LO STATO DELL ARTE NELLA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA

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1 LO STATO DELL ARTE NELLA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA UMBERTO LEANZA SOMMARIO: 1. L internazionalizzazione della protezione dei beni culturali. 2. La tutela del patrimonio culturale in tempo di guerra: le Convenzioni dell Aja del 1899 e del 1907 sul diritto bellico. 3. La Convenzione del 1954 sui beni culturali nei conflitti armati: protezione generale e protezione speciale. 4. Il secondo Protocollo aggiuntivo del 1999: la protezione rafforzata. 5. La chiusura del sistema con la Dichiarazione UNESCO del 2003 sulla distruzione intenzionale del patrimonio culturale. 1. Un interesse comune alla protezione e preservazione del patrimonio culturale e naturale mondiale si è manifestato a livello internazionale a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Esso ha trovato soddisfazione in soluzioni giuridiche diverse e più flessibili rispetto a quella del patrimonio comune dell umanità, costituito da risorse contenute in spazi liberi, ma anche da beni che sono sottoposti alla sovranità territoriale statale. Ma dalle stesse emerge comunque l esigenza di una gestione di determinati beni naturali o culturali nell interesse delle collettività di individui, ossia degli Stati-comunità. Grazie al notevole progresso dei mezzi di comunicazione e di trasporto verificatosi nell arco degli ultimi due secoli, ha avuto modo di svilupparsi nelle società civili la piena consapevolezza che il patrimonio culturale appartiene, in un certo senso, a tutta l umanità, ed è ormai opinione comune che alcune categorie di beni culturali, mobili o immobili, rivestano per loro natura un interesse mondiale, dovunque si trovino. Rispetto ad essi, infatti, è possibile immaginare una limitazione della sovranità, che da assoluta e incondizionata, volontariamente si trasforma, per alcuni ambiti specifici, in qualcosa di diverso. La ragione di tale limitazione va individuata in un riconosciuto superiore interesse dell intera umanità; i detentori e gestori dei beni di interesse comune agirebbero, dunque, non tanto in quanto proprietari o sovrani, ma in quanto depositari, mandatari, amministratori fiduciari di tutte le generazioni presenti e future. È, in definitiva, il riconoscimento di un superiore interesse comune, riferito ad alcuni o a tutti i soggetti della Comunità degli Stati, che motiva l istituzione di un regime internazionale, sia che regoli in qualche misura la gestione di LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE Fasc. 1/2011 pp EDITORIALE SCIENTIFICA Srl

2 372 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE spazi o specifiche risorse situate nel territorio degli Stati, sia nelle zone che sono sottoposte alla loro giurisdizione funzionale. In particolare, l interesse comune dell intera umanità nei confronti del patrimonio culturale si configura soprattutto in termini di conservazione e protezione, nonché, con riferimento ai beni mobili, di lotta al traffico illecito, e non in pretese di appropriazione da parte della Comunità internazionale. In questo caso, infatti, la manifestazione dell interesse superiore non può ignorare la sottoposizione dei beni in questione alla sovranità dello Stato territoriale. L internazionalizzazione del patrimonio culturale mondiale avviene, dunque, attraverso metodi e strumenti suoi propri, che si richiamano generalmente alla necessaria cooperazione dello Stato territoriale, ed al carattere solidaristico e complementare della tutela internazionale. I beni culturali che assurgono ad una rilevanza di livello internazionale sono quindi beni che, in ragione di una certa qualificazione ad essi attribuita, innanzitutto, dallo Stato territoriale ed, in secondo luogo, dagli strumenti di diritto internazionale, sono ammessi a beneficiare di un regime di tutela rafforzato. Tale protezione più avanzata è disposta per lo più da norme di diritto internazionale convenzionale, accanto alle quali è dato rilevare la formazione di consuetudini internazionali, cioè a dire di norme che vincolano tutti gli Stati indipendentemente dalla stipulazione di convenzioni, soltanto con riferimento alla tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Nell ambito di questa tutela rafforzata, occorre distinguere, da un canto, tra tutela in caso di conflitto armato e protezione in tempo di pace e, dall altro, tra tutela specifica dei beni culturali mobili e tutela specifica dei beni culturali immobili, oltre che la tutela del patrimonio materiale e di quello intangibile. Per quanto riguarda la tutela dei beni mobili, essa si realizza tramite strumenti classici di diritto internazionale che intervengono sulle dinamiche della circolazione dei beni. In altri termini, la particolare natura dell interesse protetto in questi ambiti determina due fondamentali conseguenze giuridiche. Da un lato, essa sottolinea l inadeguatezza degli strumenti classici di cooperazione bilaterale, a carattere sinallagmatico e legati all idea di reciprocità, in quanto volti a tutelare interessi propri dei singoli soggetti della Comunità internazionale e, quindi, ampiamente affidati alle loro discrezionali determinazioni. Trattandosi di interesse comune, si impone una maggiore oggettivazione del regime internazionale di tutela, da realizzarsi in modi diversi, ma comunque attraverso norme che impongono agli Stati obblighi erga omnes. L assunzione di

3 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA 373 questi obblighi nei confronti della Comunità internazionale nella sua globalità comporta la loro esigibilità da parte di tutti gli Stati. Ogni Stato quindi deve osservare e fare osservare tali obblighi fondamentali in modo non sinallagmatico, in correlazione al carattere indisponibile, in quanto comune e perciò superiore, degli interessi che con tali obblighi si intendono proteggere. Dall altro, la protezione di tali beni culturali, per quanto incentrata di volta in volta su ciascun singolo bene, viene ricostruita come un esigenza di carattere generale, al fine di dare vita ad un sistema di tutela uniforme. Nel caso del patrimonio culturale, infatti, la perdita di ciascun bene o di ciascuna categoria di beni è sentita come un impoverimento inaccettabile dell intera Comunità internazionale. In sintesi due sono le linee di azione: l oggettivazione ed il miglioramento dell efficacia dei regimi di protezione del patrimonio culturale e, dall altra parte, il completamento di un sistema di tutela che copra tutti i beni e tutte le evenienze di rilievo sul fronte della protezione dei beni culturali. Diverse sono state le motivazioni che hanno portato la Comunità internazionale a prendere coscienza della necessità di adottare tutta una serie di misure, al fine di conservare il patrimonio storico-culturale mondiale, comprensivo tanto dei beni mobili quanto degli immobili, a beneficio delle generazioni future. Detto patrimonio, infatti, costituito in larga parte da oggetti, monumenti e complessi architettonici, ma anche da aree naturalistiche, è esposto a diversi pericoli di distruzione e degrado, a causa del verificarsi di eventi estremi, quali i conflitti armati, ma anche dell usura dei secoli, della forte antropizzazione, dell erosione, dell inquinamento, dell urbanizzazione indiscriminata e del turismo. Presa coscienza dell esistenza e della complessità di tali pericoli, la volontà degli Stati di cooperare per superarli trova la sua naturale espressione nell attività dell Organizzazione delle Nazioni Unite per l Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) e delle altre organizzazioni, operanti nella materia su base regionale, come il Consiglio d Europa. In tale contesto, l UNESCO ha favorito l elaborazione e l adozione da parte degli Stati membri di un corpus normativo particolarmente articolato a partire da tre strumenti convenzionali storici : la Convenzione dell Aja del 1954, che riguarda la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati; la Convenzione di Parigi del 1970, sul divieto e sulla prevenzione dell importazione, esportazione e trasferimento illeciti di beni culturali mobili; e la Con-

4 374 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE venzione di Parigi del 1972, sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. Più recentemente, l UNESCO ha lavorato intensamente sulla tutela del patrimonio culturale, predisponendo una serie di strumenti convenzionali che vanno, in parte, a migliorare strumenti preesistenti, in parte, ad estendere la tutela convenzionale a settori che ne erano rimasti esclusi. Nella prima categoria rientra il II Protocollo aggiuntivo alla Convenzione de L Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, concluso nel Nella seconda categoria rientrano la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo del 2001 che definisce un regime di tutela i cui principi generali trovano fondamento nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982; la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale intangibile o immateriale del 2003 e la Convenzione sulla protezione e promozione della diversità di espressione culturale del Nella stessa ottica si pongono gli Orientamenti applicativi alla Convenzione di Parigi del 1972, sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale, che vengono continuamente e frequentemente modificati. Gli Orientamenti, così come il citato II Protocollo alla Convenzione de L Aja, hanno rappresentato interventi di aggiornamento e miglioramento normativo, realizzati in modo tale da non riaprire il negoziato sul testo delle rispettive Convenzioni. Invece, l attuazione tecnica degli obblighi di portata generale disposti nella Convenzione UNESCO 1970 è stata affidata all UNIDROIT, organizzazione che opera nel campo dell unificazione del diritto privato che, nel 1995, è riuscita a far adottare agli Stati la Convenzione di Roma sul recupero dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, volta a superare i limiti dello strumento precedente, per quanto riguarda la specificazione tecnica di un corpo minimo di norme giuridiche comuni tra gli Stati contraenti. 2 Per quanto non vincolante, è anche da segnalare la Dichiarazione sulla distruzione intenzionale del patrimonio culturale adottata dalla Conferenza generale dell UNESCO nel 2003, che si aggiunge ad una lista di raccomandazioni dell UNESCO nel settore della protezione dei beni culturali come: la Raccomandazione sui principi internazionali applicabili agli scavi archeologici del 1956, che afferma l esistenza di un patrimonio archeologico comune per la cui tutela devono attivarsi e cooperare tutti gli Stati; la Raccomandazione sulla salvaguardia della bellezza e delle caratteristiche dei paesaggi e dei siti del 1962, che si riferisce al patrimonio mondiale, minacciato dallo sviluppo economico e edilizio, alla cui protezione gli Stati devono provvedere anche attraverso l istituzione di appositi organismi scientifici e tecnici in grado di contribuire alla elaborazione ed esecuzione di progetti di tutela; la Raccomandazione sulla protezione dei beni culturali minacciati da lavori pubblici o privati del 1968, che punta, invece, l accento sulla tutela del patrimonio dal deterioramento causato da attività specifiche, programmate all interno dello Stato territoriale; la Raccomandazione del 1976 sullo scambio internazionale di beni culturali, che tende a favorire la cooperazione tra istituzioni culturali; e la Raccomandazione del 1976 sulla protezione e sul ruolo delle aree storiche, che cerca di contemperare tra l esigenza di proteggere determinate aree per il loro valore storico e lo sviluppo urbano nella società contemporanea. Accanto all adozione di progetti di convenzione e di raccomandazioni, l UNESCO ha anche realizzato altre forme, tecnico-operative, di intervento ad ausilio degli Stati nella tutela del patrimonio culturale. Queste azioni, non esplicitamente previste nello Statuto dell Organizzazione che

5 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA Nei confronti del settore della protezione dei beni culturali in tempo di guerra l interesse della Comunità internazionale si è cominciato a manifestare già verso la fine del XIX secolo. Tale interesse, traendo origine dagli effetti devastanti degli eventi bellici, si è accentrato sulla produzione di norme e principi, sia consuetudinari che codificati, che trovano applicazione in costanza di conflitti armati e nei periodi immediatamente successivi, ovvero in casi direttamente o indirettamente influenzati dai conflitti stessi. L evoluzione del diritto in questa materia ha comunque portato all individuazione di concetti e principi generali attualmente recepiti in testi normativi di portata più ampia, non strettamente legati a quelle particolari situazioni critiche rappresentate dagli avvenimenti bellici. Si è pertanto venuto a sviluppare nel diritto internazionale un sistema giuridico di protezione del patrimonio storico-artistico a cui va ricondotta, tra l altro, la nozione stessa di bene culturale. Il primo strumento normativo cui occorre fare riferimento in materia di protezione dei beni culturali in tempo di guerra è la Dichiarazione di Bruxelles del 1874 sulle norme e consuetudini di guerra. In tale occasione, infatti, furono affrontate in sede multilaterale problematiche fino ad allora oggetto solo di accordi e trattati tra un numero ristretto di potenze. In particolare, nella Dichiarazione si estende il principio ottocentesco dell inviolabilità della proprietà privata anche ai beni storico-culturali degli Stati e la pratica del saccheggio, assai si riferisce soltanto all adozione di raccomandazioni e progetti di convenzione sono state i- nizialmente giustificate attraverso il loro inserimento in programmi di assistenza allo sviluppo in ambito ONU. Successivamente la Conferenza generale ha stabilito che il Direttore generale dell UNESCO è autorizzato, tra l altro, «( ) a organizzare, su richiesta, una missione tecnica volta a consigliare ed assistere uno Stato membro che incontra difficoltà nell assicurare la conservazione o il restauro dei propri monumenti o dei propri siti storici ed archeologici». Tale intervento si è concretato principalmente nell organizzazione e conduzione delle c.d. campagne internazionali di salvaguardia, che hanno consentito di raggiungere ottimi risultati pratici di tutela e, nello stesso tempo, hanno dato impulso allo sviluppo di normative nazionali volte a garantire la conservazione del patrimonio. Si tratta di appelli del Direttore generale dell UNESCO agli Stati membri, ad organizzazioni internazionali e/o all opinione pubblica, volti ad informare tali soggetti dello stato precario in cui versano alcuni beni culturali, allo scopo di sollecitare offerte ed iniziative, pubbliche o private, sotto forma di contributi finanziari o di invio di esperti ed apparecchiature. Ad ogni modo, presupposto perché la campagna possa essere condotta è che lo Stato nel cui territorio deve intervenire l aiuto internazionale abbia avanzato un apposita richiesta di assistenza e tutta la campagna deve svolgersi nel quadro di accordi conclusi tra l UNESCO e lo Stato richiedente. Tra le campagne internazionali si possono ricordare: quelle su Venezia, su Firenze, sui monumenti della Nubia, minacciati dalla costruzione della diga di Assuan, sul centro storico di Mostar, sul museo dell Hermitage a San Pietroburgo e sul teatro Bolscioi a Mosca, e sul restauro della città di pietra a Zanzibar.

6 376 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE comune in tempo di guerra, viene espressamente dichiarata contraria ai più basilari fondamenti del diritto internazionale. Il perfezionamento e la codificazione di tali principi fondamentali verranno, peraltro, concretamente attuati soltanto a partire dalla fine dell 800, con l elaborazione, nel 1899 e nel 1907, delle Convenzioni dell Aja sulla guerra terrestre e su quella marittima. Tali Convenzioni, pur presentando limiti giuridico-applicativi di portata generale, sono espressione di un primo concreto interesse della Comunità internazionale, nel suo insieme, per la protezione dei beni culturali. Appare però opportuno porre l accento su di un elemento che caratterizza la produzione normativa in questa fase e che ne limita il campo di applicazione. Va rilevato, infatti, che la maggior parte delle disposizioni redatte in materia considera come beni oggetto di protezione quasi esclusivamente quelli mobili, tralasciando quelli immobili. Solo in via del tutto marginale, le citate Convenzioni indicano la necessità di tutelare determinate località, zone ed edifici, prescrivendo un divieto di attacco e di bombardamento delle stesse. All attività normativa in parola si è affiancata quella che trova la sua maggior forma di espressione nei trattati e negli accordi di pace, anch essi dedicati quasi esclusivamente ai beni mobili, nei quali viene affrontato l altro assai importante tema della restituzione dei beni storici ed artistici sottratti agli Stati in costanza di un conflitto armato. I problemi connessi all individuazione di adeguate forme di tutela dei beni storico-culturali vengono affrontati con crescente interesse soprattutto nel periodo tra i due conflitti mondiali, anche se con riferimento all attività preparatoria posta in essere dai singoli Stati in vista di possibili conflitti. Esempi significativi di tale panorama normativo sono, da un lato, il Patto Roerich, firmato a Washington nel 1935 tra 21 Stati americani e, dall altro, il progetto di Convenzione sulla protezione dei monumenti ed opere d arte durante i conflitti armati, elaborato dall Office International des Musées nel Il primo assume rilevanza in quanto prevede un invito diretto agli Stati di approntare un inventario dei monumenti di maggiore interesse, i quali, in tal modo, vengono dichiarati neutrali ed assoggettati ad una speciale forma di tutela. Senz altro degno di maggior attenzione appare, invero, il progetto di Convenzione del Esso, infatti, sancisce un vero e proprio obbligo di portata internazionale a carico di ciascuno Stato di preservare, anche in via preventiva, il proprio patrimonio nazionale, nonché quello degli altri Stati; invita gli Stati alla cooperazione, anche mediante la conclusione di accordi bilaterali, nonché prevede una Commissione internazionale di controllo.

7 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA Il primo strumento convenzionale a tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato è, comunque, la Convenzione dell Aja del 15 maggio 1954, oggi ratificata da centoventitre Stati tra cui l Italia, che è affiancata da un Regolamento di esecuzione e da due Protocolli aggiuntivi, destinati rispettivamente, il primo, del 1954, ad impedire l esportazione dei beni culturali dal territorio di un Paese occupato, o ad assicurare la restituzione dei beni culturali alle autorità competenti di tale Stato, alla fine delle ostilità; il secondo, del 1999, ed entrato in vigore nel 2004, a rafforzare la cooperazione fra gli Stati contraenti al fine di garantire una protezione rafforzata. Nel preambolo della Convenzione si afferma che le Parti contraenti hanno convenuto le disposizioni previste nel testo, convinte che i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono un danno al patrimonio culturale della intera umanità, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale. L impegno alla protezione dei beni è quindi diviso tra lo Stato territoriale e gli altri Stati; si tratta di uno dei primi esempi di atto internazionale in cui viene espressa la nozione di patrimonio comune dell umanità riferita ai beni culturali, sia pure in senso generale, per sottolineare l esistenza di un interesse comune alla loro protezione; ma l utilizzo dell espressione beni culturali, qui definita per la prima volta a livello internazionale, ed il superamento delle barriere nazionali nell azione di protezione, costituiranno una costante nella produzione normativa successiva. La definizione, che qualifica come beni culturali sia i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, sia gli edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare o di esporre i beni mobili, sia i centri monumentali, identifica l oggetto del sistema di protezione generale disposto dalla Convenzione (art. 1). Con riferimento ai beni che corrispondono a tale definizione, qualunque essi siano, sussiste un obbligo di protezione, che si specifica in comportamenti di salvaguardia e di rispetto (articoli 2-4). Gli Stati contraenti si impegnano a predisporre, sin dal tempo di pace, la salvaguardia dei beni culturali situati sul proprio territorio dagli effetti prevedibili che un conflitto armato potrebbe causare, adottando i provvedimenti che ritengono adeguati (art. 7). L obbligo di rispetto consiste, invece, nell impegno ad astenersi dall utilizzare tali beni per scopi che potrebbero causarne il deterioramento in caso di conflitto armato, nell astenersi dagli atti di ostilità nei loro riguardi e impedirne il furto, il saccheggio, o la deturpazione per vandalismo, e ciò con

8 378 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE riferimento tanto ai beni dello Stato territoriale, quanto a quelli degli altri Stati contraenti (art. 4). Mentre l obbligo di salvaguardia, quindi, consiste in un obbligo di fare, sebbene caratterizzato da una forte discrezionalità, poiché gli Stati si impegnano a predisporre le misure che ritengono necessarie affinché i beni situati sul proprio territorio siano protetti, l obbligo di rispetto, invece, consiste in doveri negativi degli Stati, nei confronti del patrimonio situato sul territorio di tutte le Parti contraenti. Va particolarmente sottolineato che la violazione degli obblighi di salvaguardia da parte di un altro Stato contraente non libera dalla necessaria osservanza degli obblighi di rispetto; è, questo, un segno evidente del fatto che la tutela è disposta con riferimento ad un superiore interesse della Comunità internazionale e non esclusivamente a favore dello Stato territoriale. È inoltre proibita ogni forma di rappresaglia nei confronti dei beni culturali, nonché la requisizione dei beni culturali mobili situati sul territorio di un altra Parte contraente della Convenzione 4. Accanto a tale regime generale di protezione, la Convenzione offre la possibilità di applicare un regime di protezione speciale ad un numero limitato di beni immobili e rifugi destinati a custodire beni mobili (articoli 8-11). Il regime di protezione speciale può essere accordato a due condizioni: i beni in questione non devono essere usati a fini militari e devono essere sufficientemente distanti dai principali obiettivi militari, a meno che lo Stato territoriale non si impegni a lasciare inutilizzato, in caso di conflitto armato, l obiettivo in causa, oppure i beni devono essere costruiti in modo tale che i bombardamenti assai probabilmente non li possano danneggiare. I beni culturali immobili di notevole importanza che rispondono a tali condizioni possono godere del regime speciale di protezione se iscritti nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale (art. 8, par. 6) 5. 4 Disposizioni specifiche sono previste per il caso di occupazione, parziale o totale, del territorio di una Parte contraente: l occupante ha l obbligo di appoggiare, nei limiti del possibile, l attività delle autorità competenti del territorio occupato, volta ad assicurare la salvaguardia dei beni culturali, nonché di adottare, in stretta collaborazione con le autorità territoriali e per quanto possibile, le misure di conservazione più urgenti, se queste si rendono necessarie per la conservazione di beni danneggiati dalle operazioni militari e le autorità nazionali competenti non sono in grado di provvedere (art. 5). È prevista, inoltre, la possibilità che il trasporto dei beni culturali sia munito di un segno distintivo, allo scopo di evitare gli atti di ostilità nei suoi confronti (art. 12). 5 La procedura per l iscrizione, specificata nel Regolamento di esecuzione, può essere iniziata soltanto dallo Stato territoriale, la cui sovranità è, quindi, rigorosamente rispettata, ma

9 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA 379 Ai beni sotto protezione speciale, che sono muniti di un segno distintivo, il c.d. Scudo blu (descritto nell art. 16 della Convenzione), è riconosciuta un immunità consistente nel divieto di compiere qualsiasi atto di ostilità nei loro confronti e di utilizzare i beni stessi o i loro dintorni a fini militari (art. 9). In realtà, la protezione potrebbe non sembrare poi così rafforzata rispetto al regime generale, considerato che divieti assai simili sono previsti dalla Convenzione per tutti i beni culturali e che le parti in conflitto sono liberate dall obbligo di riconoscere l immunità speciale se la Parte avversa per prima viene meno ai suoi obblighi. Va, però, rilevato che l identificazione stessa dei beni ed il riconoscimento di uno statuto particolare ad essi specificamente attribuito riserva loro senz altro maggiori garanzie di protezione. Tali maggiori garanzie di protezione si misurano anche sulla diversa incidenza della più importante e discussa deroga prevista nella Convenzione all obbligo di rispetto dei beni culturali: la necessità militare (art. 11, par. 2). Essa costituisce un eccezione all operatività degli obblighi convenzionali, sia con riferimento al regime generale, sia con riferimento al regime speciale, ma solo in quest ultimo ambito la sua applicazione è circoscritta ai casi eccezionali di necessità militare ineluttabile, che possono essere constatati soltanto dal comandante di una formazione pari o superiore ad una divisione, e va inoltre limitata nel tempo e, se possibile, notificata con sufficiente anticipo alla Parte avversa. Infine, molto lento, macchinoso e di scarsissima efficacia è il meccanismo di controllo predisposto dalla Convenzione. Al riguardo, essa riserva un ruolo importante alle c.d. Potenze protettrici, incaricate di salvaguardare gli interessi delle Parti in conflitto, alle quali possono, tra l altro, proporre l esperimento di una procedura conciliativa, volta a risolvere eventuali controversie sull interpretazione o sull apdifficilmente può concludersi senza l assenso di tutte le altre Parti contraenti. Ad ognuna di esse, infatti, è riconosciuto il diritto di opporsi all iscrizione, asserendo o che non si tratta di un bene culturale, o che non sussistono le condizioni per l iscrizione. Se l opposizione non viene ritirata, dopo sei mesi dal momento in cui il Direttore generale dell UNESCO l ha ricevuta, lo Stato che ha fatto la domanda può ricorrere ad una procedura di arbitrato; altrimenti, quando si verifica la contestazione, esso può scegliere di rinunciare ad applicare la procedura arbitrale e rimettere la soluzione della controversia al voto delle Parti della Convenzione. Ecco dunque che le modalità di applicazione dei principi ai quali si ispira la Convenzione del 1954 sono ancora legate all ottica dei rapporti bilaterali e sinallagmatici. Tale situazione ha fatto sì che pochissimi sono i beni iscritti nel Registro, tra cui l unico di rilievo è la Città del Vaticano. Per rendere effettiva questa protezione lo Stato italiano si è impegnato a non utilizzare per scopi militari le vie consolari attorno alla Città del Vaticano in caso di conflitto.

10 380 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE plicazione del testo convenzionale (articoli 21 e 22). Meglio sarebbe stato istituire un organo permanente deputato a presiedere all applicazione del sistema convenzionale. Sebbene, dunque, dal punto di vista dell impostazione concettuale, la Convenzione dell Aja del 1954 si caratterizzi come l antesignana dell approccio attuale alla protezione internazionale del patrimonio culturale (chiarendo che il venir meno agli obblighi di salvaguardia non giustifica la violazione degli obblighi di rispetto e pertanto non intendendoli in rapporto di reciprocità), dal punto di vista del regime operativo, essa dimostra la sua età e, al pari delle altre convenzioni di diritto bellico, attendeva di essere adeguata alle mutate sensibilità ed all evoluzione dei rapporti in seno alla Comunità internazionale Al fine di superare i numerosi limiti della Convenzione del 1954, ha avuto luogo un processo di revisione del suo contenuto dispositivo, i cui risultati non hanno, però, assunto la forma di una nuova convenzione, sostitutiva della precedente. Tale soluzione, infatti, avrebbe complicato i rapporti tra gli Stati che sono parti del vecchio testo e quelli che aderiscono al testo revisionato; va inoltre considerata l eventualità che taluni Stati non divengano mai parti del nuovo strumento. Si è, quindi, preferito lavorare per la predisposizione di un secondo Protocollo, destinato ad aggiungersi al testo originario, e non a sostituirlo; la forma del Protocollo aggiuntivo, pur presentando potenzialmente un problema di chiarezza nell applicazione congiunta con il testo della Convenzione del 1954, ha consentito, infatti, una maggiore flessibilità, poiché non rimette in discussione disposi- 6 Il I Protocollo alla Convenzione dell Aja dà, dunque, attuazione alle norme quadro contenute nella Convenzione; in special modo l art. 4, par. 3, che sancisce l obbligo per le Parti contraenti di proibire, prevenire e, se necessario, interrompere ogni forma di saccheggio od appropriazione illecita od ogni atto di vandalismo diretto contro beni culturali. Nel I Protocollo si precisa che gli Stati parte assumono gli obblighi di prevenire l esportazione dei beni culturali dal territorio occupato durante un conflitto armato, internazionale od interno, di custodire i beni culturali importati nel loro territorio, direttamente od indirettamente, dal territorio occupato; di restituire, alla cessazione delle ostilità, i beni illecitamente asportati alle autorità del territorio precedentemente sotto occupazione. Sulla parte contraente che doveva prevenire l esportazione del bene culturale grava anche l obbligo del pagamento di un indennità al possessore in buona fede. L impianto del Protocollo è tipicamente giuspubblicistico ed anche l obbligo di corrispondere un indennizzo appena menzionato è pensato non a tutela del possessore in buona fede ma a sanzione dell inadempimento dell obbligo gravante sullo Stato parte di prevenire l esportazione illecita.

11 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA 381 zioni che sono state oggetto di difficili negoziati, con il conseguente indebolimento della protezione giuridica in esse stabilita 7. I risultati dei lavori di diverse riunioni di esperti giuridici sull argomento hanno portato alla stesura di un articolato, poi adottato dalla Conferenza diplomatica sulla revisione della Convenzione dell Aja, riunitasi anch essa all Aja dal 15 al 26 marzo 1999, dopo avere apportato significative innovazioni a diversi aspetti dell originario sistema convenzionale. Con riferimento alle difficoltà pratiche di funzionamento del meccanismo di controllo dell applicazione della Convenzione, il secondo Protocollo ha definito compiutamente il ruolo del Direttore generale dell UNESCO, quale strumento operativo del nuovo Comitato intergovernativo, composto da dodici membri eletti dalla Assemblea generale dei rappresentanti degli Stati parte, che è divenuto la struttura istituzionale permanente del sistema della protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (art. 24). Alle questioni relative alla struttura istituzionale permanente è, in qualche modo, collegato un altro importante aspetto delle soluzioni proposte nel Protocollo: quello relativo alle condizioni ed alla procedura necessarie perché un bene possa godere della protezione rafforzata (articoli 10-14). Secondo il Protocollo, infatti, è il Comitato a ricevere e vagliare le domande di iscrizione nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione rafforzata. È lo stesso Comitato che, una volta ricevuta la domanda, procede alla sua valutazione, aprendosi, quindi, solo in un secondo momento e non necessariamente, una fase consistente nella presentazione di osservazioni da parte degli altri Stati, fase alla quale è, invece, demandato in toto il compito di controllare che ricorrano le condizioni necessarie per il riconoscimento della protezione speciale, secondo la Convenzione del Con riferimento alle condizioni necessarie perché ad un bene possa essere garantito il regime rafforzato di protezione, il secondo Protocollo presenta, rispetto al regime di protezione speciale, di cui alla Convenzione del 1954, interessanti innovazioni, che vanno nella direzione di sottolineare maggiormente il rilievo internazionale del bene e l obbligo, incombente sullo Stato territoriale, di predisporre per primo adeguate misure di tutela sin dal tempo di pace e mirate anche al tem- 7 Il Protocollo adottato nel 1999 è stato ratificato ad oggi da cinquantasei Stati, tra cui l Italia. L autore ha avuto l onore di dirigere la delegazione italiana ai negoziati dell Aja e di sottoscrivere il testo del Protocollo a nome dell Italia.

12 382 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE po di pace, non limitate all eventuale verificarsi di un conflitto armato o di situazioni di urgenza in genere. Accanto alle condizioni del disposto della Convenzione del 1954, che prescrive che tali beni non devono essere usati a fini militari e, se troppo vicini ai principali obiettivi militari, tali obiettivi devono essere oggetto di uno specifico impegno di non utilizzo in caso di conflitto, il nuovo articolato, infatti, richiede che si tratti di beni di grande importanza per l umanità, già protetti da una normativa nazionale adeguata, che riconosca il loro valore culturale e storico eccezionale e ne garantisca la tutela giuridica al più alto livello nazionale (art. 10). Va rilevato che le condizioni appena descritte, da un lato, hanno il pregio di riconoscere l importanza che ciascuno Stato adotti una adeguata normativa interna, così da fornire una solida base su cui innestare il sistema internazionale di protezione dei beni culturali, ma, d altro lato, sottopongono la possibilità della concessione della protezione rafforzata, ancor più marcatamente che nella precedente disciplina, al verificarsi di determinati comportamenti dello Stato nel cui territorio il bene si trova. Un altro dei limiti che con la riforma si cerca di superare riguarda il numero esiguo di beni iscritti nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale. Il fatto che il Comitato abbia, invece, il compito istituzionale di vagliare le domande di riconoscimento della protezione rafforzata costituisce, di per sé, un esaltazione della sfera obiettiva, giuridica, e quindi garantista, nell applicazione della Convenzione, rispetto all influenza delle considerazioni di opportunità politica, cui inevitabilmente offre il fianco il meccanismo unicamente basato sulle opposizioni. La valutazione del Comitato, e le osservazioni degli Stati, devono, naturalmente, fondarsi soltanto sui criteri tassativamente stabiliti nel Protocollo. Con riferimento all applicazione del regime di protezione rafforzata, una volta verificate le condizioni necessarie alla sua concessione, va segnalata una delle più importanti innovazioni al regime disposto dalla Convenzione del 1954, realizzata nel secondo Protocollo, che riguarda i casi eccezionali in cui è prevista una deroga all immunità disposta per i beni iscritti nel Registro 8. 8 Alcuni avrebbero voluto escludere la nozione di necessità militare dal nuovo strumento, allo scopo di rafforzare la protezione dei beni culturali; si è rilevato, infatti, che tale nozione è sufficientemente indefinita da poter essere mal interpretata e servire quale pretesto per non applicare le disposizioni della Convenzione. D altra parte, vi era anche chi favoriva il mantenimento di tale eccezione, argomentando che essa continua ad essere parte del diritto

13 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA 383 La soluzione scelta dal secondo Protocollo non elimina del tutto la nozione di necessità militare, ma la riferisce soltanto al regime generale di protezione e le conferisce un contenuto più preciso, in modo da non farne uno strumento di comodo per le forze militari. Il Protocollo, infatti, specifica le condizioni necessarie perché una Parte contraente possa valersi dell eccezione costituita dalla necessità militare nei confronti dei beni culturali sottoposti alla protezione generale, riservando, tra l altro, la relativa decisione di attacco almeno ad un comandante di battaglione. Con riferimento ai beni che godono del regime di protezione rafforzata, invece, effettivamente scompare la menzione generica di necessità militare. Il secondo Protocollo adotta, infatti, la soluzione di identificare le ipotesi che possono giustificare l uso della forza rispetto a tali beni principalmente con i casi di utilizzo degli stessi, tale da renderli obiettivi militari, confermando l inscindibile legame, sopra ricordato, tra la generica eccezione consistente nella necessità militare e l obbligo di non utilizzare i beni culturali per scopi militari. Nel Protocollo l obiettivo militare è definito come un oggetto che, per natura, posizione, scopo o utilizzo, fornisce un reale contributo all azione militare e la cui cattura, neutralizzazione o distruzione, totale o parziale, determina, alla luce delle circostanze del momento, un sicuro vantaggio militare (art. 13). Rimane un autonoma previsione che dispone la sospensione dell immunità rafforzata in caso di gravi e continue violazioni degli obblighi stabiliti nel Protocollo nei confronti dei beni sotto protezione rafforzata e la decisione di sospendere l immunità è demandata al Comitato (art. 14). Un altro aspetto debole della tutela, sul quale interviene il secondo Protocollo, è quello dell estensione dell applicazione della protezione internazionale anche ai conflitti armati di carattere non internazionale che si verificano sul territorio di una Parte contraente (art. 22). Infine, quanto all individuazione e punizione dei responsabili di violazioni degli obblighi convenzionali, il Protocollo aggiuntivo, inserendosi nella generale tendenza del diritto internazionale verso un rafforzamento delle misure di esecuzione, affronta la questione distininternazionale consuetudinario e convenzionale dei conflitti armati, e che la sua esclusione non sarebbe stata accettata dagli ambienti militari. Si è, inoltre, osservato che la necessità militare e l altra eccezione attualmente vigente al riconoscimento dell immunità speciale, legata alla violazione dell obbligo di non utilizzare i beni culturali per scopi militari, sono strettamente collegate.

14 384 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE guendo la responsabilità penale individuale per i crimini commessi e la responsabilità di diritto internazionale dello Stato, che non si escludono a vicenda. Dalla responsabilità dello Stato, che non è limitata alle sole violazioni gravi, consegue l obbligo di riparare il torto causato. Per quanto riguarda invece la responsabilità individuale, la Convenzione del 1954 contiene soltanto una disposizione generica, che non individua direttamente alcuna fattispecie penale, lasciando agli Stati l obbligo di adottare sanzioni penali o disciplinari a carico degli individui, di qualsiasi nazionalità, che commettano od ordinano di commettere, una violazione alla Convenzione (art. 28). Diversamente, il secondo Protocollo introduce un regime dettagliato che distingue tra violazioni gravi e altre violazioni (rispettivamente articoli 15 e 21). Solo per le prime è previsto che gli Stati adottino necessariamente normative di carattere penale, mentre per le seconde si richiede l adozione di misure legislative, amministrative o disciplinari. In entrambi i casi, però, il Protocollo non incrimina fattispecie dettagliate ma individua soltanto categorie di illeciti nell ambito delle quali gli Stati devono configurare, sul piano del diritto interno, le specifiche fattispecie penalmente rilevanti 9. 9 Sono considerate violazioni gravi : fare oggetto di attacco beni culturali sotto protezione rafforzata; utilizzare a supporto di un azione militare beni sotto protezione rafforzata o le loro immediate vicinanze; distruggere su larga scala beni culturali protetti dalla Convenzione o dal Protocollo od appropriarsene su larga scala; fare oggetto di attacco beni culturali protetti dalla Convenzione; nonché rubare, saccheggiare o appropriarsi indebitamente dei beni protetti dalla Convenzione o commettere atti di vandalismo contro di essi. Costituiscono, invece altre violazioni : le utilizzazioni dei beni culturali in violazione della Convenzione o del Protocollo e le esportazioni illecite, o altri atti di rimozione o trasferimento di proprietà dei beni culturali provenienti dal territorio occupato, in violazione della Convenzione o del Protocollo. Rispetto alle violazioni gravi lo Stato parte è obbligato a perseguire od estradare il presunto reo che si trovi nel suo territorio. Sempre con riferimento alle violazioni gravi, si ritiene sufficiente la presenza del presunto reo nel territorio dello Stato ai fini della sussistenza della giurisdizione e vengono dettate norme specifiche in tema di estradizione. Infatti, non solo gli Stati contraenti si impegnano ad includere tali violazioni nei loro futuri trattati di estradizione, ma le stesse devono anche essere ritenute incluse quali reati estradabili, in tutti i trattati di estradizione già conclusi dai contraenti (art. 18). A rafforzamento dell effettività della repressione delle violazioni gravi, le stesse sono escluse dalla qualificazione di reato politico. Per tutte le violazioni, infine, grava un obbligo di reciproca assistenza legale ai fini delle indagini e dei procedimenti penali o di estradizione (art. 19). Con riferimento al tema della responsabilità, va ricordato che lo Statuto della Corte Penale Internazionale del 1998 contempla, tra i crimini di guerra, anche atti compiuti contro beni culturali (art. 8). Tale risultato costituisce un importante conferma della opinio juris della Comunità internazionale in materia; le ipotesi previste sono, però, com è naturale, più limitate rispetto a quelle contenute nella Convenzione dell Aja del 1954 e la Corte Penale Internazionale è destinata ad occuparsi solo, in via complementare rispetto alla giurisdizione degli Stati, della responsabilità individuale.

15 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA Con riferimento alla protezione generale del patrimonio culturale sia in tempo di pace che in tempo di conflitti armati, può oggi parlarsi di un vero e proprio sistema internazionale di tutela dei beni culturali, mobili ed immobili, in tempo di pace ed in tempo di guerra. Sistema che, tuttavia, non può che essere tendenzialmente completo, non solo perché alcune tipologie di beni (come il patrimonio immateriale), pur essendo ritenute di rilievo internazionale, sono assai difficilmente definibili, ma anche e soprattutto perché lo strumento del diritto internazionale convenzionale non può essere sufficiente a tutelare un interesse che si ritiene appartenere a tutta l umanità. Così, la spinta verso l affermazione di una norma consuetudinaria di diritto internazionale, a completamento del sistema, al fine della sua effettività nella tutela di interessi comuni e condivisi è stata determinata, purtroppo, come spesso avviene anche in altri settori (basti pensare alla tutela internazionale dell ambiente marino), dal verificarsi di e- venti gravissimi, in occasione dei quali si è dimostrata l insufficienza del pur imponente sistema convenzionale costruito, a livello universale, dall UNESCO. In questo caso, l attenzione della Comunità internazionale è stata catalizzata sul problema della protezione del patrimonio culturale, dalla distruzione intenzionale, in Afghanistan, delle monumentali sculture note come Buddha di Bamyan, da parte delle forze del governo talebano, nel marzo 2001, perpetrata nonostante la mobilitazione generale ed in particolare dell UNESCO. Infatti, al fine di evitare la distruzione dei buddha afgani, l UNESCO ha tentato invano di fare riferimento all uno o all altro degli strumenti convenzionali vigenti, i quali, però, per un verso o per l altro, si sono dimostrati inapplicabili al caso di specie (i Buddha sono stati poi iscritti nella Lista del patrimonio mondiale e contemporaneamente nella Lista del patrimonio in pericolo). Tale impotenza è risultata inaccettabile da parte della Comunità internazionale, trattandosi non di danneggiamento causato da forza maggiore, bensì voluto e programmato allo scopo di distruggere beni espressivi di una determinata realtà culturale e religiosa. La Conferenza generale dell UNESCO, nell ottobre 2003, ha dunque adottato una Dichiarazione per condannare la distruzione intenzionale del patrimonio culturale, approvata per consensus, secondo una formulazione che si presenta meno incisiva rispetto a quella originariamente predisposta. Il testo costituisce un importante punto di riferimento per la tutela giuridica internazionale del patrimonio culturale, in tempo di pace ed in tempo di guerra, nel pieno rispetto degli

16 386 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE accordi vigenti, anche in quei casi che la prassi ha evidenziato essere, da un lato, esclusi dall applicazione degli strumenti convenzionali vigenti e, dall altro, ritenuti socialmente inaccettabili dalla Comunità internazionale. La condanna della distruzione intenzionale del patrimonio assume dunque la forma di un articolato che, pur palesando esplicitamente il proprio carattere non vincolante, si propone altrettanto chiaramente come espressione di norme in formazione o già esistenti nel diritto internazionale generale, sebbene non ancora esplicitate in specifici testi convenzionali. Il collegamento con lo stato del diritto generale in questa materia è palesato nel testo della Dichiarazione, ove ci si riferisce all evoluzione delle norme di diritto internazionale consuetudinario, confermata dalla giurisprudenza pertinente, che riguardano la protezione del patrimonio culturale in tempo di pace così come in caso di conflitto armato. La Dichiarazione si caratterizza, innanzitutto, per un ampia definizione del patrimonio culturale, riprendendo in tal modo l evoluzione raggiunta dagli strumenti convenzionali adottati in seno all UNESCO. In tale contesto i siti naturali non rientrano nell ambito applicativo della Dichiarazione, a meno che non siano collegati ad un bene culturale (art. II, par. 1); e per un articolata definizione di distruzione intenzionale (art. II, par. 2). Articolata, non solo perché comprende qualsiasi atto volto alla distruzione in tutto od in parte di un bene culturale in modo da comprometterne l integrità, ma anche perché collega la rilevanza di questa distruzione all essere la stessa contraria al diritto internazionale o costituire un offesa ingiustificata ai principi di umanità e della pubblica coscienza. Sembrerebbe così che ogni violazione di legge o di regole morali sia sufficiente per la sussistenza della fattispecie, senonché la disposizione contiene un eccezione che può escludere ogni antigiuridicità laddove i comportamenti rilevanti siano già disciplinati (evidentemente in senso diverso) da principi fondamentali di diritto internazionale. In secondo luogo, la Dichiarazione si caratterizza per la serie di raccomandazioni rivolte agli Stati. Essi vengono esortati ad adottare ogni misura atta a prevenire, evitare, fermare ed eliminare atti intenzionali di distruzione del patrimonio culturale, ovunque esso sia situato. Si tratta sia di misure interne, legislative, amministrative, educative e tecniche, sia di misure a livello di ordinamento internazionale e, in particolare, la partecipazione alle convenzioni a tutela dei beni culturali vigenti e la promozione di nuovi strumenti convenzionali che assi-

17 LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN TEMPO DI GUERRA 387 curino un più elevato livello di protezione del patrimonio culturale (art. III). Gli Stati vengono altresì esortati ad agire in conformità con i principi e gli obiettivi contenuti negli accordi universali di protezione dei beni culturali e ad agire, se coinvolti in un conflitto armato, in conformità con il diritto internazionale consuetudinario e i principi e gli obiettivi degli accordi internazionali e delle raccomandazioni adottate dall UNESCO (articoli IV e V). In terzo luogo, nella Dichiarazione emerge la previsione del sistema dualistico di responsabilità, tipico della più recente evoluzione del diritto internazionale penale, che contempla una responsabilità internazionale dello Stato ed una responsabilità penale internazionale dell individuo che perpetra materialmente l atto in questione, e ciò a prescindere dall appartenenza del bene in questione alla Lista del patrimonio mondiale od alla Lista del patrimonio in pericolo, previste dalla Convenzione di Parigi del 1972 sul patrimonio mondiale, culturale e naturale (articoli VI e VII) 10. Al di là, però, del suo contenuto specifico, sia il testo della Dichiarazione, sia le vicende che hanno condotto alla sua adozione, evidenziano con estrema chiarezza l opinio della Comunità internazionale riguardo alla concezione unitaria del patrimonio culturale a livello internazionale ed all importanza per tutti i soggetti di ciascun suo elemento e di ciascuna sua componente. ABSTRACT Current Developments in the Protection of Cultural Heritage in Time of War With regard to the field of protection of cultural heritage in time of war, the international Community has focused its attention on the production of standards and principles, both customary and codified, which can be applied both during armed conflicts and in the periods immediately preceding and following them. 10 A quest ultimo riguardo appare utile rammentare che il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia ha affermato che la distruzione deliberata di beni culturali, soprattutto di quelli religiosi, equivale ad un attacco contro l identità religiosa di un popolo e costituisce un crimine contro l umanità (caso Kordic e Cerkez, sentenza del 26 febbraio 2001, caso Blagojevic e Jokić, sentenza del 4 aprile 2004, e caso Strugar, sentenza del 31 gennaio 2005).

18 388 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE The first international instrument exclusively dedicated to the protection of cultural heritage in the event of armed conflict is represented by the Hague Convention of 15 May 1954, which established an obligation to protect and respect both movable and immovable assets. This would be achieved through a dual system: general protection would be applied to all objects without distinction, and special protection would be guaranteed to a limited number of items, which because of their particular features would be listed on the International Register of cultural property under special protection. The conditions and procedures required for registration among which is the need for the consent of all the contracting States are so strict that they greatly reduce the number of items subject to special protection. Both systems, albeit to varying degrees, are subject in their application to the further limit of military necessity. Unfortunately this Convention has proved to be ineffective and needs to be adapted to the changed awareness regarding this problem and the development of relations within the international community. The first additional Protocol of 1954 specifically prohibits the export of cultural property from the territories of occupied countries and ensures the return of such cultural property to the competent authorities of those States at the end of hostilities. The Second Additional Protocol of 1999 aims to strengthen cooperation between the contracting States to ensure enhanced protection of cultural heritage. In order to overcome obstacles hindering the Convention, in particular the practical difficulties encountered in monitoring its application, an intergovernmental committee composed of twelve representatives of the contracting states was set up, with the Director General of UNESCO as its operational agent. In fact he manages the registration system for cultural heritage objects on the new international register of cultural property under enhanced protection which basically substitutes the existing special protection. The conditions and procedures required for registration have been streamlined and are no longer subject to the consent of the contracting countries. Henceforth decisions in this field will be taken solely by the Intergovernmental Panel. Moreover, the limitation regarding military necessity concerns only general protection. The protection regime is thus completely institutionalized, no longer subject to the discretion of contracting parties and now applies to internal conflicts as well as to international ones.

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