Lezione P2. L efficacia della legge penale nel tempo
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- Irene Bini
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1 Lezione P2. L efficacia della legge penale nel tempo principio convenzionale - confermata dal riferimento che la giurisprudenza europea fa alle fonti internazionali e comunitarie (art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici ed art. 49 della Carta di Nizza) e alle pronunce della Corte di giustizia dell Unione europea - implica dunque che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità. Esso non può pertanto riguardare le norme sopravvenute che modificano, in senso favorevole al reo, la disciplina della prescrizione, con la riduzione del tempo occorrente perché si produca l effetto estintivo del reato: in conseguenza, la norma censurata, nella parte in cui esclude l applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, nei processi pendenti in appello o avanti alla Corte di cassazione, non si pone in contrasto con l art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e quindi non viola l art. 117, primo comma, Cost). 3. La successione di leggi penali nel tempo e l attività interpretativa della giurisprudenza: il fenomeno della retroattività occulta al vaglio dei giudici sovranazionali Come già esposto, l art. 2 c.p. disciplina, a livello di legge ordinaria, la successione delle leggi penali nel tempo. Le disposizioni di cui al citato articolo prevedono (ad eccezione che per le leggi di cui al quinto comma) essenzialmente due regole ispirate al favor rei: quella della irretroattività della legge sfavorevole, regola di valenza costituzionale (cfr. art. 25, co. 2, Cost), e quella della retroattività della legge favorevole. Tale ultima regola, a differenza della prima, secondo i più, non ha copertura costituzionale, sicché la sua introduzione nel nostro ordinamento è stata una libera scelta del legislatore ordinario. In particolare, il primo comma dell art. 2 c.p. prevede il fenomeno della nuova incriminazione, ossia dell introduzione di una nuova figura di reato ovvero dell estensione della portata precettiva di una norma incriminatrice già esistente, e sancisce la regola della irretroattività della legge sfavorevole. 115
2 lezioni e sentenze di diritto penale parte generale Il secondo comma del medesimo articolo contempla il fenomeno della abolizione di una norma incriminatrice (cd. abolitio criminis), che comporta una deroga al principio processuale dell intangibilità del giudicato, nel senso che la condanna definitiva per il reato abrogato viene meno. Tale comma contempla la regola della retroattività della legge favorevole. Il quarto comma riguarda il fenomeno della successione di leggi modificative, nel senso che il fatto continua ad essere considerato come reato, senza alcuna variazione della fattispecie astratta ovvero con delle modifiche non essenziali, anche se muta la disciplina sanzionatoria. In questo comma convivono la regola della irretroattività della legge sfavorevole, non potendo essere applicata retroattivamente la modifica sfavorevole, e la regola della retroattività della legge favorevole, dovendo applicarsi retroattivamente la modifica più favorevole. In tal caso resta fermo il giudicato di condanna, ad eccezione dell ipotesi di cui al nuovo comma 3 dello stesso articolo. Dunque, nel nostro ordinamento vige il divieto di applicare retroattivamente una nuova incriminazione ovvero un trattamento sanzionatorio penale più severo. Tuttavia, accade talvolta che il mutamento in malam partem di fattispecie penali sia l effetto dell attività interpretativa della giurisprudenza che considera come reato, in base ad una diversa interpretazione della norma incriminatrice, un fatto che stando alla precedente interpretazione non lo era. Ciò rileva soprattutto quando la Corte di Cassazione, a cui è affidata la funzione nomofilattica, opera un revirement interpretativo in peius, ritenendo che un dato comportamento, escluso in passato dalla portata del precetto penale, rientri nello spettro di tale precetto. Questo mutamento, si è osservato in dottrina, produce nei confronti dell imputato effetti equivalenti a quelli di una modifica legislativa, poiché si traduce in una retroattività occulta della norma penale contra reum. I rimedi prospettati in relazione al fenomeno della retroattività occulta sono essenzialmente di due tipi. Il primo consiste nel riconoscimento, in favore dell imputato, della rilevanza scusante della ignoranza inevitabile della legge penale, ai sensi dell art. 5 c.p., secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988. L improvviso revirement giurisprudenziale può ricondursi al gravemente caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari, menzionato dalla citata pronuncia come esempio di elemento positivo che induce incolpevolmente in errore il soggetto. 116
3 Lezione P2. L efficacia della legge penale nel tempo Il secondo rimedio si sostanzia nell estensione delle garanzie del principio di irretroattività della legge panale alle interpretazioni giurisprudenziali. La giurisprudenza invece non ritiene possibile l assimilazione della svolta giurisprudenziale in malam partem alla introduzione di una nuova legge sfavorevole al reo, poiché la prima si fonda pur sempre su una norma già esistente al momento in cui il fatto è stato commesso, sicché non si può invocare il principio della irretroattività della norma sfavorevole, non essendovi una norma sopravvenuta. Questo atteggiamento rigoroso della giurisprudenza ha indotto alcuni autori a ritenere che tale secondo rimedio può rilevare solo come prospettiva de iure condendo, a differenza del primo che può operare de iure condito, considerato che la giurisprudenza ha già dato rilevanza all errore di diritto scusabile perché originato da un panorama normativo confuso e difficilmente intelligibile. Tuttavia, l idea della necessità di un intervento legislativo che dia rilevanza al principio di irretroattività in materia penale anche rispetto alle novità giurisprudenziali in peius può essere superata dai più recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell Uomo e della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Secondo il consolidato orientamento della Corte Europea dei diritti dell Uomo il principio di irretroattività, sancito nell art. 7 della C.E.D.U., investe anche il diritto giurisprudenziale, impedendo l applicazione estensiva della norma penale in senso sfavorevole all imputato quando tale interpretazione non era ragionevolmente prevedibile (c.d. overruling). Invero, per effetto dell esplicito riferimento al diritto, la nozione convenzionale di legalità comprende sia il diritto scritto che quello non scritto (si ricorda che la C.E.D.U. è stata sottoscritta anche da Stati in cui vige il common law, sicché la nozione convenzionale di legalità scolpita nel predetto art. 7 non richiede la presenza di una norma scritta, visto che ciò contrasterebbe con l essenza stessa del common law, presenza peraltro ritenuta non necessaria, nella prospettiva internazionale del favor rei, neppure nei sistemi di civil law per un esigenza di armonizzazione dei principi che reggono l ordinamento europeo relativo ai diritti fondamentali). Il principio di legalità di cui all art. 7 CEDU viene inteso dalla Corte Europea accedendo ad una concezione sostanziale e non formale: il diritto penale rappresenta il prodotto dell intervento legislativo e giudiziario e la certezza del medesimo è garantita dai sottoprincipi dell accessibilità delle fonti legali e dalla prevedibilità delle decisioni 117
4 lezioni e sentenze di diritto penale parte generale giudiziarie (v. su questi sottoprincipi, Lezione P1). Ecco perché non è ammissibile che la giurisprudenza utilizzi a sorpresa una norma che finisce per determinare un applicazione retroattiva in malam partem (tra le altre, Corte Europea sent , P. c. Francia, e sent , S.W. c. Regno Unito). E evidente che qualora, in linea generale, si attribuisca alle sentenze della Corte Europea la forza di produrre diritti e obblighi operanti direttamente all interno dell ordinamento dello Stato che ha aderito alla Convenzione, consentendo al giudice interno di disapplicare la norma interna contrastante con l interpretazione della disposizione della Convenzione offerta dalla Corte ovvero della norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso concreto (cfr., in questo senso, Cass. pen e Cass. pen ), andrebbe rivisto il succitato indirizzo giurisprudenziale interno che esclude l assimilabilità della svolta giurisprudenziale in malam partem alla introduzione di una nuova legge sfavorevole al reo. Anche la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si è uniformata all orientamento della Corte Europea, sostenendo che il principio di irretroattività delle norme penali più severe di cui all art. 7 della C.E.D.U (richiamato assieme a tutti le disposizioni della C.E.D.U. dal Trattato UE) è un principio comune a tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, talché fa parte integrante dei principi generali del diritto di cui il giudice comunitario deve garantire l osservanza. Esso impedisce l applicazione retroattiva di una nuova interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui l infrazione è stata commessa (Sez. II, 08 febbraio 2007 in C-3/o6P, in dispensa) La Cassazione conferisce rilevanza al mutamento di giurisprudenza (c.d. overruling) in bonam partem in sede di applicazione degli istituti penalistici in ambito esecutivo Le Sezioni Unite, ponendosi nella scia dell orientamento espresso dalla Corte di Strasburgo, hanno considerato alla stregua di una norma primaria il diritto vivente nell applicazione dell art. 666, co. 2 c.p.p. (sent. 13 maggio 2010, n ). In particolarre, hanno ritrnuto di poter applicare retroattivamente, in sede esecutiva, un mutamento di giurispridenza (cd. Overruling) favorevole al reo. 118
5 Lezione P2. L efficacia della legge penale nel tempo La vicenda processuale riguardava un soggetto che chiese in fase esecutiva l applicazione dell indulto ex art. 672 c.p.p. che venne rigettata in applicazione del costante orientamento giurisprudenziale per cui l indulto non è applicabile ai condannati all estero che scontano in Italia la pena. In seguito ad un improvviso mutamento di giurisprudenza, ad opera delle Sezioni Unite c.d. Napoletano del 2008, che hanno invece ritenuto l applicabilità dell indulto anche ai soggetti condannati all estero, l interessato ripropose l istanza di indulto al giudice dell esecuzione che ritenne applicabile il beneficio. Di contrario avviso l organo dell accusa che impugnò la decisone. Si è così posta la seguente questione: se il revirement dell organo di legittimità esprimeva o meno un nuovo principio ed era pertanto inidoneo ad integrare i c.d. nuovi elementi richiesti dall art. 666, co. 2, c.p.p. Il problema che si è posto è cioè quello di definire la reale portata della nozione di medesimi elementi di cui al citato comma e, in particolare, della possibilità o meno di includere tra gli elementi nuovi anche un mutamento giurisprudenziale. Il conflitto su cui si sono trovate a decidere le Sezioni Unite è stato foriero di riflessioni più generali. Si è cioè posto il problema di attribuire o meno una posizione al diritto vivente tra le fonti del diritto e, in specie, tra le fonti della lex criminalis. Le Sezioni Unite, dopo essersi occupate della portata del principio di legalità di cui all art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea (sul paunto, v. paragrafo precedente e Lezione P1), hanno concluso, in linea con i giudici sovranazionali, nel senso che il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni Unite (nel nostro caso c.d. Napoletano), integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell indulto in precedenza rigettata. La Corte ha precisato che tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della CEDU, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale. 4. Il discirimen tra abolitio criminis ed abrogatio sine abolitione In materia di successione di leggi penali nel tempo, il principale profilo da analizzare investe la dibattuta questione concernente la distin- 119
6 lezioni e sentenze di diritto penale parte generale zione tra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione. L abolitio criminis ricorre qualora una norma incriminatrice venga abrogata senza che la fattispecie da essa disciplinata riviva o nella nuova norma che la sostituisce (sia pur con alcune modifiche che non ne intaccano il contenuto essenziale, il che darebbe luogo alla cd. riformulazione) ovvero per effetto dell espandersi, in seguito alla sua abrogazione, di una norma incriminatrice già esistente. L abrogatio sine abolitione ricorre invece quando all abrogazione di una norma incriminatrice non corrisponde il venir meno, appunto l abolizione, della fattispecie disciplinata perché in qualche modo ricompressa nella norma incriminatrice subentrante, sebbene con alcune modifiche che non ne intaccano il nucleo essenziale (cd. riformulazione), ovvero in una norma incriminatrice già esistente. Il problema si pone, in particolare, per quei fatti che sono stati commessi nel vigore della norma abrogata. Rispetto a questi, a norma dell art. 2 c.p., nel caso in cui si ravvisi un abolitio criminis l autore dell illecito non subirà alcuna conseguenza penale, e tanto anche nell eventualità che fosse intervenuta sentenza di condanna irrevocabile, prevalendo l abolitio sugli effetti del giudicato (comma 2), mentre nel caso in cui si ritenga sussistente un abrogatio sine abolitione il mutamento di disciplina determinerà il più modesto risultato di incidere sulla legge applicabile ai giudizi in corso, con riferimento a quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo (comma 4). Il problema di fondo è allora quello di stabilire quando ricorra un ipotesi di abrogazione vera e propria della norma, con espunzione dall ordinamento penale della relativa fattispecie, e quando un abrogazione solo formale della norma, nel senso che al suo venir meno non corrisponde il venir meno della fattispecie disciplinata, la quale continua ad avere cittadinanza nell ordinamento penale. Nessuna questione sorge nel caso di cd. successione propria che sussiste quando le norme incriminatici che si succedono hanno lo stesso precetto, ma diversità di disciplina sanzionatoria (pena, prescrizione, procedibilità ecc.). In tal caso si è senza dubbio in presenza di una successione di leggi modificative che comporta l applicazione del comma 4. Problemi sorgono nel caso di successione cd. impropria o riformulazione, che viene in rilievo quando v è l abrogazione della precedente fattispecie incriminatrice, con la contestuale previsione di una nuova incriminazione che interviene sulla stessa materia con precetto solo in parte etrogeneo (si pensi alle modifiche dell art
7 Lezione P2. L efficacia della legge penale nel tempo c.p. sul reato di abuso d ufficio o a quelle dell art c.c. sul falso in bilancio). Al riguardo, sono stati elaborati numerosi criteri al precipuo fine di stabilire quando ricorra un ipotesi di abolitio criminis e quando una di mera abrogatio. Prima però di passare ad esaminare partitamente i criteri discretivi maggiormente seguiti, in dottrina ed in giurisprudenza, va precisato che la successione tra norme incriminatrici in senso stretto si può manifestare in tre modi: 1. attraverso il fenomeno della cd. modificazione immediata o riformulazione, 2. attraverso il fenomeno della cd. espansione normativa, 3. attraverso il fenomeno del cd. innesto normativo. Il fenomeno della cd. modificazione immediata è statisticamente quello più frequente rispetto a quelli di cui ai punti 2 e 3. Esso sussiste quando viene abrogata una norma con riformulazione della fattispecie incriminatrice dalla prima originariamente disciplinata (si pensi ai recenti interventi legislativi in materia tributaria, al delitto di false comunicazioni sociali ovvero alle modifiche succedutesi nel tempo della norma codicistica sull abuso d ufficio). Il fenomeno della cd. espansione ricorre qualora una norma incriminatrice, la cui portata è, con riferimento a talune fattispecie concrete, compressa da una coeva norma, si espande per effetto dell abrogazione di tale ultima norma (si pensi al delitto di ingiuria, aggravata perché rivolta ad un pubblico ufficiale, artt. 594 e 61, n. 10, compresso, prima della sua abrogazione, dalla norma sull oltraggio a pubblico ufficiale di cui all art. 341 c.p., di cui si parlerà in seguito). Infine, si è di fronte al cd. innesto normativo nel caso di introduzione ex novo di una fattispecie criminosa senza formale abrogazione della norma che disciplinava, tra l altro, la medesima fattispecie (ad es. si pensi al rapporto intercorrente fra l art. 646 c.p. ed il nuovo art c.c.). Allo scopo, dunque, di individuare i criteri di orientamento utili a stabilire i confini applicativi delle ipotesi menzionate, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato nel corso degli anni una serie di parametri tipologici che esamineremo sinteticamente nei paragrafi seguenti. Va inoltre fatto un cenno al fenomeno della cd. modificazione mediata della norma incriminatrice, che si verifica allorché ad essere modificata non è la norma incriminatrice, ma la norma che la in- 121
8 lezioni e sentenze di diritto penale parte generale tegra (si pensi alle norme penali in bianco e alle norme incriminatici che contengano elementi normativi, che rinviano a norme diverse da quella incriminatrice per la definizione di taluni concetti). Rispetto a questo fenomeno sorge il delicato problema di verificare se e quando la modifica della norma integrativa del precetto penale comporti (in via mediata) la modifica della norma integratrice con conseguente applicazione della normativa della successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 c.p. Tale problematica verrà affrontata nella seconda parte. 5. I criteri di discernimento: il fatto concreto, la continuità del tipo di illecito ed il rapporto strutturale tra norme Un primo orientamento incentra l indagine sulla valutazione del fatto concreto, inteso come nucleo della condotta che incarna il disvalore tipico della fattispecie. La doppia punibilità del medesimo, alla stregua dei due disposti normativi succedutisi nel tempo, importa la sussunzione del fenomeno successorio all interno dell abrogatio sine abolitione. E, quindi, una duplice verifica di tipicità ad assurgere a discrimen fra le due figure. Questo criterio è stato oggetto di critica, poiché lascia all interprete un ampia discrezionalità, dovendo questi - in primo luogo - stabilire ciò che veniva esattamente sanzionato dalla vecchia e ciò che viene sanzionato dalla nuova norma incriminatrice ed in secondo luogo verificare se il fatto concretamente posto in essere possa essere o meno sussunto entro le maglie operative di entrambe le previsioni legali. Una diversa elaborazione teorica riconnette valore dirimente, invece, all oggetto giuridico protetto dalle norme che si succedono, integrando il predetto insufficiente parametro con valutazioni inerenti alla modalità di aggressione del bene alla cui tutela entrambe sono rivolte. Si tratta della teoria della cd. continuità del tipo di illecito per cui sussiste successione di leggi modificative, con conseguente applicazione dell art. 2, co. 4, c.p., qualora, stando all opinione preferibile, la norma precedente abrogata e quella successiva tutelano il medesimo bene giuridico e prevedono una condotta analoga. Tale criterio, a differenza del primo, ha riguardo alle norme incriminatici astrattamente considerate e non al fatto concreto, ed è caratterizzato, così come il primo, da una lata discrezionalità applicativa (relativa proprio alla individuazione del bene giuridico protetto e del tipo di 122
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