Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 5.5.2015 La Nuova Procedura Civile, 2, 2015.



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Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 5.5.2015 La Nuova Procedura Civile, 2, 2015 Editrice Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) Silvio BOLOGNINI (Professore straordinario di Filosofia del diritto) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) Costanzo Mario CEA (Magistrato, Presidente di sezione) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Caterina CHIARAVALLOTI (Presidente di Tribunale) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) Lorenzo DELLI PRISCOLI (Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione, Ufficio Studi presso la Corte Costituzionale) - Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) Francesco FIMMANO (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) Francesca PROIETTI (Magistrato) Serafino RUSCICA (Consigliere parlamentare, Senato della Repubblica) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell Ufficio legislativo finanze del Ministro dell economia e delle finanze) Antonella STILO (Consigliere Corte di Appello) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato, componente laico C.S.M.). Danno da circolazione stradale? No alle tabelle milanesi. Considerato che ormai nei due settori dell'infortunistica di maggior rilievo economico, e forse anche statistico, l'infortunistica stradale ed i danni da malpractice medica, la legge impone liquidazioni su basi tabellari, peraltro assai simili, per importo, alle liquidazioni portate dalle tabelle INAIL sul danno biologico, si deve ritenere che, in presenza di microlesioni di diversa origine, per individuare un parametro uniforme di liquidazione in difetto di specifica normativa, sia preferibile ricorrere alla analogia legis che all'esercizio di un potere di liquidazione meramente equitativo, anche se supportato da tabelle che, tuttavia, non hanno altro fondamento che la prassi giudiziaria. Si deve liquidare secondo equità, ma con parametro diverso da quello milanese, parametro tratto non dalla prassi giudiziaria, ma dalla indicazione normativa. Del resto la liquidazione è tema riservato al giudice di merito nel contesto intrinseco del quale non vi è spazio per intervento della Corte di Legittimità e del Giudice delle Leggi. Tribunale di Genova, sentenza del 13.3.2015

omissis L'attrice ha convenuto in Giudizio il Comune di xxxxxx., per sentir dichiarare la responsabilità solidale o alternativa degli stessi, in ordine al sinistro avvenuto in Genova in data 26 ottobre 2011, nella locale via xxxxin occasione di una caduta dell'attrice mentre traversava la via detta, con conseguente condanna al risarcimento dei danni per lesioni personali. La responsabilità dei convenuti è ravvisata nel fatto che la caduta è denunciata come determinata o almeno condizionata dalla presenza sulla carreggiata di un tombino della rete T. solo parzialmente ricoperto solo parzialmente di asfalto, con conseguente creazione di una condizione di obiettivo pericolo su strada. I convenuti costituiti hanno richiesto il rigetto della domanda attorea. La fase istruttoria ha provato la ricostruzione dei fatti così come rappresentati in atto di citazione. La teste xxxxxxxx. ha infatti confermato di aver avuto visione diretta dell'accaduto, ovvero la caduta a terra da parte dell'attrice in fase di attraversamento della strada, in qualità di pedone, a causa della mancanza di una parte di asfalto sopra la copertura del tombino:"-il teste afferma addirittura di aver raccolto la scarpa dell'attrice che era rimasta incastrata nell'asfalto affossato al confine del tombino". L'istruttoria ha tuttavia confermato anche il fatto che l'attrice attraversò la strada, nel punto in cui cadde, fuori dalla strisce pedonali ed a meno di 100 metri dalle stesse, quindi, ratione loci, in conflitto con l'art. 190 del c.d.s. Il primo rilevante problema di causa è in base all'esito detto quello del rapporto causale cosa- danno. Nell'ipotesi in considerazione, visti anche i fotogrammi prodotti dalla parti, la cosa presenta indubbiamente caratteristiche tali da rivestire un pericolosità distinta rispetto all'ambiente urbano, oltre ad una spiccata idoneità a provocare il sinistro verificatosi. Sommando alla considerazione suddetta quella della prossimità spaziale della caduta al chiusino detto e dell'assenza di altre cause del tutto alternative da chiunque ipotizzate, si deve concludere per l'intervento accertamento del ruolo causale efficiente della res e della sua particolare condizione nel sinistro. Resta il fatto che anche l'infrazione commessa dal pedone stesso appare anch'essa come fattore condizionate dell'evento di danno. E' infatti pacifico che se l'attrice avesse traversato la strada sulle c.d. zebre non avrebbe incontrato il chiusino detto. E' notorio che due fattori condizionanti dell'evento dannoso (imputabili a danneggianto e supposto danneggiale) possono configurarsi come concorrenti anche se entrambi necessari alla verificazione dello stesso. Tali appaiono infatti i due fattori considerati nel caso di specie, con apparente concorso causale paritario. Ulteriore problema è quello di stabilire a chi dei convenuti, che declinano reciprocamente la responsabilità competesse effettivamente la posizione di custode ex art. 2051 c.c. Viene in considerazione, in proposito, il regolamento Comunale del Comune di Genova che al capò IV, dell'art. 18 statuisce: "tutti i concessionari di qualunque impianto o utenza del sottosuolo pubblico sono tenuti a loro esclusiva cura e spese ad evitare che da tali impianti o utenza possa, comunque derivare danno al Comune o a terzi" e al V capo "In particolare

sono tenuti a far si che le parti degli impianti o utenze che affiorano sul suolo pubblico siano sempre mantenuti a raso". Il Tribunale reputa che la norma suddetta non sia in grado di conformare i rapporti tra privati integrando l'art. 2051 c.c. in rapporto al tema dell'identificazione del custode. Secondo la norma primaria infatti la qualità di custode emerge come mera questio facti e si concreta nel soggetto che ha sulla cosa un effettivo potere di vigilanza, custodia ed intervento preventivo e ciò prescindendo dal formale configurarsi di diritti reali e posizioni obbligatorie sulla cosa. Facendo applicazione del principio detto al coso, con riferimento agli impianti esistenti nel sedime stradale, ivi collocati per concessione del comune, il custode ex art. 2051 c.c. degli stessi, e del complesso che essi formano col piano stradale, non può che essere il Comune, posto che solo il Comune ha un reale potere di intervento su strada configurabile in termini tali da poter essere riguardato come un potere si mantenere la sicurezza della stessa. La possibilità di vigilanza del Comune discende dall'appartenenza allo stesso della Polizia Locale, dalla sua posizione di preponente nell'appaltro a società di servizio della manutenzione strdale, preponente certamente dotato di incisivi poteri di ingerenza, nella naturale destinazione al Comune di eventuali segnalazioni di privati, e gestori di servizi bubblici. In via naturale il Comune è custode dell'intero ambiente urbani salvi gli spazi dai queli i privati possano legittimamente escluderlo. Lo stessso regolamento in questione, nel dettare condizioni per l'apposizione di installazioni su strada, manifesta la detta potestà. Fissata in via naturale la qualità di custode in capo al Comune si deve escludere che T., pur proprietaria dei tombini, possa avere sugli stessi una custodia concorrente e similare. La società concessionaria delle rete fissa è infatti attrezzata solo per il costante mantenimento in fuenzione della stessa, ma non per la sorveglianza della condizione statica di tutte le articolazioni materiali della rete detta. Se il Comune omissis.deve esser ritenuto il custode unico ed esclusivo della cosa individuata come pericolosa, ciò non toglie che lo stesso possa porre, con regolamento, condizioni all'uso del sedime stradale per il transito degli impianti. In tal senso va interpretata, nella prospettiva assunta dal Tribunale, la portata del citato regolamento. Una mera fonte di obbligazione per i concessionari. In base al regolamento quindi il Comune non potrebbe declinare la responsabilità avverso i gestori di servizi pubblici per i danni cagionati dai loro impianti inclusi nella massicciata stradale. Nondimeno, ove il danno derivi da loro inadempimento può far valere l'obbligazione derivante dalla integrazione regolamentare della concessione e quindi rivalersi sul gestore di servizi. Nel caso tuttavia il Comune si è limitato, come detto a declinare la responsabilità verso T. e non ha assunto verso di essa chiare conclusioni relative all'invocazione di una garanzia contrattuale in proprio favore. Nella struttura del processo qui deciso non può quindi che essere accolta la domanda avverso il Comune nella misura del 50% (considerato il ritenuto concorso), mentre deve essere respinta la domanda formulata contro T., senza che, nella presente sede, possa considerarsi esercitata alcuna forma di rivalsa o chiamata in garanzia del Comune avverso la società telefonica.

In punto quantum debeatur la Consulenza Tecnica d'ufficio Medico Legale omissis.ha determinato il danno per lesioni, derivate all'attrice, come in appresso indicato con indicazione di IP al 6%. Stante il livello di IP rilevato si pone il problema della scelta del sistema tabellare da applicare per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale. Il Tribunale ha in proposito adottato il seguente orientamento: Il Tribunale, dopo l'entrata in vigore del c.d. Decreto Balduzzi D. L., testo 13.09.2012 n. 158 (per quanto di interesse art. 3 comma 3), preso atto che lo stesso ha superato, nel suo impianto generale il vaglio della Consulta (ordinanza 06.12.2013 n. 295), ha rivisto il proprio orientamento in punto di applicabilità delle tabelle elaborate, in seno a qual foro, ai risarcimenti delle c.d. microlesioni (IP inferiore al 10%), fuori dal campo di applicazione proprio del Codice delle Assicurazioni. Considerato che ormai nei due settori dell'infortunistica di maggior rilievo economico, e forse anche statistico, l'infortunistica stradale ed i danni da malpractice medica, la legge impone liquidazioni su basi tabellari, peraltro assai simili, per importo, alle liquidazioni portate dalle tabelle INAIL sul danno biologico, si deve ritenere che, in presenza di microlesioni di diversa origine, per individuare un parametro uniforme di liquidazione in difetto di specifica normativa, sia preferibile ricorrere alla analogia legis che all'esercizio di un potere di liquidazione meramente equitativo, anche se supportato da tabelle che, tuttavia, non hanno altro fondamento che la prassi giudiziaria. Il Tribunale è ben consapevole che la III sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 12408/11 aveva già esaminato, peraltro senza effettiva necessità dettata dal caso singolo, e quindi sostanzialmente producendo un c.d. "obiter dictum", la questione di quale fosse la migliore soluzione tra l'applicazione analogica delle c.d. tabelle ministeriali, anche fuori dall'ambito del CDA, e la generale applicazione delle tabelle milanesi, anche nell'area di attuale interesse. Il Tribunale è altresì consapevole che, specie la massima della suddetta pronuncia, parrebbe contraria all'orientamento ora espresso; nondimeno ritiene che la menzionata sentenza non sia affatto di ostacolo al proprio nuovo indirizzo essenzialmente per il mutamento normativo cennato. In ogni caso la pronuncia in questione ribadiva, espressamente, il principio dalla natura equitativa del risarcimento del danno alla persona. Seguiva così una linea molto più morbida di quanto non appaia dalla sua diffusione mediatica, e dalla sua stessa massimazione. Inoltre interveniva soprattutto per l'esigenza di evitare le macroscopiche disparità cui conduceva l'esistenza di un sistema tabellare multiplo, proprio di ogni singolo ufficio, e non certo in antitesi ad un criterio legale. Si legge infatti nella sentenza: "Vanno anzitutto ribaditi i principi secondo i quali la liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata - ed è pertanto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità - allorquando il giudice dia l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico seguito; e che essa è invece censurabile se sia stato liquidato un importo manifestamente simbolico o non correlato alla effettiva natura od entità del danno" Solo successivamente la Corte esprime la preferenza per le tabelle milanesi nell'area delle lesioni micro permanenti. Tuttavia lo fa nelle seguenti particolari condizioni.

1) Prima della approvazione e promulgazione del citato decreto Balduzzi, e quindi ignorando il fatto che la liquidazione di cui all'art. 139 del CDA non può più assolutamente esser considerata un "fatto di diritto particolare di uno specifico settore"; 2) Sulla base di un argomento ripreso da molto precedente pronuncia della Corte Costituzionale, ma di assai limitato valore, ovvero i'esser ammissibile, nel CDA, un contenimento legislativo speciale della liquidazione, non estensibile ad altri campi, per la necessità di arginare la lievitazione dei premi assicurativi. Ora l'argomento non tiene conto del fatto che la liquidazione di cui all'art. 139 del detto testo unico concerne anche il responsabile diretto del sinistro e che, se la ratio della limitazione fosse di natura "strettamente assicurativa", dovrebbe valere un sistema per cui la limitazione della prestazione sia opponibile solo all'assicurazione, mentre il responsabile diretto dovrebbe comunque il danno differenziale. Non vi sarebbe nulla di strano poiché si tratta di ciò che da sempre avviene per il differenziale tra le tabelle INAIL e quelle milanesi nel campo degli infortuni sul lavoro. Al contrario nel settore dell'infortunistica stradale non c'è traccia della prassi suddetta. Quindi la norma è di generale definizione del giusto risarcimento e non di concessione di una riduzione per la salvaguardia della funzione assicurativa. 3) La Corte di Cassazione si esprime poi in una sede processuale in cui, come detto, il passaggio argomentativo non era assolutamente necessario alla soluzione del caso che riguardava, invece, una lesione di notevole entità. Non pare quindi che la menzionata giurisprudenza possa esser ritenuta di ostacolo alla uniforme applicazione dei criteri di liquidazione di cui all'art. 139 CDA. dovendosi ora affermare la possibilità dell'analogia, dopo che il testo dell'art. 139 è stato espressamente richiamato da fonte normativa in nulla concernente il contratto di assicurazione. Agendo come detto si realizza peraltro una liquidazione conforme per tutte le lesioni dell'entità considerata, indipendentemente dalla causa generatrice delle stesse, con effetto indirettamente conservativo della costituzionalità delle norme di legge restrittive, le quali, diversamente, dovrebbero essere denunciate per la lesione dell'art. 3 della costituzione. Infatti la tipologia delle cause determinanti lesioni (tipologia articolata non sulla gravità del fatto, ma solo sul mezzo materiale di apporto della lesione o sulle caratteristiche soggettive dell'attore) non appare in alcun modo un criterio valido di liquidazione. Di recente la Corte Costituzionale ha ulteriormente confermato la legittimità delle tabelle ex art. 139 C.d.A. affermando con svariati argomenti la legittimità di limitazioni di settore del risarcimento dal che alcuni interpreti hanno tratto l'ulteriore principio che la limitazione sarebbe effettivamente riservata a settore specifico. Osserva ulteriormente il tribunale che omissis. di una progressiva indicazione con numerose scelte di settore di un criterio di equità diverso da quello, certamente non normativo, delle tabelle milanesi, è scelta interpretativa dotata di valenza costituzionalmente conservativa ancora maggiore del ragionamento svolto dal Giudice delle leggi. Le due prospettive inoltre non sono affatto incompatibili. Può essere che le svariate normative che conducono alla applicazione delle c.d. tabelle ministeriali, nei rispettivi campi, siano limitazioni all'equità del giudice (non necessariamente all'equità in misura milanese), ma il progressivo ripetersi

della previsione di tetti di una certa consistenza ben può fornire al giudice un nuovo parametro di equità. E questo è quanto intende fare il Tribunale. Liquidare secondo equità, ma con parametro diverso da quello milanese, parametro tratto non dalla prassi giudiziaria, ma dalla indicazione normativa. Del resto la liquidazione è tema riservato al giudice di merito nel contesto intrinseco del quale non vi è spazio per intervento della Corte di Legittimità e del Giudice delle Leggi. Applicando le tabelle per le microlesioni vigenti per l'anno la liquidazione del danno risulta la seguente. I.P. 6% 45 anni Euro 6.387,32 I.T.T. 11 gg. (Euro 44,28) Euro 487,08 I.T.P. 30 gg. al 75% Euro 996,00 I.T.P. 30 gg. al 50% Euro 664,20 Totale Euro 8.534,90 La condanna va quindi limitata alla somma di Euro 4.267,45. Le spese di lite si liquidano rationae valoris litis (il totale del danno) in Euro 4.200,00 ex D.M. n. 55 del 2014 con riduzione concentrata nelle fasi istruttoria e decisoria. Le stesse si compensano nel 50% considerato il ritenuto concorso motivo d'eccezione. Si compensano in toto le spese nei rapporto tra T. e l'attrice, verso la stessa soccombente. L'obiettività del danno, la mancanza all'obbligo indicato (anche se non deducibile da parte dell'attrice) e la relativa complessità del quadro di causa, integrano infatti i motivi eccezionali richiesti dalla disciplina applicabile. In deroga le spese di CTU si pongo a totale carico della parte soccombente. p.q.m. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, visto l'art. 281 sexies del c.p.c.: CONDANNA il comune di Genova, a versare all'attrice la somma di Euro 4.267,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal fatto ad oggi. CONDANNA la stessa parte a rifondere le spese di lite all'attrice, spese che si liquidano nella somma già compensata di Euro 2.100,00 per spese di difersa, oltre accessori di legge, ed Euro 244,00 per esborsi. RIGETTA ogni domanda avverso la convenuta T.. PONE le spese di CTU interamente a carico del soccombente. COMPENSA nel resto le spese di lite tra le parti. Così deciso in Genova, il 13 marzo 2015. Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2015. Editrice