza fornirne una definizione puntuale; l'unica definizione del mobbing presente nel sistema è quella elaborata dai contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego, i quali lo hanno definito come serie di atti, atteggiamenti e comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie e vessatorie tali da comportare un degrado delle condizioni di lavoro ed idonei a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore stesso nell'ambito dell'ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento. Tale definizione, peraltro, non si presenta calzante per una malattia professionale, anche perché il Sindacato ha sempre considerato il mobbing come una "forma di violenza morale e psichica in occasione di lavoro", concetto che sicuramente non collima con uno stato patologico anche se può costituirne una diretta conseguenza. Quale prima conseguenza del riconoscimento del mobbing come malattia professionale, l'inail ha divulgato i dati ufficiali sulla consistenza del fenomeno riferiti all'ultimo quinquennio; 2/24, dati che confermano il continuo espandersi del fenomeno, anche se i riconoscimenti conseguenti, da parte dell'istituto assicuratore, dimostrano che non sempre le ipotesi di mobbing avanzate dai lavoratori collimano con quella che è stata l'interpretazione ufficiale della malattia professionale in questione.
In realtà, i dati forniti si riferiscono ad un arco di tempo maggiore del quinquennio, in quanto si riferiscono al periodo che va dall'anno 1999 ai primi due mesi del 25. Peraltro, i dati forniti per i due periodi che esulano dal quinquennio sono ininfluenti per il monitoraggio complessivo del fenomeno; basti pensare che, per l'anno 1999, le denunce di mobbing presentate sono state cinque in tutto e quelle riferite al primo bimestre 25 sono state 21, complessivamente pari a circa il 2,6% del totale. L'INAIL nella circolare citata ha ricondotto il mobbing ad una causa ben precisa ascrivendolo tra i "disturbi psichici da costrittività lavorativa"; ed ha specificato che i disturbi psichici sono da considerarsi di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da puntuali e particolari condizioni dell'attività e della organizzazione del lavoro. Tali condizioni possono ricorrere solamente in presenza di situazioni di incongruenze delle scelte in ambito organizzativo, ma devono pur sempre presentare caratteri di durevolezza nel tempo e di oggettività; ossia devono essere sempre riscontrabili, documentabili e verificabili mediante riscontri oggettivi, con esclusione delle situazioni suscettibili di interpretazione discrezionale. Questa interpretazione del mobbing da parte dell'inail comporta che vengono del tutto esclusi dal rischio tutelato - e questo è precisato chiaramente nella circolare in questione - i fattori organizzativo/gestionali connessi al normale svolgimento del rapporto lavorativo, quali le nuove assegnazioni, i trasferimenti, i licenziamenti e tutte quelle situazioni create dalle dinamiche psicologico/relazionali comuni agli ambienti di vita e di lavoro: conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali, comportamenti soggettivi, ecc. Per quanto riguarda il riconoscimento del mobbing quale malattia professionale da parte dell'istituto assicuratore, i dati forniti ci dimostrano che molto spesso i lavoratori denuncianti non hanno ben chiaro il significato di malattia professionale nella nuova interpretazione, atteso che la percentuale di riconoscimento riferita al quinquennio - come si evince dalla seguente tabella - è minima: STATO TRATTAZIONE n. % ACCOLTI permanente indennizzo in capitale temporanea regolare senza temporanea 58 7 26 11 14 8,6 1, 3,9 1,6 2,1 RESPINTI ISTRUTTORIA TOTALE 335 49,8 28 41,8 673,
La tabella in questione rappresenta la situazione delle domande avanzate all'inail nel quinquennio di riferimento (2/24); da una sua lettura si evince che delle 673 domande avanzate solo 1'8,6% di esse (n. 58) è stato accolto, anche se 28 denunce sono tuttora in fase istruttoria ed il 49,8% delle denunce (n. 335) è stato respinto. Delle domande accolte da parte dell'inail n. 7 hanno ottenuto il permanente (pari all'l,%), n. 26 (pari al 3,9%) l'indennizzo in capitale e n. 11 la temporanea (pari all'1,6%), mentre n. 14 (pari al 2,1%) la regolare senza temporanea. Quanto al grado di inabilità/menomazione delle denunce accolte, n. 5 casi sono stati riconosciuti in regime di danno biologico e n. 8 casi in regime Testo Unico. Non sempre, quindi, quanto invocato dai lavoratori in materia di mobbing coincide con l'interpretazione che ce ne forniscono l'ordinamento, la scienza e l'inail stesso. Molto spesso il lavoratore scambia per mobbing comportamenti antisindacali, comportamenti di fastidio o di maleducazione da parte dei superiori, comportamenti antigiuridici del datore di lavoro, ecc. A mio avviso questo accade in quanto il lavoratore non è bene informato sul fenomeno, ma agisce in base al sentito dire da parte di altri lavoratori. Nella Tabelle che seguono è illustrato l'andamento del fenomeno nell'arco di tempo di riferimento; si va cosi dalle cinque denunce del 1999 alle 316 del 24 e, proiettando nell'anno i dati relativi ai primo bimestre 25, si prevede che le denunce a fine 25 si aggireranno sulle 13/15. Indubbiamente, nel corso degli anni le denunce per mobbing sono aumentate di anno in anno, anche se ritengo assolutamente ingiustificata l'impennata del 24 ove non venga collegata all'emanazione da parte dell INAIL della circolare n. 71 del 17 dicembre 23 che riconosce il mobbing quale malattia professionale. 18 16 14 12 171 15 8 6 4 6 74 75 97 2 5 1999 2 21 22 23 24 25
N.B. i dati del 25 sono presunti MONITORAGGIO DENUNCE 35 316 3 25 2 15 5 5 62 75 82 1% 1999 9% 2 11% 21 12% 22 17% 23 47% 24 3% (gen-feb) 25 112 21 Nelle Tabelle 3 e 4 che seguono è monitorato il fenomeno secondo il sesso dei lavoratori denunciati e per fasce di età degli stessi
DIVISIONE PER SESSO 45 4 396 35 3 288 25 2 15 5 42,8% Fem m ine 57,2% Maschi
DIVISIONE PER FASCE DI ETA' 2 18 176 16 14 13 12 14 11 8 72 6 4 2 38 43 5,6% anni -3 6,4% anni 31-35 1,7% anni 36-4 15,5% anni 41-45 19,3% anni 46-5 26,2% anni 51-55 16,3% 56 anni ed oltre Quanto alla distribuzione geografica delle denunce presentate all INAIL, le due tabelle pubblicate in questa pagina mostrano, rispettivamente, la distribuzione per area geografica (nord est, nord ovest, centro, sud e isole) e la distribuzione per regione.
MONITORAGGIO PER AREE GEOGRAFICHE 2 18 179 177 16 153 14 12 115 8 6 49 4 2 17,1% CENTRO 7,3% ISOLE 26,6% NORD EST 26,3% NORD OVEST 22,7% SUD Il numero più alto di denunce lo detengono il nord est e il nord ovest, quasi appaiate con oltre il 26%; seguono il sud con il 22,7%, il centro con il 17,1% e le isole con solo il 7,3%.
RIPARTIZIONE GEOGRAFICA 12 9 98 8 6 4 2 2 3 3 4,3% BOLZANO,4% MOLISE,4% VALLE D'AOSTA,6% TRENTO 7 1,% BASILICATA 12 1,8% UMBRIA 16 2,4% CALABRIA 19 19 21 2,8% LIGURIA 2,8% MARCHE 3,1% SICILIA 28 29 4,2% SARDEGNA 4,3% ABRUZZO 32 4,8% FRIULI V. GIULIA 35 36 5,2% CAMPANIA 5,3% LAZIO 43 6,4% VENETO 48 7,1% TOSCANA 63 65 9,4% PUGLIA 9,7% LOMBARDIA 13,4% PIEMONTE 14,6% EMILIA ROMAGNA Nella distribuzione riferita ai territori regionali e delle due province autonome di Trento e Bolzano, come si evince dalla tabella soprariportata, è in testa la regione Emilia-Romagna (14,6%), seguita dal Piemonte (13,4%), dalla Lombardia (9,7%) dalla Puglia (9,4%) e via via tutte le altre, sino alle province di Trento e Bolzano, alla Valle d Aosta e al Molise, con percentuali inferiori all 1%.