Sostenibilità e strategie di sviluppo delle bioenergie in Italia

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1 Sostenibilità e strategie di sviluppo delle bioenergie in Italia Le bioenergie rappresentano oltre il 10% del consumo globale di energia primaria nel mondo e rappresentano tuttora 2/3 dell intera produzione di energia primaria da fonti rinnovabili nell Unione Europea che assegna un ruolo importante a questa fonte anche negli scenari a medio termine (vedi obiettivi al 2020) e ha iniziato a definirne alcuni criteri di sostenibilità. In particolare le agrienergie (ossia le bioenergie derivate dalle colture agroforestali, dagli effluenti zootecnici e dai sottoprodotti agroindustriali) sono una grande opportunità per l agricoltura e per l ambiente, purché coltivate e utilizzate in misura appropriata. Le agrienergie infatti possono offrire un contributo significativo a mitigare i cambiamenti climatici e ad aumentare l autonomia energetica dei nostri territori ma non si devono considerare l alternativa globale al petrolio né una commodity energetica comparabile principalmente in termini di prezzo-efficienza rispetto ad altre materie prime energetiche. Lo sviluppo delle bioenergie in Italia e il loro ruolo appropriato In Italia, secondo un recente studio di APER, risulterebbero in esercizio oltre 700 impianti di produzione di energia elettrica da biomassa, per un totale di quasi MWe installati, quasi egualmente ripartiti tra bioliquidi, biomasse solide e biogas, pur con una netta prevalenza, in termini di numero di impianti, del biogas (535). 1 A differenza del biogas infatti, la cui produzione è distribuita in prevalenza in piccoli digestori anaerobici con una potenza media di 0,86 MWe, la potenza media degli impianti di produzione elettrica da biomassa solida risulta sui 5 MWe e, nel caso dei bioliquidi, sale a 6,5 MWe. 2 Inoltre, delle circa 25 centrali termoelettriche di dimensione medio-grande analizzate da ITABIA 2008, 19 centrali, ossia i 4/5, risultano destinate alla produzione esclusiva di elettricità, al contrario di Paesi come Svezia e Germania, in cui l elettricità da biomassa è quasi interamente prodotta in cogenerazione. A fronte di questo rilevante sviluppo della produzione di energia elettrica da biomasse, la potenza di energia termica in teleriscaldamento, secondo dati ITABIA 2008, è ancora limitata a 400 MWt, distribuiti in circa 130 impianti. Infine, per completare il quadro, va ricordato che l Italia ha una capacità produttiva globale di biodiesel e bioetanolo di circa 2 Mton annue. Nell attuale sviluppo della produzione italiana di bioenergie, quanti di questi impianti sono frutto di una pianificazione territoriale o quantomeno di una valutazione accorta delle risorse disponibili sul territorio o, più in generale anche nel caso di provenienza estera della materia prima, di un accordo di filiera tra produttori agricoli e gestori di impianti? 1 APER Studio sulla diffusione degli impianti a bioenergie per la produzione elettrica in Italia settembre Secondo tale studio la diffusione risulta così ripartita: biomassa solida bioliquidi biogas totale N MW 499,58 529, , ,881 2 Da rilevare lo sviluppo molto recente delle centrali a olio vegetale in Italia: degli 81 impianti censiti da APER, 70 sono sorte negli ultimi 18 mesi. Inoltre in questo settore si concentrano impianti di notevoli dimensioni, a partire dalle centrali di Monopoli in Puglia (144 MWe), di Acerra in Campania (74 MWe) e di Conselice in Emilia Romagna (58,2 MWe) tutte alimentate a olio di palma. 1

2 Le politiche di sviluppo delle agrienergie non possono ignorare la loro specificità di fonte energetica indissolubilmente legata alle economie agricole locali e ai contesti territoriali. Di conseguenza il loro sviluppo corretto non può che essere altamente decentralizzato. Se l approccio alle agrienergie è invece di tipo prettamente mercantile, prevale il criterio di produrre la massima quantità al minor prezzo, col conseguente ricorso alle materie prime importate, senza alcuna ricaduta positiva per il sistema agricolo nazionale. Al contrario le attività agricole mirate alla produzione di energia vanno sviluppate innanzitutto nella prospettiva di una crescente multifunzionalità dell azienda agricola, come reale opportunità per diversificare le produzioni e mantenere i redditi più stabili anche in presenza delle imprevedibili oscillazioni dei prezzi provocate dalla globalizzazione dei mercati. Le nuove direttive europee e lo sviluppo dei biocarburanti Del resto, per valutare il contributo che l agricoltura italiana potrà dare agli obiettivi ambiziosi fissati dall Unione Europea per il 2020 (20% di energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico lordo e 10% sul consumo energetico finale nel settore dei trasporti), si deve tenere conto delle sue specificità, della superficie agraria limitata e molto frazionata, e che bisognerà evitare ogni rischio di conflitto con le produzioni alimentari. Inoltre, con la Direttiva RES (2009/28) sulle fonti rinnovabili di energia, l Unione Europea ha impresso una svolta importante nelle politiche agroenergetiche, assumendo il criterio fondamentale dell efficienza energetica dell intera filiera e riconoscendo per la prima volta il ruolo dell agricoltura e il suo legame indissolubile con fattori critici quali il suolo e gli stock di carbonio, i consumi idrici e il maggiore o minore impiego di mezzi inquinanti. In base alle nuove norme, ogni area NUTS, e quindi ogni regione italiana, dovrà calcolare e dimostrare per ora limitatamente ai biocarburanti l efficienza energetica delle filiere attivate e in particolare della fase di produzione agricola. Da questo punto di vista le Direttive comunitarie possono diventare occasione per confrontare, ripensare o implementare i criteri che governano le politiche agricole territoriali. Per quanto riguarda i carburanti alternativi e il contributo potenziale della superficie agricola italiana all obiettivo del 10% al 2020, l impegno del Governo e delle Regioni italiane va rapidamente indirizzato a stimolare lo sviluppo del biometano e la ricerca e sviluppo dei cosiddetti biocarburanti di seconda generazione e in particolare delle tecniche di estrazione di biocombustibili liquidi dai residui ligno-cellulosici e dagli scarti agroalimentari. In alcuni paesi europei, a partire dalla Germania, è già sviluppato l impiego del biogas, dopo purificazione a metano al 95-98% (biometano), nel settore dell autotrasporto per alimentare gli stessi veicoli che utilizzano il gas naturale. Relativamente alle emissioni di gas ad effetto serra il biometano presenta grandi vantaggi rispetto ai combustibili fossili: è un combustibile rinnovabile, le emissioni di CO 2 del ciclo di vita sono molto ridotte, inoltre, derivando da sostanza organica, elimina la dispersione di metano dovuta alla naturale decomposizione della stessa sostanza organica. Questi effetti combinati consentono di ottenere, a seconda del substrato di base utilizzato per la produzione di biometano, una riduzione di emissioni di CO 2 -equivalente variabile dal 75 al 200%. Inoltre, i veicoli a biometano rispettano i limiti in materia di emissioni previsti dalle norme più severe vigenti in Europa. Le attuali colture dedicate da energia oleaginose in particolare (e in genere le colture per biocarburanti di prima generazione) - possono invece trovare impiego efficace, sia sotto il 2

3 profilo ambientale che economico, a livello di pianificazione locale, purché inserite in piani di rotazione con le tradizionali colture alimentari e principalmente destinate a filiere locali. In ogni caso il contributo effettivo delle colture dedicate in Italia all obiettivo del 2020 non potrà che essere parziale e una pianificazione a livello di filiere nazionali rischia di creare pericolose distorsioni sull uso del suolo agricolo in Italia o più facilmente di rimanere lettera morta, come è avvenuto in questi anni. 3 Riteniamo in ogni caso inutile e dannoso il tentativo di incrementare le rese delle colture dedicate da energia nei territori italiani, ricorrendo a tecnologie OGM. La pretesa di assenza di danni per la salute umana, dal momento che si tratterebbe di colture non food, non giustifica il rischio elevato di inquinamento genetico di altre coltivazioni ed è del resto smentita dal fatto che proprio le principali specie oggetto di attenzione (soia e mais) trovano impiego principale nel settore alimentare. Politiche regionali e distretti agroenergetici Le filiere attivate a livello nazionale in questi anni vedi il caso dei biocarburanti del resto hanno coinvolto solo marginalmente agricoltori, trasformatori e distributori locali, favorendo invece strutture industriali che hanno utilizzato come materia prima oli o semi oleosi acquistati a basso costo sul mercato internazionale. La possibilità che il mondo agricolo partecipi a pieno titolo alla produzione di energia dipende in larga misura dalla definizione di accordi a livello regionale o locale tra i diversi attori coinvolti, orientati a ripartire equamente su tutta la filiera il valore aggiunto prodotto. Inoltre la garanzia di un rapporto ecologicamente corretto tra produzione e prelievi di biomassa a fini energetici e integrità delle risorse ambientali e alimentari dei territori di origine si può ottenere solo rovesciando la logica con cui abitualmente sono stati finora presentati i progetti impiantistici in Italia: prima si propongono siti di insediamento e impianti con determinate caratteristiche e potenze e solo in un secondo tempo si analizza la filiera di approvvigionamento della materia prima. Col risultato di progetti avulsi dal contesto agricolo locale, con scarse garanzie di tracciabilità e che sollevano forti opposizioni e perplessità nell opinione pubblica. Al contrario sarebbe opportuno che ogni Regione identificasse innanzitutto le potenzialità di biomassa a fini energetici dei suoi diversi territori tagli e residui forestali, residui agricoli, colture dedicate e su questa base pianificasse e dimensionasse potenza energetica globale, tipologia e dislocazione territoriale degli impianti. Acquista particolare importanza, anche alla luce delle novità introdotte dalla direttiva RES 28/2009, un analisi delle possibilità di recupero delle terre marginali, dei terreni agricoli incolti, dei terreni contaminati, delle fasce tampone autostradali per valutare la potenzialità di sviluppo ulteriore di colture energetiche dedicate in questi terreni e di incentivi particolari per le filiere che le utilizzano. Su tale base le Regioni possono pianificare correttamente lo sviluppo delle agrienergie sul territorio e arrivare alla definizione di eventuali distretti agroenergetici (anche interregionali, vedi caso Puglia-Basilicata). E fondamentale in particolare la pianificazione territoriale delle potenzialità di produzione di biogas con gli effluenti zootecnici e con gli scarti organici delle agroindustrie (macelli, 3 il soddisfacimento anche del solo 2% dell attuale consumo energetico finale nei trasporti in Italia, attorno ai 40 Mton annui di carburanti fossili, richiederebbe circa un milione di ettari di colture dedicate, escludendo le colture energetiche per usi elettrici o termici 3

4 caseifici, industrie di trasformazione di prodotti vegetali ). I quantitativi di effluenti zootecnici insieme alle frazioni organiche dei rifiuti urbani che possono essere utilizzati nella produzione di biogas hanno un potenziale energetico, in termini di energia primaria, complessivo stimato attorno ai Mtep/anno (ITABIA 2008). Gli effluenti zootecnici e gli scarti agroindustriali sono infatti l unica biomassa presente in enormi quantità nel nostro paese e ad oggi sono pochissimo utilizzati a scopo energetico e spesso non gestiti in modo compatibile con il rispetto della direttiva Nitrati. Il trattamento di questi prodotti con i digestori anaerobici (a differenza della loro combustione) per altro non distrugge il loro contenuto di azoto, preservandone il potere fertilizzante, e mantiene un certo tenore di sostanza organica preservandone la capacità di ammendamento, indispensabile per le produzioni agricole, essendo buona parte dei nostri terreni ormai povera di sostanza organica. Filiere corte, dimensioni e incentivi Sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, le filiere locali per produrre e utilizzare energia direttamente in loco in impianti di piccole dimensioni (grosso modo inferiori a 1 MW elettrico di potenza) sono le uniche in grado di esaltare le ricadute economiche e ambientali delle agrienergie. Le recenti disposizioni in materia di energia approvate a livello nazionale modificano pesantemente i meccanismi di premialità legati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (legge 23 luglio n.99 art. 42). Di fatto, l abrogazione del comma 382-ter (Legge 27 dicembre 2006, n. 296) comporta la soppressione della tariffa omnicomprensiva di 0,30 cent /kwh che era riconosciuta in alternativa ai certificati verdi per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1 MW, alimentati da biomasse e da biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti, ottenuti nell'ambito di intesa di filiera o contratti quadro oppure da filiere corte. Inoltre le modifiche introdotte nella legge 244/2007 e nelle tabelle allegate determineranno il riconoscimento della tariffa omnicomprensiva di 0,28 cent/kwh per la produzione di energia elettrica in impianti di potenza inferiore a 1 MW alimentati da biogas e biomasse. Siccome il legislatore utilizza il termine biomassa, presumibilmente nel meccanismo incentivante rientrerà anche la parte biodegradabile dei rifiuti e residui provenienti dall agricoltura, dalla selvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (come da definizione europea della biomassa). Un importante e positiva novità introdotta dalla legge riguarda gli impianti, di proprietà di aziende agricole, agroalimentari di allevamento e forestali alimentati da biomasse (come definite sopra) per i quali è riconosciuto un diritto di cumulabilità tra la tariffa omnicomprensiva e altri incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale o in conto interesse con capitalizzazione anticipata non eccedenti il 40% del costo di investimento. La conseguenza delle novità introdotte rappresenta comunque un salto indietro: parifica le biomasse agroforestali e i sottoprodotti agroindustriali alle frazioni organiche dei rifiuti urbani, non riconosce la sostenibilità (economica ed ambientale) di impianti alimentati da biomasse di origine locale o provenienti da filiere corte, non premia l efficienza energetica (es. cogenerazione anziché esclusiva produzione elettrica) e non valorizza il reddito agrario derivante dalla vendita di energia. Il mercato e l industria si muovono in base alla direzione tracciata dagli incentivi. Per questo motivo potrebbe essere molto utile una tariffa incentivante modulare realizzata sul modello tedesco. Accanto ad una tariffa incentivante base si potrebbero affiancare premi per 4

5 l utilizzo del calore e premi per l accorciamento della filiera. Anche prendendo per buona l interpretazione corrente per cui la Commissione Europea e gli accordi WTO non permetterebbero di impostare limiti territoriali forfettari (i 70 km proposti dall Italia già più di un anno fa), è indiscutibile che si possano imporre limitazioni al libero commercio derivanti da motivazioni ambientali o sanitarie. Per questo motivo sarebbe necessario realizzare un bilancio energetico o un bilancio delle emissioni per ogni filiera stabilendo, nelle migliori e più virtuose condizioni possibili, qual è la distanza oltre la quale una filiera non risulta più conveniente da un punto di vista ambientale. Per fare un esempio si potrebbero calcolare tutte le emissioni e le spese energetiche della filiera olio vegetale per arrivare alla conclusione che, anche stimando trasporti particolarmente efficienti e metodi di coltivazione particolarmente virtuosi, l importazione di materia prima oltre x chilometri rende la filiera non più vantaggiosa dal punto di vista emissivo. Un ulteriore elemento di premialità dovrebbe essere il sussistere di un accordo di filiera rispettato, sia questo a livello locale, sia a livello di importazioni. E necessario inoltre prevedere un incentivo a favore del biometano, la cui quantificazione può essere ipotizzabile sulla base del potere calorifico immesso in rete. Attualmente la sua mancanza rappresenta un grave limite allo sviluppo del biogas e della digestione anaerobica. Il ruolo della filiera foresta legno energia Tra le fonti rinnovabili, la biomassa legnosa forestale è la più diffusa e più facilmente reperibile. La produzione di biomassa legnosa e la sua utilizzazione energetica a livello locale rappresentano un importante via di sviluppo del territorio rurale che consente tra l altro il raggiungimento di obiettivi di natura economica, sociale e ambientale mantenendo i territori rurali vitali, frenando e invertendo fenomeni di spopolamento e contribuendo al miglioramento della qualità della vita. Il bosco assume anche una funzione di prim ordine per la tutela idrogeologica del territorio, per la conservazione degli aspetti paesaggistici connessi con l attività turistica e per la qualità dell aria. In questo senso il sistema forestale italiano ha grandi potenzialità e i boschi possono rappresentare la fonte principale per l approvvigionamento di biomasse legnose. Gran parte di questa biomassa disponibile proviene da sottoprodotti delle utilizzazioni forestali come legname di scarso pregio e ramaglie, ma anche da materiale di risulta, derivante da operazioni di ripulitura e diradamento con scarso valore commerciale. Anche il comparto agricolo con il materiale derivante dalle potature agricole (soprattutto vigneti, oliveti e frutteti) e da colture dedicate (colture legnose a ciclo breve) può costituire una fonte di primaria importanza per la produzione di biomasse legnose per uso energetico. L incremento nell utilizzo delle biomasse legnose di origine forestale e agricola comporta una serie di innumerevoli vantaggi quali: riduzione della dipendenza energetica da Paesi Terzi; realizzazione di tutti quegli interventi necessari alla manutenzione e al miglioramento del bosco che altrimenti non sarebbero effettuati perché economicamente non vantaggiosi; realizzazione di tutti quegli interventi di ripulitura degli alvei fluviali necessari per il mantenimento di un reticolo idrografico minore efficiente; prevenzione dagli incendi boschivi; creazione di una filiera economica a sostegno delle aree rurali; 5

6 utilizzo dei terreni agrari per finalità no food di tipo energetico; applicazione dell innovazione tecnologica degli impianti di produzione di energia termica o termica ed elettrica (cogenerazione). Per il corretto utilizzo delle biomasse legnose è necessario però tener conto della specificità della fonte energetica che deve essere legata fortemente al territorio di provenienza e all economia locale. Inoltre, sulla base delle esperienze maturate è emerso che l utilizzo della biomassa agroforestale è economicamente ed ambientalmente sostenibile quando viene impiegata in piccoli-medi impianti per la produzione di energia termica (anche mediante teleriscaldamento), per la cogenerazione (1-3 MWt) e la trigenerazione (produzione anche di energia frigorifera). L approccio da seguire pertanto è quello di individuare il bacino di approvvigionamento delle biomasse agro-forestali e dimensionare gli impianti in funzione del biocombustibile disponibile rispettando il rapporto ecologico esistente tra produzione e prelievo. Rotazioni e utilizzo integrale delle colture dedicate Anche la differenziazione delle colture dedicate da energia e il loro inserimento nelle normali rotazioni dei diversi areali, costituiscono condizioni indispensabili per lo sviluppo di filiere agrienergetiche sostenibili. Si tratta di un approccio alternativo alle nuove, nefaste monosuccessioni di specie annuali da energia, che andrebbero a nuocere alla fertilità dei terreni, alla stabilità dei sistemi agricoli e alla gradevolezza del paesaggio. Solo così infatti la produzione di colture alimentari non solo non sarebbe penalizzata, ma potrebbe beneficiare da un punto di vista quantitativo e qualitativo dell effetto della rotazione in termini di biodiversità. Il mantenimento di un adeguata biodiversità nell ambito dei sistemi agricoli a destinazione energetica e l incremento del valore aggiunto delle colture dedicate potrebbero infatti essere ottenuti anche attraverso l integrazione di filiere diverse, sia alimentari che non, sullo stesso territorio e l utilizzazione integrale delle produzioni destinate alla trasformazione in energia. Risulta perciò indispensabile che i nuovi impianti siano predisposti, già in fase progettuale, ad accogliere tipologie diverse di materie prime, sulla base della vocazione territoriale e considerando le implicazioni economiche e agroambientali. Andrebbe comunque esclusa la combustione di tipologie di residui carichi di azoto, quali ad es. la pollina, che troverebbero un impiego più efficace e sostenibile nella gestione della fertilità dei terreni agricoli. La biodiversità delle specie coltivate a scopi energetici va considerata come un ulteriore vantaggio non solo ambientale ed agronomico, ma anche dal punto di vista logistico, in quanto può attenuare le problematiche di trasporto e stoccaggio delle biomasse nel corso dell anno. Per quanto riguarda la coltivazione di specie poliennali da energia - legnose (pioppo, salice, robinia, eucalipto ecc.) o erbacee (canna comune, miscanto, cardo ecc.) diverse sperimentazioni hanno dimostrato indubbi benefici in termini di bilancio di emissioni serra, apporto di sostanza organica al terreno, minori lavorazioni del suolo e modeste esigenze di input chimici e idrici. Ma anche in questo caso i benefici vanno sempre rapportati ai metodi di coltivazione, ai turni di taglio e al loro inserimento nel contesto territoriale. In linea generale riteniamo che le colture dedicate poliennali non debbano inserirsi nei terreni tradizionalmente destinati a seminativi, ma che la loro destinazione preferenziale sia nei terreni marginali, nei pendii a rischio di erosione, nelle terre incolte o contaminate, nelle fasce tampone riparie o 6

7 stradali. Proprio per i benefici ambientali derivabili alla collettività, le normative nazionali e regionali dovrebbero prevedere incentivi per queste destinazioni e per sistemi di coltivazioni a basso impatto. Un nuovo criterio di produttività: sviluppo delle bioraffinerie e certificati bianchi La produttività delle colture energetiche non va intesa in senso tradizionale (rese per ettaro), ma soprattutto come produttività totale che consideri anche il valore ricavabile dai diversi co-prodotti utilizzabili (es. panello residuo dei semi, residui colturali lasciati sul campo, frazione solida residua dalla fermentazione) e la quantità di sostanza organica resa al suolo. Sulla base del criterio di produttività totale è possibile prevedere lo sviluppo di vere e proprie bioraffinerie sul territorio e su questa base costruire alleanze più solide tra mondo agricolo e mondo industriale. La produttività totale non è solo un criterio economico, ma è innanzitutto correlata alla efficienza energetica e al bilancio di emissioni dell intero ciclo di lavorazione dei prodotti e dei co-prodotti. Nella valutazione delle strategie perseguibili tali output dovrebbero essere sempre correlati agli input necessari alla loro produzione, favorendo lo sviluppo di tecniche che massimizzino, oltre al bilancio economico, anche il bilancio energetico della produzione e minimizzino la quantità di CO 2 equivalente emessa in atmosfera e massimizzino la quota immobilizzata nel terreno sotto forma di humus stabile. Questi aspetti acquisteranno sempre di più un rilievo economico oltre che ambientale, grazie agli incentivi per la riduzione di emissioni ( certificati bianchi ) e all impiego ridotto di prodotti chimici il cui costo ambientale è molto elevato e strettamente legato al mercato del petrolio. 7

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