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TAR CALABRIA - CATANZARO, SEZ. II - sentenza 12 aprile 2010 n. 451 N. 00451/2010 REG.SEN. ha pronunciato la presente REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) SENTENZA Sul ricorso numero di registro generale 324 del 2009, proposto da: Fastweb S.p.A. - Milano -, rappresentato e difeso dall'avv. Sergio Fienga, con domicilio eletto presso Virgilio Conte in Catanzaro L., via Bausan, 20 contro Comune di Vibo Valentia Sindaco, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Barba, con domicilio eletto presso Antonio Barba in Vibo Valentia, via S. Ruba Pal. " La Pagina"; Ufficio Tributi del Comune di Vibo Valentia per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, - dei provvedimenti adottati dall'ufficio Tributi del Comune di Vibo Valentia e recanti: "avviso di accertamento d'ufficio n. 0007/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2003"; "Avviso di accertamento d'ufficio n. 0008/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2004"; "avviso di accertamento d'ufficio n. 0009/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2005"; "avviso di accertamento d'ufficio n. 0010/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2006"; "avviso di accertamento d'ufficio n. 0011/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2007"; "avviso di accertamento d'ufficio n. 0012/2008 del 13/11/2008 con irrogazione immediata delle sanzioni per l'anno 2008"; tutti ricevuti a mezzo raccomandata a/r in data 2 gennaio 2009, ad eccezione dell'ultimo avviso, ricevuto in data 13 gennaio 2009; - nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compreso l'atto di "annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento cosap per difetto di giurisdizione del

Giudice Tributario" adottato dall'ufficio Tributi del Comune di Vibo Valentia in data 27 ottobre 2008 e divenuto lesivo per effetto dell'adozione degli atti impugnati in via principale; infine, per quanto "occorrer possa", del "regolamento per l'applicazione del Canone occupazione suolo ed aree pubbliche" approvato dal Consiglio comunale in data 21/01/1999 con deliberazione n. 19 e ss.mm.ii., anch esso divenuto lesivo per effetto dell'adozione degli atti impugnati in via principale. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Vibo Valentia Sindaco; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2010 il dott. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO 1. La ricorrente espone di essere una società titolare della licenza individuale per l installazione di reti di telecomunicazioni, rilasciata in data 21 dicembre 2000, allo scopo di fornire il servizio di telefonia vocale. Nel territorio di Vibo Valentia, la ricorrente afferma di non avvalersi di una propria rete, in quanto utilizzerebbe quella realizzata da altro operatore, Telecom Italia s.p.a., al quale corrisponderebbe un canone di "affitto" per la condivisione dell infrastruttura e fornendo, pertanto, i propri servizi in modalità di accesso indiretto. In data 28 novembre 2006, il Comune di Vibo Valentia notificava alla ricorrente cinque accertamenti d ufficio con i quali richiedeva il pagamento del canone per l occupazione di spazi ed aree pubbliche (cosap). Tali atti sono stati annullati dalla adita commissione tributaria provinciale con sentenza, del 20 settembre 2007, passate in giudicato. L amministrazione comunale, con provvedimento del 27 ottobre 2008, provvedeva ad annullare i predetti provvedimenti di accertamento sul presupposto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 64 del 2008, la giurisdizione non spetterebbe più alle commissioni tributarie. Nello stesso provvedimento si afferma che è possibile procedere ad una motivata riemissione dei predetti provvedimenti. Ed infatti, in data 2 gennaio 2009, l ufficio tributi notificava sei nuovi avvisi di accertamento, di cui quattro reiteravano la pretesa di pagamento della cosap per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, già oggetto dei precedenti accertamenti annullati, gli altri due riguardavano la richiesta, avanzata per la prima volta, di pagamento per gli anni 2007 e 2008.

Esposto ciò si assume la illegittimità di tali atti per i seguenti motivi. A. Violazione dell art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 324 e 327 c.p.c., dell art. 2909 c.c., dell art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990. In particolare, si assume che, per gli anni dal 2003 al 2006, si sarebbe formato un giudicato e per tale ragione non sarebbe più possibile la successiva emanazione degli atti di accertamento impugnati. Inoltre, sarebbe illegittimi anche gli atti di autotutela per mancanza dei presupposti previsti dal predetto art. 21-nonies. B. Violazione dell art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, degli artt. 10 e 41 della legge n. 166 del 2002, degli artt. 86, 89 e 93 del d.lgs. n. 259 del 2003. Eccesso di potere. Le norme di disciplina del settore condizionerebbero la debenza del canone al presupposto, da un lato, dell occupazione del territorio comunale realizzata con infrastrutture, dall altro, della titolarità di una concessione del suolo pubblico rilasciata dall amministrazione comunale. Nel caso in esame, nella prospettiva della ricorrente, mancherebbero entrambi i predetti presupposti, in quanto Fastaweb utilizzerebbe l infrastruttura di altro operatore economico e non sarebbe titolare di alcuna concessione. Sul punto si aggiunge che, qualora si ritenesse che il regolamento comunale cosap, richiamato nei provvedimenti impugnati, consentisse di prescindere dalle suddette condizioni previste dalle leggi di settore, lo stesso dovrebbe essere dichiarato illegittimo in parte qua. C. Violazione dell art. 6 della direttiva n. 97/13/CE, delle direttive 2002/20/CE e 2002/21/CE. Eccesso di potere. In particolare, si deduce che la normativa comunitaria sopra richiamata, perseguendo lo scopo di liberalizzare il settore dei servizi di comunicazione elettronica, vieterebbe ogni canone aggiuntivo rispetto a quelli strettamente inerenti alle procedure di rilascio dell autorizzazione. 2. Si è costituita in giudizio l amministrazione comunale, deducendo, in via preliminare, la inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, nonché la sua irricevibilità per tardività della notificazione. Nel merito, si assume la infondatezza delle doglianze prospettate dalla ricorrente. DIRITTO 1. Con il ricorso indicato in epigrafe la ricorrente assume la illegittimità degli atti con cui il Comune di Vibo Valentia ha richiesto il pagamento del canone per l occupazione di spazi ed aree pubbliche (cosap). 2. In via preliminare, è opportuno indicare il contenuto essenziale della normativa di disciplina della cosap. L art. 63, primo comma, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), la cui rubrica reca «canone per l occupazione di spazi ed aree pubbliche», prevede che i comuni e le province possono, con regolamento, escludere l applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, e possono, sempre con

regolamento, «prevedere che l occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa». Il secondo comma dello stesso art. 63 stabilisce che il regolamento deve osservare, tra l altro, il criterio che vuole che per «le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi», il relativo canone sia determinato forfettariamente, commisurandolo, in particolare, per le occupazioni del territorio comunale, «al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa» riferita alle seguenti classi di comuni: «fino a 20.000 abitanti, lire 1.500 per utenza; oltre 20.000 abitanti, lire 1.250 per utenza». Il Comune di Vibo Valentia ha adottato il «regolamento per l applicazione del canone occupazione suolo ed aree pubbliche», approvato dal consiglio comunale in data 21 gennaio 1999, con deliberazione n. 19. Tale regolamento prevede, tra l altro, che il canone deve essere versato «da parte del titolare del relativo atto di concessione o autorizzazione». 3. Premesso ciò, deve essere esaminata l eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune. Tale eccezione non è fondata. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 64 del 2008, ha affermato, con argomentazioni che non rileva in questa sede riportate, la natura non tributaria del cosap e ha conseguentemente dichiarato la illegittimità costituzionale dell art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui stabilisce che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l occupazione di spazi ed aree pubbliche» previsto dall art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997. Alla luce di quanto affermato dalla Consulta, ne consegue che il cosap deve essere considerato quale corrispettivo per l uso di un bene pubblico. Più in particolare, la sua corresponsione presuppone che l impresa e l amministrazione pubblica stipulino una concessione, determinando il corrispettivo che la prima deve versare per l uso di un bene di appartenenza pubblica. Come è noto, l art. 5 della legge Tar attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione dei «ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici», facendo salva, tra l altro, «la giurisdizione dell autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi». La riserva di giurisdizione a favore dell a.g.o. riguarda soltanto le controversie meramente patrimoniali in relazione alle quali l amministrazione non esercita un potere amministrativo. Ogniqualvolta, invece, la p.a. interviene, in ambiti predefiniti, mediante la spendita di poteri

amministrativi la giurisdizione spetta al giudice amministrativo (cfr., da ultimo, Corte cost. n. 35 del 2010). Nel caso in esame, per quanto con gli atti impugnati si chieda il pagamento del canone, la ricorrente non si limita a contestare detto pagamento, ma lo stesso ambito di applicazione del rapporto concessorio (cfr. Cassazione, sezione unite, 20 novembre 2007, n. 24012). Infatti, si assume che la concessione ha un ambito oggettuale definito nel rapporto con la Telecom e non può estendersi anche ai soggetti che accedono alla infrastruttura. Ne consegue che si contesta la portata del potere pubblico di concessione, e cioè il momento genetico del rapporto, e non la fase di esecuzione del rapporto stesso e, in particolare, la quantificazione del corrispettivo dovuto. La giurisdizione spetta, pertanto, al giudice amministrativo in sede esclusiva. 4. Deve essere disattesa, per due ordini di motivi, anche l eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del regolamento comunale nel termine perentorio di sessanta giorni dalla sua pubblicazione nell albo pretorio. In primo luogo, perché il regolamento, essendo, nella specie, atto sostanzialmente normativo, avente portata generale e astratta, non è suscettibile di autonoma impugnazione. Lo stesso può essere censurato unitamente all atto applicativo, che, concretizzandone la portata, fa sorgere l interesse concreto e attuale all impugnazione. In secondo luogo, perché la ricorrente, pur indicando il regolamento tra gli atti censurati, di fatto, non muove nei confronti di esso specifiche censure anche in ragione del fatto che, come si dirà meglio oltre, l atto regolamentare, per quanto interessa in questa sede, contiene prescrizioni conformi alla legge. 5. Nel merito il ricorso è fondato. 5.1. La ricorrente svolge attività di erogazione di servizi pubblici, appartenenti alla categoria dei servizi di comunicazione elettronica. Il decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) ha dettato, in attuazione di talune direttive comunitarie del 7 marzo 2002, una complessa disciplina del settore finalizzata, in particolare, come chiarito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 336 del 2005, a liberalizzare il mercato, aprendolo alla libera concorrenza (c.d. concorrenza "nel mercato"). Come è noto, uno dei principali ostacoli alla liberalizzazione, in presenza di servizi di rete, è rappresentato dal fatto che le infrastrutture utilizzate per la erogazione dei servizi rappresentano un bene non divisibile ovvero difficilmente divisibile in ragioni degli eccessivi costi economici che ciò comporterebbe. La "unicità" del bene pubblico dovrebbe comportare la "unicità" anche dell impresa erogatrice del servizio e dunque una sorta di monopolio naturale. Per queste ragioni, il legislatore nazionale, attuando puntuali prescrizioni europee, ha previsto, quale misura di liberalizzazione, la separazione della proprietà della rete dall erogazione del servizio ovvero, quando, come nel caso in esame, il proprietario della rete eroga anche il servizio, modalità di accesso ed interconnessione alla rete. In altri termini, per consentire

l apertura del mercato ad operatori economici nella fase di erogazione del servizio di comunicazione elettronica si è stabilito l obbligo del proprietario della rete di consentire ad altri operatori economici di "usare" la propria infrastruttura al fine di svolgere l attività di erogazione del servizio (cfr. artt. 4 e ss. del d.lgs. n. 259 del 2003). Si tratta di un uso pubblico di un bene privato, che obbliga al pagamento di un prezzo. La predetta contrattazione avviene sotto il controllo delle autorità di regolazione del mercato, al fine di evitare che la negoziazione privata, per il suo contenuto, ostacoli il corretto funzionamento delle regole di diritto pubblico aventi lo scopo, come sottolineato, di attuare la concorrenza "nel mercato". Nel caso in esame, in applicazione della predetta normativa europea e nazionale, Fastweb ha iniziato a svolgere l attività di erogazione del servizio di comunicazione elettronica utilizzando, in alcuni casi, come nella specie, la rete di distribuzione di Telecom Italia. Risulta, inoltre, pacifico che la ricorrente non è titolare di alcuna concessione con l amministrazione comunale. 5.1.1. La questione posta all esame di questo Tribunale è, pertanto, se la ricorrente sia anch essa tenuta al pagamento del canone per il solo fatto di "usare" una infrastruttura essenziale di un altro operatore economico. La difesa dell amministrazione resistente assume, richiamando il contenuto della circolare del Ministero dell economia e delle finanze del 20 gennaio 2009, che tale canone debba essere versato anche dall operatore economico che utilizza la rete poiché «è innegabile che non solo le società che materialmente effettuano l occupazione del suolo pubblico ma anche quei soggetti che contestualmente utilizzano dette strutture svolgono un servizio di pubblica utilità. Quest ultimi, inoltre, effettuano anch essi una occupazione del suolo pubblico, seppure in via mediata, attraverso cioè l utilizzo dei cavi e delle condutture di altri soggetti» (citata circolare). La prospettiva difensiva dell amministrazione comunale non è condivisibile per due ordini concomitanti di motivi. In primo luogo, perché, anche a volere accedere all interpretazione ministeriale, sarebbe comunque necessario, ai fini della richiesta di pagamento, che venga stipulato un autonomo atto di concessione avente ad oggetto una sorta di "bene pubblico mediato". L art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1977 e lo stesso regolamento comunale è, infatti, chiaro nel prevedere che il pagamento del canone è dovuto dal «titolare della concessione» e che tale canone è «determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa». In questa prospettiva, allo stato, unico soggetto tenuto al pagamento del canone, nella misura concordata, in quanto titolare di rapporto concessorio, è Telecom. In secondo luogo, non convivendo l interpretazione ministeriale, le argomentazioni difensive della resistente rimangono non persuasive perché l art. 63 impone il pagamento del corrispettivo unicamente al soggetto - titolare, si ribadisce, della concessione - che "materialmente" occupa il suolo pubblico. L interpretazione proposta in sede ministeriale presupporrebbe, a rigore, che ciascuno operatore economico che intenda accedere ad infrastrutture essenziali di proprietà di altri operatori stipuli una concessione di uso di suolo pubblico con l amministrazione comunale. Considerato che l obiettivo perseguito dal legislatore nazionale è la completa liberalizzazione del settore e pertanto la presenza nel mercato di una pluralità di operatore economici, la conseguenza sarebbe che dovrebbero coesistere anche una pluralità di atti concessori aventi ad oggetto il suolo pubblico (recte: l infrastruttura privata). Questa interpretazione confligge con il processo di liberalizzazione di matrice comunitaria e

nazionale in quanto rende più difficoltosa, sul piano amministrativo, l accesso al mercato delle imprese di settore. Come è noto, invece, un ulteriore strumento di liberalizzazione, oltre all obbligo di interconnessione, previsto anche nel settore in esame, è quello della semplificazione procedimentale. In altri termini, la semplificazione e la liberalizzazione amministrativa sono un mezzo indefettibile ai fini della liberalizzazione economica. Se, invece, si rende meno agevole entrare nel mercato per la previsione di ulteriori oneri e imposizioni si ostacola la liberalizzazione. Né vale obiettare, come fa l amministrazione comunale, che così opinando si viola l art. 63, che determina il canone alla luce del numero delle utenze raggiunte e si svuota di contenuto la stessa previsione del canone «considerato che le società proprietarie delle infrastrutture tendono a dismettere considerevolmente il numero delle utenze a favore di quelle che semplicemente le utilizzano». A tale proposito, deve, infatti, rilevarsi come l amministrazione comunale possa determinare con il soggetto proprietario dell infrastruttura il pagamento di un corrispettivo che tenga conto oggettivamente delle utenze servite con quella infrastruttura. Sarà poi la società proprietaria del bene, eventualmente, a "traslare", sempre nel rispetto delle regole poste dall autorità amministrativa indipendente di settore, quanto eventualmente pagato per la erogazione di servizio resa da terzi attraverso le proprie infrastrutture mediante la determinazione del "prezzo" di accesso alla infrastruttura stessa che tenga conto di tale evenienza. In altri termini, per fini di semplificazione, i rapporti sono soltanto due: il rapporto tra l amministrazione pubblica e il proprietario dell infrastruttura; il rapporto tra quest ultimo e gli operatori economici che accedono alla rete. La evidente "connessione" tra i predetti rapporti, in relazione al pagamento del canone per l occupazione del suolo pubblico, può avere soltanto effetti nella determinazione del "prezzo" nell ambito di ognuno di essi. Del resto, lo stesso art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, proprio per facilitare l accesso al mercato, prevede il "principio generale" che vieta l imposizione di oneri o canoni che non siano previsti per legge. Il comma 2 dello stesso art. 93 stabilisce, in particolare, che «gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l obbligo di tenere indenne l Ente locale, ovvero l Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall ente locale. Nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto ( ) in conseguenza dell esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettera e), del medesimo articolo». E evidente come tale ultima previsione rappresenti un eccezione rispetto al principio generale, con la conseguenza che non sono suscettibili di applicazione analogica le norme richiamate. In altri termini, considerata la elencazione tassativa dei pagamenti previsti, non è possibile, a tutela dell esigenza di non ostacolare i processi di liberalizzazione, estendere in via interpretativa l ambito delle "eccezioni" contemplate dal predetto art. 93. 5.2. Fermo restando quanto sin qui esposto, per completezza di analisi, si rileva come la richiesta di pagamento sia illegittima anche per un ulteriore motivo.

La commissione tributaria, almeno per gli anni 2006-2006, chiamata a decidere su "parte" della controversia in esame, aveva stabilito, con decisione passata in giudicato, che non era dovuto il canone. Nondimeno, l amministrazione ha riemanato gli atti di riscossione per gli stessi presupposti. Né tale risercizio del potere potrebbe ritenersi legittimo alla luce della successiva sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2008, che, come già sottolineato, ha affermato il difetto di giurisdizione del giudice tributario, atteso che, come è noto, le sentenze del giudice delle leggi non hanno incidenza sui rapporti giuridici esauriti, quali sono quelli accertati con decisione passata in cosa giudicata. In questa prospettiva, sono illegittimi anche gli atti di autotutela adottati dall amministrazione comunale con il fine, dichiarato negli atti stessi, di potere riemanare i provvedimenti di accertamento della somma dovuta. 6. In definitiva deve ritenersi che: a) sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle controversi relative a concessioni di beni pubblici, quando si contesta l ampiezza del rapporto concessorio; b) le società che erogano il servizio pubblico di comunicazione elettronica e che utilizzano le infrastrutture di proprietà di altra società non sono tenute al pagamento del cosap. Il ricorso va, pertanto, accolto con conseguente annullamento di tutti gli atti impugnati ad eccezione del regolamento. 7. In applicazione del principio della soccombenza il Comune è condannato a versare alla ricorrente la somma di euro 2.000, oltre iva e cpa, per il pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, sezione seconda, definitivamente pronunciato: a) accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione; b) condanna l amministrazione comunale al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 2.000, oltre iva e cpa. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2010 con l'intervento dei Magistrati: Vincenzo Fiorentino, Presidente Anna Maria Verlengia, Primo Referendario Vincenzo Lopilato, Referendario, Estensore DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/04/2010