MBA Imprenditori Imprenditori a tutto tondo



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Transcript:

MBA Imprenditori Imprenditori a tutto tondo CERIMONIA DI CONSEGNA DEI DIPLOMI MBA IMPRENDITORI 5 a EDIZIONE 29 GIUGNO 2012 CUOA EXECUTIVE EDUCATION

MBA Imprenditori (part time) MBA Imprenditori CUOA è un percorso di crescita imprenditoriale progettato per chi quotidianamente ha la responsabilità di guidare persone e gestire risorse per generare valore. È il MBA progettato sulle competenze ed esperienze degli Imprenditori, sviluppato sulle loro necessità di affrontare l innovazione, il cambiamento e l incertezza dei mercati per cogliere le opportunità e far crescere le loro imprese. Il Master è pensato per Imprenditori, loro familiari, amministratori e soci. Donne e uomini con almeno 4 anni di esperienza in posizioni di responsabilità strategica e direzionale, motivate ad accrescere le loro conoscenze e competenze, propense al lavoro in team. Dura 18 mesi: due fine settimana al mese alternati, alcuni "Venerdì a cena e seminari di approfondimento. Un ambiente web, totalmente dedicato al MBA Imprenditori, consente di interagire con docenti e colleghi, di svolgere lavori di gruppo e accedere a materiali di studio, documenti di approfondimento e dispense. Al termine del master viene assegnato il Diploma MBA. Alle prime 6 edizioni hanno partecipato complessivamente 115 imprenditori: 25% donne, 75% uomini; il 55% è Amministratore Delegato o Direttore Generale e il 45% è Responsabile di funzione o area (dal commerciale al marketing, dalla produzione all amministrazione, dalla gestione delle qualità ai sistemi informativi). Tutti fanno parte della compagine proprietaria e sono direttamente coinvolti nelle decisioni fondamentali dell' azienda. Fondazione CUOA la 1 Scuola di Management del Nordest, dal 1957 Un modello istituzionale unico, che rappresenta i principali attori del mondo accademico, aziendale, economico-finanziario, pubblico e delle istituzioni. Un forte radicamento in un contesto unico di imprenditorialità, di cui conosce profondamente problemi e caratteristiche. Un esperienza unica di conoscenze, competenze, professionalità, relazioni, alleanze e un organizzazione all altezza dei migliori standard europei. Un network unico di migliaia di persone preparate al CUOA, presenti nell intero tessuto economico-sociale e culturale. 1

Imprenditori a tutto tondo, di Paolo Gubitta Mario Carraro, un imprenditore a tutto tondo Crescita dimensionale e performance, di Diego Campagnolo Estetica e organizzazione, di Martina Gianecchini Le vie della modernizzazione dell impresa piccola e media, di Giovanni Costa La scuola di musica Thelonious Monk: un altra eccellenza del Nord Est Allievi MBA Imprenditori 5^ ed. (2010-2012) Alumni MBA Imprenditori Faculty MBA Imprenditori 5^ ed. (2010-2012) Staff Area Imprenditorialità CUOA Quaderni MBA Imprenditori 2

Imprenditori a tutto tondo, di Paolo Gubitta La Cerimonia di Diploma MBA del mio MBA Imprenditori è sempre un evento carico di significati. È carico di significati perché tutta la squadra coinvolta (gli imprenditori allievi e noi dello staff CUOA) parte sempre con tante aspettative: di imparare cose nuove, di consolidare le competenze, di conoscere persone interessanti, di crescere sul piano professionale e sociale. Per quel che mi riguarda, le mie aspettative nei vostri confronti sono state tutte ampiamente soddisfatte, e spero che lo siano state anche una buona parte delle vostre. È carico di significati perché chiude un percorso di diciotto mesi impegnativo sia per voi imprenditori che lo avete frequentato, sia per tutti noi che lo abbiamo immaginato, progettato e gestito. Il terzo motivo che carica di significati la Cerimonia di Diploma è vedere persone adulte, con posizioni di vertice strategico nelle proprie aziende e spesso con ruoli di responsabilità nelle istituzioni e nella società civile, orgogliose di essere tornate per un periodo sui banchi di scuola, consapevoli del fatto che il lifelong learning riguarda tutti e che sarebbe irresponsabile continuare a guidare un impresa da cui dipendono le sorti di alcune, di decine o di centinaia di famiglie senza aggiornarsi periodicamente sugli strumenti manageriali e sulle tecniche di gestione emergenti. Insisto molto sul tema del lifelong learning per gli imprenditori per una duplice ragione. È noto che un economia cresce di più e meglio quando è dotata di meccanismi istituzionali che portano i capitali verso gli individui che hanno buone idee, verso le persone adeguate, ovvero quelle che, indipendentemente dalla famiglia in cui sono nate, esprimono idee e progetti meritevoli. Tali meccanismi dovrebbero agire in due direzioni. Da un lato, si dovrebbero sostenere iniziative a favore sia della nuova imprenditorialità sia dello sviluppo di operatori specializzati nel finanziamento delle prime fasi di vita delle imprese, quando le risorse più significative in possesso dei nuovi imprenditori sono più difficili da valutare, in quanto immateriali (idee e progetti di business, nuove tecnologie in fieri, e così via). Dall altro, come da 3

tempo segnalano parecchi studiosi, bisogna rendere contendibili le imprese esistenti. Noi però viviamo in un Paese nel quale, nonostante annosi dibattiti e una serie di riforme e controriforme, non si vede ancora all orizzonte un vero mercato dove si possano scambiare in modo efficiente le quote di controllo delle imprese. I colleghi della Banca d Italia segnalano da anni che la difficoltà a crescere è in parte causata dagli assetti proprietari e di controllo (concentrati e stabili) e dai modelli di governance (chiusi e un po opachi). Il loro ragionamento è lineare: chi ha le quote di controllo di un impresa e in passato è stato capace di avviare iniziative di successo potrebbe non essere il più adatto a favorire la trasformazione tecnologica e organizzativa o il salto di scala richiesto dal nuovo contesto competitivo; per tale ragione bisognerebbe favorire la riallocazione di risorse verso le persone in grado di gestire le tecnologie più moderne, di riorganizzare le imprese, di facilitare la transizione verso nuovi settori. È veramente difficile non essere d accordo con una simile affermazione. Come ben argomentò Fabrizio Barca in un libro dal titolo illuminante, Imprese in cerca di padrone, le competenze manageriali e l attitudine imprenditoriale non si distribuiscono tra la popolazione in base alla professione svolta dai genitori. Ma se non esiste un vero mercato dove si scambiano le quote di controllo, allora il trasferimento intra-familiare della proprietà è la soluzione più semplice e praticabile, anche se per la ragioni appena dette a volte può non essere la migliore astrattamente possibile. Io penso che per costruire un mercato in cui si possano scambiare in modo efficiente le quote di controllo non basti disegnare efficaci assetti istituzionali: servono anche imprenditori preparati, aggiornati e con un senso di responsabilità talmente sviluppato da rendersi conto di quando è arrivato il momento di tornare per un po sui banchi di scuola. Le caratteristiche più belle di voi, cari Allievi, sono il senso di responsabilità e il desiderio di miglioramento che vi hanno portato a cercare il CUOA in una certa fase del vostro ciclo di vita professionale per fare un salto di qualità. Quando i colleghi della Banca d Italia auspicano un mercato della proprietà delle imprese più fluido anche per facilitare la transizione verso nuovi settori, in pratica ci vogliono dire che l economia italiana deve sforzarsi di migrare verso specializzazioni settoriali a maggiore contenuto tecnologico, in cui è più elevato il livello degli investimenti in ricerca e sviluppo. Le imprese che continuano a operare nei settori a basso contenuto di tecnologia, oltre a correre maggiormente il rischio di entrare in competizione con i Paesi low cost, esprimono anche una più bassa 4

domanda di personale ad elevata qualificazione. Da qui può mettersi in moto un circolo vizioso: le aziende non riescono a spostarsi su prodotti o servizi a maggiore contenuto di tecnologia e innovazione perché manca personale qualificato; il personale qualificato non è attratto perché non ci sono abbastanza aziende che richiedono professionalità elevate. Questo rischio non è solo teorico. Secondo gli studi della Banca d Italia, ad esempio, anche se tra il 2000 e il 2007 la quota di laureati sul totale della popolazione attiva del Nord Est è passata dal 7,0% al 13,4%, l area ha perso la capacità di attirare capitale umano da altre Regioni: nel 1996-2000 questo indicatore era pari all 1,5%, ma si è azzerato nel quinquennio 2001-2005 (mentre in Emilia Romagna è pari al 5,6%). Per avviare le strategie di innovazione, per ripensare i modelli di business, per riqualificare i prodotti e progettare nuove politiche commerciali servono capitani d impresa preparati e una squadra manageriale altrettanto preparata. Ed è qui che si innesta la seconda ragione che rende strategico il lifelong learning per gli imprenditori. Se un imprenditore smette di studiare avrà qualche difficoltà in più nell avviare e gestire progetti innovativi e potrà diventare un partner meno interessante con cui fare affari. Ma soprattutto la sua impresa sarà meno interessante agli occhi di manager brillanti e giovani talentuosi. Io penso che aver frequentato con impegno il nostro MBA Imprenditori porterà vantaggi reali anche alla vostra immagine agli occhi di partner, colleghi, collaboratori e aspiranti tali. C è un ultimo motivo che carica di significati la Cerimonia di Diploma MBA della quinta edizione del MBA Imprenditori. In queste prime edizioni sono più di cento gli imprenditori che, come voi, hanno partecipato al nostro MBA. Avendoli frequentati tutti in modo non occasionale e non superficiale ho avuto modo di conoscerli in modo approfondito e di confrontarmi anche su aspetti che non riguardano la sfera professionale: l impegno sociale e civile, le passioni sportive, gli hobby più svariati, l attenzione alle varie espressioni artistiche e così via. Fino a qualche mese fa, tutte queste informazioni erano frammenti disordinati nella mia testa. Poi venne giovedì 6 ottobre 2011, quando il nostro Davide Coletto mi invitò a cena Ai Molini di Mirano per farmi incontrare Nicola Fazzini e Mauro Bordignon della scuola di musica Thelonius Monk, dove aveva studiato jazz. L obiettivo di Davide era farmi capire che la logica sottostante la musica jazz può essere trasferita con 5

benefici effetti alla gestione d impresa. Fu una serata a base di management e musica, strumenti e coordinamento decisionale. Non ricordo bene tutti i contenuti. Ma ricordo la sensazione che provai al termine. Tra me e me dissi: «Davide è veramente un imprenditore a tutto tondo». Dal 6 ottobre 2011 al 29 giugno 2012, il passo è stato breve. Collegando i vari frammenti raccolti in questi anni, mi sono sempre più convinto che voi, cari Allievi, siete imprenditori a tutto tondo : ciascuno a suo modo e con caratteristiche e passioni proprie, con impegno e coinvolgimento in certe aree piuttosto che in altre e così via; ma nessuno di voi, parafrasando Marcuse, è una persona a una dimensione. È per questa ragione che ho chiesto a Mario Carraro di essere qui con noi in occasione della Cerimonia di Diploma MBA. Mario Carraro è senza ombra di dubbio il primo moderno imprenditore a tutto tondo del Nord Est: colto, illuminato, impegnato nella società e sensibile alle espressioni artistiche. Chi meglio di lui può testimoniare che per essere imprenditori eccellenti non basta saper guidare un impresa, ma ci vuole anche dell altro? Nel documento che abbiamo preparato in occasione della vostra Cerimonia avete diversi contributi. Ho riportato alcuni passaggi di un intervista a Mario Carraro, in cui si parla della sua formazione e dell importanza che nella sua vita hanno avuto il cinema, la musica, l arte, l impegno civile e nelle istituzioni. Nel contributo di Martina Gianecchini, invece, sono indicate alcune buone ragioni per attribuire la giusta importanza alla dimensione estetica nelle vostre aziende. Il suo breve saggio si conclude con una domanda auto-esplicativa: «è opportuno superare la visione superficiale che un investimento nell estetica dei luoghi di lavoro sia solamente frutto di un vezzo dell imprenditore oppure abbia solamente uno scopo di marketing. Chi di noi vorrebbe lavorare in un azienda brutta?». Troverete anche un breve saggio di Diego Campagnolo e il testo della Prolusione che Giovanni Costa lesse all apertura della prima edizione del nostro MBA Imprenditori nel novembre del 2006. Il primo lavoro ci ricorda che la crescita dimensionale è necessaria, ma non è gratuita e che essa ha carattere imprenditoriale, perché può prendere avvio dall intuizione dell imprenditore, ma ha anche elementi di managerialità che intervengono nella fase (iniziale) di pianificazione, (contestuale) di attuazione e (successiva) di gestione di un organizzazione più complessa. Il contributo di Giovanni Costa, infine, ci esorta a sconfiggere la sindrome del turione, per 6

provare invece a emergere, a crescere, a respirare aria nuova, a confrontarsi, a fare nuove esperienze e ad acquisire nuove competenze. Tutte cose che voi in questi diciotto mesi di MBA Imprenditori CUOA avete imparato a fare meglio di come già facevate prima. Note Profilo dell autore Paolo Gubitta è professore straordinario di Organizzazione aziendale all Università di Padova e direttore scientifico del MBA Imprenditori della Fondazione CUOA. 7

Mario Carraro, un imprenditore a tutto tondo Mario Carraro è senza ombra di dubbio uno degli imprenditori di cui l Italia, e il Nord Est in particolare, devono esser fieri. La sua storia imprenditoriale è stata approfondita in numerosi lavori di ricerca. Uno di questi è il libro Gruppo Carraro. La cultura dell eccellenza, scritto da Giovanni Costa e Paolo Gubitta, pubblicato nel 2001 per i tipi di Isedi. Nel libro è contenuta una lunga intervista che Giovanni Costa fece a Mario Carraro e che parla anche delle esperienze che lo hanno formato come uomo e come imprenditore. Cinema, musica, lettura, pittura e architettura, cura estetica e attenzione al design, impegno civile e nelle istituzioni: Mario Carraro è un imprenditore a tutto tondo anche grazie a queste esperienze e a queste passioni. Di seguito sono riportati alcuni passaggi dell intervista relativi in particolare a questi aspetti. Chi è Mario Carraro Mario Carraro, nato nel 1929, è stato Presidente del Gruppo Carraro fino ad aprile 2012. Il Gruppo Carraro è leader mondiale nei sistemi per la trasmissione di potenza, ha sede principale a Campodarsego (Pd) ed ha insediamenti produttivi in Italia (7), India (2), Argentina e Cina (2), Germania, Polonia e Stati Uniti. Negli anni recenti è divenuto molto attivo anche nel settore delle energie rinnovabili. Nominato Cavaliere del Lavoro nel 1990, è stato Presidente della Federazione degli Industriali Veneti da aprile 1994 a dicembre 1996. Nel maggio 2001 il Senato Accademico dell Università di Padova gli ha conferito la laurea ad honorem in Economia e Commercio. Da aprile 2008 è Presidente dell Advisory Board della Facoltà di Economia dell Università di Padova, un organismo informale che la Facoltà ha costituito per confrontare le proprie scelte didattiche con le imprese, il mondo della finanza e gli Enti pubblici. Da luglio 2008 è Presidente della Fondazione Antonveneta, da luglio 2009 è Presidente del Centro Studi Economici Antonveneta (CSEA) e dal 2011 è socio onorario dell'accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti. Alle radici di un imprenditore a tutto tondo Data la lunga amicizia che ci lega, usiamo senza ipocrisie il tu anche per togliere formalità a questa intervista, d accordo? D accordo. 8

La Carraro nasce nel 1932 ad opera di Giovanni Carraro, tuo padre. Quale fu la molla? In realtà, già prima del 1932 mio padre aveva iniziato una attività simile a quella che poi io e mio fratello Oscar continuammo. Mio padre aveva iniziato a vent anni, nel 1910. Credo avesse anche esposto i suoi prodotti alla fiera di Ponte Vigodarzere (vicino a Campodarsego), che era la fiera da cui poi nacque la fiera di Padova. Se non erro, espose una macchina che arava, seminava ed erpicava. Già allora manifestava quella creatività che caratterizzò tutta la sua vita di imprenditore. Inoltre, pur avendo solo la quinta elementare, leggeva regolarmente il giornale. Era sempre attento a quello che gli capitava attorno. Aveva una curiosità mai sazia, l ambizione di emergere attraverso le conoscenze che poi ha trasmesso anche a noi figli. Il gusto per l innovazione e la creazione, probabilmente, gli proveniva dalla famiglia di origine. Già mio nonno faceva il fabbro, tanto che il sopranome della mia famiglia era Favaro. Producevano piccola attrezzatura agricola. L attività del nonno venne portata avanti da mio padre, mentre suo fratello Domenico inizia una attività di produzione di cucine economiche, che non ebbe grande sviluppo. Pur provenendo da una famiglia di fabbri, tuo padre inizia una attività ex novo. Sì. All inizio partì rilevando da un fallimento alcune attrezzature agricole. Nei primi tempi faceva dei pezzi unici. Con la seminatrice fece il primo salto, approdando alla produzione in piccola serie. La seminatrice di mio padre era una macchina un po inventata, costruita aggregando alcune parti di seminatrici già esistenti ed aggiungendo qualche elemento di fantasia e di innovazione, che la rendevano distinguibile sul mercato, personalizzabile sulle esigenze del cliente, economica rispetto alle impostazioni più classiche. Per promuovere il prodotto, mio padre attuò un forma di pubblicità non tradizionale. Alla fine della stagione agricola realizzava una indagine tra i clienti, chiedendo loro un giudizio sulle prestazioni della seminatrice. Inviava una cartolina, già affrancata per il ritorno; quindi, raccoglieva le risposte e le divideva in plichi per provincia. Queste informazioni, in fase di contatto con nuovi potenziali clienti, diventavano formidabili referenze. Se, ad esempio, si trovava sul mercato di Cremona, tirava fuori le lettere provenienti da quella zona e diceva al suo interlocutore L hanno comprata anche Tizio, Caio e Sempronio. L imitazione negli acquisti è un fenomeno davvero rilevante. Succedeva anche con i trattori. C erano comuni in cui vendevamo più mezzi ed altri in cui non eravamo presenti. Ma era rarissimo che in un comune ci fosse un trattore solo. Chi acquista il trattore non vuole restare da solo. Perché non vuole avere sbagliato. E un meccanismo che si rinforza. Tuttavia, l attività commerciale non si basava solo sul passaparola. Per tutti gli anni dell anteguerra, mio padre frequentava regolarmente i mercati periodici veneti, lombardi e in parte quelli emiliani. Erano, comunque, i mercati dei bovini le grandi occasioni per vendere, perché in questi luoghi si trovavano i contadini. Le attività di vendita erano concentrate nei mesi di agosto e settembre. Mio padre si faceva aiutare anche da qualche operaio, per essere presente nei diversi mercati. Stavano fuori una settimana e tornavano a casa con gli ordini. Non si usavano contratti scritti ma solo 9

accordi verbali garantiti da una caparra. Fin da giovani, i miei fratelli Oscar e Antonio furono coinvolti nell attività commerciale. A tal proposito, c è un episodio curioso che riguarda mio fratello Oscar. In una delle sue prime trattative, pur di vendere una seminatrice abbassò il prezzo in modo eccessivo. Riuscì a concludere l affare, ma venne ripreso da mio padre. Oscar propose di tornare dal cliente a rinegoziare il prezzo. Mio padre lo bloccò dicendogli «Mai! Tu sei Carraro e la tua parola è quella che vale. Un operaio può tornare e dire Mi sono sbagliato, guardi, il padrone mi ha detto che..., ma non certo tu» Questo per quanto riguarda la vendita. E la produzione? La produzione, come la vendita, era stagionale e si concentrava nei mesi estivi fino ai primi di agosto. In quel periodo c era un grande caldo. Quando si montavano le ruote delle seminatrici, che avevano il cerchio di ferro esterno ed il legno all interno, bisognava scaldare il ferro. Questo lavoro si faceva dalle tre di notte. Si finiva verso le otto con una colazione fantastica di carne con tocio e polenta. Gli operai lavoravano da primavera ad autunno. Quindi venivano licenziati, per ritornare nella primavera successiva. Rimaneva solo un gruppo che continuava per i lavori di manutenzione e per la riparazione degli aratri e degli altri attrezzi. La ruota era l ultimo elemento per il montaggio. I mesi di agosto, settembre e primi di ottobre erano tutti dedicati alla vendita. La produzione era impostata su campioni, schizzi e istruzioni. Il capo analizzava il disegno e attribuiva i compiti. C erano componenti in legno che richiedevano l abilità del falegname ed altre in ferro e lamiera tipicamente da fabbro; poi c era la parte meccanica, che era fatta con torni, presse ed altri attrezzi; infine la verniciatura. Questa fase si completava, coerentemente con il gusto dell epoca, con alcune decorazioni ad opera di un pittore. Mio padre aveva uno specialista, con esperienza nel settore delle biciclette, dove tale pratica era molto diffusa. [ ] Parli spesso di leader, di leadership, di personalità. E indubbio che questi tratti derivano almeno in parte dal percorso formativo. Sì, la storia familiare influenza molto. Cominciamo con ordine. Dopo la morte di mia madre, che avvenne nel gennaio del 1934, siamo stati accuditi dalla nonna materna. I figli si divisero in due gruppi: i grandi che avevano conosciuto direttamente la mamma (Clara del 1921, Oscar del 1923 e Bianca del 1925) e i piccoli che conobbero la mamma nel ricordo degli altri (io del 1929, Francesco del 1930 e Antonio del 1932). Mio padre ci fece studiare tutti. Tra i grandi, Clara frequentò le scuole al collegio, Oscar completò la quarta all istituto tecnico, mentre Bianca continuò gli studi fino alla laurea. Noi piccoli, invece, frequentammo le elementari a Campodarsego e le medie a Possagno. Da notare che io da piccolo non parlavo. Don Francesco Canella, che poi fu l indimenticato direttore del giornale diocesano La difesa del Popolo, mi fece fare la Prima Comunione a sei anni, ma le suore avevano proposto di rimandarmi, perché apparivo ritardato: parlavo male, pronunciavo male le parole ed ebbi la erre 10

a 9 anni. Questo difetto mi fece iniziare la scuola con un anno di ritardo, insieme a Francesco. Dopo fui brillantissimo e completai elementari e medie. Durante le vacanze del 1944 feci la prima liceo scientifico, recuperando l anno perso. E lì sbagliai, visto che nella pagella del Cavanis ero stato molto raccomandato per una scuola di tipo umanistico, il classico. Invece, io scelsi lo scientifico, con grande gioia di mio padre. Nel complesso, mio padre pur essendo una presenza costante in famiglia, ci lasciava molto liberi. Aveva comunque dei punti fissi: Fino a 23-24 anni fate quello che volete. Ma a 24 anni avreste comunque finito di studiare. Allora fino a quell età io vi posso sostenere. Dopo, vi dovete arrangiare. Ciascuno di noi fratelli ebbe interessi culturali differenti: Antonio si appassiona all architettura, Francesco si dedica alla musica, Clara pubblica qualche novella, io mi appassiono al cinema e alla lettura. Poi, in modo abbastanza naturale, ci avvicinammo all azienda di famiglia. Anche in questo mio padre ebbe un ruolo: sin da piccoli a cena ci parlava in maniera chiara degli affari di famiglia, coinvolgendo, Oscar in testa, tutti i figli nel business. Tuo padre aveva una formazione tecnica? Mio padre aveva la quinta elementare e credo avesse frequentato dei corsi serali di disegno. Lo ricordo sempre con il giornale e con una forte attenzione per quello che gli capitava attorno. Era molto curioso ed ha trasmesso a noi l ambizione di emergere attraverso le conoscenze. Da mio padre ereditammo anche una certa insofferenza per il regime, al quale aveva ceduto solo nel 1938 (ben sedici anni dopo la Marcia su Roma), sottoscrivendo la tessera in qualità di ex-combattente. Lui era contro la guerra. Percepì che la guerra non si sarebbe vinta ben prima della disfatta. La caduta del fascismo il 25 luglio del 1943, lo trovò lontano da casa e così riuscì ad evitare l irrigidimento del partito, che date le sue profonde convinzioni poteva essere pericoloso. Poco dopo, divenne il primo sindaco con il CNL di Campodarsego, carica che ricoprì per pochi mesi, perché poi l attività economica riprese e dovette dedicarsi a tempo pieno all azienda. La sua vicinanza mi fece vivere la guerra, fin da ragazzino, con grande intensità politica. Era l anno scolastico 1942-43 e frequentavo la seconda media. Svolsi un tema sulla guerra, con alcune considerazioni sul nostro contingente in Grecia. Il prof. Franceschi mi chiamò e mi disse: Guarda, tu hai fatto un bel tema. Però te lo cancello, perché non devi scrivere queste cose. Anche Oscar fu contagiato da questa insofferenza. All inizio del 1944 andò in Svizzera, perché in Italia era ricercato per aver fatto distribuzione di manifesti. Nei campi di lavoro conobbe molti rifugiati politici. Sempre con mio padre, infine, si ascoltava la radio. Inizialmente si andava dallo zio, visto che la radio arrivò in ritardo nella mia famiglia, per rispetto alla nonna. Lei riteneva che si trattava di un diversivo gioioso, non necessario, che non conveniva ad una famiglia in lutto. Durante la guerra ci si sintonizzava su Radio Londra. Quel periodo produsse in me un incondizionato appoggio per tutto quello che facevano gli americani: ricordo che non disapprovai né il bombardamento di Dresda, né il bombardamento nel 1944 della vicina Treviso, che provocò oltre quattromila morti; entrambi episodi per i quali oggi provo orrore al solo pensiero. 11

Nel tuo percorso formativo, quali sono i momenti più significativi oltre l esperienza scolastica? Io sono stato sostanzialmente un autodidatta. Avevo degli amici: chi faceva musica, chi faceva pittura, chi si interessava di letteratura. Ci si trovava la sera a discutere ed a scambiarci idee. Poi, nel 1951, ci fu il militare. In quel periodo lessi Proust. Ho fatto il fante per 15 mesi a Palermo. Ero nella Compagnia Comando, all Ufficio Benessere del Soldato alle Armi, ed avevo una relativa autonomia nell organizzare il cinema, libertà che in qualche caso mi procurò i richiami dei superiori, come quando organizzammo la proiezione di un film del periodo bellico, Lungo viaggio di ritorno di John Ford. Il cinema ed il jazz sono stati due costanti per molti giovani nel secondo Dopoguerra, me compreso. Il cinema era il pane comune, una passione che ti portava nelle sale alle dieci del mattino, alla domenica, ma che nascondeva la voglia di fare del cinema. Questo contagio portò un amico del mio gruppo a fare la scuola a Roma. Era un momento di fervore incredibile: il Centro d Arte, il Centro Universitario Cinematografico, il teatro dell Università, che era quello di De Bosio e che portò per primo in Italia Brecht. Il jazz, invece, era la musica per eccellenza, anche se io prediligevo i concerti d camera del Centro D Arte. Mi risulta difficile individuare un legame diretto tra queste esperienze giovanili e la successiva attività imprenditoriale. Devo dire, però, che ho sempre cercato un approccio creativo nella gestione dell azienda, anche nel modello organizzativo. Una delle cose a cui ho tenuto sempre in modo particolare, e questo forse deriva da una esperienza umanistica, è il rapporto con le risorse umane, che viene proprio dall interesse per gli uomini, dal desiderio di capire la loro personalità, di imparare a gestirla guardandola da dietro le quinte. A questo proposito, ricordo quando invitai per la cena di Natale i dirigenti della prima generazione, i Fabris, i Tonin, i Casarotto. Tutta gente che viveva qui vicino a pochi chilometri, ma che non aveva mai avuto rapporti al di fuori dei cancelli della fabbrica. Le famiglie non si conoscevano, non si erano mai incontrate. Dietro un rapporto professionale formalmente ineccepibile a volte trovi gelosie o tensioni, che non riconosci con facilità. Cinema e jazz sono un esperienza comune di quelli della tua generazione che guardavano oltre. Quale ruolo hanno avuto nella tua formazione? Il cinema non significava solo la visione della pellicola. Nella mia esperienza voleva dire anche tutte le discussioni prima e dopo la proiezione. In questo senso, il cinema si differenzia nettamente dalla televisione. La mia grande passione, comunque, è stata la lettura. Il cinema, nonostante tutto, consente un approccio passivo. La lettura, invece, richiede sempre una partecipazione attiva. La storia raccontata nel libro senza la fantasia che ci mette il lettore non esiste. E poi il libro contiene il tempo: ci vogliono parecchie ore per leggerlo, è cadenzato da interruzioni, viene ripreso e meditato. Negli ultimi anni, ho ripreso alcune letture giovanili: da I Promessi Sposi, un romanzo delizioso che ho gustato per la terza volta; a Guerra e Pace di Tolstoj; fino al capolavoro di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, che ho finalmente letto in francese. Accanto ai libri, nella mia formazione hanno svolto un ruolo da protagonisti i giornali. Alla lettura dei giornali 12

si deve la mia laicità, anche in campo politico. Per molti anni ho letto Il Mondo. E stato un cenacolo culturale incredibile. C era la seconda pagina, I taccuini, in cui con serietà assoluta si discuteva di politica estera, di politica italiana e che assomigliava un po agli editoriali, I Leaders, del The Economist. Con Ernesto Rossi è stata una grande scuola di cultura e di trasparenza, che viene da questi grandi personaggi. Compravo saltuariamente anche Il Borghese di Longanesi e Prezzolini, che era un giornale conservatore, molto lontano da Il Mondo. Ma si era pur sempre in presenza di un grandissimo intellettuale. Il Borghese e Il Mondo erano le due alternative laiche. Forse era più laico il primo, perché Il Mondo aveva l aggancio con alcuni valori sociali, che potevano essere vicini a quelli della Chiesa. In sintesi, cinema, musica e lettura hanno accompagnato la tua formazione intellettuale e in parte imprenditoriale. Il terzo millennio, però, sarà governato dalle reti, da internet, dai cambiamenti veloci. E un problema di atteggiamenti e di strumenti adeguati ai tempi. Quando io andavo alle elementari, il primo giorno di scuola ci davano uno strumento che ci accompagnava per tutta la vita: la penna. Oggi si finisce la scuola senza avere visto il computer, che poi è quello che troviamo ogni giorno, la penna nell era telematica. Una simile discrasia si riscontra anche in altri contesti. Si pensi alla lettura dei giornali. Un indagine su un campione di studenti rileva che meno del 5% legge il giornale, mentre un 30-40% passa due ore davanti alla televisione. La lettura del giornale è importante e il telegiornale non è il suo surrogato, perché il primo permette di approfondire la materia. La persona che oggi non legge il quotidiano ma guarda il telegiornale, è l antico lettore dei soli titoli del giornale. Oppure si pensi alla scuola. Frequentando i salotti, ci si imbatte ancora in vacui dibattiti cechoviani sulla relazione tra la frequenza del liceo classico e la possibilità di far carriera, senza cogliere il vero nodo dell istruzione in Italia. Ho telefonato a Marchesini (all epoca Magnifico Rettore dell Università di Padova), quando ho visto le statistiche dell università con le lauree a 27 anni e mezzo. Scusa un momento Giovanni, gli ho detto, qui i ragazzi non hanno nessuna colpa; la responsabilità è del sistema, che ha programmi non compatibili con un percorso di quattro anni. In realtà, se osservi il piano di studi degli ingegneri, trovi delle cose che sono adatte agli storici dell ingegneria e non agli ingegneri di domani. Ti sei sempre dedicato alla musica, sei un appassionato di pittura, a cavallo tra gli anni 60 e 70 hai costruito una fabbrica di scuola scarpiana. Quale ruolo gioca l estetica nel mondo degli affari e nella vita di un imprenditore? Secondo me, l elemento estetico è sempre molto forte nell imprenditore. L imprenditore dedica un tempo immenso all oggetto che produce: lo modella, lo guarda, lo cura e lo porta a un livello estetico per lui sublime. Non è retorica. Se tu guardi le macchine utensili, vedi come evolve il gusto estetico. Noi stessi avevamo assunto uno specialista per abbellire le nostre seminatrici! Ogni imprenditore ha dentro di sé l istinto dell artigiano. E il confine tra 13

artigiano e artista è molto labile. Insomma, penso che l estetica esprima proprio l amore dell inventore per il suo prodotto o, se vuoi, per la sua creatura. Il caso dell automobile è emblematico. Se vai nel museo dell Alfa Romeo, ti accorgi in che modo si possa materializzare il gusto estetico, che poi contagia tutto l ambiente lavorativo e non solo la componente tecnica. Tu hai citato l impronta scarpiana della mia fabbrica. Ma io aggiungo che i nostri assali, quando sono nati, erano più belli di quelli della concorrenza. E ti assicuro che tutti i produttori, almeno da un certo punto in poi, hanno considerato l importanza dell estetica, anche perché il design spesso si abbina a funzionalità e quindi a qualità del prodotto. Oggi, poi, non c è alcun oggetto industriale che non incorpori questo elemento di design. In definitiva, quindi, l interesse estetico può essere un elemento che completa la creatività dell imprenditore. O almeno, così è stato nel mio caso. [ ] La tua vicenda personale è ricca di impegno civile, sia in campo associativo che nell arena politica. Eppure, per molto tempo sei rimasto ai margini. Sì, è vero. Bisogna ricordare che Confindustria allora svolgeva un azione di appoggio politico che io non condividevo e che faceva ombra, a mio parere, all attività di rappresentanza sindacale e di lobbing che giustifica un associazione di imprenditori. Il mio primo contatto con l Associazione di Padova avvenne nel 1969 mentre si viveva il terribile autunno caldo, le cui conseguenze pesarono negli anni successivi sull economia industriale del Paese. Nell occasione partecipai ad una animata assemblea dei metalmeccanici dove si dava resoconto dello stato di avanzamento del contratto di categoria. Buona parte del dibattito verteva sulla concessione o meno di informazioni alle rappresentanze dei lavoratori sulle linee di sviluppo delle nostre aziende. Mi trattenni dall intervenire. All interno della nostra azienda già esisteva questo tipo di rapporto. La maggioranza, al contrario, tendeva a erigere un muro contro questa possibilità, disposti piuttosto a monetizzarla con qualche punto percentuale in più da aggiungere alle concessioni economiche già fortemente gravose. Visto a posteriori, non so dire se ero io avanzato o in ritardo il sistema industriale di allora visto che qualche decennio dopo, a partire dall introduzione della qualità totale, il sistema delle informazioni ai lavoratori venne adottato come base di nuove e moderne relazioni industriali. Dopo quell episodio non ci furono altri contatti ma nel 1982 ritenni maturi i tempi per la partecipazione associativa della nostra industria, per evitare un isolamento che poteva passare per snobistico e nell idea che questo potesse servire alla cultura di sistema. Alla fine assumi una posizione di rilievo e responsabilità. Come la giudichi a posteriori? All ingresso della Carraro nell Associazione, fui subito coinvolto in alcune iniziative ma tenuto in disparte dall assunzione di responsabilità ufficiali. Quando, ad esempio, nella sezione metalmeccanici si aprì la prospettiva di una mia nomina alla presidenza, tale possibilità fu sventata da una vera operazione di tipo politico 14

del Presidente dell Associazione, allora Prof. Angelo Ferro, che indusse il Presidente dimissionario della sezione stessa a riprendere l incarico contro la sua manifesta volontà. Ciò non impedì un mio rapporto leale, ancorché dialettico, nelle attività associative tanto da meritare qualche anno dopo la nomina a Presidente di Confindustria veneta pur nell anomalia di una mancanza di esperienze precedenti in incarichi ufficiali. Pur nella stima da cui ero attorniato come imprenditore, non mi fu facile in questa funzione adattarmi ai meccanismi che reggono i rapporti associativi e che allora impedivano una organizzazione sinergica delle attività delle associazioni provinciali, tutte fortemente gelose del proprio status. Il radicamento del confronto politico dopo la scesa in campo di Berlusconi rese ancora più difficile la mia posizione e sospetta la relazione personale con il Presidente Prodi ancorché io intendessi svolgere solo un attività di collaborazione aperta e leale con le istituzioni centrali ma soprattutto con quelle regionali, anche se potevano dividermi differenze di sentimento politico a cui non attribuivo rilevanza nella mia funzione. Ciò non tolse che le crescenti difficoltà di rapporto con i colleghi più vicini mi costrinsero alle dimissioni che ebbero un eco clamorosa anche a livello nazionale. Puoi spiegare meglio questo passaggio. Come dovrebbero evolvere le istituzioni per far rispondere a questi bisogni? Più che di istituzioni, parliamo di strutture di rappresentanza a cui le istituzioni stesse dello Stato fanno riferimento nel confronto legato a problemi dell economia o alla sua trasformazione. Il mio giudizio sulle rappresentanze di categoria sia delle imprese (Confindustria) che dei lavoratori (Sindacato) mi porta all impressione di ritardi gravi. Non vorrei che, come abbiamo affrontato il boom economico dei primi anni sessanta nel retaggio di una cultura contadina, affrontassimo oggi i temi della New Economy, per la certa evoluzione cui essa porterà, non per i suoi effetti discontinui sui mercati finanziari. Penso ad un dibattito apparso sul Corriere, a gennaio 2001, dove pur nella diversa angolazione politica i partecipanti al forum giudicavano i salari italiani troppo bassi ma non si davano preoccupazione dei ritardi tecnologici che toccano prodotti e processi e che sono una delle grandi cause del ritardo di competitività e quindi di una redditività in grado di generare ricadute significative sulla nostra economia. Si continua a prendere in riferimento in questi dibattiti la figura del tornitore, profilo che dovrebbe lasciare posto a professionalità più evolute. In pratica non ci si preoccupa abbastanza della transizione, a mio avviso drammatica, che il Paese e la sua economia dovranno affrontare. Del resto, se vogliamo rimanere nel gruppo di punta dell economia mondiale, dobbiamo facilitare lo sviluppo di settori tecnologici nuovi. Viviamo in un Paese la cui curva demografica sta accelerando verso il basso e dove presto rischierà di essere dominante la categoria degli anziani. Ciò sta provocando l intensificazione di un processo di immigrazione su cui manca una visione che ci permetta, anche con strumenti legislativi, che esso corrisponda a un momento evolutivo, nel quale, con il mantenimento di attività tradizionali, si aprano 15

prospettive a nuovi assetti di un economia che fondi il suo sviluppo sulla innovazione. Quanto detto necessita di uno sforzo sul piano politico, sociale e culturale di grandissima portata. Ora a me sembra, per rimanere nell ambito di un giudizio sulle rappresentanze di categoria in tutti i settori, ma per quanto ci riguarda quello industriale particolarmente, siamo distanti da una configurazione moderna del sistema. Confindustria e specularmente il sistema sindacale, ad esempio, sono cresciuti in maniera elefantiaca evitando di affrontare un processo di modernizzazione che impedisce loro, oggi, di favorire le fasi innovative destinate a incidere nei grandi cambiamenti sui quali è insita la reale capacità di mantenerci competitivi nel futuro. L eccessiva difesa dell esistente, in una logica poco aperta ai cambiamenti, finirà in uno scollamento tra rappresentanze e rappresentati in particolare per i settori che si aspettano dalla modernizzazione profonda del sistema (a partire dalla scuola, l università la finanza ecc.) un terreno più fertile per il fiorire e lo sviluppo dell economia del futuro. Dopo la Confindustria, è arrivato l impegno politico Da quanto ti ho detto fin qui, puoi capire la ragione che mi ha spinto a prendere un ruolo attivo sulla scena politica. Sono partito dalla lettura di alcune caratteristiche del modello veneto e dalla necessità di avviare dei cambiamenti a sostegno dello sviluppo futuro. Non sono entrato in politica per aprire una nuova fase della mia carriera, ma solo per passione politica e civile. Se la politica mi fosse interessata tout court, non avrei certo rinunciato al Dicastero dei Lavori Pubblici che mi propose Romano Prodi (anche se avrei preferito, per evidenti affinità culturali, il Ministero dell Industria). Ho sposato l idea di un cambiamento dello Stato in senso federalista, perché penso che solo in questo modo si possa rispondere adeguatamente ai bisogni di modernizzazione di un Paese che presenta grandi squilibri, impossibili da affrontare in modo uniforme sull intero territorio. Il federalismo nelle esperienze degli Stati Uniti e di altri paesi europei ci dicono che i maggiori successi si hanno a livello di piccolo Stato o di regione, dove è più facile contare su una cultura omogenea e su un comportamento coeso di quanti vi vivono. Il federalismo, però, è il cavallo di battaglia di moda. Confesso che non mi pare più molto di moda il federalismo e tanto meno mi sembra oggi un cavallo di battaglia. Di recente, tra l altro, lo si è trasformato in devoluzione, nel significato di devolution, termine inglese che vuol dire ben meno di federalismo anche se recentemente ha facilitato una forte accelerazione nell autonomia di Scozia e Galles. Per quanto mi riguarda lo considero, e lo faccio con amarezza, un sogno tramontato. Attraverso le considerazioni svolte poco fa parlando di Confindustria, mi ero fatto la convinzione che la modernizzazione del Paese dovesse partire dal territorio, 16

tanto sono squilibrate le situazioni sul piano economico, scolastico e sociale tra regione e regione. All unità d Italia fu dibattuto tra Cavour e Minghetti (si passi questa rozza sintesi storica) se privilegiare un processo di Stato nazionale o federale. Prevalse l idea di Cavour che peraltro guardava a uno Stato, seppur con forti squilibri economici, che fondava la propria economia prevalentemente sull agricoltura. Nell ultimo secolo e mezzo, non solo non possiamo affermare che le disparità siano scomparse ma addirittura la vasta varietà di attività economiche e sociali ha approfondito nelle scelte di sviluppo il divario tra regioni o gruppi di regioni. Nelle sfide che in campo economico ci dobbiamo preparare a sostenere, esistono condizioni e culture diverse su cui sviluppare i progetti del futuro che per le implicazioni di carattere sociale che comportano necessitano di forte coesione. Il federalismo poteva favorire questo sforzo là dove vedo nel federalismo la capacità autonoma (che si verifica sia negli U.S.A. che in Germania, due Paesi a costituzione federale) di incidere nella riforma della scuola, della finanza e nella dotazione infrastrutturale consona ai processi evolutivi necessari a competere nella globalizzazione. Il Nord Est che, in particolare negli ultimi due decenni, ha vissuto una fase di sviluppo straordinaria creando un sistema di imprese dinamico, non poteva e continua a non poter rimanere inerme di fronte ai processi di modernizzazione più volte conclamati con cui ci dobbiamo confrontare nella competizione mondiale. Di fatto in questo dibattito sul federalismo, che da parte di Bossi veniva invocato come rivolta all oppressione frenante della burocrazia, era mancata, da parte delle stesse forze politiche che lo reclamavano, l indicazione di un progetto di trasformazione che, sciolti lacci e lacciuoli della burocrazia dello Stato, si permettesse l avvio di un modello economico innovativo. Questi, in sintesi, i motivi che mi avevano spinto a cimentarmi in qualche modo in una esperienza politica legata al solo federalismo e con l idea, alla mia età, di passare alle generazioni future il testimonio di una competizione moderna verso il futuro. 17

Crescita dimensionale e performance, di Diego Campagnolo La crescita delle imprese: opportunità e minacce Il tema della crescita è quanto mai attuale soprattutto nel contesto italiano. È noto che il sistema produttivo italiano si caratterizza per una forte presenza di imprese di dimensione media e piccola, molto spesso clusterizzate in distretti industriali e specializzate in settori tradizionalmente considerati maturi. Secondo dati Eurostat riferiti al primo decennio del nuovo secolo, in Italia il 94,5% delle imprese ha meno di 9 dipendenti, il 4,9% impiega tra i 10 e i 49 dipendenti, lo 0,5% impiega un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249, mentre solo lo 0,1% delle imprese ha più di 250 dipendenti. La forte presenza di questo segmento di imprese è tuttavia un dato comune ai maggiori paesi industrializzati. In Germania e Francia per esempio, le imprese fino a 49 dipendenti rappresentano rispettivamente il 97,2% e il 98,7% del totale. Pertanto, ciò che differenzia l Italia è la forte concentrazione di piccole imprese (quelle fino a 49 dipendenti), e la conseguente minore presenza di medie e grandi imprese. Se intendiamo per medie imprese quelle con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249, l incidenza in Italia è meno della metà rispetto alla media europea e meno di un quarto rispetto alla sola Germania. Queste caratteristiche hanno iniziato a manifestare tutti i loro limiti in corrispondenza dell aumento della competizione internazionale nei settori di specializzazione dell Italia a partire dagli anni Novanta. È infatti in questo periodo che inizia un percorso caratterizzato dall abbassamento di molte barriere doganali e un più diffuso utilizzo di nuove tecnologie dell informazione e delle comunicazione. La cosiddetta globalizzazione e la diffusione dell information technology hanno favorito l emergere della competizione dei paesi in via di sviluppo (che possono contare su una dotazione di risorse a buon mercato ). Questo ha portato con sé minacce alla posizione competitiva delle imprese dei paesi sviluppati ma anche opportunità di internazionalizzazione, di innovazione e nuovi modelli di business anche in settori tradizionalmente considerati maturi. In altri termini, si può dire che le trasformazioni dell ambiente competitivo hanno creato la necessità di un nuovo adattamento delle organizzazioni e delle imprese in particolare. Molte ricerche indicano nell aumento della dimensione media delle imprese uno dei modi attraverso cui mantenere il fit con l ambiente esterno. I dati sulla dimensione media delle imprese italiane non lasciano dubbi sull opportunità di crescere, tuttavia il tema va affrontato mettendone in luce tutte le sue peculiarità. La crescita è in primo luogo un fenomeno relativo. La dimensione di un impresa si può ritenere appropriata solo in relazione alle caratteristiche del settore di riferimento. Se il settore è popolato da grandi imprese, presenta bassi tassi di crescita e una tecnologia consolidata e stabile, un impresa potrebbe non avere una 18

massa critica sufficiente per competere, seppur grande secondo i criteri occupazionali. La crescita è in secondo luogo un fenomeno multi-dimensionale. Le imprese possono crescere facendo ricorso a risorse proprie, di cui già dispongono (crescita organica o per linee interne), o acquisendo risorse di altre imprese attraverso alleanze o acquisizioni (crescita per linee esterne). Molto spesso sono diverse le ragioni che spiegano l una o l altra scelta. Tuttavia la crescita implica una riflessione strategica in primo luogo sull opportunità di intraprendere un percorso di crescita e contestualmente sulle modalità più appropriate per attuarlo. La crescita è in terzo luogo un fenomeno complesso caratterizzato da una pluralità di conseguenze. Questo, tra i temi sollevati, sembra quello di maggiore attualità. La crisi manifestatasi a partire dal 2008 e in particolare le sue conseguenze sull economia reale e sul credito, hanno contributo a rendere evidenti alcuni effetti della crescita, non sempre adeguatamente sottolineati. La stretta creditizia ha riportato all attualità il tema degli equilibri patrimoniali e finanziari e quindi quello del finanziamento della crescita. Il lungo periodo di tassi relativamente bassi ha fortemente incentivato un ricorso (rivelatosi in molti casi) eccessivo alla leva finanziaria. Il finanziamento dei percorsi di crescita esclusivamente attraverso mezzi di terzi rischia di scardinare gli equilibri patrimoniali e finanziari dell impresa e impone un ritorno (quasi) immediato dagli investimenti effettuati. Un percorso di crescita sollecita inoltre l equilibrio organizzativo dell impresa. La crescita dimensionale (indipendentemente dalle modalità con cui è realizzata) impone un contestuale adattamento dei meccanismi di governance, della struttura organizzativa e dei sistemi operativi. In altre parole l adattamento verso l esterno (external fi) va accompagnato da un necessario adattamento interno (internal fit). La crescita dimensionale potrebbe infatti mettere in luce l inadeguatezza dell attuale struttura organizzativa, la mancanza di adeguate competenze manageriali (per esempio per la creazione di una funzione finanza o di controllo di gestione), e la necessità di rivedere ruoli e meccanismi di coordinamento. I percorsi di crescita sono pertanto fonte di incertezza e di instabilità organizzative. Le teorie sul legame crescita-performance La conoscenza del fenomeno della crescita delle PMI appare lacunoso e poco strutturato: l eterogeneità dei percorsi e delle conseguenze della crescita comportano difficoltà di sintesi. Inoltre, affiancando alla crescita il concetto di performance si va incontro a un ulteriore criticità: la comune accettazione, più o meno esplicita, che crescere è positivo ha portato molti studiosi a considerare la crescita stessa come indicatore di performance. Se da un lato esistono diversi approcci teorici che dimostrano come la crescita porti necessariamente a una maggiore profittabilità come per esempio economie di scala, effetti dell esperienza, vantaggi da first mover ed esternalità di rete, dall altro lato le eccezioni alla positività della crescita sono altrettanto frequenti. Anche le poche ricerche empiriche effettuate sul tema non evidenziano risultati univoci sulla relazione tra crescita e profittabilità. Nel corso degli anni sono state utilizzate prospettive teoriche e approcci molto diversi tra loro. 19