SEMIOTIC BRAND MANAGEMENT LO STUDIO DELL IMMAGINE A SERVIZIO DELL IMPRESA Strategie comunicative delle imprese Fortuny



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Transcript:

SEMIOTIC BRAND MANAGEMENT LO STUDIO DELL IMMAGINE A SERVIZIO DELL IMPRESA Strategie comunicative delle imprese Fortuny Borsista: Valeria Burgio Referente Universitario: Patrizia Magli Università Iuav di Venezia Anno accademico 2010-2011

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Indice 03 Introduzione 05 Parte I Immagine, Impresa, Territorio 07 1. Paesaggi della Marca 07 1.1 Marchiatura e Marcatezza: semiotica per il marketing 07 1.2 Tra tradizione e innovazione : l identità 10 1.3. Verso un interpretazione letterale della marca 13 1.4 L Autore, la firma e la marca 15 2. La gestione dell innovazione 18 2.1 Gestire il cambiamento dal progetto alle sue manifestazioni 18 2.2 Innovazione nel prodotto: diversificazione ed estensione di linea 20 2.3. Innovazione nella comunicazione: le trappole del rebranding 21 2.4 Innovazione nella distribuzione: showroom e forme di vita 22 2.5 Cambiare politiche dei prezzi? 24 3. Il discorso della tradizione e del localismo nel discorso di marca 27 3.1 La ricerca dell autentico e l apologia dell Artigiano 27 3.2 Il Made in Italy come supermarca o metabrand 31 3.3 Il Made in Venice 36 3.4 Il settore tessile a Venezia 37 3.5 Il Lusso prima della Moda 40 3.6 Beni di lusso e consumi culturali 42 Parte II - Caso Studio: Tessuti Artistici Fortuny SPA 46 4. Fortuny: storia e mito dietro la costruzione dei marchi 48 4.1 L artista artigiano 48 4.2 L artista, le luci e il teatro 50 4.3 Il Delphos: l immortalità nell innovazione vestimentiaria 53 4.4 Vestire gli interni 57 4.5 Gestire Fortuny dopo Fortuny 59 4.6 Palazzo Fortuny: dalla collezione permanente a un nuovo stile espositivo 61 5. L azienda Fortuny: a tappe verso l innovazione 67 5.1 Nuovi prodotti, nuove linee, nuove collaborazioni 68 5.2 Il marchio è la firma 70 3

5.3 Etichette: fiumi di parole 72 5.4 Rassegna Stampa: della discrezione 74 5.5 Posizionamento di rete 76 5.6 Sinergie tra azienda e museo 78 5.7. Distribuzione e showroom 80 6. Il segreto e il labirinto 85 Bibliografia 88 4

Semiotic Brand Management: lo studio dell immagine a servizio dell impresa. Strategie comunicative delle imprese legate alla figura di Mariano Fortuny Introduzione Scopo di questa ricerca è l analisi delle strategie messe in atto da un impresa in relazione ai comportamenti delle istituzioni che ne portano lo stesso nome. Il singolare caso riguarda l azienda Tessuti Artistici Fortuny S.P.A. che produce tessuti dal 1922; la sua fabbrica è situata nell isola della Giudecca e il suo quartier generale a New York. L azienda sta tentando da quasi un anno di rilanciarsi su diversi fronti: sta innovando sul fronte dei prodotti, avendo esteso la produzione dai tessuti agli oggetti d arredo e di design; ha riprogettato i due showroom, a Venezia e New York; ha intensificato la frequenza di eventi mirati a rinforzare la comunicazione con un pubblico di ospiti selezionati. Per affrontare questi cambiamenti, l azienda si trova in tensione tra due forze opposte: da una parte le redini conservative assoggettano ogni nuova idea e produzione alla sanzione ipotetica del fondatore e creatore del marchio; dall altra lo sprone innovativo impone al management di inventare qualcosa di nuovo. L innovazione consente anche di emettere un immagine di sé proiettata verso il futuro, non fondata soltanto sulla riproduzione di un passato affascinante ma, per altri versi, decadente e stantio. Il passato però, per quanto freni e limiti, non è un genitore asfissiante che reprime ogni impulso al cambiamento: come dimostreremo con l approfondimento teorico dei valori sottesi alla marca, il passato dà continuità e coerenza ed è spesso (e soprattutto in questi anni) invocato per costruire un rapporto di fiducia con il consumatore. La visione del futuro è però più che necessaria nella cultura progettuale. Questo rapporto tra passato e futuro, storia e progetto, è alla base di ogni identità personale o collettiva che sia. Nel nostro caso studio, questa identità si chiama Mariano Fortuny e ha una personalità estremamente marcata; per questo, l azienda continua a richiamarne lo spirito e a richiederne virtualmente l approvazione per ogni decisione presa. Intanto però l azienda inizia la collaborazione con altri marchi di design e si lancia nell ideazione e nella produzione di nuovi oggetti. In questa tensione continua tra storia e progetto, sono oltremodo importanti i rapporti con il museo Fortuny. Non di museo d azienda si tratta, chiaramente, perché il museo nasce dalla donazione della vedova Fortuny al Comune di Venezia della casa e laboratorio di Mariano Fortuny; non è quindi un ramo dell azienda che voglia comunicarne il marchio. Al contrario, è dal museo che emana lo spirito di Fortuny che continua a dominare la cultura della produzione. Le sinergie con questa istituzione cittadina sono un obiettivo fondamentale per l azienda. Tra l altro il museo sta scegliendo una politica analoga a quella della fabbrica, che da una parte difende la conservazione tramite una grande rilevanza data agli archivi; dall altra associa alla tutela del patrimonio 5

una programmazione di mostre temporanee improntate sulla ricerca e sull innovazione. Vedremo quindi in questa sede se ci siano e quali siano le sinergie tra le due istituzioni. Per comprendere il cambiamento del marchio e valutarne la fattibilità e la validità, ci serviremo di un vasto apparato teorico. Ci interrogheremo in particolare sul funzionamento dell identità di marca, come già detto tesa tra i due poli della tradizione e dell innovazione, fatta di tratti pertinenti rilevabili in tutti gli elementi del marketing mix; vedremo poi come si coordinino le azioni innovative di una marca, dall estensione di linea al rinnovamento del marchio; come funzioni il raggruppamento dei marchi sotto una macroetichetta come il made in Italy o l Alta Gamma. Approfondiremo a questo punto l argomento del mercato del lusso e il suo rapporto con il marketing dell arte, secondo il principio della rarefazione dell offerta e quello del bene da investimento. A questo punto saremo pronti per un analisi del caso studio, con una valutazione del suo posizionamento nei confronti dei marchi legati allo stesso settore merceologico, e, più in particolare, di quelli legati al suo stesso nome. Valuteremo i cambiamenti fatti in questi ultimi mesi e, con la dovuta modestia e cautela, proporremo la direzione verso cui andare e i passi da fare per imporre la propria immagine. 6

Parte I Immagine, Impresa, Territorio 1. Paesaggi della Marca 1.1 Marchiatura e Marcatezza: semiotica per il marketing La semiotica è la disciplina che studia i processi di costruzione del senso e i modi in cui si costruisce la cultura del consumo. Lo scopo di quest intervento è rendere evidente l importanza di saperi considerati umanistici e lontani dall ambito economico entro cui il fenomeno della marca si situa non come apparati di una sovrastruttura accessoria utile semplicemente a imbellettare i prodotti, ma come strumenti in grado di costruire strategie di mercato vincenti. Già da tempo il marketing ha smesso di considerare il prodotto soltanto nella sua dimensione concreta, oggettuale e utilitaristica, per cui la sua qualità dipende unicamente dalle sue qualità materiali, come la robustezza, il peso, la durabilità. Esiste un plusvalore del prodotto costruito dalla comunicazione e dalle qualità immateriali dell oggetto. Se il prodotto non è un oggetto fatto da sole qualità materiali, il consumo stesso non si definisce nei termini dell usura e della distruzione finale dell oggetto. Il consumo è principalmente una pratica significante. Se si definisce la merce in termini fisico tecnici e utilitaristici, il suo utente è definibile come somma di bisogni semplici o complessi da soddisfare e da creare. Questo tipo di consumatore mosso da bisogni sempre più complessi in relazione all evoluzione e alla sofisticazione della società in cui vive, è ritratto nella piramide di Maslow, utilizzata dal marketing di impronta behaviorista degli anni Cinquanta e Sessanta. Quando si comincia a considerare il prodotto non soltanto nelle sue caratteristiche materiali ma anche per le sue qualità immateriali, il consumatore costruisce con esso una relazione di tipo diverso, lo include nelle sue pratiche di vita quotidiana, e sceglie di acquistare sulla base di un progetto di forma di vita e quindi di teatralizzazione, di comunicazione, del suo comportamento di consumo. C è una osservazione di secondo ordine (Luhmann, 1984) nella pratica di consumo, molto più complessa del piatto rapporto stimolo/risposta, bisogno/soddisfazione del bisogno. C è un compiaciuto guardarsi, rappresentarsi come rappresentante di quei valori implicati nel prodotto e nella sua comunicazione. Uscire dalla logica behaviorista ci impone anche di considerare le pratiche significanti come non necessariamente aderenti agli inviti della marca. Da una parte esiste un modello di consumatore ideale che si fa portatore dello spirito incarnato nelle proposte della marca; dall altra parte sono infinite le forme d uso e d abuso della marca stessa, oltre che dei suoi prodotti e della sua comunicazione. La marca entra nell insieme delle pratiche sociali e lì viene risemantizzata attraverso strategie di appropriazione o di rifuto. 7

La personalità della marca, la sua identità, diventano fattori di primaria importanza nelle logiche di mercato, perché rimbalzano dal prodotto al consumatore, e costruiscono il loro senso nella negoziazione intersoggettiva. Parlare di marca ci proietta direttamente nell universo del vocabolario semiotico. La marca infatti è un nome proprio che si dà agli oggetti per differenziarli dagli altri 1. La strategia basilare del discorso di marca è di differenziare quello che è marcato da quello che non lo è, costruire una riconoscibilità basata sui termini opposti essere/non essere. Un prodotto appartiene a una marca o no e il prodotto di marca, rispetto a quello non marcato, si presenta implicitamente come superiore, dotato di maggiore personalità. La marca usufruisce del meccanismo dialettico della costruzione identitaria sulla base del quale il Sé si determina in funzione dell Altro, principio basilare del posizionamento. Passando dalla linguistica alla semiotica discorsiva, la marca è il segno che l autore lascia dentro il testo, la sua dichiarazione di presenza e la presa in carico della responsabilità riguardante quel testo. Nel testo linguistico, la soggettività si manifesta attraverso un sistema di marche d enunciazione personali ( io ), temporali ( ora ) e spaziali ( qui ). L installazione dell io/qui/ora costituisce un ancoraggio del soggetto all interno dell enunciato, un punto di partenza da cui orientarsi verso l alterità e il resto del mondo, verso spazi più o meno distanti, verso il passato e il futuro (cfr. Benveniste, 1966; Magli 2004). L enunciazione esiste anche nei testi visivi, quando l autore si rappresenta nel testo o lascia tracce della sua presenza, o chiama in causa lo spettatore puntando lo sguardo fuori quadro. L enunciazione è l aspetto più importante del discorso di marca, perché è il modo in cui l Autorialità s iscrive nell insieme del marketing mix, dal prodotto alla comunicazione, rendendo percepibili i valori sottesi alla marca. Questo non significa che la marca sia una semplice firma, un logo che si appone sui prodotti, sulle etichette e sulle insegne dei negozi, che si veicola nelle campagne pubblicitarie: questo significherebbe ridurre la marca a marchio. La marca è invece un insieme di valori, un progetto che si esteriorizza attraverso diverse forme espressive le sue manifestazioni. Se già la compatibilità tra i due domini del marketing e della semiotica è fondata a livello lessicale, la costruzione di modelli che formalizzano la doppia faccia della marca vista come forma del contenuto che si fa espressione in varie forme traduttive, progetto che si estrinseca attraverso manifestazioni ne dimostra la natura eminentemente semiotica (Marrone, 2007: 3). L approccio semiotico è entrato nella consuetudine delle ricerche di mercato già da tempo, soprattutto grazie al lavoro svolto da Jean Marie Floch (1990 e 1995), che ha dimostrato in modo scientifico e rigoroso, con un rispetto congiunto di teoria e applicazione pratica, come la semiotica sia non solo una valigetta degli attrezzi utile 1 In linguistica la marcatezza è ciò che differenzia un elemento dall altro, il tratto pertinente la cui presenza o assenza in un unità linguistica data, fonda un opposizione (Trubeckoj, 1939 e Jakobson, 1958). Per fare un esempio, in fonologia il fonema [d] è termine marcato rispetto a [t] perché prodotto con la vibrazione delle corde vocali, è sonoro mentre [t] è non sonoro. Le lingue evolvono verso una sempre maggiore marcatezza, e anche quando i bambini apprendono il linguaggio, prima imparano i termini non marcati e poi quelli marcati. La marcatezza è dunque segno di evoluzione (a questo proposito, cfr. Simone, 1990:113). 8

per l analisi della comunicazione di marca, ma sia strettamente connaturata a ogni fase della produzione del senso, dalla pianificazione della comunicazione al design del prodotto e del punto vendita. Secondo Andrea Semprini (1992), il contributo di Jean Marie Floch è importantissimo per aver spostato l oggetto della ricerca di marketing dal consumo materiale del prodotto alla produzione di senso da parte dell utente che impone una valorizzazione del bene in linea con le sue abitudini, e per aver concepito in nuce una teoria della Marca. La marca infatti occupa lo snodo che articola nel modo più evidente l incontro tra semiotica e marketing: la problematica della significazione applicata al mondo dei prodotti e della comunicazione, la testualizzazione delle pratiche di consumo e la dialettica tra produzione di senso e consumo di senso (Semprini, 1992: 31). Floch legittima la propria posizione di ricercatore prestato al marketing, presentando la semiotica come disciplina a vocazione scientifica, in grado di dare maggiore intelligibilità, pertinenza e differenziazione a un campo in cui la produzione e la gestione del senso è affidata a un team che lavora con tempi molto limitati e senza possibilità di approfondimento, sull onda dell intuizione. La semiotica è invece in grado di dare struttura e riformulare concetti nebulosi (intelligibilità), gerarchizzare i livelli di descrizione e trovare nella marca le invarianti a livello sia di significante che di significato (pertinenza), lavorare con coerenza e consapevolezza attraverso diversi linguaggi e diversi media (differenziazione). È attraverso queste tre proprietà che la semiotica affronta il discorso di marca, considerando che spesso nel mondo del marketing mancano chiarezza e riconoscibilità immediata sul piano del significante, e si perdano pertinenza e coerenza nei valori proposti (Floch, 1990). Da Floch in poi, è diventato quasi scontato utilizzare strumenti semiotici per analizzare il cosiddetto communication mix di un azienda, costituito da nome, logo, packaging, pubblicità e punto vendita (Ceriani, 1996: 11). Andrea Semprini in un libro che è seminale per gli studiosi del fenomeno marca Marche e mondi possibili (1993) ha illustrato come la marca fosse un fenomeno di natura fondamentalmente semiotica: la marca è legata al tempo in cui vive perché seleziona alcuni elementi all interno del flusso dei significati che attraversa lo spazio sociale, e li organizza in un racconto pertinente e attraente per il pubblico. In poche parole, per Semprini, la specificità principale della marca è di essere un istanza semiotica, una maniera di segmentare e di attribuire del senso in modo ordinato, strutturato e volontario (Semprini, 1993: 55). Non solo quindi la marca entra nello spazio sociale e lì viene accolta attraverso strategie diverse di appropriazione, ma temi circolanti nel discorso sociale vengono reincorniciati dal discorso di marca, entrano a far parte del suo bagaglio valoriale. La marca nasce quindi sempre da questo scambio, e la sua natura semiotica è ribadita da questa continua negoziazione di stili e di valori con la comunità a cui si riferisce. 9

1.2 Tra tradizione e innovazione : l identità La natura negoziale del discorso di marca ci mette di fronte al problema dell identità, modo in cui un soggetto si propone agli altri, secondo le aspettative che gli altri hanno di lui. L identità si costruisce per differenza, ma la riconoscibilità è fondata su continuità e omologia. Per gestire il cambiamento, bisogna mantenere quei tratti caratterizzanti che ci rendono unici ma anche adattarli a una situazione in evoluzione. Secondo Paul Ricoeur (1990), l identità narrativa è risultante del confronto dialettico tra due componenti, da una parte il carattere, il sé idem, sorta di codice genetico invariabile e immutabile; dall altra la parola mantenuta, il sé ipse, che mantiene una coerenza nonostante il cambiamento. C è in ogni identità la tendenza a rimanere uguale data da caratteri distintivi, genetici, incancrenita in abitudini, situazioni in cui ci si riconosce e si è riconosciuti; dall altra parte la parola data è la tensione verso un progetto, la capacità di perseguire uno scopo che ci si è prefissi, di mantenere una promessa. Il carattere è fatto di preservazione e tende al proseguimento e alla continuità, alla permanenza e alla sedimentazione; la parola data si sviluppa nell evolutività della perseveranza e della costanza: è la dimensione etica dell identità, capace sì di rinforzare il carattere, ma anche di capovolgere abitudini e tendenze. Questa teoria dell identità, e la sua matrice anti sostanzialista e basata invece sulla relazione, è presa in carico e consolidata da Jean Marie Floch, che ne fa base per le sue ricerche sulle identità visive. La natura dell identità è sintagmatica e processuale, secondo Floch, proprio perché nasce in questa tensione costitutiva tra sedimentazione e innovazione, tra l accumulazione delle esperienze e la direzionalità etica: in ogni connessione e in ogni strappo rispetto al passato, c è un soggetto narrativo in fieri che mantiene la sua specificità, cioè i caratteri pertinenti che lo rendono riconoscibile, ma nello stesso tempo si evolve, secondo delle linee di coerenza che non lo rendano altro rispetto a se stesso. Idem e ipse non esisterebbero se non in presenza dell alterità, ed è sulla base di questa opposizione che mantengono la loro linea etica. Floch modellizza questa nozione di identità distinguendo due componenti nel discorso di marca: una componente invariabile (il sé ipse, per così dire, della marca) e una componente variabile (il sé idem): queste due componenti si trovano rispecchiate su due dimensioni: quella sensibile (il piano del significante, riprendendo Hjelmslev a cui Floch si riferisce esplicitamente) e quella intellegibile (il piano del significato). Le due dimensioni sono unite da una cerniera, utilizzando la metafora di Floch stesso: quando cambia qualcosa sul livello del contenuto, cambia qualcosa anche su quello dell espressione e viceversa. La componente invariabile della dimensione intellegibile è chiamata da Floch etica della marca ; la componente invariabile della dimensione sensibile è invece chiamata estetica della marca. Sono le componenti che devono essere mantenute, pena la fine della marca stessa, anche a fronte di un dinamismo delle parti variabili, nuovi materiali, nuovi colori, nuovi prodotti se è necessario, che non facciano però perdere personalità a qualcosa di fortemente radicato. 10

Questa teoria filosofica è alla base dello slogan più utilizzato degli ultimi dieci anni, quello che vede protagonista il binomio tradizione/innovazione. È una formula efficace, perché attribuisce al soggetto istituzionale (pubblico o privato che sia) la capacità di rispettare e tenere in considerazione il passato e nello stesso tempo di immaginare e pianificare il futuro, racchiude conservazione e progresso, continuità storica e propensione al cambiamento. Il binomio gestisce attraverso due parole apparentemente antitetiche le due forze che sono sottese alla gestione del principio base dell esistenza del soggetto nella relazione: l identità. Innovazione e tradizione non sono che due polarità necessarie perché ogni identità di marca mantenga la propria faccia il proprio stile, non per questo rifiutando il cambiamento. Alla base di slogan apparentemente semplici, esiste un discorso filosofico complesso, molto utile per capire come le marche ci somiglino, e come e perché tendiamo a dar loro fiducia come se fossero dotate di personalità. Di questa personalità delle marche ha fatto una vera e propria ideologia pubblicitaria Jacques Séguéla, teorico della cosiddetta Star Strategy (Séguéla, 1982). Secondo questa strategia, la marca, come la persona e in particolare la persona famosa, è composta da tre elementi: il fisico, il carattere e lo stile. Trasposta sull universo commerciale, il fisico consiste nel prodotto, mentre il suo carattere è costituito dai valori invariabili; lo stile è l insieme dei tratti riconoscibili al livello dell espressione. È la prima teoria involontariamente semiotica della marca, dato che tiene conto della separazione tra l istanza dell espressione e quella del contenuto. La sua forza consiste nell aver considerato l identità di marca al pari di quella degli attori, che sono costruiti da una logica industriale tanto quanto i prodotti, ma che non sono solo dei corpi venduti all industria dello spettacolo, ma entità più complesse, costruite a partire dalla somma dei ruoli che hanno rivestito nella loro carriera. Per essere riconoscibile e ottenere la fiducia del consumatore, la marca deve quindi avere tenuta, mantenere cioè la sua specificità di carattere e gestire i suoi cambiamenti in base alle promesse fatte. Il problema dell identità e dei suoi cambiamenti si pone sia dalla parte della marca che dalla parte del consumatore ed è connessa alla nozione di stile. Lo stile infatti si realizza nella proposta sempre rinnovata di valori costanti: una marca mantiene lo stile se conia prodotti che corrispondono allo spirito dei prodotti precedenti; una persona mantiene il proprio stile se il suo consumo non cade su prodotti che rendano la sua identità vacillante. Bisogna fare attenzione però al fatto che l identità di marca si basa anche sulla tendenza maggiore o minore al cambiamento: ci sono marche più tradizionali meno inclini al cambiamento, e marche che invece hanno la tendenza a innovare con più frequenza. È la differenza tra stile e moda coniata dal celebre refrain di Coco Chanel: La moda cambia, lo stile resta. Ecco che allora ci sono marchi con una solida gestione dello stile, e marchi invece più soggetti a seguire l onda del momento e probabilmente più esposti al fallimento: per Chevalier e Mazzalovo (2008), uno dei criteri di distinzione tra moda e lusso è rilevabile nelle qualità della stabilità e della perennità : un brand di moda assurge allo stato di marchio di lusso quando possiede dei modelli classici e ha dei best seller 11

permanenti. Ecco perché Chanel dura, mentre Courrèges è tramontato dopo qualche gloriosa stagione (Barthes, 1967). Sottolineando però i valori perenni della marca, si rischia di svalutare il fattore più importante per la vita di un marchio, di lusso o di moda che sia, ossia la capacità di innovare. Per questo Gérard Mazzalovo considera altrettanto importanti la capacità di mantenere un identità e la capacità di saper cambiare. Così traduce in termini immediatamente comprensibili per l uomo di marketing a cui rivolge la sua ricerca, l equilibrio identitario di Ricoeur e la distinzione espressione/contenuto della semiotica Hjemsleviana/Greimasiana: nella concezione della cerniera cara a Jean Marie Floch, esiste nel brand una parte invariabile il nucleo idem dell identità di marca e una parte variabile la gestione del cambiamento secondo linee di coerenza. Stabilità e cambiamento appartengono sia alla dimensione sensibile, cioè al livello dei prodotti e della comunicazione, dei prezzi e dei punti vendita, sia alla dimensione intellegibile, cioè al livello dei valori e dell etica di marca. La cerniera è il meccanismo attraverso cui un innovazione sul piano sensibile si ripercuote immediatamente sul piano dell intellegibile, e viceversa: se cambia l estetica della marca, cambia inevitabilmente anche la sua etica; e se la marca si fa portatrice di nuovi valori, questo viene subito evidenziato da nuovi modi di produzione e nuovi prodotti, e necessariamente viene anche comunicato in campagne pubblicitarie ad hoc. Passare in rassegna i fattori di mantenimento e quelli di cambiamento permette di avere una visione più ampia degli orizzonti verso cui va la marca e di ridirezionarne il senso nel caso in cui si stessero facendo degli errori. Il problema dell identità si pone anche al livello del consumatore: è vero che questo costruisce tendenzialmente forme di vita coerenti, ma può permettersi anche comportamenti incoerenti e imprevedibili nell associare un prodotto a un altro. Anzi il bricolage e la costruzione di uno stile personale oggi sono molto più ricercati piuttosto che un total look, considerato banale e privo di inventiva (Heilbrunn B. et Hetzel P., 2003). Fino agli anni Ottanta, molti studiosi hanno sostenuto la differenza tra immagine, corporate identity e identità d impresa, vedendo l immagine come costruzione sociale, somma delle percezioni collettive, la corporate identity come immagine interna, modo di percepirsi dei dipendenti; l identità d impresa è invece letta come costruzione individuale, modo in cui la corporation vuole essere vista. Un certo tipo di approccio cognitivista (come quello di Keller, 1998) ha letto il rapporto tra identità e immagine in termini quantitativi, all interno della nozione di brand knowledge o brand awareness, concetto che misura il numero di persone che sa a cosa si riferisce il marchio e quali sono le sue promesse (Kapferer 1997: 137). Il successo di una marca, cioè, sarebbe rilevabile nella sua capacità a restare nella memoria del pubblico a lungo termine: l immagine che ci si costruisce della marca influenzerà poi i comportamenti di consumo. È una visione di tipo behaviorista che non tiene conto delle interpretazioni, ricostruzioni e trasposizioni della marca nella vita quotidiana del consumatore, che viene considerato come una superficie d iscrizione e memorizzazione più o meno efficace degli stimoli inviati dalla marca (Semprini, 2006: 100) piuttosto che il luogo della negoziazione del senso. La brand awareness è fondata soltanto su un meccanismo quantitativo, 12

poiché è rilevabile nel numero di persone che cita il nome di una marca, quando il ricercatore propone di pensare a quali siano le aziende rappresentative di un certo settore merceologico; in seconda istanza il ricercatore chiede all intervistato se abbia mai sentito il nome di una certa marca. Come vedremo nel nostro caso studio, a volte non basta conoscere il nome per conoscere il prodotto: spesso si associano a un nome di marca prodotti appartenenti ad altre marche. La commistione di valore economico finanziario e valore socioculturale che è implicata nella distinzione identità/immagine è stata condensata nel termini, molto utilizzato nel mondo anglosassone, di brand equity 2 (Aaker, 1991). È più utile secondo noi considerare la marca come risultato di una relazione, di una continua negoziazione tra proposta di senso e uso sociale, seguendo una tradizione di studi che parte da Kapferer (1997) e arriva ai nostri giorni. Per Pierluigi Basso, la marca è un vero e proprio software identitario implementabile (Basso, 2007), nel senso che, più che essere un identità precostituita in sé, svolge una funzione di mediazione tra lo spazio soggettale e l ambiente esperienziale, fa in modo che un soggetto, tramite la protesi identitaria offertagli dalla marca, si oggettivizzi e dichiari la propria appartenenza a un mondo possibile, teatralizzando il suo modo di vivere. La marca stessa vive solo se i suoi valori sono attualizzati. Il brand, rendendo disponibili valori a cui il consumatore si associa, diventa forma di vita. 1.3. Verso un interpretazione letterale della marca La riconoscibilità è stata il primo obiettivo della marchiatura dei prodotti già all origine delle prime forme di mercato: perché non si confondessero, perché non si perdessero, gli oggetti destinati al commercio marittimo portavano impresso il loro marchio di provenienza, così rendendone immediatamente riconoscibili proprietario, origine e produttore. In questo modo si distingueva e si differenziava l oggetto dagli altri, si rapportava questo oggetto con un soggetto (che fosse il produttore o il proprietario) e se ne segnalava la provenienza. La marca serviva anche come strumento mnemonico, affinché l identità del produttore restasse impressa nella mente del cliente. Così il marchio, associato a un prodotto, sarebbe stato strumento utile per risalire all artefice, che sarebbe stato nuovamente interpellato nel caso in cui il prodotto avesse soddisfatto le attese del cliente. La reiterata acquisizione di beni appartenenti a un certo marchio genera meccanismi di fiducia: saltando il passaggio del rimando al produttore e all origine, il marchio stesso diventa sintesi visiva della reputazione del prodotto, attribuzione di fiducia al produttore, alla provenienza, al proprietario o al commerciante. 2 La brand equity racchiude la sua natura ambigua del concetto di identità di marca, e cioè la sua appartenenza a una dimensione economica e sociale: un incremento di capitale finanziario significa una possibilità di aumento di valore aggiunto, e nel contempo una migliore percezione da parte del pubblico può anticipare un miglioramento nelle prestazioni economico finanziarie. 13

La marchiatura nasceva dunque con l artigianato ma soprattutto con il commercio, con il distanziamento tra produttore e consumatore, che, diventando invisibili l uno all altro, trovavano nel marchio un medium in grado di metterli in relazione. La distanza tra gli attori del commercio diventò siderale con l avvento della produzione industriale. È nel momento di massima espansione produttiva che il brand acquisisce veramente forza. In un tempo in cui produzione e scambio diventano standardizzati e in cui non c è più il controllo di unʹunica persona sulla produzione, il marchio diventa fonte unica di garanzia che quel prodotto è realizzato con certi crismi e secondo certi modelli. La nascita del brand è associata all estensione della proprietà industriale e dei brevetti: è della fine dell Ottocento la prima legge federale statunitense sui marchi di fabbrica (Chevalier e Mazzalovo, 2008: 98), ma lo sviluppo del brand va accelerando nel corso del Novecento, assumendo spessore teorico e valenza strategica con lo sviluppo della Corporate Image negli anni Cinquanta, e raggiungendo l apice del suo successo negli anni Sessanta (Vinti, 2007). La corporate image nasce infatti dalla necessità delle grandi aziende americane di dotarsi di un anima, di umanizzarsi (Marchand, 1998), di dare una fisionomia appunto a quella personalità che Kotler inserisce tra le 7 p del suo marketing mix. Avviene quindi uno scollamento: il marchio diventa un segno di distinzione e di qualità rispetto alla concorrenza, ma si appone sull artefatto prodotto in serie, non più sull oggetto riconosciuto come proprio dall artigiano. Ecco che allora il discorso di marca si distacca dalle caratteristiche intrinseche del prodotto e dalla storia della sua produzione, per situarsi su un terreno arbitrario, scelto in base a strategie di posizionamento sul mercato. Seguendo la tesi postmodernista di Fredric Jameson, Basso dimostra come la mediatizzazione della società abbia reso invisibili i meccanismi e le dinamiche di produzione e impercettibile il legame tra paternità e merci: per questo le marche ricorrono alla costruzione di un immaginario, a un mondo possibile invece di risalire alle dinamiche della produzione. Non appena il logo è mediatizzato, si perdono le tracce dei processi di produzione e di apposizione del logo stesso. Il logo non ha più, come invece la firma e la griffe, un legame forte e stabile con il processo di produzione (Basso, 2007: 137). La marca è quindi trattata alla stregua di una star (Seguéla, 1982), seguita nel suo sviluppo e curata nei tre aspetti che la formano: il suo corpo, la sua psicologia e il suo stile. I suoi prodotti sono dimenticati a favore della costruzione di un identità suppletiva. L ideazione di certe campagne pubblicitarie, come quelle di un famoso creativo come Jacques Séguéla, sono il risultato di questa ideologia: costruire dei miti che andassero al di là delle qualità intrinseche del prodotto pubblicizzato. Questo ha permesso il passaggio di valori dalla merce alla persona che ne usufruiva. La persona che sceglie una certa marca, diventa marchiata essa stessa da quei valori di cui è investito il prodotto tramite la costruzione di un mito. Il pacchetto di valori associato alla marca finisce per investire anche il suo utente. Questi valori erano quindi diventati piuttosto arbitrari negli anni Ottanta, nomadici, lontani dal prodotto. L ipotesi è che oggi qualcosa stia cambiando, che la marca stia recuperando la sua letteralità, cioè il fatto di essere marchio di garanzia legato a un prodotto specifico. 14

Ciò non significa che sia terminata la fase di costruzione di un mito intorno alla marca: semplicemente è cambiato il tipo di ideologia che invece di essere costruita su concetti piuttosto vaghi e arbitrari (la libertà, la sensualità, la sensibilità per i problemi sociali), si situa su una nuova ideologia della produzione. Chi compra una marca oggi, tendenzialmente esprime adesione a un universo di valori, che ha anche a che fare con il sostegno dell industria locale e dell artigianato, e un avversione alla produzione di massa. 1.4 L Autore, la firma e la marca La marca è come una firma che si appone sul prodotto e per questo è soggetta a un regime simile a quello dell opera d arte. Come l autore di un opera d arte, la marca è un marchio di fiducia, d origine, di garanzia, di proprietà; come l opera che viene apprezzata quando se ne riconosce la firma, l autore che l ha prodotta, allo stesso modo, la merce vale perché è prodotta da un azienda che ha un nome : il consumatore sceglie di investire il suo denaro in quella merce, perché ne conosce il produttore, così come il visitatore di una mostra (per non parlare del collezionista d arte) dimostra apprezzamento per un opera se sa che l ha prodotta un artista famoso. Per questo la marca svolge una funzione di orientamento di fronte alla difficoltà di costruirsi un gusto personale. D altra parte, come l autore è considerato un genio proprio perché produttore di un lavoro riconosciuto socialmente come opera d arte, così un azienda diventa marca solo quando produce una merce riconoscibile (questo discorso vale nella moda, nel design, nell arte come nell architettura). Lo sviluppo delle marche ha quindi seguito la stessa tendenza che si è affermata nelle arti da Duchamp in poi: ciò che dà valore all opera è la firma che gli viene apposta. Così, se l orinatoio diventa opera d arte non è soltanto perché l oggetto è stato spostato di contesto da un bagno pubblico a un museo ma perché è stato firmato dal Artista. La firma segno istituzionale del gesto d autore fa apparire come prodotto irripetibile il banale elemento di una qualsiasi serie di oggetti, trasformando l opera allografica in prodotto autografico (Marrone, 2008 con riferimento a Goodman, 1968). L autografia del prodotto seriale è diventata una vera e propria esigenza di fronte all imperversare della contraffazione dei prodotti griffati: il successo di una marca si legge infatti anche nella quantità di epigoni che ne riprendono lo stile. La marca è dunque l iscrizione di un Autore in un prodotto e in tutte le variabili del marketing mix. Questo Autore è sempre più spesso una Persona, nel senso di maschera, di ruolo fisso. Difficilmente è rappresentato come il produttore materiale della merce, ma è costruito come un creativo, un intellettuale dallo sguardo profondo e sicuro di sé. L autore è l incarnazione del gusto e dello stile legati alla marca, essendone l inventore. Giorgio Armani veste e si comporta secondo lo stile che inventa, sobrio, minimalista, elegante, monocromatico. Versace ha avuto una vita trasgressiva ed eccentrica, adeguata allo stile lessi is boring che lo caratterizzava. L Autore non è dunque un mero emittente, mandante della 15

griffe e dei suoi valori, come potrebbe apparire a un occhio ingenuo; piuttosto ne è lui stesso incarnazione. Anche la costruzione dell autore rientra nel progetto di marca e ne è manifestazione. In un ruolo che è di testimonial rinforzato (perché è lui stesso che ha inventato prodotti e marchio), il designer costruisce il fruitore a sua immagine e somiglianza. Il testimonial è una mediazione tra enunciatore, di cui condivide i valori, ed enunciatario di cui è simulacro vicario. Se è famoso, proietta i valori con cui è stato costruito il suo personaggio sulla marca stessa che sostiene 3. Il cortocircuito tra autore di una griffe e fruitore della stessa è dimostrato in chiave ironica e attraverso una comunicazione obliqua che mette in gioco lo spettatore in almeno due campagne pubblicitarie: una è la famosa campagna di Diesel Be stupid ; l altra è la campagna 2009 2010 di Patrizia Pepe Who is Patrizia?. Non ci occuperemo di tutta la campagna Diesel, che avrebbe bisogno di una ricerca a sé, ma di un edizione unica di annuncio, cioè il paginone centrale di Repubblica del 15 Settembre 2010 dedicato a Renzo Rosso, l Autore appunto. Dopo aver diffuso tra i manifesti cittadini e le pubblicità della stampa il messaggio Be stupid (perchè lo stupido è quello che fa, non quello che critica; quello che ascolta il cuore, non la testa; quello che ha le palle, non il cervello e così via), quel giorno Diesel svela finalmente chi si celi dietro il modello Stupid che il destinatario creativo, anticonformista, cool dovrebbe seguire. Il messaggio così diceva: C è chi vede le cose per come sono. C è chi le vede come potrebbero essere. A Renzo, primo degli stupidi, dei coraggiosi, dei visionari, tanti auguri per i tuoi 55 anni. Da tutti noi, stupid Diesel people. Si spiega allora tutto il senso della campagna, esortazione al destinatario a essere stupid : la stupidità è il valore che ha fatto in modo che Diesel fosse Diesel, è il suo carattere centrale incarnato dall inventore della Diesel. Un controvalore diventa valore posizionante del marchio, perché è un controvalore ridefinito come sinonimo di coraggio e visionarietà. In questo originale biglietto d auguri, destinante e destinatario si invertono: non è più Diesel che suggerisce al lettore di essere stupido, ma sono i diesel people, a cui appartiene il lettore se aderisce ai valori enunciati dalla campagna (se è abbastanza stupido), a comunicare un messaggio di ringraziamento al capo dell azienda. Nel ribaltamento della situazione enunciativa, il lettore, il consumatore Diesel diventa parte del noi enunciato nel messaggio e così facendo dimostra di aderire al valore di stupidità che Renzo, primo degli stupidi, incarna. Ancora più evidente la confusione tra Autore e Lettore nella celebre campagna di Patrizia Pepe, Who is Patrizia?, classico esempio di comunicazione integrata e invasiva rispetto ai social networks. Nelle riviste e nei giornali troviamo diverse fotografie dove una donna ben vestita e in ambientazioni diverse ma sempre chic copre il viso con oggetti diversi (una macchina fotografica, un ritratto, uno specchio); le pubblicità a stampa costruiscono così il mistero sull identità misteriosa e rimandano al sito web. Per ottenere risposta all annosa domanda, inseriamo i nostri dati nella home page. La procedura di 3 Cfr a questo proposito Coluzzi F. «Dal divo al marchio e ritorno. Storie di riabilitazione attraverso il brand, Tesi specialistica in Comunicazioni Visive e Multimediali, Università Iuav di Venezia, 2011. 16

inserimento dei dati, lunga e noiosa, può essere saltata, facendo l accesso diretto dalla nostra pagina di Facebook. Finalmente riusciamo ad accedere alla campagna pubblicitaria e clicchiamo su ogni foto per cercare gli indizi che ci permetteranno di capire chi si cela dietro le maschere. Scopriamo allora che Patrizia ha i nostri stessi gusti musicali, la nostra età e, infine, il nostro nome. Come se non bastasse, l ultima schermata esplicita questa strepitosa scoperta con una scritta a tutto schermo: Patrizia sei tu!. Ecco un classico esempio dove la ricerca dell identità dell autore finisce con l immedesimazione dell utente, in una versione contemporanea del de te fabula narratur ; come se non bastasse, per una profezia che si autodetermina, abbiamo ceduto i nostri dati presenti nelle pagine di facebook all ufficio comunicazione del marchio Patrizia Pepe, che adesso sa quali sono i gusti musicali e cinematografici, il grado di educazione, il tipo di amicizie del suo consumatore ideale. E può costruire il suo personaggio Patrizia seguendo il nostro profilo. Patrizia adesso sarà davvero come noi, perché i suoi valori saranno costruiti e ridefiniti attraverso il profilo del suo utente ideale. 17

2. La gestione dell innovazione 2.1 Gestire il cambiamento dal progetto alle sue manifestazioni Gli studi semiotici e sociologici sulla marca hanno prodotto una rivoluzione copernicana nel campo del marketing. Da Séguéla in poi infatti si è smesso di pensare che la marca fosse un fenomeno accessorio e secondario rispetto ai core values del prodotto e le si è data centralità assoluta. Il marketing tradizionale invece, rappresentato dal celebre modello di marketing mix di Kotler (1986), mette il prodotto al centro, circondato da prezzo, comunicazione, distribuzione e posizionamento. Questo modello designa l insieme coerente delle variabili agendo sulle quali si sviluppa una buona strategia di mercato. È un modello che si situa storicamente agli albori del mercato, quando l offerta stava cercando di costruire una domanda e di creare una cultura del consumo. In questo contesto, il prodotto aveva una centralità assoluta e la comunicazione era solo un coadiuvante alla commercializzazione, allo stesso modo del packaging, dei canali di distribuzione, delle politiche dei prezzi e del posizionamento (la nicchia di mercato dove il prodotto è al riparo dalla concorrenza). Negli anni Settanta comincia a diffondersi negli ambienti del marketing la distinzione tra due tipi di comunicazione (che però è considerata sempre ancillare rispetto al prodotto): la comunicazione di prodotto e la comunicazione di marca. Mentre la comunicazione di prodotto mette in discorso le caratteristiche sostanziali e qualitative dell oggetto commercializzato, la comunicazione di marca inizia a costruire un universo di senso che fa riferimento agli stili di vita che il consumatore dovrebbe assumere acquistando quel prodotto. È un idea del primo grande teorico della marca, Jean Noel Kapferer, che ci siano due tipi di relazione possibile tra la marca e il prodotto: una relazione costruttiva per cui la pubblicità crea il prodotto, e una relazione referenziale secondo cui il prodotto crea la sua comunicazione. La distinzione diventa ancora più netta quando si sviluppa un tipo di pubblicità alla Séguela, come già citato, o alla Benetton, che si allontanano dal prodotto per costruire un universo mitico. Non c è una ragione sostanziale per cui le pubblicità si allontanano gradualmente dal prodotto: non è che il prodotto abbia perso qualità e abbia bisogno di una comunicazione che lo nasconda, e la pubblicità costruttiva non è certamente più ingannevole di quella referenziale. Semplicemente si basa su un genere diverso: una costruisce mondi possibili, l altra torna ai valori della produzione. Si tratta di due tipi di filosofia messe al servizio della comunicazione o di generi pubblicitari, come metterà in luce J.M. Floch (1990): un tipo di comunicazione tende a costruire una ideologia referenziale, mentre un altro tipo di comunicazione costruisce un universo mitico. La pubblicità sostanziale e la pubblicità referenziale non hanno uno statuto ontologico privilegiato rispetto a una pubblicità che nasconda il prodotto sotto i lustri dello spettacolo. Entrambe sono discorsi, ma uno mira a costruire un immagine di sé che sia fondata sull onestà e sull affidabilità; l altra costruisce sogni. 18

La disamina critica di Floch corrisponde perfettamente allo spirito del marketing degli anni Novanta, che dà finalmente centralità alla marca, mentre il prodotto diventa una delle variabili che ruotano intorno alla marca. Secondo questa nuova conformazione del marketing mix, la marca non vive in funzione del prodotto ma, anzi, è il prodotto stesso a farsi manifestazione testuale della marca, a incrementarne lo spessore simbolico, a garantirne la riconoscibilità (Marrone, 2007: 10). L idea che il prodotto non sia che una delle manifestazioni testuali del progetto di marca è ben formalizzata da Andrea Semprini (2006), che elabora un modello che distingue il Progetto dalle Manifestazioni: all interno del Progetto si colloca la strategia, l originalità e la forza socioculturale di una marca; ma sono le Manifestazioni servizi e prodotti che concretizzano il progetto e lo fanno vivere nella quotidianità dei consumatori. Questo approccio considera marca e prodotto parte di un sistema olistico, dove la marca non è semplicemente un apparato di comunicazione che circonda il prodotto, elemento materiale e fondamentale dello scambio economico, e nello stesso tempo il prodotto non è semplicemente un pretesto su cui viene costruita una campagna mediatica totalmente arbitraria rispetto alla sua presenza. Sia il prodotto che la comunicazione incarnano i valori sottesi alla marca, ne selezionano i tratti pertinenti e invariabili. Il Progetto è alla base della dimensione comunicativa e della dimensione materiale. La marca contemporanea, secondo Semprini, non trascura il prodotto: semplicemente, lo assoggetta a un progetto di senso con il quale deve essere coerente e pertinente. La marca, più che essere un diffusore di informazione, è un motore semiotico, una logica di selezione, di organizzazione e di concretizzazione di un progetto di senso (Semprini, 2006:58). Il progetto di marca si realizza dunque grazie ai livelli di manifestazione che sono: il prodotto; la comunicazione; il punto vendita e il prezzo. È a partire da questi livelli di manifestazione che si gioca l innovazione: questa può investire i prodotti (attraverso il restyling, la differenziazione o l estensione di linea); la comunicazione (nuove campagne pubblicitarie; cambio del logo; strategie di rebranding); la distribuzione (redesign dei punti vendita; scelte di distribuzione su nuovi canali o nuovi media); il prezzo (strategie premium o di trading up). Una volta definito il progetto, ci si può permettere di gestire il cambiamento anche investendo nuovi territori. Il cambiamento, come già visto in 1.2, deve giocarsi sul delicato terreno dell identità: bisogna essere capaci di innovarsi senza perdere il proprio carattere. La logica del cambiamento si situa su una dimensione contrattuale, che investe i campi della fiducia e della fedeltà: un consumatore sarà fedele a una marca, se questa persegue in modo coerente lo stesso progetto attraverso nuove manifestazioni. La fiducia crollerà, una volta che la marca tradirà se stessa e i valori affermati nel suo passato. Bisogna quindi avere il coraggio di cambiare e di evolversi, ma entro i limiti richiesti dal contratto di fiducia che lega la marca al consumatore: se il consumatore non vede i vantaggi implicati nel cambiamento non lo accetterà. 19

2.2 Innovazione nel prodotto: diversificazione ed estensione di linea La diversificazione consiste nell espansione del territorio della marca che, dalla produzione di un prodotto o di una certa tipologia di prodotti, passa alla produzione di una gamma più ampia di prodotti. Può consistere in un estensione di linea, quando la marca amplia la gamma dei suoi prodotti all interno di uno stesso territorio (quello dell abbigliamento, ad esempio, o dell alimentazione); o in un estensione di marca, quando coinvolge territori diversi da quello d origine: è il caso della Virgin, ad esempio, che dalla produzione di dischi è passata alla gestione di compagnie aeree low cost e di bevande analcoliche. Nel settore del lusso, spesso l estensione di linea ha segnalato il passaggio dall artigianato e dal controllo diretto sul prodotto a una dimensione più ampia e a un volume di vendite più corposo, ed è stato un passo necessario perché l azienda si affermasse come brand: ad esempio Gucci ha iniziato la sua carriera con la produzione artigianale di borse di pelle, in un secondo tempo ha provato la produzione sartoriale, e infine ha ampliato la gamma con una serie di accessori come gli orologi, i gioielli e gli occhiali; anche Ferragamo è passato dalla pelletteria (in particolare dalla produzione di scarpe) alla sartoria maschile e femminile; Calvin Klein è passato dai profumi al abbigliamento, Chanel dall abbigliamento femminile ai gioielli e agli orologi fino alle creme di bellezza con il marchio Précision; Dior dalla sartoria d alto livello ai cosmetici. Un estensione di linea generalizzata riguarda la produzione di profumi, che tutti i marchi, anche quelli di media gamma, tendono ad avere e su cui basano una parte consistente del fatturato. Altri marchi hanno adottato un altra strategia che consiste nell invenzione di una nuova marca sotto garanzia della marca principale, con conseguente fenomeno di trading up da parte di consumatori (vedi par. 2.5): così ha fatto Cartier, che ha lanciato Must; Dolce e Gabbana con la linea D&G; Armani con Emporio Armani. Un altra modalità di estensione di marca consiste nella cessione di licenze a terzi: così è successo per Armani Casa o per Versace Home Collection. L estensione di marca è un processo molto delicato perché modifica la relazione tra la marca e il prodotto, nonché la relazione tra la marca e la categoria dei prodotti. Essendo il prodotto manifestazione della marca, l ideazione di un nuovo prodotto deve essere sempre rispondente ai codici etici ed estetici della marca; l oggetto deve quindi manifestare i valori pertinenti della marca, sia nelle sue forme che nelle sue funzioni. J.N. Kapferer (2002: 157) cita l esperienza di estensione fallimentare della compagnia Bic, che dalla produzione di penne a sfera è passata a quella degli accendini e dei rasoi, e fin qui tutto bene. Quando ha iniziato a produrre profumi e collant, qualcosa è andato storto. La ragione è semplice: mentre le prime categorie di prodotto rispondevano a valori come l economicità, l ergonomia, lo stile usa e getta, erano fatte di materiali come la plastica e avevano forme semplici e riconoscibili, le categorie dei collant e dei profumi non si adattavano bene a questi valori. Associati all universo di senso della funzionalità estrema, raggiunta con semplicità di materiali, finivano per scadere in un universo cheap. 20