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R.G. n. 12764/2016 TRIBUNALE DI PALERMO I^ SEZIONE CIVILE Il Giudice Unico, dott. Rita M. Mancuso, sciogliendo la riserva assunta all udienza del 21.12.2016 ha pronunciato la seguente ORDINANZA rilevato che con ricorso ex artt. 35 D. Lgs. n. 25/2008 e 702 bis c.p.c. depositato il 14.7.2016 MUSHTAQ Muhammad nato il 5.4.1978 a Gagy Pakistan ha impugnato il provvedimento del 6.6.2016, notificatogli il 16.6.2016, della Commissione Territoriale di Trapani per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che ha respinto le sue domande volte al riconoscimento della protezione internazionale, ma ritenuto sussistere i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell art. 5, co. 6, D.Lgs. n. 286/1998; rilevato che con detto ricorso, tempestivamente proposto, è stata reiterata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (ex art. 7 D.Lgs. n. 251/2007) o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria (ex art. 14 D.Lgs. n. 251 cit.), deducendo il ricorrente l erroneità sia della valutazione della Commissione Territoriale in ordine alla credibilità delle sue dichiarazioni sia della decisione di diniego della protezione internazionale che, sostiene il MUSHTAQ, avrebbe dovuto essergli riconosciuta in ragione vuoi delle persecuzioni che i musulmani sciiti subiscono da parte dei sunniti vuoi del contesto di grave insicurezza presente nel suo Paese di origine e nella sua zona di provenienza in particolare; rilevato che parte convenuta, ritualmente convenuta in giudizio, si è costituita con nota del Presidente della C.T. interessata che ha richiamato le motivazioni espresse nel provvedimento di diniego; rilevato che il ricorrente, confermato di essere nato il 5.4.1978 e di avere la

cittadinanza pakistana, nel corso dell audizione del 22.10.2015 avanti la Commissione Territoriale, ha in sostanza dichiarato : - di essere nato e aver vissuto fino al suo espatrio a Gagy, un villaggio sito nell Est del Pakistan vicino a Sialkot; - di essere orfano della madre (morta nel 2006 di morte naturale) e del padre ( morto il 26.11.2012 per mano del gruppo Ahle Sunnat ), di essere sposato ed avere 5 figli; - di essere di famiglia sciita; - che nel suo villaggio, a maggioranza sunnita, mancava una moschea Imambargah e per pregare ci si doveva recare a 35 km. sicchè la comunità sciita del villaggio aveva deciso di comperare un terreno e costruirvi una moschea; - che i sunniti si erano opposti e che per dirimere si erano rivolti al chairman del villaggio che, dopo aver convocato tutti, aveva deciso che la moschea poteva essere costruita; - che i sunniti allora erano diventati aggressivi e in occasione della celebrazione del 10 giorno del Muharram ( D. Cosa si celebra durante il Muharram? R. Il sacrificio di Imam Hussain e Imam Hassan uccisi da Yazid perché Yazid voleva essere il capo e i 2 imam non lo riconoscevano come tale ) i sunniti avevano sparato e ucciso suo padre, ferendo gravemente anche altre persone; - che i sunniti, nonostante la costruzione della moschea fosse stata autorizzata dal chairman, non erano stati denunciati ma erano stati loro a denunciare lui di avere ucciso suo padre, preso di mira perchè organizzava le preghiere degli sciiti ( Lui era uno zakir ); di essersi salvato perché si trovava lontano dal villaggio e di aver ricevuto la telefonata di un amico che lo aveva informato dell uccisione del padre e consigliato di non tornare perché i sunniti stavano cercando anche lui; - di essere andato da un amico a Jelhum, a 200 km. dal suo villaggio, ed aver lasciato il Pakistan dopo 15/20 gg., il 20.12.2012, partendo in aereo da Islamabad con un passaporto falso procuratogli da un trafficante; - di essere arrivato in Libia, a Tripoli, il 21.12.2012 e di esservi rimasto per un anno e 9 mesi lavorando come muratore; - che tutto era stato pagato da questo suo amico; - di aver sentito l ultima volta i suoi familiari il 24.11.2012 perché aveva avvertito il suocero che stava andando via ( Gli ho consegnato mia moglie e i miei figli. Da allora non ho più avuto notizie di loro ); - di non sapere se i suoi familiari hanno nel frattempo ricevuto minacce e di non poter

far ritorno nel suo Paese perché i sunniti lo ucciderebbero, essendo il figlio di suo padre ed avendolo aiutato nell organizzazione di vari eventi; rilevato che lo status di rifugiato può essere riconosciuto al cittadino straniero che abbia fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica e che non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione del Paese di appartenenza (v. artt. 2 e 8 D. Lgs. n. 251 cit.) e che la protezione sussidiaria, oggetto della domanda subordinata proposta in giudizio dal ricorrente, può essere riconosciuta allo straniero (non in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato) se sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese (v. art. 2 D. Lgs. n. 251 cit.), intendendosi per grave danno : a) la condanna a morte o all esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (v. art. 14 D.Lgs. n. 251 cit.); rilevato che secondo il più recente arresto della giurisprudenza di legittimità l onere di provare l esistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale grava, ancorchè in forma attenuata in funzione dell intensità della persecuzione, sul ricorrente, il quale non può quindi limitarsi ad un racconto generico e stereotipato dei fatti segnalati, ma deve dimostrare anche in via indiziaria la credibilità delle sue dichiarazioni, da valutarsi alla stregua dei criteri dettati dall art. 3, co. 5, D.Lgs. n. 251 cit. (v. da ultimo Cass., n. 14157 e 16361/2016); rilevato che tale disposizione prevede che taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente possono considerarsi veritieri ancorchè non suffragati da prove quando, in particolare, il richiedente stesso abbia circostanziato la domanda

e le sue dichiarazioni siano ritenute coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso ; rilevato che il racconto del MUSHTAQ non è suffragato da alcuna prova e che in particolare egli non ha versato in causa, né esibito alla C.T., nessuna documentazione (come, ad esempio, un certificato di morte del padre o i documenti predisposti per la costruzione della moschea o la denuncia asseritamente presentata nei suoi confronti dai sunniti) idonea a dimostrare, anche indirettamente, la veridicità della sua storia o perlomeno di taluni suoi aspetti, documentazione che il ricorrente avrebbe potuto agevolmente reperire, e quindi produrre in giudizio, attraverso i familiari rimasti a vivere in Pakistan ovvero tramite l amico che lo ha aiutato a lasciare il Paese e con cui ha dichiarato di essere ancora in contatto; ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente in ordine all uccisione del padre il 26.11.2012 da parte del gruppo Alhe Sunnat ed ai motivi del suo espatrio non possano considerarsi veritiere alla stregua dei criteri dettati dal menzionato art. 3, co. 5, D.Lgs. n. 251 e ciò perché contraddittorie (ad es. egli ha dichiarato che il padre sarebbe stato ucciso il 26.11.2012 ma di avere consegnato la moglie e i figli al suocero il 24.11, cioè prima ancora della morte del padre), implausibili (ad es. non si capisce perché i sunniti l avrebbero denunciato di avere ucciso suo padre) e non coerenti con le informazioni reperibili sugli avvenimenti del suo Paese (non risultando che il 26.11.2012 si siano verificati attacchi contro sciiti nella zona di Sialkot); rilevato peraltro che, significativamente, le specifiche, molteplici e condivisibili ragioni che hanno indotto la C.T. a dubitare della veridicità della storia raccontata dal MUSHTAQ (v. provv. impugnato) sono state prese solo in minima parte in considerazione nel ricorso introduttivo e, ove esaminate, sono state contestate con argomentazioni tutt altro che convincenti (v. in particolare pagg. 3 e 4 ric.); ritenuto per quanto sopra che debba escludersi sia il fondato timore per il ricorrente di venire perseguitato, in caso di rientro in Pakistan, dai sunniti del suo villaggio sia l effettivo rischio che egli, sempre in caso di rimpatrio, possa subire i danni gravi di

cui alle lett. a) e b) del cit. art. 14; ritenuto invece che sussista il rischio per il ricorrente, in caso di rimpatrio nel suo Paese e nella sua zona di origine in particolare, di subire il danno grave delineato dalla lett. c) del cit. art. 14, e cioè di vedere gravemente minacciata la propria vita a causa di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato ; rilevato infatti che il ricorrente ha dichiarato di provenire da una località (Gagy) vicina a Sialkot, che si trova nella regione del Punjab; ritenuto che tale provenienza, peraltro rimasta incontestata e mai messa in dubbio dalla C.T. né nel provvedimento di diniego né nella memoria di costituzione in giudizio, deve ritenersi sicura anche alla luce del fatto che il MUSHTQ l ha dichiarata sin dal momento della presentazione della domanda di asilo (v. mod. C/3 in atti), ciò che esclude ripensamenti sul suo luogo di origine strumentalmente finalizzati ad ottenere la protezione richiesta in conseguenza della situazione di grave insicurezza presente nel Punjab; rilevato infatti che in tale regione del Pakistan, come si ricava da numerosi fonti affidabili (v. per tutti rapporto EASO sul Pakistan dell agosto 2015 in www.easo.europa.eu nonché i rapporti di Amnesty International 2014/15 e 2015/16) e dagli stessi documenti prodotti dal ricorrente, si registra una situazione di gravissima insicurezza in conseguenza dell attività terroristica posta in essere da parte di alcuni gruppi armati dell estremismo islamico, resisi responsabili fra l altro : 1) a dicembre 2014 dell attacco ad una scuola di Peshawar, che ha causato la morte di 149 persone fra cui 132 bambini; 2) a febbraio 2015 di un attentato rivendicato dal TTP ad una moschea sciita sempre a Peshawar in cui sono stati uccisi 20 fedeli e ferite altre 60 persone; 3) a marzo 2015 di un attacco suicida compiuto da un gruppo scissionista del TTP a due chiese a Lahore che ha provocato la morte di 22 persone; 4) a marzo del 2016 dell attentato ad un parco pubblico di Lahore in cui sono morti 72 civili; rilevato che anche gli ultimi avvisi pubblicati sul sito www.viaggiaresicuri.it del

Ministero degli Affari Esteri, sito indirizzato ai cittadini italiani che intendano recarsi all estero, sconsigliano significativamente di recarsi in Pakistan se non in casi strettamente necessari, in conseguenza della situazione di insicurezza presente in tutto il Paese e dello stato di allerta particolarmente alto in molte città (tra cui le principali città del Punjab) a causa sia dei frequenti attentati terroristici sia del rafforzamento delle misure di sicurezza da parte delle forze armate pakistane sia della conseguente possibilità di rappresaglie da parte delle organizzazioni terroristiche (v. ad es. avviso pubblicato il 28.9.2016 nonché avviso del 10.1.2017, pubblicato dopo l assunzione a riserva della presente causa); ritenuto che il contesto sopra sommariamente delineato integri, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla CGUE (v. ad es. sent. in causa C-285/12 del 30.1.2014 e C-465/07 del 17.2.2009) e dall UNHCR (v. nota del gennaio 2008 La protezione sussidiaria secondo la Direttiva Qualifiche nel caso di persone minacciate da violenza indiscriminata ), la fattispecie del danno grave di cui alla lett. c) dell art. 14 D.Lgs. n. 251 cit. perché la situazione di violenza presente nel Punjab è tale che la vita di ogni civile rischia di esser seriamente minacciata per il sol fatto della presenza in quella parte del Paese; ritenuto pertanto che al ricorrente, in accoglimento della domanda subordinata proposta, possa essere riconosciuta la protezione sussidiaria ai sensi dell art. 14 lett. c) del cit. D.Lgs. n. 251; ritenuto che la natura della causa giustifichi la compensazione delle spese processuali; ritenuto infine che giusta la previsione del co. 3 bis dell art. 83 del D.P.R. n. 115/2002, introdotto dall art. 1, co. 783, L. n. 208/2015, possano liquidarsi con separato decreto contestuale alla presente ordinanza i compensi per il gratuito patrocinio a favore del difensore di parte ricorrente, essendo in atti il provvedimento del Consiglio dell Ordine degli Avvocati di Palermo di ammissione del MUSHTAQ al patrocinio a spese dello Stato (v. verb. ud. 21.12.2016) P.Q.M.

Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa, - dichiara che MUSHTAQ Muhammad nato il 5.4.1978 in Pakistan ha diritto alla protezione sussidiaria ai sensi dell art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 251/2007; - compensa le spese processuali; - liquida con separato decreto contestuale i compensi per il gratuito patrocinio; - manda alla Cancelleria di comunicare alle parti la presente ordinanza. Così deciso in Palermo in Camera di Consiglio il 21.12.2016. IL GIUDICE Dott. Rita M. Mancuso