Il Prof vota per il bipolarismo Ora le primarie si rianimano



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S ABATO 7 DICEMBRE 2013 POSTE ITALIANE S.P.A. S P A - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA A NNO XI N 240 1,00 PRIMARIE DEM Oggi i tre candidati chiudono le rispettive campagne. Cuperlo e Civati all attacco, il sindaco evita le polemiche A PAGINA 2 GOVERNO LETTA Metti un Renzi nel motore. Al Quirinale Napolitano e il premier studiano la road map per la fiducia di mercoledì A PAGINA 2 LA SCOMPARSA DEL LEADER: I FUNERALI SI TERRANNO A QUNU IL 15 DICEMBRE La sconfitta dell eroe, altro che Invictus FILIPPO SENSI EUROPA Draghi non regalerà soldi alle banche ROBERTO SOMMELLA Nell Europa del debito ormai sovrano sarà Mario Draghi a dare una mano alle imprese, Berlino permettendo. È quello che ormai si attendono tutti gli osservatori e in cuor loro nemmeno hanno il coraggio di chiedere i governanti. Dagli ultimi calcoli della Commissione europea appare infatti evidente che gli esecutivi non troveranno la ricetta filosofale per la crescita, visto che tutta l Eurozona è schiacciata da novemila miliardi di euro di debiti statali, il 95,5% del Pil, e nel 2014 questa cifra aumenterà, con la sola eccezione della Germania. Constatare la rigidità della regola del rapporto del 60% tra debito (che schizza sempre più in alto) e Pil (che viaggerà in Europa poco sopra l 1% nel 2014) è ormai un esercizio retorico: le casse di Roma, Parigi e Madrid sono vuote e nessun piano Marshall potrà essere mai finanziato agendo sull indebitamento, né è pensabile che siano gli accordi bilaterali sponsorizzati dai tedeschi a dare il la alla ripresa. SEGUE A PAGINA 5 Il dolore più grande, che fa più male dentro, non è solo quello della perdita, come fosse mancato una specie di genitore globale. Ma il sospetto che ad andarsene se ne sia andato l ultimo eroe, quelli di cui si è gettato via il conio, e non per un riflesso consolatorio rivolto al passato. E se, altrimenti detto, l unicità di Nelson Mandela, della sua incredibile parabola esistenziale, segnasse paradossalmente non la sua vittoria, ma una sconfitta irrimediabile, altro che Invictus? MARIO LAVIA Il genio politico di Nelson Mandela ALESSANDRO CARRERA Se soltanto gli Stati Uniti avessero avuto un Mandela, al momento giusto e negli anni giusti, o se avessero lasciato il tempo a Martin Luther King jr di diventarlo, oggi forse non avremmo l incredibile risorgere di sentimenti sudisti nel sud degli Stati Uniti, né la cocciuta resistenza di un revisionismo aberrante, tendente ad affermare che la schiavitù non era poi quel problema che sembrava, che presto sarebbe finita per conto suo in perfetta armonia, e che la Guerra di Secessione fu solo un trucco di Lincoln per distruggere l economia del sud. SEGUE A PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 3 DOMANI LE PRIMARIE SCARICA L EBOOK SU WWW.EUROPAQUOTIDIANO.IT IL FONDATORE DELL ULIVO ANDRÀ AI GAZEBO Il Prof vota per il bipolarismo Ora le primarie si rianimano L ex premier ribalta la scelta precedente: «Obbligato dalla scelta della Consulta». E sul Pd: «Con tutti i limiti è l unico strumento». Una mano a chi vuole un sistema bipolare Le pressioni sono state forti. Molto forti. Fin da subito, da quel 9 novembre in cui Romano Prodi fece il gran rifiuto, non prendo la tessera del Pd e non andrò ai gazebo. Triste epilogo di una lunga storia bruscamente interrotta con il maledetto voto in parlamento che lo spazzò via dalla gara per il Quirinale, la dark story dei 101 fantasmi che colpirono nel segreto dell urna e affondarono le sue chances. Non è che il Professore abbia dimenticato. E però è successo qualcosa. Il suo mondo in ordine sparso, un filo che si smarrisce, una storia che si sfarina. Questo no. Ma non basta. Mercoledì, al tramonto, la scelta della Corte costituzionale di far fuori il Porcellum. Con il repentino ritorno in auge dei fan del proporzionale, i rischi della palude, della stagnazione istituzionale, con la fine del sogno bipolare, della modernizzazione europea del sistema-italia. No, davvero troppo, per uno come Prodi. Dall altra sera è stato un susseguirsi di interviste pubbliche e telefonate private: «Professore, Persona che vai, Mandela che trovi. Sulle agenzie stampa di ieri Madiba sembrava il protagonista del romanzo di Pirandello, Uno nessuno e centomila. E per ogni Silvio Berlusconi che lo celebrava come un «eroe della libertà», elevandolo a simbolo di quella politica di pacificazione che il capo di Forza Italia aveva promosso per sé (come a dire: Mandela c èst moi), c era un consigliere leghista che invece lo considerava null altro che «una belva ) POLITICI ALLO SPECCHIO _ A ognuno il suo Madiba NICOLA MIRENZI assetata di sangue bianco, un terrorista trasformato in eroe dalla propaganda mondialista». Ognuno ha il suo Mandela, come ciascuno possiede un account Facebook e uno Twitter. E nell epoca del selfie, della fotografia del proprio volto in qualsiasi posto del mondo, dove ciò che conta è l io dell utente, non quello del venerato maestro scomparso, nessuno si astiene dal raccontare la sua versione di Nelson. SEGUE A PAGINA 5 non puoi stare a guardare». Detto fatto. 24 ore, poi il dietrofront. «I rischi aperti dalla recente sentenza della Corte sono le parole del fondatore dell Ulivo mi obbligano a ripensare a decisioni prese in precedenza». Quelle del 9 novembre. E dunque, «tornerò dall estero e mi metterò in coda con tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento». Perché «pur con tutti i suoi limiti, il Pd resta l unico strumento della democrazia partecipata di cui tanto abbiamo bisogno». Un enorme sospiro di sollievo da parte di chi ha lavorato per questo esito. Arturo Parisi, che proprio due giorni fa ci aveva dato una bella intervista, ritiene che la scelta del Prof possa far crescere la partecipazione ai gazebo. Lui ci ha lavorato. Come Graziano Delrio. Come tanti prodiani della prima ora, sostengano essi Renzi o Civati. Ma anche Cuperlo, che pure appare il meno vicino alla cultura politica dell ex premier, ha espresso soddisfazione: «Sono contento, il suo posto è nel Pd». E Pippo Civati: «È la notizia migliore di questa campagna elettorale». Quindi Renzi: «Prodi dice che vota perché vuol difendere il bipolarismo. E io sono assolutamente d accordo con lui, perché è l unica soluzione per l Italia. L 8 dicembre sta diventando un referendum sul futuro del paese». Ecco, Prodi ha scelto di partecipare al referendum pro o contro il bipolarismo. Una traccia che non si può non prendere in considerazione quando ci si chiede per chi voterà. «Ma non tiratelo per la giacchetta», ammonisce Sandra Zampa. Può essere uno dei quei lampi che nelle battute finali di una campagna elettorale aiutano la partecipazione, spostano voti. Domenica sera sapremo se sarà stato così. Per ora, la notizia è che Prodi è tornato. Per difendere il bipolarismo e lo strumento utile alla bisogna, il Pd. @mariolavia EDITORIALE Il post-it di Prodi GIOVANNI COCCONI Tirava un aria stanca sulle primarie del Pd. Anche le previsioni sull affluenza fotografavano un clima molto diverso da quello di un anno fa quando, certo, si andava a scegliere il candidato a palazzo Chigi, l esito finale sembrava più incerto e il partito non era reduce da una sconfitta elettorale. La decisione della Consulta, però, potrebbe cambiare tutto. Nel senso che ha improvvisamente reso concreto il rischio del ritorno indietro e della sconfitta della scommessa bipolare su cui è nato il progetto del Partito democratico, già messa in crisi dall esito di un voto sostanzialmente tripolare. La decisione di Romano Prodi di tornare ai gazebo forse non rimargina del tutto la ferita dei 101 (una questione che, però, da oggi dovremmo considerare chiusa) ma rende concreto l allarme sul pericolo della palude proporzionale. Una prospettiva su cui sta puntando un bel pezzo di mondo politico (anche nel Pd) che rema contro l idea di una democrazia matura, dove uno vince, l altro perde e chi vince governa, e che ha individuato in Matteo Renzi il pericolo numero uno. Le voci di un fantomatico asse proporzionalista tra il Colle e palazzo Chigi in nome della stabilità non hanno fondamento e si spera che il discorso di Letta di mercoledì alle camere allontani i soliti sospetti. Tutti e tre i candidati alla segreteria del Pd hanno salutato il ritorno a casa di Prodi come una bellissima notizia. La sua decisione è un post-it da portarsi ai gazebo. Da oggi è un po più chiaro che anche chi si dividerà nel voto di domani condividerà almeno un idea del Pd e dell Italia del futuro. Non è poco. ROBIN Giorno Microchip, scie chimiche, sirene. Segnala il grillino del giorno Chiuso in redazione alle 20,30

sabato 7 dicembre 2013 2 < N E W S A N A L Y S I S > PRIMARIE PD Ultime schermaglie prima della battaglia finale, Cuperlo e Civati all attacco RUDY FRANCESCO CALVO Matteo Renzi a Reggio Emilia, città del ministro Graziano Delrio, suo sostenitore e uomo di strettissima fiducia, e poi a Empoli. Gianni Cuperlo a Bologna e Dolo (Venezia), due tappe che richiamano inevitabilmente alla memoria Romano Prodi: fu infatti proprio dalle parti della cittadina veneta che il Professore annunciò nel 2004 l intenzione di promuovere le primarie, anche se dal comitato di Cuperlo minimizzano la coincidenza. Pippo Civati, infine, sarà in Sardegna (Sassari, Oristano e Cagliari), una ragione su cui scommette molto per un buon risultato. E perfino Gianni Pittella, ormai escluso dalla competizione, ha programmato un appuntamento a Potenza. Si prevede, insomma, una giornata infuocata in vista delle primarie di domani, con i tre candidati che chiudono il loro tour de force per far crescere l affluenza ai seggi e, ovviamente, convincere quanti più elettori possibili a votare per loro. Poi, domani, sarà rispettato il silenzio elettorale fino a quando si chiuderanno i seggi alle 20 e inizieranno a confluire i dati dai seggi al quartier generale del Nazareno e nei comitati dei tre candidati. Se Cuperlo e Civati attenderanno gli aggiornamenti nelle rispettive sedi romane, Renzi ha dato appuntamento ai suoi sostenitori al teatro Obihall di Firenze (quello in cui si tenne l appuntamento con Pier Luigi Bersani nella campagna per le politiche di febbraio). Ma se sarà lui a vincere, come prevedono i sondaggi, già lunedì sarà probabilmente a Roma per annunciare la sua squadra, che ha spiegato di avere già deciso, e cominciare a pensare ai primi impegni da segretario, a partire dal confronto con il premier Enrico Letta in vista del voto di fiducia alle camere di mercoledì prossimo. Le ultime scintille di ieri tra i comitati dei candidati hanno visto al centro, suo malgrado, l ex segretario Bersani, con Renzi che spiega di stimarlo, anche se «non ho mai legato molto con lui», e poi lancia l affondo: dice di non essere «così pavido» da prendersela con un «uomo morto» (citando il proverbio) e che preferisce piuttosto «prendermela con quelli vivi e forti e non con quelli che hanno fatto una battaglia e l hanno persa». Parole «sconvenienti» e che mostrano «rancore», secondo Nico Stumpo, per le quali Renzi «dovrebbe chiedere scusa». Ma le polemiche sui sostenitori scomodi non si fermano qui. Beppe Fioroni annuncia un appello sottoscritto da 887 amministratori locali contro l adesione del Pd al Pse e Pittella, che ha già annunciato il proprio endorsement a Renzi, ne trae spunto per chiedere a Cuperlo cosa risponde al «suo grande elettore». I tre candidati, comunque, vanno avanti per la propria strada. «I nostri avversari si chiamano Beppe e Silvio, non Pippo e Gianni», dice a chiare lettere Renzi. Dal Lingotto di Torino, dove ha fatto tappa ieri, il sindaco di Firenze ha insistito sulla propria idea di un Pd che non fa dettare l agenda da altri: «Ora è il momento che il Pd prenda in mano la situazione». Un messaggio rivolto anche a Enrico Letta, con una postilla: «Nessuno di noi è indispensabile, oggi Letta (anche se è di Pisa) ha l occasione di fare riforme vere. Se il governo lo fa, bene, se non lo fa bisogna che cominci a farlo». È anche per questo che Renzi vede le primarie di domani come «un referendum sul futuro del paese. Vogliamo chiedere agli italiani se accettano il rischio del cambiamento fino in fondo». Gianni Cuperlo, dal canto suo, incassa l appoggio di oltre duecento donne del Pd (tra queste, Anna Finocchiaro, il segretario dello Spi-Cgil Carla Cantone, Barbara Pollastrini, Paola De Micheli) e proprio da Firenze non risparmia stoccate al suo avversario: «Noi dobbiamo scegliere il battutista migliore o la sinistra migliore per i prossimi anni?». E spinge sul tasto del doppio incarico, che Renzi vorrebbe ricoprire: «Se ti candidi a fare il segretario a tempo perso, perché preferisci fare il sindaco e quindi stare in mezzo alla gente anziché rimanere chiuso nelle stanze e fumose del Nazareno, tu offendi il tuo partito». Lui, invece, rivendica «con orgoglio di essere stato un funzionario di partito». Sia Cuperlo che Civati invitano comunque a non credere ai sondaggi pubblicati in questi giorni. «Io sento che i dati sono diversi garantisce il deputato brianzolo quando ti fermano ogni cinque metri capisci che c è qualcosa che si sta muovendo». Una prova sarebbe anche le reazioni che alcuni sostenitori di Cuperlo stanno avendo nei suoi confronti: «D Alema mi ha preso a pallonate dicendo che sono un pericolo per il paese. Il problema sostiene per incitare i suoi supporter è che noi vinciamo e cambia tutto. Arriverà una nuova classe dirigente, noi a differenza di Renzi non abbiamo ripescati». @rudyfc GOVERNO Napolitano e Letta studiano la road map. Con l additivo Renzi nel motore FRANCESCO LO SARDO Si può rifornire una utilitaria con il propellente per un missile? Dimezzamento del numero dei parlamentari e abolizione del senato approvate in tempo record, in tre mesi in prima lettura, insieme alla stesura della nuova legge elettorale bipolare. Ma anche corsia preferenziale per la riforma del mercato del lavoro, dal sistema di agenzie del lavoro e dei centri per l occupazione alla riforma della cassa integrazione in deroga, dalla formazione al sussidio di disoccupazione: cercando una sintesi dinamica tra le posizioni innovative del sindaco di Firenze e le linee d intervento già suggerite dal ministro del lavoro Giovannini, non così distanti. Una rivoluzione. Una cura choc. Metti un Renzi nel motore. Ma si può mettere nel serbatoio del governo Letta-Alfano la benzina addizionata del sindaco senza che esploda, per trasformarlo in un bolide che faccia mangiare la polvere a Grillo e Berlusconi? Napolitano e Letta con più di qualche informazione già in tasca pensano di sì e di questo avrebbero parlato ieri al Quirinale, in vista del dibattito sulla fiducia al governo di mercoledì prossimo alla camera e al senato. I numeri per affrontare con successo il passaggio parlamentare, dopo la scissione del Pdl e il trasloco di Forza Italia all opposizione, ci sono: ma il nodo è politico. Il presidente della repubblica e il premier lavorano perché oltre i numeri di mercoledì si gettino solide fondamenta per un agenda programmatica di governo non riverniciata, ma letteralmente rivoluzionata da un nuovo calendario di obiettivi da centrare in diciotto mesi, con le elezioni europee di fine maggio come primo giro di boa e traguardo di elezioni politiche nel 2015 sullo sfondo. Il passaggio di mercoledì servirà a marcare la «discontinuità» dal governo delle larghe intese a quello che ha approvato la legge di stabilità dopo l uscita di Berlusconi dalla maggioranza. Ma la fiducia al governo segnerà l apertura di una nuova fase, quella dell avvento dell ex rottamatore alla segreteria del Pd che sempre meno grillini e forzisti pensano possa condurre all implosione della maggioranza, alla caduta del governo e a elezioni anticipate a marzo. «Dicono che temo di logorarmi se il governo Letta andrà avanti. Ma l importante è il futuro del paese ha detto ieri Renzi nel 2014 ci giochiamo tutti la faccia e se alla fine il gradimento dei ministri sarà cresciuto saremo tutti contenti». In Forza Italia sono ormai in pochi a credere che il neosegretario lavorerà contro Napolitano e Letta. «Renzi sembra un rivoluzionario a parole, ma nei fatti...», sospira la Santanchè, ben riflettendo in questo caso il pensiero di Berlusconi che si vede spiazzato. Il Cavaliere, come Grillo, potrebbe presto trovarsi nell imbarazzo di dover votare contro il dimezzamento dei parlamentari e l abolizione del senato. Resta, in vista di mercoledì, la criticità della parte del discorso del premier alle camere sulla legge elettorale. Letta, che nel merito non dovrebbe andar oltre l auspicio di una legge «fedele al bipolarismo», dovrà trovare le parole per dire che la palla è ora al parlamento, come per le altre riforme inclusa la giustizia su cui si cercherà la più vasta convergenza, ma che il governo, di fronte a un nuovo stallo, sarebbe costretto ad assumere un iniziativa. @francelosardo IL RAPPORTO CENSIS 2013 Nell Italia sciapa e infelice le energie le mettono donne e immigrati VALENTINA LONGO Italia tiene ma è «sciapa», è L infelice e priva di connettività però potrebbe confidare nell imprenditoria femminile, nell iniziativa degli stranieri e nella dinamicità di chi guarda all estero davvero tanti ormai. E così, anziché soffrire per il vuoto di classe politica e di leadership collettiva, il paese dovrebbe investire su quello che può consentire di andare «oltre la sopravvivenza», recuperando la voglia di «respirare». Strana fotografia quella scattata dal Censis in questo 47mo Rapporto sulla Situazione sociale del paese 2013, che restituisce l immagine di un Italia in cui le istituzioni e la politica sembrano superate, un paese aggrappato e depresso, ripiegato su se stesso che «tiene grazie alla famiglia, ma in cui domina l incertezza di cui possiamo tutti divenire prigionieri. Ci si aspettava un crollo che non c è stato spiega il Rapporto ma troppe persone scendono nella classe sociale» in questo sistema che ha bisogno di recuperare nuovi spazi per l imprenditoria e l occupazione, grazie a leve come la revisione del welfare e l economia digitale. Dando un occhiata più nel dettaglio calano i consumi, con le spese delle famiglie indietro di dieci anni, cresce il disinteresse per la politica, poiché a non curarsene è il 50 per cento del paese, crolla il mattone (si arriverà a meno 50 per cento di compravendite nel 2013). L incertezza ha preso il sopravvento non solo sull ottimismo ma anche sul pessimismo e una larga parte degli italiani scopre, dice il Censis, «un intima fragilità». Quella per cui una famiglia su quattro fa fatica a pagare tasse o bollette e il 70 per cento ed è in difficoltà se deve affrontare una spesa imprevista. E in cui quasi sei milioni di occupati «si trovano a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa», ai quali si aggiungono 4,3 milioni che non trovano un occupazione. Quasi la metà degli italiani continua a stringere la cinghia, dà la caccia alle promozioni, sceglie in base al prezzo più conveniente e ha ridotto del 68 per cento cinema e svago; il 53 per cento ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45 ha rinunciato al ristorante e 1,2 milioni di famiglie non sono riuscite a coprire le spese con il proprio reddito ricorrendo a prestiti di amici. Il disinteresse per la politica tocca il 56 per cento degli italiani (contro il 42 per cento della media Ue), restii anche a firmare una petizione ma magari dinamici a livello locale, contro la chiusura di scuole o ospdeali. Sono gli stessi italiani sempre più teledipendenti e perennemente connessi grazie a cellulari e smartphone, giovani che usano Facebook e la web tv molto più degli anziani e Facebook, ma leggono poco i quotidiani. I libri sono in ripresa ma non si arresta la flessione della carta stampata. E questo è il paese in cui la dimensione del settore culturale è fortemente contenuta, se comparato ai colleghi europei. In questo contesto il dinamismo delle nuove imprese al femminile, gli immigrati che «volano» tra costruzioni e imprese al dettaglio rappresentano il dinamismo. Così pare, interpretando lo stesso presidente Giuseppe De Rita, che invita a non farsi intrappolare dall incertezza: «L instabilità legata al conflitto sociale e politico va lasciata a se stessa e alla sua ordinaria dinamica», altrimenti, è il suo avviso, prevarranno i timori di un paese che si illude che con un «mare calmo navigheremmo tutti più tranquilli». Meglio, dice De Rita, ricordarsi che sono quelle «sottomarine» le correnti vive. @valelongo

primo piano 3 sabato 7 dicembre 2013 Mandela, icona postmoderna Il mito Dalla musica rock e pop allo sport che amava molto, l immagine di Madiba ha attraversato la scena mediatica con una potenza straordinaria MASSIMILIANO PANARARI Un grande uomo, al tempo stesso combattente per la libertà e statista. Uno straordinario esempio di leadership trasformativa. E, last but not least, un autentica icona. Da parecchio tempo, infatti, Nelson Mandela (1918-2013) aveva compiuto in maniera trionfale il suo ingresso anche all interno dell immaginario pop di questa nostra epoca, immortalato in una serie di narrazioni musicali, cinematografiche e letterarie che hanno prodotto un suo indiscutibile (e meritato) processo di iconizzazione. Tanto da fare di Madiba, in un età di disincanto e disillusione, il volto buono e positivo della politica, nonché, per tanti versi, quello bipartisan, in grado di stringere in un abbraccio irenico ed ecumenico liberali, liberal, progressisti di vario orientamento, sinistre più o meno radicali, e un rassemblement traversale che andava dai governi occidentali a quelli dei Paesi che un tempo si sarebbero detti non allineati (con l aggiunta, quando ancora c era, delle nazioni del blocco comunista e sovietico). Formidabile protagonista dell ultimo grande momento storico del travagliato fenomeno della decolonizzazione, personaggio animato da speranze di emancipazione e redenzione (che ha visto infrangersi di fronte alla devastante sperequazione sociale e alle divisioni etniche in seno alla black nation del Sudafrica liberato), Mandela è stato adottato da uno dei pilastri della postmodernità. Vale a dire il mondo dello spettacolo, nella duplice versione dell arte impegnata (spesso in buona fede, talvolta più strumentalmente) e dello show business, che ha trovato in lui un magnifico brand da veicolare. E questo perché il leader dell African National Congress nonostante sia stato, in tutto e per tutto, un uomo novecentesco, figlio genetico del Secolo breve dei furori ideologici e dei regimi negatori della libertà aveva intuito la potente capacità di mobilitazione, a beneficio della propria giustissima causa, della società dello spettacolo e dei suoi interpreti e attori. A tal punto da accettare di farsi icona lui stesso, e di dare vita, nell interesse del nuovo Sudafrica, a una diplomazia simbolica e immateriale che si fondava sul valore aggiunto (e mitopoietico) dispensato proprio dalla sua persona. E, così, i frutti raccolti sono stati tanti. Amato da scrittori come i Nobel Nadine Gordimer e J. M. Coetzee e venerato da calciatori come Ruud Gullit (fiero militante della causa antirazzista, che gli dedicò il Pallone d oro edizione 1987), David Beckham e Lilian Thuram (anch egli impegnato contro la xenofobia), Mandela divenne oggetto di attrazione irresistibile per la scena musicale pop e rock. A dare il via furono, nel 1984, Jerry Dammers e i The Specials con l hit Free Nelson Mandela, destinata a trasformarsi in un inno (fino ad Amy Winehouse ed Elvis Costello). E subito dopo vennero, via via, Yossou N Dour, Africa Unite, Simple Minds, Johnny Clegg, Hugh Masekela, fino al megaconcerto dell 11 giugno 1988, al Wembley Stadium di Londra, per festeggiare il settantesimo compleanno del leader della lotta contro l odiosa segregazione razziale. Un happening mediatico di forza dirompente, trasmesso in 67 nazioni, che vide alternarsi sul palco, tra gli altri, Peter Gabriel (il quale intonò la famosissima Biko), Sting, George Michael, Whoopy Goldberg, Joe Cocker, Phil Collins, Paul Young, Brian Adams, Stevie Wonder, i Dire Straits e la debuttante Tracy Chapman. E, nel 2008, ci fu il bis, con il ritorno del megashow, questa volta a Hyde Park, Un leader amato dai Nobel, adorato dai musicisti, venerato dai calciatori e la presenza, finalmente, dello stesso festeggiato. Amante dello sport, vi aveva ravvisato un driver potente di integrazione, di riscatto per la sua gente e di rinascita, sul proscenio internazionale, della nazione umiliata e prostrata dalla lunga stagione dell apartheid. E questo amore venne sempre ricambiato, dall universo del calcio (di cui era appassionato e che aveva praticato anche durante gli anni della reclusione) sino a quello del rugby, con la celebre vittoria nella Coppa del Mondo del 1995 dei bianchi Springboks capitanati dal superboero François Pienaar, istantanea immortale dell avvento, sul proscenio globale, di quella che si poteva ora considerare, di fatto, la raimbow nation. E un episodio (giustappunto iconico) che venne celebrato, nel 2009, dal film di Clint Eastwood Invictus, dove a interpretare il padre della nazione era Morgan Freeman. E, ora, quella terra che hai tanto amato ti sia lieve, Madiba. L EREDITÀ IMPOSSIBILE Altro che Invictus FILIPPO SENSI Il timore, anzi, più che il sospetto è che questa straordinaria figura del 900, tutta dentro alla storia di conflitti e muri del secolo breve, possa esaurirsi nel suo mito, nella icona che commuove e conforta, sottraendola allo scontro, a quel Rolihlahla, attaccabrighe, che i genitori gli affibbiarono come nome. La grandezza solitaria di Madiba sta in quei 27 anni di indomita prigionia e nella riconciliazione che, una volta uscito dal carcere, seppe contrapporre alla vendetta come mito fondativo di una nazione. Ma, ci si chiede: che semenza lascia su questo punto specifico il suo poderoso exemplum? Giri lo sguardo sul mondo di oggi, e certo di riconciliazione e perdono se ne vede poco; di sforzi di unità come quello del rugby o il Nobel condiviso con l amico de Klerk lasciano spazio, piuttosto, a divisioni e faide, a ringhiose zolle contrapposte, a giacimenti di odio pronti ad infiammarsi. Il crinale non sarà più quello tra i neri e i bianchi, magari, tanti passi avanti sono stati fatti nel pianeta che vede il presidente nero della più potente nazione del pianeta piangere il suo padre simbolico. Non vorremmo, tuttavia, che nella siderale distanza tra il mito Mandela, lassù, e il resto che siamo ci sia una specie di scusa a giustificare un bene inarrivabile, un orizzonte irraggiungibile al quale tendere a parole e nelle preghiere, ma poi in concreto mica tanto. Quanto più il ricordo di Madiba scolora in una sorta di giustificata santità, di diafana sovrumanità, tanto più ci si rassegna che poi il mondo vada come vada, e tanti saluti a Mandela. Il leader sudafricano, un po come Wojtyla, è stato da giovane uomo più di carne che di ossa, fisico, pugilistico, vitale, e finito in un lungo addio di malattia e fragilità, simbolo di una pazienza dolce e sofferente. Ci spiacerebbe se ci consolassimo soltanto con questo estremo in exitu, con la sua avvolgente grazia, con il carisma e la pietas della fine. Perché è più facile e autoassolutorio confinarli lassù, divini e disincarnati, meno faticoso amare Imagine che Instant Karma. @nomfup GLI IDEALI DI MADIBA Il suo genio politico: pace con i nemici, non con gli amici ALESSANDRO CARRERA Per quanto sembri incredibile, questi si sentono ancora negli stati al di sotto della cosiddetta linea Mason-Dixon che separa il nord dal sud. La riconciliazione nazionale, quella per cui Mandela ha lottato una volta divenuto presidente, negli Stati Uniti sembra essere messa in discussione ora che hanno il loro primo presidente nero. Non va dimenticato che furono anche le manifestazioni anti-apartheid negli Stati Uniti, all inizio degli anni Novanta, a galvanizzare l opinione pubblica mondiale e a decretare la fine morale dell apartheid, ancora prima di quella storica. Senza l apporto dei militanti americani, Mandela avrebbe fatto più fatica a porre fine al brutale sistema di discriminazione che vigeva nel suo paese. Ma le proteste americane avvennero senza nessun appoggio dall alto, senza la partecipazione attiva di chi allora era alla Casa Bianca. Ronald Reagan non aveva dubbi sulla chiarezza morale (in America il termine moral clarity ha una connotazione pressoché religiosa) da esercitare nei confronti del comunismo, ma di dubbi ne aveva fin troppi quando si trattava di esercitarla contro il regime sudafricano dell apartheid. Per anni, molti leader che sostennero apertamente la lotta di Mandela lo fecero per ragioni apertamente anti-occidentali: Fidel Castro, Gheddafi; questi erano gli amici di Mandela quando uscì dai suoi ventisette anni di prigione. E lui non li rinnegò, anzi andò a stringergli la mano, facendo temere all occidente che il nuovo Sudafrica avrebbe potuto incamminarsi verso la stessa strada, e che il risultato sarebbe stata un atroce guerra civile. Qui intervenne il genio politico di Nelson Mandela, che ci vorranno forse decenni per apprezzare in tutta la sua portata, nonché nelle sue moltissime e attualissime implicazioni. Riuscì a non inimicarsi nessuno. Certo, non tutti gli furono amici, ma non sorse nessuno che avesse una statura o un carisma tale da contestare la sua leadership. La vita di Nelson Mandela, o Madiba, che era il suo nome di appartenenza, è stata costellata da sconfitte, errori, ripensamenti, un passo avanti e molti indietro, delusioni, difficoltà spaventose. Ma se si è conclusa in un trionfo, ciò è dovuto alla sua capacità di comprendere e incarnare il principio più difficile della politica. Il vero leader non è responsabile solo dei valori della sua parte, fosse anche la più giusta del mondo, ma anche dei valori del proprio avversario, e perfino di quelli che non si possono condividere in alcun modo. La responsabilità politica non è relativismo e non significa condivisione. Qui tocchiamo l etica del Politico. E la politica è un arte greca. Nata in una cultura politeista, non può e nemmeno deve scrollarsi di dosso, pena la sua fine, il fatto di dover rendere conto a molti dèi, e non a uno solo. Ogni parte adora il suo Dio, e nessuna intende convertirsi alle ragioni dell altro Dio. Ma dove la conversione e l abiura sono impossibili, il politeismo può venire in soccorso. Il capolavoro di Nelson Mandela fu il processo di riconciliazione nazionale, la constatazione che il Sudafrica era essenzialmente un paese politeista, vale a dire multiculturale, fatto di molte lingue e molte razze, incluse le lingue e le razze dei bianchi oppressori (Mandela imparò perfino l Afrikaan, la lingua dei colonizzatori, per poter entrare in sintonia con loro). Il processo non fu indolore. Nella commozione determinata dalla sua scomparsa le tensioni tra Mandela e De Klerk non vengono ricordate, ma ci furono, e il contrario sarebbe stato impossibile. La sua ex moglie, Winnie, lo accusò di volersi ingraziare i bianchi più che difendere i neri. Ma il risultato fu che un paese di ventisette lingue e chissà quante tribù ed etnie conobbe momenti durissimi, ma non piombò in una guerra interna che l avrebbe isolato dal mondo e forse distrutto. La pace si fa con i nemici, non con gli amici. Ma per far pace con il nemico bisogna sapere chi. O, con le parole di Sun Tzu, l antico autore dell Arte della guerra, «Se conosci il nemico e conosci te stesso, non dovrai temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso e non il tuo nemico, per ogni vittoria conquistata soffrirai una sconfitta. Se non conosci né il tuo nemico né te stesso, soccomberai in ogni battaglia». «Ho vissuto per gli ideali di Mandela e ho cercato di farli vivere» ha detto Obama non appena appresa la notizia, ricordando che la sua prima azione politica da adolescente fu la partecipazione a una manifestazione contro l apartheid. «Il mondo ha perso un uomo influente, coraggioso e buono, dotato di una fiera dignità. Il suo tragitto da prigioniero a presidente è l essenza di tutto quello a cui un uomo può aspirare. Non sono un santo, diceva, almeno che un santo non sia un peccatore che non smette di cercare di migliorarsi. Mandela era un uomo guidato dalle sue speranze e non dalle sue paure. Non vedremo altri uomini come lui. Ha preso la storia tra le mani e l ha piegata ai suoi fini. Ora appartiene alle epoche».

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<COMMENTI> 5 sabato 7 dicembre 2013 UE Le politiche di austerità hanno fallito PATRIZIA TOIA Un Europa diversa è possibile: non è un facile slogan, ma una vera e propria strategia di politica economica, con un forte impatto democratico e sociale. Un Europa diversa è possibile: non lo diciamo solo noi del Gruppo S&D, che dall inizio della crisi abbiamo sempre contrastato, in parlamento le cieche misure proposte dalla Commissione europea e votate da un parlamento troppo conservatore. Oggi lo afferma anche lo studio Indipendent Annual Growth Survey 2014, redatto da tre istituti economici indipendenti (Eclm, Imk, Ofce) e presentato a Bruxelles nell ambito della conferenza internazionale Progressive economy che il nostro gruppo ha promosso con una partecipazione anche dei parlamenti nazionali, anche del Pd. Cinque anni dopo l inizio della crisi finanziaria nel 2008 l area dell euro è ancora in crisi. Forse non sono sbagliate solo le politiche, ma anche le premesse? L analisi dello stato dell Ue e della zona euro presentata dell indagine è molto diversa da quella della Commissione nell Analisi annuale della crescita. Le politiche condotte finora infatti, in particolare l austerità, non solo hanno fallito, ma hanno spostato gli squilibri senza risolverli: dal conto corrente alla disoccupazione, dal deficit pubblico alle disuguaglianze. Il costo che i cittadini hanno pagato per riconquistare la fiducia dei mercati (peraltro riconquistata più grazie all intervento della Bce che non alle politiche di consolidamento dei bilanci) è stato troppo alto e ha provocato un enorme disastro economico: la disoccupazione ha raggiunto il record del 12,2 % nella zona euro e alcune stime indicano che il 64 % dell aumento della disoccupazione nell Ue alla fine si trasformerà in disoccupazione di lunga durata. Come conseguenza aumentano le disuguaglianze, la povertà è crescente in molti paesi e pesa sul futuro la prospettiva che questa austerità porti a uno smantellamento, un tassello alla volta dei sistemi sociali. I paesi del sud Europa come Spagna, Croazia, Cipro, Italia e Grecia hanno registrato un sorprendente aumento della disparità di reddito e un deterioramento del tenore di vita, soprattutto per le persone di fasce di reddito più basse, ma anche un aumento dei tassi di povertà (i dati Eurostat relativi al 2012 pubblicati oggi dicono che dopo la Grecia, l Italia è il paese della zona euro dove il rischio di povertà ed esclusione sociale è più alto. Nel 2012, in Italia il 29,9% della popolazione era a rischio povertà, in Grecia il 34,6%). Le stime presentate da Iags affermano che dal 2014-15 la disoccupazione dovrebbe iniziare a diminuire, ma ai ritmi attuali, torneremo al livello di occupazione del 2007 solo nel 2023. Le simulazioni dimostrano che politiche di sviluppo avrebbero evitato, nella maggior parte dei paesi la recessione degli anni 2012 e 2013, avrebbero portato allo stesso rapporto debito/pil nel 2032 e la disoccupazione sarebbe oggi inferiore a quello che è di 1,7 punti. Non possiamo non evidenziare che le conseguenze dell austerità non solo sono economiche, ma anche politiche: a sei mesi dalle elezioni del maggio 2014 la fiducia nelle istituzioni europee è al livello più basso dal 2004 e un crescente antieuropeismo, con derive populistiche, serpeggia in tutta Europa (Italia compresa). Noi del gruppo S&D vogliamo essere credibili e, anche in vista dell appuntamento del prossimo anno, continuare a battere il chiodo sulle nostre proposte alternative. Lo studio ne suggerisce cinque, in linea con quanto da anni stiamo portando avanti. In primo luogo, visto che in Europa si stanno creando due gruppi di paesi, quelli che sono ancora nel pieno della crisi e quelli che ne stanno uscendo, portando al nascere di interessi diversi, occorre innanzitutto agire sulla politica monetaria che deve concentrarsi sulla riduzione delle differenze che ancora esistono nell area Dal voto del 2014 potrebbe nascere un Europa di sviluppo e solidarietà dell euro. Gli strumenti possono essere, tra gli altri, una mutualizzazione del debito e il Redemption Fund. Occorre un impegno forte per garantire la sicurezza dei tassi a breve termine. In secondo luogo lo sblocco degli investimenti pubblici: le simulazioni mostrano che un aumento degli investimenti pubblici aumenterebbe notevolmente il Pil e ridurrebbe la disoccupazione, migliorando la posizione fiscale degli stati, nonostante la maggiore spesa pubblica sostenuta. Sugli investimenti ci è chiara anche la strada da percorrere: il cambiamento climatico e l aumento del costo dell energia del nostro continente, unito alla dipendenza energetica ci offrono l opportunità di reagire programmando una transizione verso un economia a basse emissioni di carbonio. Lo studio su questo insiste molto, dedicando un intero capitolo che parla di un piano di investimenti per l Unione per un totale di quasi 200 miliardi di euro annui per che prevede lo sviluppo di alternative al trasporto su strada, la riqualificazione energetica, l ammodernamento della rete elettrica in tutta Europa, un passaggio alle rinnovabili. Questo Green New Deal non deve essere contabilizzato nello stesso modo come spesa corrente,ma dovrebbe valere la golden rule, per la quale il nostro gruppo si è molto battuto. Inoltre, è giunto anche il momento di ridiscutere il limite del 60% per il debito pubblico e spostarsi verso un nuovo approccio: le simulazioni mostrano che il piano di investimenti proposto, sostenuto al 2020, comporterebbe un immediato aumento del Pil attorno al 2,5% nell UE. La quarta proposta riguarda la povertà e le disuguaglianze che devono essere combattute, non solo perché solo moralmente inaccettabili, ma anche perché è dimostrato che hanno un forte impatto sull economia. Bassi livelli di istruzione portano a meno prosperità economica. L approccio alternativo che viene proposto consiste in un piano di investimenti europeo per un mercato del lavoro attivo, che preveda un aumento del livello di istruzione e un sistema fiscale più equo, per ridurre la povertà, la disuguaglianza e la disoccupazione attraverso la creazione di posti di lavoro. Infine occorre con urgenza una norma sul salario minimo per tutta Europa, da attuarsi nel rispetto delle leggi nazionali e delle situazioni economiche. Il cambio di passo non può più attendere: ci auguriamo che i cittadini, alle elezioni del maggio 2014, diano la maggioranza alle forze progressiste per rimettere in discussione le politiche di austerità e tornare a un Europa di crescita e di solidarietà LA LETTERA Vespa-Letta: sms e appuntamenti mancati BRUNO VESPA Caro direttore, Giovanni Cocconi ha avuto la cortesia di telefonarmi prima di scrivere il suo articolo ( E Letta disse no a Vespa ) pubblicato ieri da Europa. Ma ha trascurato due dettagli a mio avviso decisivi. Fu il presidente del consiglio la sera del 16 settembre scorso, dopo la registrazione di Porta a porta, a darmi il consenso a essere intervistato per il mio libro e a dirmi di fissare l appuntamento mandandogli un sms. E fu sempre lui e non un generico Palazzo Chigi a chiamarmi direttamente sul cellulare dal suo quando un paio di amici comuni a libro ormai uscito gli avevano riferito della mia (e della loro) sorpresa per l appuntamento mancato, dopo una rincorsa inutile quanto imbarazzante, viste le assicurazioni precedenti. «Non l ho fatto perché temevo le anticipazioni», mi ha detto Letta. «Potevi dirmelo gli ho risposto le avremmo concordate come con Monti». «Va bene, sarà per il prossimo libro», ha concluso il presidente del consiglio. È uno schiaffo, come scrive Cocconi con trasparente godimento? Giudichi il lettore. NICOLA MIRENZI n icona di tutte le rivolte», «Uscrive Nichi Vendola sulla sua pagina Facebook. E giù commenti. «A individui come voi avrebbe insegnato come si tratta il popolo» commenta un Logan JH. Mentre Carlo Mio lo avverte: «Prova a immaginare cosa scriveremo di te quando ci lascerai». E per segnare la distanza tra il Politico per eccellenza e i politici italiani, accomunati tutti nello stesso fascio, ecco l accusa di Marco Zingarello: «Se ne vanno sempre i migliori, noi siamo costretti a tenerci i buffoni». Mandela è l autoritratto di ciascuno, uno per ognuno dei miliardi di noi che vivono su questa terra. E in realtà tutti vedono disegnata POLITICI ALLO SPECCHIO A ognuno il suo Madiba dentro quella faccia e quella storia la propria immagine, la conferma delle proprie idee e le superstizioni, i paradossi e i desideri. Alcuni folli, come quelli di Mario Borghezio, che scrive: «Scontato e doveroso il rispetto verso un eroe indipendentista come Nelson Mandela, però nessuno si pone al questione della tutela della minoranza bianca in Sudafrica, vittima di un persecuzione». Altri accurati, come quelli di Emma Bonino: «Ho avuto l emozione di conoscerlo e di lui ho ammirato l onestà intellettuale di aver dato al presidente Willy De Klerk la sua parte di merito per il superamento dell apartheid in Sudafrica». Matteo Renzi pubblica su Facebook una foto con il leader sudafricano e scrive: «Un gigante, Mandela. È stato in assoluto uno dei più importanti protagonisti del ventesimo secolo. Quando gli ho dato la mano, consegnandogli il fiorino d oro di Firenze, mi è sembrato di toccare la storia. Nelle sue mani c erano il peso e la grandezza di una vita combattuta in difesa di un ideale». Parole che hanno fatto però arrabbiare l altro candidato alla segreteria del Pd, Pippo Civati: «Non ho una foto con Mandela ha polemizzato e comunque non l avrei pubblicata», costringendo il sindaco di Firenze a toglierla dal suo profilo. E a questo punto, ovvio, anche Civati ha dato la sua versione di Mandela: «Oggi c è molta superficialità e troppo gossip spiega la sua scomparsa mi dà l occasione di dire che abbiamo avuto dei grandissimi leader nella storia e noi siamo uomini piccoli». Però numerosi. E con una voglia matta di salire sulle spalle di un gigante e scattarsi un selfie. Cheese. EUROPA Draghi non regalerà soldi alle banche ROBERTO SOMMELLA Dunque l unica strada è coinvolgere il sistema bancario con una nuova operazione Ltro di finanziamento (Long term rifinancing operation) da parte della Bce a tassi agevolati, ma a precise condizioni, come ha chiarito il suo presidente: «Dobbiamo essere sicuri sia usata per economia, che non vada a sussidio della formazione di capitale bancario con il carry trade», ha annunciato Draghi. L Eurotower potrebbe quindi presto varare una mega operazione di rilancio dell economia europea prestando soldi agli istituti di credito con l obiettivo di assicurare che i banchieri impieghino però il denaro ricevuto per finanziare le aziende e non lo investano altrove, per esempio in titoli di stato, come hanno fatto in passato. Finora sono stati prestati oltre mille miliardi di euro alle banche ma quest ultime hanno lesinato i soldi alle aziende e si sono invece rimpinzate di debiti sovrani a tassi remunerativi, un eventualità che ha già fatto drizzare la antenne alle agenzie di rating. La nuova Long term rifinancing operation, probabilmente accoppiata anche ad un tasso negativo per il parcheggio di liquidità delle banche presso Francoforte (altro strumento atto ad evitare l utilizzo strumentale dei prestiti Bce) sarebbe a tasso fisso e avrebbe una durata più breve rispetto a quelle di fine 2011 e inizio 2012: tra i 9 e i 12 mesi, invece di tre anni. Si tratta di una cura shock per evitare quella che Paul Krugman ha definito, con una sana dose di cinismo, «una stagnazione secolare». Il presidente della Bce avrebbe ipotizzato un modello di finanziamento molto simile a quello utilizzato nel Regno Unito con il programma Funding for lending, che peraltro ha in parte deluso le attese. Perciò i rifinanziamenti Ltro andranno calibrati attentamente ma è del tutto intuitivo quanto possa essere utile prestare altri mille miliardi di euro alle banche da riversare poi all economia. È possibile che ci siano condizioni specifiche in merito alle garanzie utilizzabili dalle banche e altri osservatori giurano che la nuova operazione degli gnomi di Francoforte sarà lanciata prestissimo, già nel primo trimestre 2014. Le novità vanno inquadrate non solo come un tentativo per aumentare i prestiti e la liquidità in circolo, ma anche come risposta alle pressioni della Bundesbank, che vuole fortemente evitare che i bilanci bancari si riempiano appunto di titoli di stato perpetuando all infinito il rischio default sovrano. Non solo. I tedeschi spingono anche per una ponderazione non più pari a zero ai fini del calcolo degli indici patrimoniali dei titoli di debito pubblico e gli esiti di questa mossa, se le indiscrezioni dovessero essere confermate, non tarderanno a riverberarsi nei prossimi test a cui si sottoporranno le banche del Vecchio Continente. Per dirla in soldoni o se preferite in tedesco, fare debito sarà ancora più peccato. Ecco perché la Bce pensa a un cambio di strategia, con gli istituti di credito costretti a prestare soldi alle aziende e non più agli stati. Gli americani già plaudono all iniziativa, da gente pragmatica hanno immesso nell economia negli ultimi cinque anni la bellezza di 4.500 miliardi di dollari, e in fondo temono come la peste la deflazione europea. Il piano di rinascita europea targato Bce riuscirà? Difficile a dirsi. Anche perché domani 8 dicembre sarà una data cruciale per le sorti dell Europa. Da quel giorno, oltre a conoscere chi sarà il nuovo segretario del Pd, cominceranno ad essere resi noti i risultati della consultazione dei 470 mila militanti della Spd a proposito del patto firmato con la Cdu di Angela Merkel e già ribattezzato il mostro GroKo. Come ha scritto il Der Spiegel, «Sigmar Gabriel, il leader del partito, ha pensato di indire una consultazione per approvare la nascita del governo. Nelle sue intenzioni doveva essere un modo per facilitare le trattative, ma il referendum si è trasformato in un rischio per il partito, la Germania e l Europa». I circoli socialdemocratici devono decidere se benedire o meno il terzo mandato della cancelliera, e alcuni sondaggi indicano la tendenza ad un parere negativo. Un no della base, oltre a segnare un passo falso clamoroso della politica tedesca, potrebbe condurre a nuove elezioni. Un esito che creerebbe una grandissima incertezza anche nella zona euro, a pochi mesi dalle consultazioni stellate, con il probabile risultato di paralizzare il dibattito sulle riforme economiche e magari anche l agognato rifinanziamento alle imprese dell Eurotower. @SommellaRoberto

Si vota Domenica 8 dicembre dalle ore 8 alle ore 20 Hanno diritto di voto le cittadine e i cittadini che hanno compiuto il sedicesimo anno di età. Per trovare il tuo seggio vai su www.primariepd2013.it e inserisci il numero della tua sezione elettorale oppure chiedi in un circolo del PD. Chi non si è registrato online può farlo anche al seggio L iscritto al PD deve portare la tessera elettorale, il documento di identità e la tessera del partito. Il non iscritto al PD deve portare la tessera elettorale, un documento di identità e versare 2 euro.