Caccia a Pianeti in Altri Soli

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Transcript:

Scienza e Conoscenza, N. 21, July 2007, pp. 32-37 Caccia a Pianeti in Altri Soli Massimo Teodorani La ricerca astronomica, grazie alla sua indiscutibile precisione matematica ci conferma che il nostro non è l unico dei sistemi stellari dotati di pianeti. Qui non si tratta di speculazioni cosmologiche più o meno campate per aria ma di dati cronometrici i quali, proprio per la loro ineluttabile certezza, ci dimostrano che di pianeti ce ne sono tantissimi nell universo. Un calcolo di probabilità ci dice che nell universo debbano esserci in totale cento miliardi di miliardi di pianeti, dei quali una parte potrebbero essere pianeti ospitanti la vita, anche intelligente in certi casi. La ricerca, che si basa su tecniche ben precise, non si è limitata alla caccia di pianeti già formati, ma anche di pianeti mentre stanno nascendo. Infatti la nascita di un pianeta è strettamente legata alla loro stella. Nella stragrande maggioranza dei casi il collasso protostellare che porta alla formazione di una stella, è anche responsabile della formazione di quei satelliti del nucleo centrale che noi chiamiamo pianeti. Tutto nasce dal collasso di una nube di gas e polveri nello spazio interstellare, processo che è innescato da fronti d urto di vario tipo, soprattutto quelli prodotti dalle supernove e dai venti stellari. La compressione spinge la nube di gas a cadere su sé stessa mentre il collasso vero e proprio ha luogo quando viene superata una certa massa critica. Nelle fasi iniziali del collasso la forza prevalente è quella gravitazionale e ciò avviene con una simmetria pressoché sferica, mentre nelle fasi successive la nube assume la forma di un disco, perché ad un certo punto la rotazione del gas diventa importante. Ciò si verifica come conseguenza della cosiddetta conservazione del momento angolare : fissata la massa, una diminuzione del raggio della nube a causa del collasso ne aumenta la velocità angolare. A questo punto la nube diventa una struttura schiacciata e pressoché discoidale, ed assume un aspetto denominato proplide, che rappresenta una vera e propria incubatrice di pianeti e di stelle. Di questi oggetti protostellari abbiamo evidenza diretta dallo Space Telescope. Il collasso della nube porta dunque alla formazione di stelle nella zona centrale. Per qualche decina di migliaia di anni la stella rimane circondata da uno spessissimo disco protoplanetario, poi nel giro di qualche centinaia di migliaia di anni una serie di meccanismi determinano la frammentazione del disco in strutture gerarchiche governate dalla loro massa. In questa fase viene ceduto momento angolare dal disco ai pianeti che stanno prendendo forma, mentre in parallelo il disco si dilegua lasciando solo i pianeti e la stella al centro. Poi subentra una fase di lunga stabilizzazione geofisica dei pianeti. La fase ultima della vita dei pianeti è strettamente dipendente dalla fase evolutiva della loro stella. Per pianeti appartenenti a stelle di tipo spettrale intermedio che costituiscono la maggioranza statistica di stelle nelle galassie come la nostra, il destino finale è quello di essere inglobati dall inviluppo esterno della stella quando essa, esaurito l idrogeno che brucia come combustibile nucleare nel nucleo, diventa una gigante rossa, con un raggio talmente esteso da inghiottire quasi tutto un sistema planetario come il nostro. La ricerca di pianeti in altre stelle è uno degli argomenti di punta dell astronomia moderna. Allo stato attuale (Aprile 2007) risultano 240 i pianeti scoperti utilizzando varie tecniche. Al momento la ricerca è mirata a scandagliare prevalentemente stelle stabili e senza eventi eruttivi e stelle di sequenza principale dei tipi spettrali da G (quello del nostro Sole) ad M (stelle fredde). Svariati sono i metodi utilizzati per la caccia, e le scoperte effettuate fino ad ora sono state in gran parte indirette. Vengono considerati pianeti i corpi con una massa fino a 10 volte la massa di Giove. Il concetto che sta alla base del moto planetario attorno alla sua stella è quello della bilancia. Una stella che non avesse pianeti avrebbe una rotazione e una rivoluzione coincidenti nel suo centro. La presenza di almeno un pianeta invece fa in modo che anche la stella orbiti attorno ad un centro di massa che è leggermente spostato dal suo centro gravitazionale. Sulla base di questo presupposto allora la chiave per trovare pianeti in altre stelle sta nello riuscire a rilevare il moto

della stella attorno al suo centro di massa, a causa della presenza del pianeta in orbita. Questo è il cosiddetto moto stellare riflesso. I modi impiegati per osservarlo e misurarlo si basano su tecniche sia spettroscopiche che astrometriche. Il metodo spettroscopico, che è quello che ha permesso di scoprire la maggior parte di exopianeti, si basa sull effetto Doppler, deducibile dallo spostamento periodico delle righe spettrali. Seguendo questa procedura si studia in sostanza l effetto gravitazionale esercitato dal pianeta sulla sua stella, un effetto debolissimo che tuttavia è diventato possibile misurare grazie alla attuale strumentazione, la quale permette di rilevare con estrema precisione variazioni minime. Quando il pianeta nella sua orbita attorno alla stella si allontana rispetto a noi che osserviamo, la stella, che simultaneamente orbita impercettibilmente attorno al suo centro di massa, si avvicina e rileviamo uno spostamento verso il blu della stella, mentre quando il pianeta si avvicina e la stella nel contempo si allontana rileviamo uno spostamento verso il rosso. Lo spostamento verso il blu e verso il rosso non è altro che l effetto Doppler, e darà luogo ad una velocità, che chiamiamo velocità radiale, che sarà negativa se lo spostamento è verso il blu (avvicinamento) e positiva se lo spostamento è verso il rosso (allontanamento). In tal modo, dal momento che la velocità del pianeta cambia periodicamente nel corso della sua orbita attorno alla stella, misurando l intervallo che intercorre tra due picchi positivi o negativi, siamo in grado di determinare il periodo orbitale del pianeta, e tutta una serie di altri parametri come ad esempio la massa. Il grafico empirico che contiene questa preziosa informazione è la cosiddetta Curva di Velocità. Effetto Doppler prodotto da un pianeta orbitante attorno ad una stella lontana (a sinistra) e Curva di Velocità relativa ad un pianeta effettivamente scoperto (a destra) Riuscire a rilevare variazioni di velocità radiale dovuti agli impercettibili moti della stella attorno al suo centro di massa, richiede una precisione estremamente elevata. Per dare un idea comparativa, tale precisione è 1.000 volte superiore a quella che otteniamo nella spettroscopia stellare di oggetti molto vicini e luminosi con accuratezze in velocità dell ordine del chilometro al secondo (alta risoluzione), e 100.000 volte superiore a quella che otteniamo per la spettroscopia di lontanissimi oggetti extragalattici tipicamente molto deboli in luminosità con accuratezze in velocità dell ordine dei 100 chilometri al secondo (bassa risoluzione). Nello studio del moto stellare riflesso indotto dall orbita di un exopianeta siamo per lo meno facilitati dal fatto che le stelle di cui cerchiamo pianeti sono molto vicine (normalmente a non più di 100 anni luce di distanza) e quindi molto luminose, pertanto, dato che la risoluzione spettrale impiegabile è strettamente dipendente dalla quantità di luce che passa dal telescopio allo spettrografo, usando tecniche molto sofisticate siamo in grado di raggiungere un altissima risoluzione spettrale, e conseguentemente una precisione della velocità radiale che raggiunge valori dell ordine di qualche metro al secondo! 2

Teniamo comunque presente che tanto minore è la massa planetaria tanto più impercettibile è il moto riflesso della stella, perché in questi casi il centro di massa del sistema coincide quasi con quello della stella: ecco perché (per ora) con questo metodo è estremamente difficile trovare pianeti di massa comparabile a quella della Terra, mentre la stragrande maggioranza dei pianeti extrasolari scoperti ha masse dell ordine di quella di Giove o superiori. Un altro metodo basato sul moto stellare riflesso per riuscire a ottenere un orbita planetaria in altri sistemi stellari è quello definito astrometrico, che si basa non sulla misura dello spostamento Doppler delle righe spettrali, ma sullo spostamento angolare che si rileva direttamente sulle immagini telescopiche della stella. Considerando che alla distanza in cui si trova, l orbita del pianeta (ovvero la congiungente pianeta-stella) sottenderebbe un angolo veramente piccolo quasi insignificante allora è necessario utilizzare una precisione angolare elevatissima, che, per le ragioni dette prima, dovrà essere tanto maggiore quanto più piccola è la massa del pianeta. Ad esempio, nel caso di un pianeta che si trova a ruotare attorno ad una stella che si trova a 100 anni luce da noi, con un semplice calcolo si dimostra che il raggio dell orbita di un pianeta del genere vista da noi sottenderebbe un angolo attorno a diversi milionesimi di grado. Allora per riuscire a vedere questo noi dobbiamo fare una fotografia che nel caso attuale corrisponde ad una immagine con sensori CCD molto sensibili ed avanzati della zona contenente la stella e il presunto pianeta. In linea di principio un orbita del genere sarebbe osservabile con un telescopio da 5 metri da terra, se non fosse che la nostra atmosfera crea grossi problemi: infatti essa con i suoi effetti di turbolenza tende ad allargare le immagini stellari e se una immagine stellare da puntiforme diventa un dischetto, è chiaro che esso ingloberà in sè quella piccola area circolare che potrebbe contenere il pianeta extrasolare. Per ovviare a questo inconveniente, si tendono a installare i telescopi astrometrici nello spazio dove l assenza totale di atmosfera ci mostra le stelle come puntiformi: in queste condizioni, se il telescopio è di diametro sufficientemente grande allora possiamo anche rilevare un orbita exo-planetaria. Un altro metodo per risolvere il problema consiste nell usare telescopi da terra come ad esempio il grandissimo VLT dell ESO e nell utilizzare un sistema computerizzato che corregge istante per istante il fronte d onda causato dall effetto dell atmosfera rendendo le immagini stellari quasi puntiformi: ciò ci permette di separare la stella dal pianeta. Risolti tutti questi problemi tecnici, alla fine cosa si cerca? Si cerca il moto stellare riflesso a causa della presenza del pianeta, studiando l oscillazione della stella direttamente sull immagine acquisita al telescopio al fine di rilevare gli impercettibili spostamenti della stella attorno al suo centro di massa. Analogamente al caso spettroscopico, anche in quello astrometrico la precisione con cui si ottiene la misura deve essere tanto maggiore quanto minori sono la massa del pianeta e la sua distanza dalla stella. Al giorno d oggi con questa tecnica si ottengono precisioni del millesimo di secondo d arco, ben superiori al milionesimo di grado, ma ci si aspetta che crescano in futuro di almeno due ordini di grandezza. Sia nel caso spettroscopico che in quello astrometrico, è chiaro che per riuscire a rilevare un orbita planetaria occorreranno di solito mesi di misure, al fine di trovare il periodo orbitale del pianeta, ovvero di determinare con precisione quanto è lungo il suo anno. In ogni caso si tratta di misure indirette che non ci mostrano il pianeta ma ci permettono di dedurne l esistenza in base ai suoi movimenti periodici impercettibili che siamo in grado di registrare. Oltre ai metodi sopra esposti, per dare la caccia agli exopianeti esistono altri due metodi piuttosto efficaci entrambi basati in questo caso sulla variazione della luce della stella attorno a cui orbita il pianeta. Essi vengono denominati metodi fotometrici. Nelle condizioni favorevoli, ma piuttosto rare, in cui l orbita del pianeta attorno alla sua stella sia approssimativamente allineata con la linea di vista, è possibile rilevare la diminuzione della luminosità della stella prodotta dall occultazione generata dal pianeta quando esso passa davanti alla sua stella. Si tratta dunque di rilevare una vera e propria eclisse della stella, la cui entità dipenderà sia dalle dimensioni del pianeta che soprattutto dalla sua distanza dalla stella madre. Ad esempio la diminuzione di luce causata dal transito di un pianeta delle dimensioni della Terra davanti ad una stella simile al nostro Sole è tipicamente di 1/10.000. Questa diminuzione può essere rivelata grazie alla formidabile tecnologia dei rivelatori CCD (Charged Coupled Device) e dell ultima generazione di fotometri a conteggio di fotoni con risoluzione temporale di un 3

milionesimo di secondo. Questo metodo fotometrico, a differenza dei due descritti precedentemente, può permettere con maggior facilità anche la scoperta di pianeti di tipo terrestre. Il grafico tramite il quale si deduce la diminuzione di luminosità causata dal transito del pianeta, viene denominato Curva di Luce. Transito di un pianeta davanti alla sua stella (in alto), Curva di Luce risultante (al centro) e Curva di Luce di un oggetto reale recentemente scoperto (in basso) Se poi approfittiamo dell occasione, allora simultaneamente al metodo fotometrico possiamo utilizzare anche quello spettroscopico, ma in questo caso non per studiare la velocità radiale delle righe spettrali, bensì la loro intensità. In tal modo siamo in grado di studiare la composizione dell atmosfera del pianeta osservando, ad esempio, periodiche variazioni di ampiezza nelle righe spettrali del Sodio (un tipico doppietto di righe in assorbimento, molto intenso in stelle di tipo solare), causate appunto dal transito del pianeta davanti alla sua stella. Il metodo fotometrico dei transiti quando accoppiato a quello spettroscopico, fornisce senza alcun dubbio la procedura attualmente più potente per studiare i pianeti extrasolari. Un altra tecnica di tipo fotometrico piuttosto efficace è quella delle microlenti gravitazionali. Di cosa si tratta? Quando una stella si trova a capitare in mezzo ad una linea ideale che congiunge l osservatore da Terra ad una stella lontana, denominata sorgente, tale stella a causa della sua massa incurva la luce della stella-sorgente e ne amplifica l intensità di almeno 10 volte. Questo è un effetto previsto dalla teoria della relatività: la stella funziona esattamente come una lente, opportunamente denominata lente gravitazionale. L effetto è tanto maggiore quanto maggiore è la massa della stella e quanto minore è la distanza della stella-lente dall asse ottico costituito dalla congiungente Terra-sorgente. Quello che difatti osserviamo è una curva di luce con un picco simmetrico della durata di pochi giorni: ciò avviene perché l allineamento non è statico ma dovuto ad una stella relativamente vicina che si muove di moto proprio, come tutte le altre, attorno al centro della galassia e che occasionalmente si trova a passare proprio in quel punto. A questo 4

punto, se supponiamo che la stella sia dotata di un pianeta orbitante attorno ad essa, anch esso dotato di massa (anche se molto più piccola), ha luogo un effetto secondario all interno della curva di luce: si osserva infatti un picchetto secondario di brevissima durata. Questo è esattamente l effetto di micro-lente gravitazionale prodotto dal pianeta quando nel corso della sua orbita si trova a passare proprio per l asse ottico della lente gravitazionale. Geometrie in gioco in una lente gravitazionale prodotta sia da una stella che dal suo pianeta (in alto). Amplificazione della luce prodotta da una lente gravitazionale costituita da una stella e il suo pianeta (in basso). Poiché la probabilità di osservare una congiunzione del genere nei nostri dintorni è estremamente bassa, si sceglie di osservare questo effetto puntando il telescopio in direzione del centro galattico, ad una distanza di 3.000-20.000 anni luce, dove tra noi ed esso la densità del numero di stelle, molte delle quali possono contenere pianeti, è elevatissima. In tal modo la probabilità cresce da un centomilionesimo a 1, e la caccia agli exopianeti con questo metodo diventa possibile. 5

E infine ci sono i metodi di osservazione diretta, che solo recentemente (dal 2005), grazie al telescopio spaziale infrarosso Spitzer, sono diventati realtà. Pianeta extrasolare (a sinistra in basso) rilevato nell infrarosso attorno ad una stella nana bruna. Come ci si riesce? Non certo osservando nella banda del visibile, dal momento che osservare in questa banda un exopianeta attorno alla sua stella è come osservare una lucciola accanto ad una torcia elettrica da 10.000 Watts: anche risolti i problemi dovuti all atmosfera e utilizzando un grosso telescopio la luce della stella è talmente preponderante su quella del pianeta che il pianeta sarà comunque invisibile. Se invece utilizziamo la banda infrarossa il contrasto di luminosità tra stella e pianeta diminuisce drasticamente. In tal modo ci troviamo in una condizione che ci permette di rivelare i pianeti, una volta adottati determinati accorgimenti. E necessario aumentare di molto la risoluzione angolare del telescopio e questo è possibile, come prima accennato, mettendo telescopi di dimensioni sufficientemente grandi nello spazio, oppure usando telescopi terrestri di grandi dimensioni correggendo l effetto dell atmosfera con le opportune tecniche computerizzate. E chiaro inoltre che telescopi con specchi di grande diametro sono anche in grado di rivelare molto meglio la debolissima luce degli exopianeti. Ma le scoperte più entusiasmanti che ci permetteranno di vedere direttamente e in dettaglio molti pianeti extrasolari nei prossimi 10 anni saranno effettuate con il metodo interferometrico, consistente in tanti telescopi spaziali tra loro separati da alcuni milioni di chilometri, ma combinati assieme in maniera tale che la loro separazione equivalga ad un unico telescopio: è chiaro che in questo modo, tanto maggiore è il diametro del sistema tanto maggiore sarà la possibilità di raccogliere luce anche dai pianeti più lontani e al contempo di riuscire a distinguere con elevatissima risoluzione angolare la stella dal pianeta. Se poi si assume di applicare uno spettrografo allo stesso sistema, saremo in grado di osservare direttamente le molecole prodotte dall atmosfera planetaria, in particolare le bande nel vicino infrarosso caratterizzate da H 2 O, CO 2, O 3, questi elementi di grande importanza per lo sviluppo della vita nei pianeti. Informazioni dettagliate e aggiornatissime sulla ricerca dei pianeti extrasolari si trovano in molti siti web, in particolare sulla The Extrasolar Planet Enciclopaedia : http://exoplanet.eu/index.php 6