L abolizione della pena di morte in Italia 1. Dal Medioevo all Ottocento: il primato della Toscana. La pena capitale cominciò ad essere applicata in Italia dall Imperatore Enrico II, all inizio dell XI secolo. A poco a poco si estese alle legislazioni dei diversi comuni della penisola sostituendosi alla tecnica dell'"imposizione" ovvero il pagamento di una somma che l'uccisore doveva effettuare alla famiglia dell'ucciso per evitarne la vendetta. L'uso della pena capitale sarà legittimato da teologi come San Tommaso d'aquino, sulla base del concetto utilitaristico della 'conservazione del bene comune', in nome del quale diveniva lecito uccidere singoli malfattori. Nel '500 e '600 si assistette al trionfo e al consolidamento della violenza legale, in nome della "ragion di stato", e della pena capitale, accompagnata da ogni sorta di torture raccapriccianti. La pena capitale veniva inflitta per punire un'ampissima gamma di reati, anche minori. Nel 1764 la pubblicazione del libro "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria (vedi 2.1) stimolò una riflessione sul sistema penale vigente. La sua opera piacque molto soprattutto ai principi austriaci particolarmente rivoluzionari come Giuseppe II e Leopoldo I Granduca di Toscana che addirittura andarono oltre. Leopoldo I infatti con la legge del 30 novembre 1786 abolì sia l'uso della tortura sia quello della pena di morte; (purtroppo tali disposizioni restarono in vigore solo per quattro anni). Quasi un secolo dopo, sempre in Toscana, vi fu un nuovo slancio abolizionista da parte del governo provvisorio toscano che, con un decreto in data 30 aprile 1859, abolì la pena di morte dalle leggi vigenti nel proprio territorio. Pietro Leopoldo I di Toscana
2. Il dibattito parlamentare nel Regno di Sardegna Nel frattempo, nel Regno di Sardegna, prima dell unificazione, vi fu un lungo dibattito parlamentare sulla pena di morte, a partire da alcune interpellanze riguardo al numero eccessivo di esecuzioni al Ministro di grazia e giustizia De Foresta. Venne posta l attenzione sull inadeguatezza dei codici penali, dei giudizi criminali e delle condizioni sociali, richiedendo la riduzione delle pene capitali e l unanimità dei voti per pronunciarle. Tuttavia De Foresta invitò la Camera a non aderire alla proposta poiché erano già in atto i lavori per un progetto di riforma del codice penale. Nel 1857 questo progetto fu presentato alla Camera; esso prevedeva una drastica riduzione dei casi in cui era comminata la pena di morte. Questo scatenò un ampio dibattito che comportò l arresto dell iter di formazione del progetto di De Foresta. Il 20 novembre 1859 fu emanato il nuovo codice penale, con una riduzione dei casi in cui era comminata la pena di morte, il quale venne esteso alla Lombardia e alle altre province annesse dell Italia Centro- Settentrionale, ad eccezione della Toscana che continuava a seguire il codice penale Lorense del 1853. Vittorio Emanuele II, Re d Italia (1861-1878)
3. La pena di morte e l unificazione dei codici penali dell Italia unita Dopo l unificazione italiana si aprì un duro dibattito circa l abolizione della pena di morte come punto nodale del sistema penale del regno, caratterizzato da grande eterogeneità. Le discrepanze tra le zone a dominio Sabaudo, che prevedevano la pena capitale, e la Toscana, dove al contrario era radicata la tradizione abolizionista, impedirono per oltre un ventennio di giungere ad un diritto penale unico nella penisola. L opinione pubblica, per quanto frammentata e spesso d élite, partecipò a tale dibattito grazie alla diffusione sempre maggiore di riviste. Associazioni, adunanze popolari, riviste, circoli accademici, univano le più diverse e importanti personalità italiane verso questo nuovo ideale comune di stampo liberale e nello stesso tempo quasi-socialista. Nel 1862 Miglietti propose di estendere a tutto il Regno il codice penale sardo del 59, con alcune modifiche, ma con il mantenimento della pena di morte se pur riservata ai casi atrocissimi, tuttavia il progetto non venne discusso a causa della caduta del Ministero e non venne neppure riproposto. Nel 64 furono nominate due commissioni: - per la riforma del sistema carcerario - per la compilazione di un nuovo codice penale. Si elaborò un progetto di codice senza pena di morte, accompagnato da una relazione in cui si spiegavano le ragioni di tale scelta. Nel frattempo venne esteso il codice del 59 anche alle provincie di Roma, Veneto e Mantova. L'orientamento abolizionista degli intellettuali italiani in generale, e degli studiosi di diritto penale in particolare era ormai consolidato. Il Congresso Giuridico Italiano del 1872 creò un apposita commissione che esaminò la questione della pena di morte attraverso studi specifici e ne propose l abolizione dal codice penale Nel 1883, Zanardelli, divenuto ministro, rivedette tutto ed elaborò un nuovo progetto di codice penale che confermò l abolizione della pena capitale anche per dare sanzione legale allo stato di fatto che si era creato già da tempo. Infatti la pena di morte era stata de facto abolita fin dal 1877, anno dell'amnistia generale di Umberto I di Savoia (Decreto di amnistia del 18 gennaio 1878). Giuseppe Zanardelli
Nel 1889 Zanardelli presentò al Re il codice, che entrò in vigore il 30 giugno 1890. Da questo momento, sino all avvento del fascismo si avrà la definitiva e irrevocabile abolizione del patibolo. 4. Il Fascismo e la pena di morte. Con l istaurarsi del Fascismo, a seguito di un attentato subito da Mussolini, la pena capitale fu reintrodotta per punire coloro che avessero attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del governo e per vari reati contro lo stato. Nel 1930 fu definitivamente accolta nel nuovo codice penale. Il nuovo codice penale del 1930 (codice Rocco), entrato in vigore il 1 luglio 1931, accrebbe il numero dei reati contro lo stato punibili con la morte e reintrodusse la pena di morte per alcuni gravi reati comuni. Benito Mussolini
5. Il secondo dopoguerra e l abolizione completa Il governo fascista fu sconfitto il 25 luglio 1943, nel corso della seconda guerra mondiale; dopo l'8 settembre. Una delle prime decisioni del nuovo governo fu l'abolizione della pena di morte: il 10 agosto 1944 il decreto legge n. 224 abolì la pena di morte per tutti i reati previsti dal codice penale del 1930; essa fu però mantenuta in vigore in base al decreto n. 159 del 27 luglio 1944 per i reati fascisti e di collaborazione con i nazi-fascisti. Dopo la fine della guerra e la completa sconfitta dei nazi-fascisti, la pena di morte come misura temporanea ed eccezionale per gravi reati come 'partecipazione a banda armata', 'rapina con uso di violenza' ed 'estorsione'. Fra il 26 aprile 1945 ed il 5 marzo 1947 vennero giustiziate 88 persone per avere collaborato con i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Queste furono le ultime esecuzioni effettuate in Italia. Finalmente con la nuova costituzione della repubblica italiana del 27 dicembre 1947 la pena capitale fu bandita per i reati comuni e per i reati militari commessi in tempo di pace. Fino al 1994 il codice penale militare di guerra prevedeva la pena di morte per un'ampia gamma di reati; il Presidente della Repubblica poteva, in base all'art. 87 della Costituzione, concedere la grazia o commutare la sentenza. Un progetto di legge per l'abolizione della pena di morte dal codice penale militare di guerra fu presentato ed approvato dalla Camera dei Deputati nel luglio 1993. Esso avrebbe dovuto essere discusso al Senato quando il Parlamento Italiano si sciolse per consentire nuove elezioni. Dopo le elezioni trenta senatori presentarono lo stesso testo che fu approvato dalle Commissioni Giustizia e Difesa del Senato il 14 settembre 1994. Il 5 ottobre 1994 la Camera dei Deputati approvò il progetto di legge che fu promulgato divenendo così legge a tutti gli effetti il 25 ottobre.
La legge stabilisce che per tutti i reati coperti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, la pena di morte e' abolita e sostituita dalla massima pena prevista dal codice penale. L'Italia e' cosi diventata un paese totalmente abolizionista.