/ 5 / 2012 / Facciamo il punto. Decrescita felice. di Massimo De Maio



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Transcript:

Decrescita felice di Massimo De Maio Le aree cosiddette marginali, sono definite così da un sistema economico basato su determinati paradigmi. Si tratta, in realtà, di territori interessanti come luoghi in cui proporre laboratori di nuove pratiche economiche e sociali. Ma per capire come un territorio come il Molise, o quello della Marsica da cui io provengo, o altri ancora, possano diventare dei laboratori di una nuova maniera di fare economia, ma anche società, è necessario comprendere la natura della crisi nella quale siamo calati in questo momento storico. È stato detto benissimo da Gnesutta, che quella attuale non è una congiuntura negativa di un ciclo economico, ma è una crisi di sistema. È stato detto che è il risultato di diverse crisi che si sommano: crisi di produzione, di occupazione, della finanza pubblica legata al debito. Ci sono però anche altre crisi, sul piano ambientale e su quello geopolitico, legate al controllo delle fonti energetiche, fondamentali per il nostro modello di sviluppo e il cui controllo diventa sempre più diseconomico. Ci costa cioè sempre più fare guerre e presidiare determinati territori per portarci a casa qualche barile di petrolio. Dobbiamo tracciare almeno alcune caratteristiche di questa crisi e vorrei farlo affrontando qualche mito legato all idea di crescita economica. Siamo inseriti in un paradigma economico e culturale che per circa due secoli, dalla rivoluzione industriale ad oggi, ha ritenuto che la crescita della produzione e dei consumi fosse un obiettivo positivo nella fase iniziale lo è anche stato ma soprattutto un obiettivo perseguibile all infinito. Non ci siamo posti il problema che questo tipo di crescita ad un certo momento non sarebbe stato più possibile. Possiamo convenire sul fatto che in altre epoche storiche la crescita economica ha creato occupazione e benessere, ma in questo momento non è affatto detto che la crescita sia necessaria per affrontare, ad esempio, il problema del debito pubblico. Sul sito del periodico «The Economist» 1 è stata pubblicata una mappa che descrive la situazione mondiale rispetto al debito pubblico. A leggerla ci si rende immediatamente conto che quello del debito pubblico non è un pro- 1 http://www.economist.com/blogs/graphicdetail/2012/09/global-debt-guide. 31

blema che riguarda solo la Grecia o l Italia, ma tutti i paesi dell Occidente capitalistico. Prendiamo atto dunque che c è il debito pubblico, che esso riguarda tutte le economie avanzate, industrializzate; resta da spiegare da dove arriva questo debito, perché nei paesi occidentali è così alto. La risposta sta nella constatazione che in un economia come la nostra il debito pubblico è necessario per sostenere i consumi. Per decenni noi abbiamo prodotto debito per economie che erano in costante sovrapproduzione; che producevano sempre assai più di quanto si potesse ragionevolmente consumare e nelle quali, dunque, lo Stato, indebitandosi, inseriva le risorse necessarie affinché i cittadini potessero acquistare e consumare. Tanto è vero che il modello keynesiano funziona meglio quando è legato alla propensione al consumo delle persone. Se c è una propensione al consumo del proprio reddito piuttosto che al risparmio, lì il modello keynesiano funziona meglio. Questi aspetti mi fanno dire che Keynes va studiato come va studiata tutta la storia della teoria economica, tenendo però ben presente che ci troviamo in una fase nella quale la teoria keynesiana non può essere applicabile ad un concreto modello economico. Diremo poi di come si possano spendere risorse pubbliche senza creare debito. Vorrei prima fare una considerazione sul debito privato, dal momento che non esiste solo il debito pubblico, ma negli Stati moderni il debito si compone della frazione pubblica e di quella privata che, per esempio, negli Stati Uniti è altissima in conseguenza dell esplosione negli ultimi decenni del cosiddetto credito al consumo, un debito del tutto funzionale all economia della crescita. Altro punto critico del tradizionale modello di sviluppo occidentale sta nell assunto che la crescita economica crei automaticamente benessere per le persone. Devo dire che rispetto a quando si è iniziato a parlare di decrescita felice, qualche anno fa, ci sono molti segnali di messa in discussione di questo assunto. Si possono citare il rapporto della Commissione Stiglitz in Francia e il documento a firma di Barroso intitolato Oltre il Pil e possiamo aggiungere che lo stesso Istat a partire dall anno scorso ha cominciato a studiare indicatori di performance economica diversi e integrativi del Pil. In generale tutti ormai diciamo con una certa consapevolezza che la crescita dei consumi ai livelli odierni non crea ulteriore benessere. Un altro mito che il movimento per la decrescita felice vuole mettere in discussione è quello secondo il quale la crescita economica crei sempre occupazione. Per molti decenni lo abbiamo creduto e qualcuno ancora oggi si dice convinto che se cresce il Pil l occupazione aumenta. In realtà, sul lungo periodo, se andiamo a vedere i dati Istat, in Italia è successo l esatto contrario. Dagli anni Sessanta agli anni Novanta il Pil nazionale è triplicato; negli anni Sessanta gli occupati erano 20 milioni, negli anni Novanta erano sempre 20 32

De Maio, Decrescita felice milioni. La piena occupazione non è un obiettivo dell impresa; l obiettivo dell impresa non è creare occupazione ma è l esatto contrario, aumentare la produttività dei fattori che concorrono alla produzione; insomma lo stesso numero di persone deve mettersi in condizione di produrre di più. In questo sistema, sul lungo periodo, è accaduto che proprio l aumento della produttività ha sacrificato l occupazione e non solo in Italia; un esempio per tutti sono le politiche della Tatcher in Inghilterra. Siccome la crisi ecologica è, tra le differenti crisi, importante e centrale, bisogna dire che un incremento della produzione a livello planetario non è possibile per limiti fisici del nostro sistema di approvvigionamento delle risorse, di quelle energetiche innanzitutto. In questo momento noi già stiamo consumando una quantità di risorse estremamente superiore rispetto a quella che ci potremmo permettere. A livello globale è quindi impossibile parlare di una crescita ulteriore. È dunque preferibile parlare di decrescita. L obiettivo che dovrebbe darsi il sistema economico attualmente è quello di ridurre il volume complessivo dei consumi, innanzitutto attraverso un miglioramento delle tecnologie. Io credo che l innovazione tecnologica sia fondamentale per la decrescita economica. Sono contrario a chi dice che ci sarebbe bisogno di una moratoria dell innovazione tecnologica, prima di tutto perché non praticabile e comunque neppure auspicabile perché dobbiamo essere in grado di produrre le stesse cose che già produciamo con un efficienza estremamente maggiore e quindi utilizzando una quantità di risorse enormemente inferiore a quella attuale. Un esempio è quello dell efficienza energetica degli edifici sia pubblici che privati. In questo momento noi abbiamo edifici che consumano fino a 10 volte l energia che sarebbe necessaria per la loro climatizzazione. Per ridurre i consumi attuali o addirittura per avere immobili che producano più energia di quella che consumano, abbiamo bisogno di tantissima tecnologia: sensori di temperatura interna ed esterna e superficiali sui muri per la regolazione automatica di tutti gli impianti, sistemi di meccanica controllata di recupero del calore, pannelli fotovoltaici che siano sempre più performanti. Ad esempio, l Università di Tor Vergata sta mettendo a punto delle cellule fotovoltaiche fatte con materiali organici come i residui di frutti di bosco. Potrei citare altri esempi come una nuova tecnologia per l auto ad aria compressa che dovrebbe essere messa sul mercato nel 2013, non tanto interessante per la tecnologia di propulsione, quanto per la modalità della produzione; anche se quello di cui più abbiamo bisogno non è sostituire l auto a benzina con l auto elettrica, ma sostituire la mobilità privata con la mobilità pubblica. La tecnologia, in buona sostanza, ci consente di produrre quello che già produciamo con un minore impiego di risorse e ci consente anche di cambiare il tenore organizzativo dei nostri processi economici. Si prevede, ad esempio, che l auto ad aria compressa, essendo un veicolo molto semplice dal punto di vi- 33

sta tecnologico, sia realizzabile non da poche grosse fabbriche sparse per l Europa, come accade per le auto tradizionali, ma in tante piccole e piccolissime fabbriche diffuse sul territorio; una specie di filiera corta dell automobile, con un beneficio in termini di incremento dell occupazione del 30 per cento. Ci sono altre esperienze che si stanno affermando in giro per l Italia. Penso ai gruppi di acquisto solidale, che sono la testimonianza di come si possa rivoluzionare la filiera distributiva del cibo; a modalità per utilizzare intelligenza sociale, software informatici, senza passare per l acquisto del programma. Quindi esiste la possibilità di riorganizzare i processi economici e produttivi, ma l obiettivo finale, dal punto di vista dei fautori della decrescita felice, è la riduzione globale del consumo e della produzione di merci e di conseguenza anche del Pil, mentre finora quello che si è ridotto è il reddito delle famiglie e delle persone. Lo stesso reddito non può essere preso come un valore assoluto; se si riduce il reddito il problema per le persone e le famiglie diventa quello di che cosa fare con le risorse che restano disponibili. Vi faccio l esempio di una ricerca effettuata dal nostro movimento nel 2009, appena scoppiata la crisi del 2008. Si tratta di un piccolo studio, pubblicato poi in forma sintetica, sui risparmi economici ottenibili da una famiglia media romana, con 15 comportamenti ecologicamente corretti. Abbiamo calcolato quanto si risparmiava a bere l acqua del rubinetto anziché quella nelle bottiglie di plastica, consumando il latte alla spina anziché quello nel brik di tetrapack, usando i pannolini lavabili invece di quelli usa e getta, u- sando il car sharing invece che ognuno la propria auto, acquistando insieme i prodotti agricoli direttamente dagli agricoltori, prendendo piccoli provvedimenti in casa per ridurre i consumi e il riscaldamento. Cose semplici che non richiedono investimenti; per esempio un pannello riflettente dietro al radiatore posto sul muro esterno della casa in modo che il calore venga riflesso verso l interno. Con questi semplici accorgimenti una famiglia può risparmiare più di 5.000 euro all anno, 5.250 per l esattezza. Quindi se oggi per motivi di recessione o domani, come mi auguro, per una scelta consapevole di decrescita felice, il mio reddito si dovesse ridurre di 5000 o più euro all anno, io ho la possibilità di soddisfare i miei bisogni con modalità alternative rispetto a quelle che utilizzo oggi e complessivamente il benessere, la qualità della vita delle persone può anche non cambiare, anzi può addirittura migliorare. Se io consumo verdura e frutta fresca comprata direttamente dal contadino, vuol dire che non è passata dai frigoriferi e quindi non marcisce in 2 giorni; costa di meno a me e fa guadagnare più a chi la produce. Se consumo meno energia produco meno inquinamento. Dunque i vantaggi sono tantissimi e la riduzione dei consumi, del reddito e del Pil, addirittura potrebbe migliorare la qualità della nostra vita. 34

De Maio, Decrescita felice Passerei adesso ad altri esempi di cose che si possono fare in contesti piccoli come il Molise, ma non senza riprendere il discorso sull occupazione al quale poc anzi ho già accennato; partendo dall assunto che la crescita economica non crea occupazione e dunque ci si potrebbe affidare alla decrescita. Se invece di pensare all obiettivo dell occupazione tout court, ci orientassimo verso quello dell occupazione utile, potremmo cominciare a cambiare anche gli effetti delle nostre politiche. È stato fatto, nel corso del nostro seminario, l esempio paradossale di abbeveratoi costruiti in luoghi dove non ci sono mucche, pur di creare occupazione nel realizzarli; in realtà questo si continua a fare, pensate per esempio a quello che sta succedendo in Val di Susa con la Tav. A questo proposito, a prescindere dall utilità dell opera, io vorrei concentrarmi sui costi che essa comporta e sui suoi effetti sull occupazione. Dai dati forniti dal governo italiano, il costo dell opera dovrebbe aggirarsi intorno ai 21 miliardi di euro e l impatto occupazionale dovrebbe essere di circa 7.000 unità impegnate. Il Movimento per la decrescita felice ha calcolato quello che produrrebbero, in termini occupazionali, 22 miliardi di euro investiti nella riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico, scuole e uffici pubblici, che verrebbero ristrutturati per consumare meno e- nergia. Dal calcolo è risultato che i nuovi occupati sarebbero tra i 100.000 e i 130.000 rispetto ai 7.000 della Tav. Questo perché per realizzare la linea ad alta velocità in Val di Susa abbiamo bisogno di grandi investimenti in attrezzature ad esempio la grande fresa necessaria per trivellare la montagna piuttosto che in occupazione. Nel caso della riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico occorrono persone che lavorino manualmente per sostituire infissi, isolare tetti e pareti, adeguare gli impianti; tutti interventi che richiedono molta manodopera. Naturalmente un intervento di questo tipo comporterebbe una riduzione drastica della bolletta energetica ma, soprattutto, la realizzazione di opere che non creano ulteriore debito. Non si tratta della classica politica keynesiana basata su investimenti: fare debito e creare occupazione. Si tratta piuttosto di investire non solo creando occupazione ma determinando risparmio che mi consente di reintegrare i capitali investiti. La costruzione dell autostrada del Molise, ad esempio, creerebbe occupazione ma contemporaneamente debito, non fosse altro per il fatto che l opera realizzata richiederebbe una costante e onerosa manutenzione. Qualcuno sta cominciando a rendersi conto che le ipotesi di decrescita felice non sono campate in aria, ma rappresentano una prospettiva credibile soprattutto in tempi di crisi. Il mese scorso la rivista della Confapi, l Associazione italiana della piccola e media impresa, è uscita con una copertina sulla decrescita e con uno speciale dedicato all idea di non puntare più alla crescita economica ma alla riduzione dei consumi come strategia di lungo periodo 35

per le piccole e medie imprese italiane. In quel numero della rivista si parlava di tutti i processi produttivi che s irradiano sul territorio, dall agroalimentare all abbigliamento. È il caso della Astorflex che produce scarpe. Come è noto, la quasi totalità delle aziende italiane hanno cominciato a delocalizzare la produzione di calzature. Quest azienda ha invece deciso di riportare in Italia una linea di produzione e di vendere delle scarpe di qualità anche dal punto di vista ambientale in quanto prodotto con sostanze naturali e atossiche; anziché usare i vecchi canali di distribuzione come i centri commerciali, usa esclusivamente i gruppi di acquisto solidale che, detto per inciso, si sono vertiginosamente moltiplicati negli ultimi due o tre anni. Di tutti questi approcci strategici il Movimento per la decrescita felice discute con la Confapi, ha realizzato un incontro a Solarexpo che è la più grande fiera sulle energie rinnovabili che si fa ogni anno a Verona. Tutto questo si può fare e, a tale proposito, segnalo una trasmissione di Radio 24, invitandovi ad ascoltarla ogni domenica alle 12, il cui titolo è proprio Si può fare. In ogni puntata, due minuti sono assegnati al Movimento della decrescita felice, perché venga raccontata un esperienza concreta di riduzione dei consumi e miglioramento della qualità della vita. In questa trasmissione si riportano esperienze di nuove proposte innovative, iniziative di pubbliche amministrazioni, nuove esperienze imprenditoriali. Tutto queste iniziative vengono attivate così come nel convegno Molise futuro/prossimo con l obiettivo di coinvolgere i differenti attori sociali. Anche noi del Movimento per la decrescita felice siamo convinti che il cambiamento sia possibile solo se si riesce a coinvolgere le tre parti fondamentali della società: i cittadini che devono cambiare i loro stili di vita, le pubbliche amministrazioni che devono lavorare in favore del cambiamento e le imprese con il cambiamento di prodotti e processi produttivi. Se questi tre soggetti andranno insieme nella stessa direzione, il cambiamento sarà possibile e lo sarà a maggior ragione nelle piccole realtà dove le relazioni sociali sono un altro pilastro della decrescita felice. È indispensabile condividere, all interno della comunità, una serie di pratiche, di comportamenti, più facili da adottare se lo si fa insieme. 36