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TRIBUNALE ORDINARIO di GENOVA SEZIONE XI CIVILE Nella persona del Giudice Monocratico Paolo Viarengo ha pronunciato la seguente Ordinanza nella causa, n. 12538/2015 R.G., promossa da: AMIN SHAHID nato in Pakistan il 28.2.1976, generalità come da ricorso, alias AMIN SHAHID nato in Pakistan il 29.2.1976, generalità come da provvedimento impugnato, elettivamente domiciliato presso lo studio dell avv. Federico Lera del foro della Spezia. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente, cittadino del Pakistan, ha proposto impugnazione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Genova in data 7.8.2015, con il quale la Commissione ha respinto le sue domande di protezione internazionale e ha deciso per la non sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all art. 5 del d. lgs. 1998 n. 286. Il ricorrente chiede l annullamento del provvedimento impugnato ed il riconoscimento a suo favore della protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) o umanitaria. All udienza in data 13.6.2016 è stato sentito il ricorrente ed il difensore ha insistito per l accoglimento del ricorso. Si ritiene opportuno, come premessa, richiamare i principi generali in materia. Con la sentenza 2005 n. 25028, la Corte di Cassazione - avuto riguardo al contenuto e allo spirito della norma costituzionale e delle successive leggi di attuazione e di ratifica degli atti internazionali in materia, ovvero autonomamente adottate dal legislatore italiano - aveva ricostruito il diritto di asilo come il diritto di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo, finalizzato a consentire lo svolgimento del giudizio definitivo sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, la Suprema Corte aveva affermato che il diritto di asilo deve intendersi non tanto come un diritto all'ingresso nel territorio dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto, come il diritto dello straniero di accedervi al fine di essere ammesso alla procedura di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Il diritto di asilo non ha, cioè,

contenuto legale diverso e più ampio del diritto a ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per la durata dell'istruttoria della pratica attinente il riconoscimento dello status di rifugiato. Trattasi, dunque, di un diritto finalizzato a consentire accertamenti successivi per un giudizio definitivo sull'identità dello status o qualifica di rifugiato. In termini ancora più sintetici, può affermarsi che il diritto di asilo è un diritto risolutivamente condizionato al mancato accoglimento della domanda di riconoscimento dello status o qualifica di rifugiato politico. Tale impostazione, confermata nelle decisioni successivamente intervenute (cfr. Cass. 2006 n. 18353 e Cass. 2006 n. 18549), è stata radicalmente mutata dalla Suprema Corte nel 2012. Con la sentenza 26.6.12 n. 18549, infatti, la Corte di Cassazione, dichiarando esplicitamente di superare l orientamento espresso con i propri precedenti del 2005 e 2006 e preso atto del contesto normativo costituito dal d. lgs. 19 novembre 2007 n. 251 attuativo della Direttiva 2004/83/Ce e dall art. 5 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 che assicura la protezione umanitaria, ha stabilito che il diritto di asilo di cui all art. 10, comma 3 della Costituzione è oggi interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario e che non vi è più margine di residuale diretta applicazione del disposto costituzionale. Il quadro normativo di riferimento della protezione internazionale è costituito dalla direttiva 2011/95/Ue (che ha sostituito la direttiva 2004/83/Ce) e, sul piano interno, dal d. lgs. 19 novembre 2007 n. 251, così come modificato dal d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 18, attuativo della direttiva 2011/95/Ue. L art. 2 del d. lgs. 2007 n. 251, definisce rifugiato il cittadino straniero il quale, per fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate non può o, a causa di tale timore non vuole farvi ritorno. L art. 7 del d. lgs. 19.11.2007 n. 251 esemplifica le forme che gli atti di persecuzione possono assumere e l art. 8 prevede poi che gli atti di persecuzione (o la mancanza di persecuzione contro tali atti) devono: a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali; b) costituire la somma di diverse misure, tra cui la violazione dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercire sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).

Per quanto concerne la protezione sussidiaria, che deve essere riconosciuta al cittadino straniero che non possieda i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine (o, in caso di apolide, nel Paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale) correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e che non può, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di tale paese, l art. 14 predefinisce i danni gravi che il ricorrente potrebbe subire e precisa che sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Inoltre, ex art. 5 del d. lgs. 2007 n. 251, responsabili della persecuzione rilevante ai fini dello status di rifugiato, devono essere: 1) lo Stato; 2) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; 3) soggetti non statuali se i responsabili di cui ai punti 1) e 2), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione. Infine deve essere osservato che l art. 3 del d. lgs. 2007\251, in conformità con le Direttive Qualifiche, prevede che, qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri quando l autorità competente a decidere ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita idonea motivazione dell eventuale mancanza di alti elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente siano da ritenersi coerenti, plausibili e non in contrasto con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone relative al suo caso; d) egli abbia presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) il richiedente sia in generale attendibile. Si tratta, come ricordato di recente dalla Corte di Cassazione (ord. 9 gennaio 4 aprile 2013 n. 8282), di uno scrutinio fondato su parametri normativi tipizzati e non sostituibili, tutti incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda e che impongono una valutazione d insieme della credibilità del cittadino straniero, fondata su un esame comparativo e complessivo degli elementi di affidabilità e di quelli critici. La Suprema Corte aveva peraltro già da tempo precisato che in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, i poteri istruttori officiosi prima della competente Commissione e poi del giudice, risultano rafforzati; in particolare, spetta al giudice cooperare nell accertamento delle

condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine. In tale prospettiva la diligenza e la buonafede del richiedente si sostanziano in elementi di integrazione dell insufficiente quadro probatorio, con un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull onere probatorio dettate dalla normativa codicistica vigente in Italia (Cass., SSUU, 17.11.2008 n. 27310) e anche la giurisprudenza di merito aveva più volte sottolineato che La Legge impone di considerare veritieri gli elementi delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non suffragati da prove, allorché egli abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e le sue dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone. Venendo al caso di specie, la commissione territoriale ha respinto le richieste del ricorrente, pur sottolineando che il racconto dei fatti riferiti appare sufficientemente dettagliato, coerente e non contradditorio, ma aggiungendo che il richiedente ha espresso un timore per la propria vita in caso di rientro, tuttavia il timore non appare molto fondato in quanto non appare credibile la minaccia di morte che deriverebbe da una denuncia nei confronti dei presunti assassini del cugino. Questo giudice deve a sua volta ribadire che il racconto del richiedente è nella sua interezza adeguatamente articolato e preciso e che lo stesso ha in effetti compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornire tutti gli elementi pertinenti in suo possesso. L interessato infatti, oltre ad aver immediatamente presentato domanda di protezione internazionale, ha riferito la stessa versione dei fatti, sia in sede di audizione amministrativa che in sede di audizione giudiziale ed in particolare alla predetta udienza in Tribunale, è parso del tutto attendibile e credibile e quindi le sue complessive dichiarazioni devono ritenersi sostanzialmente coerenti, plausibili e non in contrasto con le informazioni generali di cui si può disporre. Il ricorrente, in questo senso, ha infatti spiegato di essere stato costretto a lasciare il suo paese a seguito dell omicidio di suo cugino, rispetto al quale ha fornito una formale testimonianza in ordine alla identificazione dei responsabili e con conseguente uccisione, da parte degli stessi responsabili, anche di sua moglie e di suo figlio, dopo aver provocato un incidente stradale all auto guidata da lui stesso e quindi nel tentativo di eliminarlo. I responsabili di tali omicidi, precisa il ricorrente, sono pericolosi criminali ed appartengono a pericolose e potenti famiglie della sua zona di residenza, famiglie con importanti ed ancora attuali posizioni di potere anche nell ambito dell attuale regime politico e che quindi godono anche di una particolare protezione, per la quale lo stesso non ha alcuna speranza di ottenere la

necessaria protezione, anche alla luce della situazione generale del suo paese, con conseguente suo forzato allontanamento ed impossibilità a rientrare onde evitare il già comprovato pericolo per la sua vita. Tale coerente, esaustiva e congrua ricostruzione dei fatti deve essere considerata del tutto credibile e tale è stata in effetti ritenuta anche dalla commissione, quindi non si vede come non si possano che trarre le relative conseguenze anche in ordine all attuale pericolo che continuerebbe a correre l interessato in caso di rientro al suo paese. Si deve dunque concludere che il richiedente sia credibile e che le sue dichiarazioni siano plausibili anche sotto il profilo della corrispondenza con la situazione del Paese di origine, in particolare con la certezza che per la situazione dello stesso Paese, il ricorrente non potrebbe ricevere alcuna apprezzabile protezione o tutela rispetto alla predetta concreta minaccia alla sua vita. In questo senso, anche di recente, (vedi rapporto del sito della Farnesina al 7.12.2015) è stato evidenziato come la situazione di sicurezza in Pakistan rimane particolarmente precaria e che lo stato di allerta rimane particolarmente alto nella stessa capitale Islamabad, ma soprattutto a Karachi, Lahore ed altri principali città del Paese dove anche recentemente si sono verificati sanguinosi atti terroristici che hanno colpito zone pubbliche e, ancora, che è elevato il rischio di sequestri in tutto il Paese oltre che un deterioramento della situazione per quanto riguarda la criminalità comune, specialmente a Karachi e nelle altre città, con un incremento di omicidi, rapine e sequestri a scopo di estorsione. Anche dal rapporto di Amnesty International 2014-2015 (reperibile sul relativo sito Internet) si legge che gruppo armati sono stati implicati in violazioni dei diritti umani in tutto il paese. Il 16 dicembre alcuni..talebani pakistani hanno attaccato il Public School dell esercito nella città nord orientale di Peshawar dove sono state uccise 149 persone, 132 delle quali bambini varie fazioni di talebani hanno continuato a svolgere attentati, anche contro attivisti e giornalisti per promuovere l istruzione ed altri diritti.gli operatori sanitari coinvolti nella polio e nelle altre campagne di vaccinazione sono stati uccisi in varie parti del Paese La situazione del Pakistan appare quindi caratterizzata da una situazione di crescente insicurezza, per l elevato rischio di attentati terroristici ed il ritorno all azione di gruppi talebani, nonché teatro di sequestri da parte di gruppi criminali, scontri e disordini anche di carattere religioso. Si deve dunque concludere che il richiedente ha dimostrato una buona fede soggettiva e che è credibile e che le sue dichiarazioni sono plausibili anche sotto il profilo della corrispondenza con la situazione del Paese di origine. Stabilita la credibilità del richiedente, non ritiene il Tribunale che sussistano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. I fatti esposti dal ricorrente non risultano infatti integrare il

rischio di persecuzione diretta per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di opinione politica o di appartenenza ad un particolare gruppo sociale, ma piuttosto il rischio, in caso di rientro, di un danno grave ed individuale alla vita del ricorrente. Si devono quindi ritenere sussistenti i presupposti per la protezione sussidiaria. In questo senso, secondo i principi generali già precisati nella premessa di questo provvedimento, si ritiene sussistente il rischio effettivo di subire un grave danno e tale danno proviene da soggetti privati, in una situazione in cui gli organi dello stato di provenienza non possono fornire al ricorrente una idonea protezione. A questa conclusione si ritiene di dover pervenire anche alla luce dei principi generali desumibili, in materia, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui, da un lato, il cittadino straniero, anche nel caso di possibile commissione di un delitto comune, come nel caso di specie, può aver diritto alla protezione sussidiaria qualora il giudice di merito abbia fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d'origine, correrebbe un effettivo rischio di subire un grave danno, dall altro lato potendosi sottolineare come i fatti narrati dal ricorrente rappresentino un quadro sintomatico di pericolosità per l'incolumità dello stesso, rappresentato dalla conservazione di un sistema di vendette private, sostanzialmente tollerato o non efficacemente contrastato nel paese di origine. Per questi motivi, la domanda di protezione sussidiaria deve essere accolta e ciò assorbe e rende ininfluente l esame dell ulteriore richiesta di protezione umanitaria formulata in via subordinata. Per quanto riguarda le spese, per la natura dell oggetto del procedimento e considerato che l amministrazione non si è costituita in giudizio, si ritiene di dichiararle integralmente compensate. P.Q.M. Riconosce in capo ad AMIN SHAHID nato in Pakistan il 28.2.1976, generalità come da ricorso, alias AMIN SHAHID nato in Pakistan il 29.2.1976, generalità come da provvedimento impugnato, la protezione sussidiaria. Dichiara integralmente compensate le spese del giudizio. Genova, il 15.6.2016. IL GIUDICE Paolo Viarengo