7. Aldilà dell Atlantico

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1 7. Aldilà dell Atlantico a) Le civiltà precolombiane: i Maya, gli Aztechi e gli Incas b) D. de Landa: crudeltà dei conquistadores e le giustificazioni addotte c) Diaz de Castillo: la piazza del mercato nella capitale azteca d) Come Pizarro conquistò l Impero incaico

2 S ocietà Le civiltà precolombiane: i Maya, gli Aztechi e gli Incas Profilo, L America precolombiana, pp. 118 ss. Le origini Molto probabilmente al termine dell ultima glaciazione (circa anni fa) alcune comunità nomadi asiatiche attraversarono lo stretto di Bering ancora coperto dai ghiacci e passarono nel continente americano, iniziando a colonizzarlo da nord a sud. Poi fra il e il a.c. qualcuna di loro incominciò a coltivare il mais, un cereale dal notevole potere nutritivo e che consentiva rendimenti elevati senza cure eccessive. L avvio dell agricoltura e l insediamento stabile aggiunsero ai vantaggi del mais anche quelli della patata, del fagiolo, della zucca o del pomodoro. Mancando però ovunque nel Nuovo Continente animali da traino o da soma (un eccezione era il lama in Perú, inadatto però a sopportare carichi pesanti), non poterono ricorrere all aratura e neppure utilizzare la ruota. Sebbene la ricerca archeologica si arricchisca di continuo, rimangono ancora numerose incertezze sull evoluzione delle comunità che andarono a popolare l America. Quando vi giunsero gli Europei (alla fine del XV secolo) esse presentavano stadi di sviluppo fortemente differenziati. Secondo la testimonianza diretta di Cristoforo Colombo alcune popolazioni delle isole caraibiche erano miti e gentili, altre bellicose e comunque il loro livello di civiltà corrispondeva al Neolitico. Quando invece Cortés si inoltrò nel Messico (1519) e pochi anni dopo Francisco Pizarro ripeté l avventura nel Perú (1533), i conquistadores spagnoli trovarono società progredite con città che uguagliavano per grandezza quelle europee, ma nessuna conosceva la tecnologia produttiva del ferro. Il cortile «delle mille colonne» e la piramide di Chichén Itzá (XI- XII secolo). Costruita dagli Itzá una delle etnie guerriere che fondendosi con i Maya classici diede vita alla cosiddetta fase postclassica la città cercava di emulare lo splendore dell antico centro cultuale di Tula. FINESTRE SULLA STORIA Alcune delle piante commestibili nel mondo azteco, dal Codex Tudela. Le piante commestibili erano varie e di grande valore nutritivo. Oltre al mais, si consumavano fagioli e zucche, numerosi tipi di verdure (pomodoro rosso, tè messicano), semi, radici e tuberi (patate e patate dolci) e un infinità di frutti (avocado, mammea americana, ciliegia americana). 3

3 Le città-stato dei Maya nel Guatemala e nello Yucatan L Impero degli Aztechi nell altopiano messicano FINESTRE SULLA STORIA Eredi di precedenti civiltà, i Maya si erano stabiliti negli altipiani e nelle valli del Guatemala, dove a partire dal II secolo a.c. iniziarono a fiorire le loro città-stato, centri religiosi e capoluoghi di piccoli regni indipendenti spesso in guerra tra loro. Teotihuacàn, la maggiore di queste, si estendeva per 20 km 2, aveva forse oltre abitanti, possedeva grandi palazzi, strade lastricate e templi piramidali che svettavano fino a 90 metri. Le città-stato erano in primo luogo residenza di sovrani, di sacerdoti e di nobili, diventando anche centri di scambi commerciali in occasione delle cerimonie religiose, durante le quali era frequente il ricorso o a sacrifici umani per guadagnare la benevolenza delle numerose divinità, nel timore ossessivo di incombenti terremoti o eruzioni vulcaniche particolarmente devastanti in queste regioni. I Maya disponevano di notevoli conoscenze astronomiche e matematiche, utilizzavano una scrittura geroglifica (solo in parte decifrata) e hanno lasciato una straordinaria produzione di sculture, bassorilievi, pitture murali e ceramica decorata, tanto da essere considerati i «Greci d America» per le loro qualità artistiche. La maggioranza della popolazione, formata da contadini, viveva nei villaggi ed era impegnata collettivamente nel disboscamento della lussureggiante foresta tropicale per fare posto alla coltivazione del mais. I limiti di questa agricoltura, che non conoscendo l aratura esauriva rapidamente la fertilità del terreno ed era costretta a strappare spazi sempre nuovi alla foresta pluviale, favorirono la dispersione della popolazione sul territorio e impedirono la nascita dei grandi stati. Dopo un periodo di grande splendore tra il IV e il IX secolo, quando i Maya si spinsero verso la penisola dello Yucatàn e vi fondarono splendide città come Chichen Itzà, iniziò un lento declino. Dapprima i sanguinosi conflitti tra città rivali, poi nel X secolo l invasione dei Toltechi (una popolazione guerriera del Nord) e infine le crescenti difficoltà del loro sistema agricolo a fronteggiare l incremento demografico aprirono la strada alla conquista spagnola, iniziata nel 1527 ma completata soltanto un secolo dopo. Huitzilopochtil. (Codex Veitia) Il dio guerriero, la cui caratteristica crudeltà, testimoniata dai sacrifici umani a lui offerti, rispecchiava la mentalità bellicosa degli Aztechi. Era venerato nel tempio maggiore di Tenochtitlán. Mentre declinavano le fortune dei Maya, crebbero quelle degli Aztechi, un altra popolazione guerriera stanziatasi attorno al XIII secolo sulle sponde del lago Texcoco. Qui edificarono la capitale Tenochtitlàn (l odierna Città del Messico), creando un complesso reticolo di canali, ponti e orti fertilizzati dal fango lacustre che davano raccolti straordinari. Nel giro di pochi decenni gli Aztechi assunsero il controllo dell intero altopiano messicano e poterono assimilare l eredità culturale dei Maya e dei Toltechi. All arrivo degli Spagnoli (1519) il loro sovrano Montezuma II governava un territorio con oltre 10 milioni di abitanti. Ma l Impero azteco era soltanto una specie di confederazione di stati tributari di Tenochtitlàn, che esercitava un controllo sulle vie di comunicazione e sulle principali risorse, servendosi di una fitta rete di presidi militari, di funzionari, di esattori Scena della presa di Tlateloco, (1473) dal Codice Azatitlán. Parigi, Biblioteca Nazionale. I guerrieri di Tenochtitlán uccidono il re di Tlateloco Mocuihuis (che si vede precipitare a pezzi dalla scalinata), sotto lo sguardo del loro re Axayácatl. Secondo la leggenda a occasionare la guerra e l annessione a Tenochtitlán fu il fatto che il monarca di Tlateloco maltrattasse la moglie, sorella del potente Axayácatl. 4

4 e persino di mercanti-spie incaricati di raccogliere informazioni sui territori stranieri. Originariamente la società azteca era basata su clan familiari che coltivavano in comune la terra. Col tempo però si accentuarono le differenziazioni sociali e si affermò un rigido ordinamento gerarchico con al vertice nobili e sacerdoti, mentre le professioni dei mercanti e degli artigiani diventarono ereditarie. Ogni condizione sociale doveva essere immediatamente riconoscibile anche dall abbigliamento e dall acconciatura. Indossare qualcosa senza averne diritto (come i coloratissimi pennacchi di piume dell uccello quetzal riservati ai guerrieri di rango elevato) rappresentava una trasgressione punita con la morte. Il rispetto delle regole veniva inculcato da un educazione familiare che prevedeva frequenti castighi corporali e soprattutto attraverso l istruzione obbligatoria e gratuita in scuole-collegio che fornivano una preparazione pratico-militare di base, integrata per i figli della nobiltà da un istruzione superiore comprendente la letteratura, l astronomia e la matematica. Al vertice della società azteca si collocava il sovrano, che unificava il potere politico, militare e religioso, eletto da alti dignitari, capi guerrieri e grandi sacerdoti. Tra le numerose divinità emergevano Huitzilopochtil, dio solare della guerra e Tlaloc, antico dio centroamericano della pioggia. Nei due culti si rispecchiava la civiltà azteca, sintesi del primato assunto dai bellicosi dominatori giunti negli altipiani e delle credenze degli antichi popoli messicani dediti all agricoltura. Una terza grande divinità era Quetzalcoatl, il dio benefico per eccellenza ereditato dai Toltechi, che aveva donato all umanità la vita, il mais, le arti e le scienze. Come in tutte le popolazioni dell America centrale era centrale l idea di una eterna lotta tra il Bene e il Male. Ossessionati come i Maya dalla minaccia di catastrofi naturali, gli Aztechi erano succubi di un sentimento di precarietà cosmica. Per loro il risorgere del sole e il ritorno ciclico delle stagioni non erano scontati, credevano che l umanità fosse stata sterminata già quattro volte e il loro calendario presagiva terribili catastrofi ogni 52 anni. Oltre alla rudimentalità delle loro armi (frecce e asce di pietra), proprio queste concezioni pessimistiche facilitarono la conquista spagnola (1524). Infatti una antica profezia attendeva la rigenerazione da divinità venute dall Oriente e tali vennero considerati i conquistadores. L Impero degli Incas negli altipiani andini Fra il XIII e il XVI secolo dunque quasi contemporaneamente agli Aztechi un altro popolo realizzò un vastissimo impero sulla cordigliera delle Ande dall Ecuador al Perú, dal Cile alla Bolivia, sovrapponendosi a precedenti culture. Su di esso governava l inca, un sovrano di discendenza divina che risiedeva a Cuzco, la monumentale capitale edificata a metri di altitudine. Tutti gli dovevano obbedienza assoluta, unificando nella sua persona il potere politico e quello religioso come rappresentante terreno del Sole. Dipendevano da lui i governatori delle varie regioni in cui era diviso l impero, i nobili costituiti soprattutto dai parenti della famiglia reale e i funzionari con compiti di sorveglianza sui popoli sottomessi. Allo scambio dei beni tra le varie popolazioni provvedeva direttamente lo stato, non esisteva la moneta, né tanto meno (come in tutta l America precolombiana) la proprietà privata della terra, che era divisa in tre parti. Una parte serviva a mantenere nobili e funzionari, una seconda i sacerdoti e una terza era assegnata ai contadini, chiamati a lavorare anche le altre due parti, oltre a provvedere alla costruzione di strade, di ponti, di templi e di edifici pubblici. La popola- FINESTRE SULLA STORIA L incisione che accompagnò la pubblicazione dell opera Civitas Orbis Terrarum nel 1595 mostra una Cuzco idealizzata. L architettura caratteristica di Cuzco, con le sue mura di pietre poligonali, finestre e porte trapezoidali però non trova (vedi particolare) alcun riscontro in questa ricostruzione immaginosa. 5

5 FINESTRE SULLA STORIA zione contadina era composta da comunità rurali (ayllu) caratterizzate da un forte rapporto comunitario di reciproco aiuto, mentre una riserva di beni di prima necessità (dal mais alle patate, ai tessuti di lana ottenuti dal lama) veniva conservata nei magazzini statali per soccorrere le popolazioni colpite da carestie. A tenere unito questo enorme impero, composto da un amalgama di popoli diversi e separati da immensi ostacoli naturali, contribuiva un eccezionale rete di percorsi stradali e di ponti sospesi da un abisso all altro che per migliaia di chilometri collegavano le coste oceaniche alla cordigliera andina. Nella religione era predominante il culto del Sole (Inti), ma erano permesse anche le divinità locali. Diversamente da altri popoli amerindi gli Incas non prevedevano la schiavitù dei prigionieri e ricorrevano ai sacrifici umani solo in occasioni particolari. Non conoscevano la scrittura, sostituita con un originale sistema di cordicelle annodate (quipu) dai significati simbolici affidato a scribi-contabili di stato che lo utilizzavano per la registrazione dei prodotti e della popolazione. Abili tessitori e fini artigiani di oggetti d oro e d argento, gli Incas raggiunsero conoscenze astronomiche, architettoniche ed edilizie molto avanzate. Tuttavia analogamente ai Maya e agli Aztechi anche gli Incas igno- Quipu. Colori e annodature formavano la «scrittura» degli Incas. ravano il ferro, non possedevano flotte, né tanto meno avevano mai visto armi da fuoco e cavalli. Così rimasero disorientati di fronte a un manipolo di soldati spagnoli e vennero inesorabilmente sopraffatti (1533). Sopra, una donna inca a caccia di lama con l aiuto della boleadora. Madrid, Museo de América. A fianco, un agricoltore che lavora la terra con una corta zappa (questa zappa e la tacilla, o palo conficcatore, sono tipici strumenti agricoli preispanici). Gli Incas concimavano la terra con escrementi di lama, resti di pesce e guano. Madrid, Museo de América. Bibliografia V. W. Von Hagen, Il mondo dei Maya, Roma, Newton Compton, C. Bandinelli, Civiltà precolombiane: i Maya e gli Aztechi, Torino, Loescher, C. Bandinelli, Civiltà precolombiane: gli Incas, Torino, Loescher, M. Portilla, Il rovescio della conquista, Milano, Adelphi,

6 D. de Landa: crudeltà dei conquistadores e le giustificazioni addotte Diversamente dagli Aztechi e dagli Incas, i Maya opposero una tenace resistenza agli Spagnoli e la conquista iniziata da Francisco de Montejo nel 1527 potrà essere completata soltanto un secolo dopo. Il brano che segue è una rielaborazione delle note scritte dal vescovo francescano Diego de Landa che seguì la spedizione spagnola nello Yucatàn. Occorre per altro sottolineare che pur rimarcando le nefandezze commesse, l autore cerca di deresponsabilizzare Francisco de Montejo e sembra voler giustificare il terrorismo impiegato nei confronti dei nativi in nome del diritto alla conquista. [A Yolaim, nello Yucatàn, gli Spagnoli] presero la gente e la misero tutta insieme in una casa ed appiccarono il fuoco, bruciando tutti vivi con la più grande disumanità del mondo. Diego Landa disse che vide un grande albero vicino al villaggio utilizzato per impiccare molte donne indie e i loro figli per i piedi. In questo stesso paese e in un altro che si chiama Verey, a due passi dal primo, impiccarono due donne indie: una giovane donna e una sposata da poco, non perché avessero commesso alcuna colpa, ma solo perché erano belle e temevano che lo sguardo degli Spagnoli cadesse su di loro e per dimostrare che agli Spagnoli non importava nulla delle donne. Di questo episodio si conserva un forte ricordo sia tra gli indios che tra gli Spagnoli per la grande bellezza delle due donne e per la spietata crudeltà del fatto [ ] Quando gli indios della provincia di Cochua e di Checamal si ribellarono, gli Spagnoli risolsero la situazione in un modo tale che, essendo due tra i villaggi i più popolosi, divennero le terre più sventurate della regione. Fecero agli indios crudeltà inaudite. Gli tagliarono il naso, braccia e gambe e alle donne tagliavano il seno e legavano i piedi a zucche e le gettavano in acqua [ ] Si dice che Don Francisco Montejo non fece nessuna di queste crudeltà, ma anche se gli sembravano brutte azioni non riuscì a evitarle. Da parte loro gli Spagnoli si giustificavano dicendo che essendo pochi non potevano assoggettare così tanta gente senza doverli impaurire con punizioni terribili e del resto prendevano esempio dalla storia degli Ebrei, quando giunsero alla terra promessa nella quale commisero tante crudeltà per volere di Dio. Relacion su las cosas de Yucatàn sacada de lo escribiò el padre Diego de Landa, fray de la orden de San Francisco (traduzione a cura degli autori) DOCUMENTI 5

7 Diaz de Castillo: la piazza del mercato nella capitale azteca La conquista dell Impero azteco da parte di Hernàn Cortès fu estremamente facile. Decisivo si rivelò il disorientamento delle popolazioni native davanti a un evento per loro inspiegabile e che finirono per considerare divino, rinunciando ad ogni possibile difesa. Nel brano che segue lo spagnolo Bernard Diaz de Castillo, un luogotenente di Cortès, manifesta tutto il suo stupore per l enorme quantità di mercanzie che si trovano nella grande piazza del mercato di Tenochtitlàn (Città del Messico), la capitale dell Impero. DOCUMENTI Intanto Cortès, accompagnato dai suoi capitani e soldati, tutti armati e molti a cavallo, arrivò nella gran piazza di Tatelulco [Tenochtitlàn, oggi Città del Messico]; e restammo tutti meravigliati nel vedere la gran moltitudine di gente e l abbondanza di mercanzie. [ ] Da una parte c erano mercanti d oro, d argento, di pietre preziose, di piume e di stoffe, e dall altra mercanti di schiavi, che ci pareva d essere dove i portoghesi vendono i negri della Guinea; e i poveri indiani erano tutti legati con collari a lunghi bastoni, perché nessuno fuggisse. Poi c erano mercanti di tessuti più ordinari, di cotone e di filo ritorto; altri mercanti vendevano cacao, manti, funi, calzari, radici dolci cotte e altri tuberi [ ] Passiamo avanti e diciamo di quelli che vendevano fagioli, legumi e verdure da una parte e galline, tacchini, conigli, lepri, anitre e cagnolini dall altra. E poi c erano quelli che vendevano stoviglie di terracotta d ogni fattura e qualità: e poi miele, focacce, dolciumi, pasta di mandorle e altri dolci come il torrone; legna e legno lavorato, pino resinoso per torce, e infinite altre cose che non so come potrei ricordarle tutte. Un mercato immenso, insomma, che si estendeva per tutta la grande piazza e le viuzze intorno. Una cosa curiosa, che devo menzionare chiedendo scusa, è che nei canali vicino al mercato c erano molte canoe cariche di escrementi umani da vendere. Da questi si dice che derivino sale e sostanze per conciare le pelli. So che molti rideranno di gusto, ma assicuro che è vero. Aggiungo che lungo tutte le strade si trovano ripari fatti di canne o paglia o erba, dove si ritirano a fare i loro bisogni, per non essere visti, e perché gli escrementi non vadano perduti. [ ] C era anche un edifìcio dove tre magistrati amministravano la giustizia, e c erano guardie che esaminavano la mercanzia. Non dimentichiamo il sale e i coltelli di pietra; le pescivendole e i venditori di una specie di pane fatto con le alghe del lago e che sa di formaggio; poi asce di ottone, rame e stagno, e recipienti di zucca e anfore di legno dipinte a colori vivaci. [ ] Un ultimo sguardo al mercato, ed eccoci ai grandi templi. Prima di arrivarci, passammo attraverso una serie di cortili che formavano una piazza, a mio parere più grande di quella di Salamanca [in Spagna], lastricati e circondati da muri doppi. Tutto era imbiancato e splendente, tutto così pulito che non si sarebbe trovato per terra un filo di paglia o un granello di sabbia. B. Diaz del Castillo, La conquista del Messico, a cura di F. Marenco, Milano, Tea,

8 Come Pizarro conquistò l Impero incaico Appena 200 Spagnoli riuscirono a impossessarsi dell Impero sterminato degli Incas e così anche Francisco Pizarro (analogamente a Cortés con l Impero azteco) portò a termine un impresa che ha dell incredibile. Il documento raccoglie alcune testimonianze spagnole e sottolinea lo sconcerto dei nativi che favorisce l affermazione militare spagnola. Arrivati all ingresso di Cajamarca, vedemmo ad una lega di distanza l accampamento di Atahualpa [il sovrano degli Incas] sulle pendici dei monti. Il campo sembrava una magnifica città e le tende erano così numerose che fummo colti da grande timore. [ ] Il Governatore Pizarro mandò in ambasciata Fra Vincente de Valleverde, per chiedere ad Atahualpa che in nome di Dio e del Re di Spagna si sottomesse alla legge del nostro Signore Gesù Cristo e si ponesse al servizio di Sua Maestà il Re. Il frate avanzò fendendo le truppe, con la Croce in mano e la Bibbia nell altra; giunto che fu dinanzi ad Atahualpa lo apostrofò così: «Sono un Ministro di Dio e ammaestro i cristiani nella Santa Dottrina e in tal senso giungo a te. Le mie parole sono le parole che Dio ci ha dato in questo Libro. Pertanto, in nome di Dio e dei Cristiani, ti prego di accoglierli in amicizia, perché tale è la volontà di Dio e tale sarà il tuo interesse». Atahualpa chiese che gli fosse mostrato il Libro e il frate glielo porse chiuso. Il re non sapeva come aprirlo e fra Vincente stese una mano per mostrarglielo, ma Atauhalpa si infuriò e lo colpì. Quindi lo aprì e senza alcun interesse o meraviglia per ciò che conteneva lo gettò via da sé, rosso in volto. Allora Fra Vincente si volse verso Pizarro e gridò: «Uscite fuori, Cristiani! Colpite questi cani infedeli che rifiutano la Parola di Dio! [ ] Il Governatore diede il segnale a de Candia [un subalterno], che iniziò a sparare e a suonare le fanfare. A tale suono i soldati spagnoli uscirono dai loro nascondigli e si gettarono nella piazza contro gli indios disarmati. [ ] I cavalli erano ornati con sonagli per fare maggiore strepito e gli spari, i suoni e le grida gettarono i nemici in un confuso terrore. [ ] La cavalleria li schiacciò, li uccise con le spade e li inseguì, mentre la fanteria fu così abile che in poco tempo tutti quelli che erano scampati ai cavalieri furono passati a fil di spada. [ ] Quando gli indios rimasti fuori dalla città videro i compagni in fuga e nel terrore, anch essi presero spavento e scapparono. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Torino, Einaudi, 1998 DOCUMENTI Questa immagine mostra un punto di vista diverso nella rappresentazione del rapporto tra Indios e conquistatori: gli «indiani» piegano devotamente il capo al missionario che li battezza, suscitando pii pensieri nei conquistadores che assistono alla scena. 7