REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO VENTIDUESIMA SEZIONE. riunita con l'intervento dei Signori:

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO VENTIDUESIMA SEZIONE riunita con l'intervento dei Signori: Izzi Giovanni - Presidente Chiametti Guido - Relatore Vassallo Luigi - Giudice ha emesso la seguente SENTENZA - sull'appello n. depositato il - avverso la sentenza n. emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano contro: proposto dai ricorrenti: difeso da: difeso da:

2 Atti impugnati: AVVISO DI ACCERTAMENTO n. IRES-ALTRO 2004 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. IRAP 2004 Ricorso per l'annullamento/riforma della sentenza n., emessa dalla Sezione 8 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano e depositata il. Appellante: Appellato e appellante incidentale: FATTO Con proprio atto di ricorso depositato tempestivamente, l'appellante società interponeva Appello alla sentenza n., pronunciata dalla Sezione 8 della C.T.P. di Milano, con cui il Giudice di prime accoglieva parzialmente il ricorso promosso dalla parte qui appellante, per l'annullamento dell'avviso di accertamento emesso ai fini IRES ed IRAP, anno d'imposta 2004, notificato il 7 agosto Con tale atto impositivo l'ufficio, qui appellato, accertava in capo alla società, relativamente all'anno d'imposta 2004, maggiori imposte IRES, per Euro ,00 = ed IRAP, per Euro ,00.=, oltre ad irrogare sanzioni pari ad Euro ,00.=. L'avviso di accertamento traeva origine dal Processo Verbale di Constatazione (P.V.C.) redatto il, dall'ufficio di Milano 5, a seguito del quale scaturiva, appunto, l'accertamento n., con il quale l'ufficio contestava le imposte IRES ed IRAP. In particolare, con l'atto in oggetto, l'ade contestava i seguenti rilievi: 1) interessi passivi indeducibili, ai sensi dell'art. 98 del TUIR, per Euro ,00.=: l'ufficio riteneva che una quota di interessi passivi corrisposti dalla ricorrente in forza di un finanziamento ricevuto da, non sarebbe deducibile in quanto controgarantita da beni facenti capo al soggetto controllante, a'sensi dell'art. 98 del TUIR, relativo alla thin capitalization rule (articolo ora abrogato); 2) costi non deducibili, ai sensi dell'art. 110, commi 10 e 11 del TUIR, per Euro ,64.=: l'ufficio sosteneva che la società non avesse soddisfatto l'onere probatorio "rafforzato" richiesto dall'art. 110, commi 10 e 11 ai fini della deducibilità delle spese "black list", non dimostrando i requisiti richiesti ai fini della deducibilità; 3) costi non deducibili, ai sensi dell'art. 109, comma 1 del TUIR, per Euro ,00.=: l'ade riteneva che una quota dell'onere in esame, dedotta nel 2004, fosse stata di competenza dell'anno precedente; 4) sopravvenienze passive indeducibili, in violazione dell'art. 101 e art. 109 del TUIR, per Euro ,90.=; a detta dell'ufficio tale componente era di competenza del 2003; 5) ricavi non dichiarati, ai sensi dell'art. 85 del TUIR per Euro ,15.=: secondo l'ufficio la società non avrebbe adeguatamente dimostrato l'avvenuta dismissione e distruzione di mobili ed attrezzature relative alla catena di negozi "".

3 Avverso tale atto impositivo la società presentava proprio ricorso che veniva accolto parzialmente dalla C.T.P. adita, che annullava il rilievo n. 1) relativo agli interessi passivi indeducibili, confermando nel resto; condannava altresì la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 6.000,00.=. Con proprio ricorso in Appello l'appellante società impugnava il pronunciamento di prime cure, lamentando l'erroneità del giudizio formulato dai Giudici di primo grado e chiedendone la relativa riforma. In riferimento al secondo rilievo, evidenziava l'errore commesso dal Consesso giudicante sottolineando che era erronea l'affermazione secondo la quale il contribuente non aveva fornito le prove sulla convenienza economica delle transazioni in esame, avendo la società documentato con preventivi e fatture il maggior costo che avrebbe sostenuto rivolgendosi a fornitori italiani o europei. Lamentava altresì il fatto che i Giudici provinciali avessero trascurato, a suo dire, parte della documentazione quali ad esempio le comunicazioni contenenti offerte trasmesse dai fornitori " " che, invece ricalcavano con precisione gli acquisti effettuati nei Paesi black list. Evidenziava infatti parte appellante che la documentazione prodotta aveva riguardato un campione significativo delle operazioni contestate (pari ad Euro ,00.=, corrispondente al 47,81% degli acquisti black list) ed aveva dimostrato la convenienza economica all'effettuazione degli acquisti in esame presso i fornitori residenti in paesi black list rispetto ad altri fornitori. Riguardo al rilievo n. 3) la parte ribadiva l'infondatezza e l'illegittimità della ripresa effettuata dall'ufficio e sottolineava i vizi della sentenza impugnata, in merito a tale rilievo. Spiegava infatti che il rilievo era stato confermato sulla base che l'onere fosse stato determinato con certezza nel 2003; la società tuttavia evidenziava che tale constatazione era del tutto in conferente ed infondata rispetto alle motivazioni del ricorso. Affermava che tutti i costi pluriennali erano stati determinati con certezza nel primo anno di imputazione a conto economico (ad esempio spese di ricerca o formazione, ecc.). Sottolineava come, nel caso di specie, l'onere fosse stato sostenuto in alternativa ad un costo che si sarebbe protratto per più anni (affitto di azienda) ed aveva, dunque, ritenuto opportuno "distribuirlo" almeno in due esercizi. Con riferimento al rilievo n. 5), parte appellante ribadiva l'infondatezza della ripresa, evidenziando l'erroneità del pronunciamento della C.T.P. di Milano. Sottolineava, a tal proposito, che il rilievo era palesemente infondato in quanto era stato dimostrata sia l'avvenuta chiusura dei negozi a marchio "", sia il fatto che i materiali dimessi fossero stati smaltiti e distrutti, come attestato dalle bolle di consegna dei materiali. A ciò aggiungeva di aver prodotto i "formulari di identificazione rifiuto", in forza dei quali il trasportatore che aveva prelevato il mobilio ne aveva affidato la distruzione ad uno smaltitore. Evidenziava, poi che la tesi dell'ufficio non reggeva in alcun modo poiché, a suo dire, era impensabile che un terzo potesse avere interesse a comprare beni con il marchio. Parte appellante riteneva, che la suddetta operazione, se non riconosciuta come tale dall'ufficio, poteva essere, tutt'al più, intesa come "vendita occulta" ovvero come "destinazione a finalità estranee all'impresa", con conseguente valorizzazione in base al "valore normale", ossia di mercato; valore che a suo dire, nel caso di specie, l'ufficio non aveva dimostrato. La società, riteneva, pertanto, viziata la sentenza impugnata, che confermando i rilievi dell'ade, di fatto, "liquidava" tutte le argomentazioni con la generica affermazione secondo cui i documenti prodotti dalla società non

4 avrebbero dimostrato la distruzione dei beni. Contestava, infine, l'applicazione delle sanzioni, stanti le incertezze interpretative che caratterizzavano le questioni in oggetto. Alla luce di tali argomentazioni, l'appellante chiedeva, in accoglimento dei motivi di doglianza svolti in via principale, la riforma della sentenza appellata e la dichiarazione di nullità dei rilievi contestati, sia ai fini IRES che ai fini IRAP (ove rilevanti). In via subordinata chiedeva la non applicazione di sanzione alcuna. L'ufficio, qui appellato ed appellante incidentale, presentava proprie controdeduzioni ed appello incidentale, con cui evidenziava l'infondatezza dell'appello e l'erroneità della sentenza di primo grado in riferimento al rilievo n. 1). Sottolineava, in primis, il fatto che il rilievo n. 4) dovesse ritenersi definitivo in quanto la sentenza sul punto era passata in giudicato, non avendolo la parte contestato. In riferimento al rilievo n. 2), l'ufficio ribadiva che la società aveva esibito documentazione parziale ed insufficiente a provare la prima delle due esimenti previste dalla norma di riferimento (art. 110, commi 10 e 11 TUIR). Riteneva, di conseguenza corretta la decisione di primo grado in merito alla suddetta ripresa fiscale. Riguardo al rilievo n. 3), l'ade ribadiva la correttezza del proprio operato in quanto la società aveva dedotto un componente negativo (relativo al pagamento rateale di una risoluzione di contratto concernente l'affitto di un ramo d'azienda) in un anno diverso (2004) da quello di competenza (2003). Sul rilievo n. 5), l'ufficio ribadiva che la società non aveva correttamente dimostrato l'avvenuta distruzione dei beni in questione, valutati Euro ,15.=, pari al costo storico non ammortizzato. Evidenziava infatti che per tale operazione erano necessari documenti mai prodotti dalla società, quali ad esempio una comunicazione scritta al comando della guardia di finanza competente, l'emissione del documento previsto dal D.P.R. n. 472, progressivamente numerato nonché della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, a'sensi della Legge n. 15/68, con la quale l'ente ricevente potesse attestare la natura, la qualità e la quantità dei beni ricevuti, corrispondenti ai dati contenuti nel documento. L'ufficio sottolineava, dunque, che il mancato rispetto di tale procedura comportava l'applicazione della presunzione di cessione di detti beni. Circa la richiesta di non applicazione delle sanzioni, l'agenzia replicava evidenziando che nel caso di specie non vi erano le condizioni per invocare l'"incertezza" della norma. Circa il rilievo n. 1), l'ade presentava proprio appello incidentale evidenziando l'erroneità del pronunciamento di prime cure in merito, in quanto, a suo dire in violazione dell'allora vigente art. 98 del TUIR. A detta dell'ufficio infatti tale norma prevedeva con chiarezza e senza interpretazioni difformi, la

5 rilevanza, accanto alle garanzie "formali", delle garanzie "di fatto". Per tale motivo, riteneva errata la decisione della C.T.P. di primo grado, laddove riteneva non provata la sussistenza della garanzia indiretta. Chiedeva, di conseguenza, la dichiarazione di definitività della sentenza impugnata in relazione al rilievo n. 4), per mancata impugnazione; chiedeva il rigetto dell'appello di controparte e, per l'effetto la conferma della parte impugnata dalla società. Chiedeva la riforma della sentenza in oggetto limitatamente al rilievo n. 1), dichiarando la legittimità dello stesso. Parte appellante in data 9 gennaio 2013 presentava memorie illustrative con le quali ribadiva quanto già affermato in fase di appello e chiedendo l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate. Presenti all'udienza le parti che hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni. La Sezione giudicante così decide. 1) Interessi passivi indeducibili, a'sensi dell'art. 98 del TUIR, per Euro ,00.=: l'ufficio riteneva che una quota di interessi passivi corrisposti dalla ricorrente in forza di un finanziamento ricevuto da, non sarebbe deducibile in quanto controgarantita da beni facenti capo al soggetto controllante, a'sensi dell'art. 98 del TUIR, relativo alla thin capitalization rule (articolo ora abrogato). Quanto deciso dal primo giudice viene confermato tout court. Le argomentazioni di contestazioni sollevate dall'ufficio non trovano accoglimento perché quanto proposto nell'atto di appello non è altro che la riproposizione delle argomentazioni di primo grado. Le motivazioni addotte dal precedente Collegio giudicante per tale ripresa, non possono che essere confermate. 2) Costi non deducibili, ai sensi dell'art. 110, commi 10 e 11 del TUIR, per Euro ,64.=: l'ufficio sosteneva che la società non avesse soddisfatto l'onere probatorio "rafforzato" richiesto dall'art. 110, commi 10 e 11 ai fini della deducibilità delle spese "black list", non dimostrando i requisiti richiesti ai fini della deducibilità. Sul punto black list, questo Giudice di secondo grado si dissocia da quanto deciso dal primo Giudice. Nel caso de quo trovano piena applicazione le attenuanti di cui al comma 11 dell'artt. 110 del D.P.R. 917/86. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che...ovvero le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Sul punto "ove le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico." Questo Consesso giudicante si riporta integralmente a quanto sopra richiamato, tenuto conto che la società, seppur in modo esemplificativo, ha documentato che le operazioni stipulate con i fornitori stranieri, situati in paesi black list, rispondevano ad un effettivo e reale interesse economico. In buona sostanza, la società aveva allegato al primo ricorso la documentazione, relativa ad alcuni

6 acquisti, comparando il prezzo praticato dal fornitore estero con quello italiano. La documentazione cartacea prodotta dalla società a difesa del proprio operato, sin dai tempi del ricorso di primo grado, è ritenuta valida da questo Collegio giudicante. Giustappunto, la società nei propri atti difensivi ha prodotto degli allegati che giustificano che la stessa, prima di scegliere il fornitore presso il quale acquistare la merce, ha svolto delle indagini di mercato, confrontando il prezzo di acquisto praticato da più fornitori. In effetti, sfogliando il ricorso a suo tempo presentato, la società ha dimostrato con dei propri elaborati, appositamente redatti, quale fosse il prezzo di acquisto dell'articolo che aveva comparato (ad esempio doc. n e con prospetto denominato "Calcolo sul modello doganale del valore dei singoli articoli sdoganati") mettendo a confronto il prezzo di più fornitori, fra cui quello italiano, rispetto al fornitore black list. Oltre a questo, sempre a titolo esemplificativo, la società ha allegato la copia fotostatica della fattura n. del 5 giugno 2004 emessa da, di complessivi Euro ,30, registrata in contabilità, prot. IVA n., con addebito 18 ottobre 2004, sulla quale è stato comparato il prezzo di un maglione di lana, che veniva a costare Euro 22,00 se acquistato presso il fornitore italiano, Euro 17,46 presso quello straniero. La società, a giustificazione delle proprie scelte ha prodotto più fatture con la comparazione dei prezzi fra fornitori italiani e stranieri. Secondo principi di economia, l'imprenditore compra la merce dove costa di meno, e in tal modo, la società ha dato la prova che ha acquistato la merce nel luogo dove gli stessi acquisti rispondono ad un effettivo interesse economico. Risulta pacifico, e nel pieno rispetto dei più elementari principi di economia che, l'imprenditore stesso, mettendo a confronto il prezzo praticato da più fornitori e nelle grandi aziende come quella in esame, l'ufficio acquisti si approvvigiona di merce, a parità di qualità e di altri requisiti, quali ad esempio, consegna e problemi logistici, condizioni di pagamento ed altro ancora, presso il fornitore meno caro e, tante volte riesce a spuntare ulteriore sconto sul prezzo per la quantità ordinata. A giudizio di questo Collegio giudicante la società ha documentato con tali elaborati gli acquisti effettuati all'estero, mettendo a confronto tutti gli elementi in suo possesso. 1) Sull'esimente "...che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione". La società ha soddisfatto anche i requisiti richiesti da tale esimente, vale a dire che gli acquisti si sono conclusi, tenuto conto che la società ha dimostrato che le fatture, anche di importi rilevanti sono state contabilizzate e saldate regolarmente. La documentazione prodotta giustifica a pieno titolo che l'acquisto della merce è ricaduto su un fornitore estero, per convenienza economica. La comparazione dei prezzi fra più fornitori giustifica "l'economicità degli acquisti" posti in essere dalla società ricorrente, nel pieno rispetto dell'art. 110 del TUIR. Per tali ragioni la ripresa dell'ufficio viene totalmente annullata e la sentenza di primo grado, per il rilievo in questione, viene riformata. 3 Costi non deducibili, ai sensi dell'art. 109, comma 1 del TUIR, per Euro ,00.=: l'ade riteneva che una quota dell'onere in esame, dedotta nel 2004, fosse stata di competenza dell'anno precedente; Anche per tale rilievo, quanto deciso dal primo Giudice viene confermato. Infatti l'obbligazione all'indennizzo per la risoluzione anticipata del contratto d'affitto di azienda veniva stipulato fra le parti nell'anno 2003, con determinazione dell'importo e delle rate da versare con scadenze certe e predeterminate. Le argomentazioni di doglianza espresse nell'atto di appello non sono altro che una mera riproposizione di quanto già evidenziato nel primo atto di contestazione che è appunto il ricorso. Sul punto, quanto deciso dal Giudice di prime cure, viene confermato.

7 4 Il rilievo di cui al punto 4) non è stato oggetto di contestazione. 5 Ricavi non dichiarati, a'sensi dell'art. 85 del TUIR per Euro ,15.=: secondo l'ufficio la società non avrebbe adeguatamente dimostrato l'avvenuta dismissione e distruzione di mobili ed attrezzature relative alla catena di negozi "". Su tale punto, il Collegio giudicante così decide. L'operato dell'ufficio è corretto e, quindi, deve essere confermato. Infatti l'ufficio ha sottoposto a tassazione il costo storico non ammortizzato dei cespiti dismessi a seguito della chiusura di alcuni negozi con l'insegna "", per i quali la società aveva affermato di aver proceduto alla distruzione. In buona sostanza, tali cespiti erano stati consegnati alla e alcuni formulari di identificazione rifiuti venivano consegnati dalla alla in veste di destinatario e trasportatore. Sull'argomento questo Giudice d'appello condivide quanto deciso nel primo grado di giudizio e, pertanto, questo punto non può essere riformato, in quanto giustamente motivato nella sentenza qui impugnata. Le argomentazioni di doglianza espresse dalla società appellante appaiono una mera riproposizione di quanto già proposto nel ricorso in sede di prima contestazione. Le spese di giudizio trovano totale compensazione fra le parti. Il Collegio giudicante P.Q.M. in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglie l'appello della società relativamente al rilievo n. 2 per gli acquisti black list. Conferma la sentenza per il resto. Spese compensate. Così deciso in Milano, il 24 gennaio Depositata in Segreteria il 22 marzo 2013.

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