REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO QUARANTASEIESIMA SEZIONE

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO QUARANTASEIESIMA SEZIONE riunita con l'intervento dei Signori: Punzo Roberto - Presidente Chiametti Guido - Relatore Filippone Elisa - Giudice ha emesso la seguente SENTENZA - sull'appello n. 5566/11 depositato il 14/07/ avverso la sentenza n. 9/19/10 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano proposto dall'ufficio: (Omissis) controparte: (Omissis) difeso da: (Omissis) Atti impugnati: AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (Omissis) IRES-ALTRO 2003 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (Omissis) IVA-ALTRO 2003 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (Omissis) IRAP 2003 Ricorso per l'annullamento/riforma della sentenza n. 09/19/10, emessa dalla Sezione 19 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano e depositata il 18 maggio Appellante: (Omissis) Appellato: (Omissis)

2 FATTO Con proprio atto di ricorso depositato il 14 luglio 2011, l'appellante interponeva Appello alla sentenza n. 09/19/10, emessa dalla Sezione 19 della C.T.P. di Milano con cui il giudice di prime cure accoglieva il ricorso, promosso dalla parte qui appellata, per l'annullamento dell'avviso di accertamento n. (Omissis), relativo ad IRPEG, IRAP e IVA, anno d'imposta Con tale atto impositivo, notificato alla parte il 29 settembre 2008, l'ufficio, qui appellante, rettificava, a'sensi dell'art. 54 del D.P.R. 633/72, la dichiarazione IVA della società per l'anno 2003, accertando una maggiore imposta dovuta per Euro ,00.=; accertava, altresì, a'sensi degli artt. 39 e 40 del D.P.R. 600/73, il reddito imponibile ai fini IRPEG di Euro ,00 = ed il valore della produzione netta, ai fini IRAP, di complessivi Euro ,00.=, oltre ad interessi e sanzioni. L'avviso di accertamento de quo traeva origine dalla verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Seregno, iniziata il 31 maggio 2006 nell'ambito dell'attività delegata dalla Procura della Repubblica di Monza. Da tale ispezione i militari verificatori riscontravano l'esposizione di componenti positivi fittizi costituiti da: - illegittima sopravvalutazione del valore finale di magazzino per Euro ,00.=; - illegittima emissione di fatture (attive) relative ad operazioni ritenute inesistenti per Euro ,43.=; - illegittima deduzione di spese relative ad operazioni ritenute inesistenti per Euro ,64.=; Sulla base di tali rilievi, l'agenzia, in data 29 settembre 2008, notificava al curatore della società, dichiarata fallita il 17 ottobre 2005, tale avviso di accertamento che risultava essere il secondo avviso di accertamento, "integrativo" del primo atto impositivo emesso a seguito della verifica fiscale effettuata dall'(omissis) nel corso del Il Fallimento impugnava tempestivamente tale avviso di accertamento che veniva accolto integralmente dalla Sez. 19 della C.T.P. di Milano, che condannava, altresì, l'ufficio al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro ,00.=. Riteneva, il Consesso giudicante di primo grado, che il ricorso fosse fondato. Il Collegio rilevava, a tal proposito, che "Non vi è dubbio che l'accertamento di cui si discute si basa su p.v.c. emesso dalla guardia di finanza, sia pure derivante da una ampia verifica delle società facenti capo alla società (Omissis) ma si basa, per quanto concerne la ricorrente, su documenti contabili già esaminati da funzionari dell'(omissis) e, quindi, già a conoscenza della stessa, non portando nuovi elementi che possano giustificare un accertamento integrativo. Infatti, i recuperi sia sul primo che secondo accertamento riguardano esclusivamente la contabilizzazione di operazioni intragruppo ritenute inesistenti. E ancora: "Si deve ritenere illegittimo il comportamento dell'(omissis) in relazione alla doppia imposizione...(omissis). Infine, in riferimento al recupero dell'iva, il Giudice di prime cure, riteneva che nessun riscontro fosse stato effettuato circa le lettere di intento. Per tali motivazioni, la C.T.P. adita accoglieva il ricorso della contribuente. Con proprio ricorso in Appello, depositato il 14 luglio 2011, l'appellante ufficio impugnava il pronunciamento di prime cure, eccependo il difetto di motivazione della sentenza di primo grado in violazione dell'art. 36 del D.Lgs. 546/92.

3 A suo dire, la C.T.P. non aveva preso in alcun modo posizione sulle argomentazioni enunciate dallo stesso ufficio in sede di controdeduzioni, limitandosi, ex adverso, ad accogliere le tesi di parte ricorrente. Sempre in violazione dell'art. 36 sopra citato, l'ufficio lamentava la carenza di motivazione della sentenza in ordine alla condanna alle spese liquidate dai Giudici di prime cure. Eccepiva, inoltre, l'erroneità dell'affermazione contenuta nella sentenza, laddove dichiarava la violazione dell'art. 43 del D.P.R. 600/73 concernente l'accertamento integrativo. A tal proposito, parte appellante ribadiva che il primo P.V.C., aveva ad oggetto la ripresa a tassazione a'sensi degli artt. 66 e 75 del TUIR di sopravvenienze passive indeducibili e di costi non di competenza dell'esercizio, mentre il secondo P.V.C., era scaturito da una complessa operazione della G.d.F. su delega della procura della Repubblica di Monza nei confronti di numerosi soggetti che direttamente o indirettamente, nel corso degli anni, erano stati interessati nell'attività patrimoniale, economica e finanziaria delle società del (Omissis). Ancora, l'ufficio spiegava che i finanzieri, nella seconda verifica, avevano esaminato non solo la situazione contabile della ricorrente, come avvenuto nel primo avviso di accertamento, ma di tutte le società del Gruppo, ricostruendo scrupolosamente le operazioni dalle stesse poste in essere. Sottolineava che tale ricostruzione era avvenuta grazie alla numerosa documentazione acquisita durante le perquisizioni locali avvenute nei confronti di soggetti a capo del Gruppo, dalla quale emergeva la prassi relativa all'emissione di fatture false tra le società del gruppo per sanare i bilanci. Per tale motivo, parte appellante riteneva che gli elementi acquisiti dalla G.d.F. costituivano fatti nuovi non conosciuti e non conoscibili al momento dell'emissione del primo avviso di accertamento, che rendeva del tutto legittimo il secondo avviso di accertamento (integrativo). L'ufficio pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.P. nella sentenza impugnata, riteneva verificate le condizioni previste dall'art. 43 del D.P.R. 600/73, legittimando in tal modo l'emissione di un nuovo accertamento. In riferimento alla tassazione dei ricavi relativi ad operazioni attive ritenute inesistenti, l'appellante Agenzia delle Entrate riteneva che il Consesso giudicante di primo grado avesse ignorato la difesa dell'ufficio sul punto, con conseguente palese difetto di motivazione. Relativamente al recupero ai fini IVA, l'ufficio rilevava il difetto di motivazione della sentenza de qua, essendosi il Collegio, a suo dire, limitato ad accogliere le argomentazioni di parte senza prendere posizione sulle eccezioni esposte dall'ufficio. Rilevava che i militari della Guardia di Finanza avevano accertato, nel corso delle indagini, la falsità delle fatture di vendita emesse dalle consociate e dalle controllanti nell'anno 2003, per l'importo complessivo di Euro ,64= non assoggettate ad IVA, sulla base delle dichiarazioni di intento rese dalla (Omissis). Spiegava che ciò era avvenuto sulla base della corrispondenza e della documentazione acquisita nel corso delle ispezioni effettuate, laddove venivano indicate in maniera dettagliata le fatture da emettere nei confronti della ricorrente al fine di "sistemare il bilancio". L'ufficio evidenziava che se le fatture di vendita erano false, allora anche le dichiarazioni di intento lo erano, essendo irrilevante, a suo dire, che tale specifica contestazione non fosse stata mossa dai militari. Nel caso di specie, pertanto, evidenziava che non si era di fronte ad una emissione di dichiarazione fuori dai presupposti di cui all'art. 8, comma 1 del D.P.R. 633/72, bensì di una dichiarazione ideologicamente falsa in assenza di una reale cessione di beni che aveva consentito al cedente di accrescere l'iva a monte detraibile e al cessionario di non assolvere l'iva sugli acquisti.

4 Alla luce di quanto sopra, l'appellante ufficio chiedeva, in riforma della sentenza accoglimento dell'appello, la conferma dell'avviso di accertamento. Con controdeduzioni depositate il 7 settembre 2011, il contribuente si costituiva in giudizio controdeducendo e chiedendo la conferma della sentenza impugnata dall'ufficio. Rilevava che l'ufficio appellante aveva, di fatto, riproposto lo stesso thema decidendum già prospettato in primo grado; parte appellata sottolineava, dunque, di riprospettare le argomentazioni difensive già delineate in fase di ricorso per poi replicare alle considerazioni formulate dall'agenzia. Eccepiva, in via preliminare, la violazione dell'art. 43 del D.P.R. 600/73 e dell'art. 57 del D.P.R. 633/72, sostenendo che l'accertamento "integrativo" era illegittimo in quanto basato su rilievi derivanti dalla medesima documentazione già utilizzata per effettuare il primo accertamento. Contestava, in secondo luogo, la violazione degli artt. 52 del TUIR e 53 della Costituzione in quanto, a suo dire, era stato accertato un reddito "virtuale" non realmente prodotto e conseguito dalla società, derivante dalla indeducibilità di costi ritenuti fittizi e dalla asserita imponibilità di proventi/ricavi tacciati di fittizietà dalla stessa Guardia di Finanza. Eccepiva inoltre la violazione dell'art. 75, comma 1 del TUIR (vigente art. 109), nonché la violazione del principio di imparzialità e collaborazione dell'azione amministrativa di cui agli artt. 10 della Legge 212/2000 e 97 della Costituzione. Lamentava altresì la violazione del principio della doppia imposizione di cui agli artt. 127 del TUIR e 67 del D.P.R. 600/73 e la violazione degli artt. 75, comma 5 del TUIR e 53 della Costituzione, in relazione al principio di correlazione tra costi e ricavi. Parte appellata rilevava, infine, l'infondatezza della ripresa fiscale relativa all'asserita inesistenza delle operazioni cui afferivano i costi dedotti (ai fini delle imposte dirette e dell'irap) per complessivi Euro ,64.=. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'appello, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Presenti all'udienza le parti che hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni. La Sezione giudicante così decide. La sentenza del primo Giudice viene confermata tout court perché motivata in maniera articolata e puntuale e quindi le rimostranze di parte non sono assolutamente idonee a confutare la pronuncia della CTP che ha dichiarato nullo l'atto impugnato. Rileva questo Giudice d'appello che l'avviso di accertamento integrativo in esame, si palesa illegittimo ed infondato, in via principale per: - violazione dell'art. 43 c. 3 D.P.R. 600/73 e art. 57 c. 3 D.P.R. 633/72 (accertamento integrativo) tralasciando il commento delle altre violazioni che riguardano: - violazione art. 53 Costituzione (tassazione del reddito netto d'impresa); - violazione dell'art. 75 TUIR concernente la rilevanza fiscale e conseguente tassazione dei soli componenti positivi certi nell'esistenza, e non già pure dei ricavi fittizi; - violazione dell'art. 10 legge 212/2000 e art. 97 Costituzione, concernenti il dovere di lealtà ed imparzialità che governano l'azione di accertamento dell'erario. Ritiene questo Giudice che l'ade ha riprospettato in questa sede sostanzialmente lo stesso "thema decidendum" salvo alcune ulteriori considerazioni di merito, così come si evince dagli atti del primo

5 grado di giudizio. Sul punto della violazione di cui al n. 1 dei rilievi sopra evidenziati, concernente "l'accertamento integrativo", sia ai fini delle imposte dirette che per l'iva, l'ufficio non può emettere più avvisi di accertamento per il medesimo anno nei confronti dello stesso contribuente, se non per fatti nuovi, poiché altrimenti quest'ultimo sarebbe gravato da uno "stillicidio" di atti impositivi, con conseguente aggravio di oneri e lesione del diritto di difesa. L'ufficio, dal canto suo, dovrebbe tendere al massimo alla "globalità ed unicità della rettifica" nel senso che in essa deve necessariamente "condensare "tutti gli elementi a sua disposizione e conoscenza, sul piano oggettivo, cioè in base alla situazione di fatto oggettiva, atteso che l'emissione dell'accertamento consuma il potere di rettifica. L'unica deroga ammessa è proprio quella prevista dall'art. 43 D.P.R. 600/73 e dall'art. 57 D.P.R. 633/72, nel senso che l'ente erariale può integrare l'accertamento, ma ciò solo qualora sia venuto a conoscenza di elementi, obiettivamente nuovi, non conosciuti né oggettivamente conoscibili al momento dell'emissione del primo accertamento, di guisa che, solamente in tale contesto può essere emesso un secondo avviso di accertamento, ovvero un'integrazione del primo. Rileva questo Giudice, dall'esame degli atti allegati al fascicolo processuale che sia il primo avviso di accertamento (notificato l'8/l 1/2005), che il secondo avviso, vale a dire quello integrativo di cui è causa (notificato il 28/9/2008) pur basati su distinti P.V.C., (il primo del 20/6/2005 (L'atto emesso dell'(omissis) così recita: PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE. Il 23 maggio 2005 è iniziata una verifica fiscale in materia di Imposte Dirette IRPEG, IVA e IRAP relativamente all'anno 2003.) elevato dai funzionari dell'(omissis) e il secondo del 31/5/2006 (L'atto emesso dai Militari della Guardia di Finanza - Comando Tenenza Seregno - così recita: PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE. Il giorno 31 maggio 2006 veniva compilato l'atto sopra citato e con autorizzazione della Procura della Repubblica di Monza iniziava una verifica, per l'anno 2003, per l'attività patrimoniale, economica e finanziaria delle società del (Omissis) dichiarate fallite.) elevato dai militari della GdF) hanno avuto ad oggetto il controllo e l'esame degli stessi fatti economici ed aziendali, ovvero le medesime scritture contabili, le stesse fatture, lo stesso bilancio ed altro, proprio perché entrambi i P.V.C., vertevano le medesime circostanze. Nell'esito della prima verifica/accertamento si veniva a parlare di "verifica generale" (ai fini IRPEG, IRAP e IVA), mentre la seconda aveva ad oggetto lo stesso "impianto contabile" della prima, (sempre IRPEG,IRAP E IVA); in entrambi i casi i due P.V.C., erano intitolati "Processo Verbale di Constatazione" e hanno riguardato l'anno Così facendo l'amministrazione finanziaria ha operato una "rivisitazione", cioè una mera revisione della valutazione a suo tempo operata (infatti la seconda verifica è stata svolta esaminando il medesimo impianto contabile di quello della prima), vale a dire lo stesso materiale contabile di cui però aveva già avuto piena contezza e conoscenza a suo tempo, avendo esaminata ed analizzata compiutamente la contabilità in occasione del primo controllo di carattere generale presso la società. Non si può parlare di "rettifica integrativa" quando invece, come nel caso de quo, si è avuta l'estensione oggettiva dell'istruttoria, bensì fosse basata in definitiva sulla medesima contabilità della società, solo in un secondo momento, reputata inattendibile in base ad un diverso apprezzamento. In altre parole, non è ammissibile che l'ufficio emani un secondo avviso di accertamento fondato sulla (asserita) falsità della stessa contabilità, quando quest'ultima era stata già esaminata a suo tempo, durante la prima verifica generale. Per questo Giudice d'appello, il criterio che governa "l'accertamento integrativo" è quello per cui un elemento può dirsi obiettivamente "nuovo" e, quindi, deve essere considerato idoneo a legittimare una sola rettifica integrativa, soltanto quando le indagini svolte a suo tempo dall'amministrazione

6 finanziaria, secondo la normale diligenza non avrebbero consentito la scoperta di detti nuovi elementi, ovvero, nel caso in esame della postulata falsità della documentazione contabile. L'avviso di accertamento integrativo deve riportare i nuovi rilievi che devono riguardare fatti rientranti nello stesso periodo d'imposta, quindi necessariamente anteriori al primo avviso di accertamento, pertanto novità e sopravvivenza sono un unicum e concernono la conoscenza, da parte dell'ufficio, di fatti sicuramente vecchi. E' del tutto evidente che il requisito della novità non ricorre quando si tratti di diversa, o più approfondita valutazione, del materiale probatorio già acquisito dall'ufficio. Per il Consesso giudicante, durante la prima verifica generale l'ufficio era già oggettivamente in grado di appurare, secondo la normale diligenza, l'eventuale falsità delle scritture contabili. Si può concludere che se la stessa prima indagine istruttoria - se è vero l'esito della seconda - che ha avuto in definitiva ad oggetto le stesse scritture e documenti contabili, è stata svolta in modo affrettato, eventuali errori compiuti dai verificatori nella prima verifica non possono tornare a danno del contribuente, che con più avvisi di accertamento fondati sul medesimo comun denominatore (stessa contabilità) sono redatti in spregio alla ratio e alla lettera dell'art. 43 del D.P.R. 600/73 e dell'art. 57 del D.P.R. n. 633/72. Sotto tale profilo risulta quindi evidente l'illegittimità del secondo avviso di accertamento denominato integrativo, a suo tempo impugnato. Se queste sono le premesse, per questo Giudice di secondo grado, la parte di merito dell'avviso di accertamento integrativo è assorbito "in toto" dalle questioni di diritto, come sopra specificato. Il Collegio, stante i fatti come sopra ampiamente evidenziati e enunciati nella parte descrittiva e narrativa della presente sentenza, non entra nel merito dell'esame dei singoli rilievi fiscali, (quali illegittima sopravvalutazione del valore finale del magazzino, illegittima emissione di fatture attive relative ad operazioni ritenute inesistenti, ed altro ancora), che allo stato dei fatti, sono assorbiti. I motivi di doglianza, espressi ed indicati nell'atto di appello dell'ufficio, non appaiono che una riproposizione di quanto già scritto a suo tempo nella difesa del primo grado di giudizio. Alla luce di quanto sopra evidenziato, l'amministrazione finanziaria doveva svolgere un controllo più dettagliato con la prima verifica e così avrebbe evitato la seconda, tenuto conto fra l'altro che quest'ultima è stata effettuata "sulle ceneri della prima. Preso atto di ciò, la sentenza del primo grado di giudizio non può che essere confermata e viene dichiarato illegittimo l'atto impositivo impugnato e il connesso atto di irrogazione di sanzioni, così come chiesto da parte appellata. Le spese di giudizio poste a carico dell'appellante vengono quantificate in complessivi Euro 6.000,00.=, onnicomprensivi. Il Collegio giudicante P.Q.M. conferma la sentenza impugnata. Condanna l'appellante a rifondere le spese di giudizio liquidate in Euro 6.000,00.=. onnicomprensivi. Così deciso in Milano, il 5 giugno Depositata in Segreteria il 21 giugno 2012.

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