Iraq dopo Mosul: qual è il futuro del Paese?

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Iraq dopo Mosul: qual è il futuro del Paese? Autore : Margherita Peracchino Data : 19 luglio 2017 17:30 Il 9 luglio le Autorità irachene hanno annunciato la caduta della roccaforte dello Stato Islamico, Mosul, e la loro conseguente ripresa del controllo sul Paese. Circa tre anni fa, nel Giugno 2014, dopo un'offensiva alquanto rapida ed efficiente, i militanti dell'isis hanno conquistato la città di Mosul e il loro leader, dato per morto da diverse agenzie dopo un raid russo a Raqqa dal 28 maggio, Abu Bakr Al-Baghdadi, si autoproclamò Califfo dell'allora giovane Stato Islamico. L'operazione di ripresa della città di Mosul è stata lanciata dal Governo iracheno nel Ottobre 2016, e solo oggi sembra abbia portato alla fine dello Stato Islamico in Iraq. Le forze irachene non hanno combattuto da sole per espugnare la roccaforte estremista, ma hanno potuto contare su di una coalizione internazionale variegata, la quale forse rispecchia gli interessi delle potenze regionali e internazionali. A fianco dei soldati iracheni hanno, infatti, combattuto le forze speciali statunitensi, soldati turchi, milizie curde e sciite. Era, quindi, un fronte variegato il cui comun divisore era forse solo quello di distruggere lo Stato Islamico. Adesso che Mosul è caduta, rimangono sospesi numerosi quesiti in merito al futuro del Paese. La caduta della roccaforte ISIS, ad oggi, sembra aver distrutto non solo l'iraq, con le sue città, i paesaggi o la popolazione, ma anche il panorama politico interno iracheno, il quale sembra non essere in grado di fornire al Paese una strada alternativa ed efficace nella ricostruzione di un Governo stabile. Dopo l'invasione anglo-americana in Iraq, e la caduta di Saddam Hussein nel 2003, il Paese ha percorso un processo di democratizzazione debole e 'vuoto', conseguendo una forma di Governo democratico solo in apparenza. Il conseguente vuoto politico e le divergenze e/o tensioni etnico-sociali nel Paese hanno creato un terreno fertile per la radicalizzazione e il successivo insediamento dello Stato Islamico. La caduta di Mosul di soli 10 giorni fa rischia forse di lasciare di nuovo il Paese nelle stesse condizioni, rischiando quindi di creare di nuovo un terreno fertile per nuovi gruppi estremisti. Emergono, di conseguenza, nuovi quesiti. Siamo sicuri che la democrazia è la forma di Governo adatta per un Paese come l'iraq? Lo Stato Islamico è quindi l'unico problema da affrontare per perseguire una nuova stabilità nel Paese? Ma soprattutto, la caduta di Mosul indica l'effettiva fine dello Stato Islamico in Iraq? Un ulteriore aspetto importante per comprendere quale potrebbe essere il futuro del Paese riguarda le future posizioni che le potenze regionali e la Comunità Internazionale prenderanno in merito. Sosterranno l'iraq nel suo processo di stabilizzazione, o i rispettivi interessi nazionali prenderanno il sopravvento? Nonostante gli enormi dubbi che nascono in merito al futuro dell'iraq, una cosa rimane certa, ovvero che è necessario ristabilire un equilibrio nel Paese in modo da poter garantire non solo una 1 / 5

stabilità interna, ma più sicurezza e un equilibrio più solido per la regione. Abbiamo intervistato Chiara Lovotti, ricercatrice presso l'ispi ed esperta in materia Iraq, per cercare di fare un'analisi della situazione irachena reduce dall''occupazione' ISIS. Dopo la caduta di Mosul, roccaforte dello Stato Islamico, qual è lo scenario interno al Paese? Che panorama socio-politico ha lasciato? Se è vero che la liberazione di Mosul dalla presa dello Stato islamico non può che essere celebrata come una vittoria, è altrettanto vero che rischia di scoperchiare il vaso di pandora delle molte problematiche che da lungo tempo gravano sul Paese, solo momentaneamente messe in sordina dall urgenza della guerra. Lo scenario politico interno è strutturalmente molto debole e fortemente frammentato, cosa che rende difficile la definizione di un piano di ricostruzione post-conflitto. Sul piano socio-politico e della riconciliazione nazionale, invece, appare chiaro fin da ora che la vittoria militare contro gli uomini del califfo Abu Bakr al-baghdadi non sarà sufficiente a sconfiggere il terrorismo in Iraq, se non sarà accompagnata da una vittoria politica e sociale, che necessariamente richiederà un piano di riconciliazione inclusivo e rappresentativo delle molte anime del Paese. Non da ultimo, nei prossimi mesi il Governo di Abadi dovrà destreggiarsi nella gestione di un Iraq postbellico, in cui gli attori che si sono spesi in prima linea nella battaglia contro l organizzazione di al-baghdadi ambiranno a ricoprire un ruolo di primo piano nel processo di ricostruzione post-conflitto. Quali sono le controversie interne a livello settario? Quali invece quelle etniche? Storicamente, l Iraq è un Paese profondamente frammentato, tanto sul piano sociale ed etnico quanto su quello settario. Sul piano etnico, le principali controversie sono quelle che riguardano l asse curdo-iracheno. A questo proposito, ad agitare le acque sono in particolare le rinnovate spinte indipendentiste della regione semi-autonoma del Kurdistan, il cui premier Massoud Barzani ha recentemente indetto un referendum per l indipendenza da tenersi qualora si realizzasse verso fine settembre di quest anno. Sul piano settario, invece, la divisione principale riguarda le galassie arabo-sciita e arabo-sunnita. È in particolare quest ultima che soffre, storicamente, di una particolare marginalizzazione da parte della prima, e il cui reintegro rappresenta dunque una delle principali sfide che l Iraq dovrà fronteggiare. Qual è e soprattutto quale sarà il ruolo dei Kurdi nel Paese? Una delle questioni più rilevanti che emergono nell Iraq post-mosul riguarda sicuramente i rapporti tra Baghdad e la regione semi-autonoma del Kurdistan (con capoluogo Erbil). La classe politica irachena, già fragile e divisa al suo interno, deve ora fare i conti con un fenomeno nuovo, che ha a 2 / 5

che vedere con le rivendicazioni politiche e nel caso curdo anche territoriali degli attori che per tre anni si sono schierati in prima linea nella lotta allo Stato islamico. Il coinvolgimento delle truppe curde, i peshmerga, nei territori storicamente contesti tra Baghdad ed Erbil ha infatti riaperto una linea di faglia in realtà mai chiusa e riportato in auge le rivendicazioni territoriali curde. Se infatti già prima i curdi non erano certo inclini ad accantonare le proprie rivendicazioni territoriali, ancora meno lo sono ora che i successi riportati dai peshmerga sul campo hanno permesso loro di consolidare il controllo su queste aree (non si tratta solo di Mosul, ma anche di altre aree liberate come Sinjar e Kirkuk). La questione curda sembra destinata a riscrivere le relazioni tra centro e periferia nel Paese. Fin dalla caduta di Mosul nelle mani dell auto-proclamato califfato, infatti, il presidente della regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, ha più volte parlato di fallimento dell Iraq unitario e paventato la possibilità di tenere un referendum per l indipendenza, da tenersi idealmente il 25 settembre. A tal proposito, che reazioni dovremo aspettarci dalla Turchia? Dalla liberazione di Mosul, sono molti gli occhi esterni puntati sull Iraq. Le rinnovate spinte indipendentiste dei curdi iracheni sicuramente preoccupano i vicini regionali, prima fra tutti la Turchia, ma anche l Iran. Entrambi i Paesi si oppongono all autodeterminazione del Kurdistan iracheno, un' eventualità che percepiscono come una minaccia alla propria sicurezza e alla propria stabilità nazionale, temendo infatti un effetto contagio nelle rispettive comunità curde. Le tensioni settarie ed etniche interne potrebbero ostacolare la ricostruzione di un panorama politico in grado di garantire la democrazia nel Paese? Perché? Come si potrebbe arginare tale problema? Le divisioni politiche, che si costruiscono sulla linea delle differenze etniche e settarie, rappresentano il rischio principale nella realizzazione di un piano di ricostruzione post-conflitto. Quali sono ora le principali sfide per il Governo iracheno? Le sfide per il Governo iracheno sono molte, dalla ricostruzione delle aree liberate (basti pensare alla più recente, Mosul, una città quasi integralmente distrutta) alla crisi economica, dal reintegro delle milizie che hanno composto il fronte anti-isis ai rapporti con i vicini regionali. Tuttavia, nell ottica della riconciliazione nazionale, in un Paese in cui ancora brucia la ferita dell ascesa dello Stato islamico, una delle maggiori sfide dalla coalizione sciita al Governo sarà probabilmente quella di dare voce e rappresentanza a coloro che hanno supportato la leadership del califfo al- Baghdadi, o che comunque non vi si sono mai opposti. Si tratterà di convincere queste persone, e cioè la comunità arabo-sunnita, che il Governo di Baghdad sia l unico rappresentante legittimo delle loro istanze. 3 / 5

Quali invece le riforme necessarie per garantire una stabilità interna? Più che di vere e proprie riforme, al momento è opportuno parlare delle grandi questioni da discutere e su cui trovare una soluzione realmente condivisa, ovvero riguardo le zone contese e la questione curda, la definizione di parametri della ricostruzione delle zone liberate e il ritorno di rifugiati e sfollati, un piano di assorbimento delle milizie e di gestione delle forze addestrate dalla Turchia, e infine la questione della legge elettorale. C'è un alternativa politica in grado di guidare il Pase verso una transizione democratica? Quale personaggio o entità politica sarebbe in grado, secondo lei, di guidare il Paese verso la democrazia? Anche in ragione delle frammentazioni interne a ogni singolo blocco politico, è difficile individuare un unico attore che sarebbe in grado di guidare il Paese nella fase di ricostruzione post-bellica. Quello che è certo, è che sia di vitale importanza che la coalizione sciita al Governo trovi un modo per reintegrare nel processo politico la leadership sunnita, che si caratterizza per essere politicamente debole, frammentata, reduce da anni di marginalizzazione e deficit di rappresentanza, e sempre più disillusa dalla monopolizzazione del potere da parte della controparte sciita. Malgrado gli sforzi riformatori, infatti, l attuale premier iracheno Haider al-abadi non sembra ancora essere riuscito a convincere la galassia sunnita della possibilità di trovare in lui un leader più inclusivo del suo predecessore, Nouri al-maliki (2006-2014). I sunniti continuano a guardare con diffidenza al potere centrale, soprattutto ora che a Baghdad il dibattito circa la ricostruzione post-conflitto sembra svolgersi prevalentemente in seno al blocco sciita, seppur anch esso profondamente diviso e frammentato al suo interno. La caduta di Mosul ha lasciato l'iraq in balia di se stesso, un Paese distrutto a livello sociale, economico e politico. Questo vuoto lasciato nel Paese ricorda lo stesso terreno fertile che ha permesso l'insediamento dello Stato Islamico. Lo Stato islamico è l'unico problema interno al Paese? Ad oggi, la situazione in Iraq è di nuovo un terreno fertile per nuovi gruppi estremisti? Come si può evitare, secondo lei, di ricommettere lo stesso errore di lasciare l'iraq in balia di se stesso? Un Paese distrutto e strutturalmente debole rischia di offrire nuovamente terreno fertile alle insorgenze armate. Lo Stato islamico non è mai stato la coda del problema, ma una conseguenza di politiche che non hanno favorito l inclusione delle tante anime del Paese e hanno gradualmente spaccato il tessuto sociale. È chiaro che la sola forza militare non sarà sufficiente a risolvere le questioni che hanno portato alla nascita dello Stato islamico. A questo proposito, il destino della comunità arabo-sunnita è oggi uno degli elementi che getta le maggiori ombre sul futuro dell Iraq. Durante il Governo dell ex premier sciita Nouri al-maliki, gradualmente marginalizzati ed esclusi dal processo politico, furono proprio i sunniti a mobilitarsi e ad andare a riempire le file dell' ISIS. Oggi, venendo a mancare lo Stato islamico, quale attore dominante nel panorama sunnita, questa 4 / 5

Powered by TCPDF (www.tcpdf.org) L'Indro comunità rischia di trovarsi nuovamente spiazzata, orfana di un punto di riferimento e suscettibile di cedere, ancora una volta, al fascino di una leadership forte come lo è stata quella di al-baghdadi. Le potenze regionali come dovrebbero organizzarsi e adoperarsi per sostenere l'iraq verso un percorso democratico? La liberazione di Mosul, purtroppo, mette fine a una fase di eccezionale convergenza tanto a livello di attori locali quanto a livello di attori regionali. Molte delle dinamiche interne si sono riflesse anche sul piano delle relazioni esterne che l Iraq intesse con i vicini della regione. Oggi però, piuttosto che a sostenere la transizione democratica irachena e al di là delle dinamiche prettamente securitarie, le potenze regionali sembrano interessate a ritagliarsi un ruolo nella ricostruzione dell Iraq post-califfato, che garantisca loro di ampliare la propria area di influenza. Come, invece, la Comunità Internazionale dovrebbe intervenire in Iraq per evitare che nuovi gruppi estremisti si insedino nel Paese? Come, invece, per aiutarlo a conseguire una forma di Governo democratico? È importante che la Comunità Internazionale si adoperi per sostenere la ricostruzione post-conflitto e rafforzare le istituzioni in modo da tenere in piedi il Paese. Solo in questo modo sarà possibile evitare che gruppi estremisti emergano ed ambiscano ad affiancarsi alle istituzioni, talvolta sostituendole, come successo in passato con l ascesa dello Stato islamico. Secondo lei, la democrazia è la forma di Governo adatta a un Paese dal particolare trascorso storico recente, quale Iraq? Il problema dell'iraq oggi - e nel suo passato recente - non riguarda la forma di Governo in sè, ma le varie questioni trattate nelle diverse domande. 5 / 5