Domenica. Nel silenzio l acqua è un vivido blu-cobalto, di Repubblica. l energia nucleare.

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1 Domenica La DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 di Repubblica il fatto I vignettisti islamici e lo slalom fra i tabù ELENA DUSI e GUIDO RAMPOLDI la memoria Jack London fotografo del Big One ALBERTO FLORES D ARCAIS e JACK LONDON L emergenza gas e il caro petrolio spingono Bush e l Europa a rilanciare l energia nucleare. Ma Rifkin avverte: Non è la via giusta CENTRALE NUCLEARE DI HEIDENFELD, GERMANIA - FOTO REUTERS/MICHAEL URBAN MAURIZIO RICCI OLKILUOTO Nel silenzio l acqua è un vivido blu-cobalto, quell azzurro sfumato sul grigio che, qui al Nord, si vede nel cielo d inverno dopo il tramonto o subito prima dell alba. Mi spiegano subito che non c è niente di romantico, di pittoresco e neanche di naturale: è solo il riflesso sulle pareti di acciaio inossidabile delle luci che illuminano le vasche di lavoro. Una centrale atomica, infatti, vive sott acqua. Il cuore di questo cubo color rosso pompeiano che si eleva per 60 metri sopra l abetaia della costa finlandese sono le quattro piscine che ho davanti, piene d acqua blu: l acqua che si riscalda dentro il reattore per essere convogliata nella turbina che genererà elettricità, l acqua che lo raffredda, l acqua dove i bracci meccanici stivano i fasci quadrati di sottili tubicini che contengono il combustibile esaurito. È un immagine diversa dal mondo dell energia che conosciamo. Niente petrolio saudita o gas russo: al loro posto, uranio australiano, arricchito in Spagna. Niente fumi o polveri inquinanti: la ciminiera che si alza nel cielo, a poche centinaia di metri in linea d aria dai campi dei contadini e dalle case al mare della borghesia di Helsinki, succhia aria, non sputa veleni. Niente anidride carbonica: in materia di effetto serra, un reattore è a tasso zero. I pericoli, qui, sono tutti dentro, sotto il pelo dell acqua. Nel cilindro con la cupola affusolata si tiene sotto controllo una frantumazione degli atomi d uranio, in linea di principio non diversa da quella della bomba atomica. Nelle vasche accanto, le barre di tubicini piene di neutroni sono state reinserite nei fasci di barre di uranio, interrompendo il processo di reazione. Ma adesso le barre spente sono radioattive. Quando esco dal grande cubo rosso il contatore Geiger che mi hanno attaccato addosso segna 0,0001, lo stesso valore che darebbe se lo portassi fra le mura di casa. La radioattività è rimasta sott acqua. Il problema di una centrale atomica è tenercela. Olkiluoto 1 e la sua gemella contigua, Olkiluoto 2, sono in funzione ormai da un quarto di secolo. Come le altre 437 centrali nucleari in esercizio oggi nel mondo, convivono da sempre con questi dubbi e queste paure. Per vent anni, dal giorno del 1986 in cui il nome di una di queste centrali Cernobyl è uscito dal mazzo indistinto per imprimersi indelebilmente nella nostra memoria, sono sembrati dei relitti del passato, da seppellire appena possibile, come un ramo cieco nell evoluzione dell homo sapiens. segue nelle pagine successive con un intervista di ANTONIO CIANCIULLO le storie Serafini, l Enciclopedia impossibile PINO CORRIAS cultura Americani, come perdere un mondo TOM BISSEL e VITTORIO ZUCCONI la lettura Tabloid: lo sport del tiro al potente ENRICO FRANCESCHINI e JOHN LLOYD spettacoli Il genio scandaloso di Truman Capote NATALIA ASPESI e AMBRA SOMASCHINI

2 32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 la copertina Sfida energia Su un isola del Baltico, la Finlandia è diventata il primo Paese dell Occidente ad avviare la costruzione di un impianto atomico dopo Cernobyl. Una decisione presa prima del caro-petrolio, che la rende oggi ancor più vantaggiosa. L opinione pubblica è favorevole e i comuni interessati hanno ingaggiato una dura lotta per assicurarsi la centrale 2006, operazione Olkiluoto la rinascita del nucleare MAURIZIO RICCI (segue dalla copertina) Non è più così. La corsa pazza del prezzo del petrolio, la scoperta che il gas russo può arrivare a singhiozzo hanno rimescolato le carte sul tavolo. La Francia ha ripreso a progettare nuove centrali, negli Usa stanno riesumando vecchi studi di fattibilità, in Gran Bretagna, in Svezia, in Germania il dibattito sullo smantellamento delle vecchie centrali è diventato o sta diventando il dibattito sul loro ammodernamento. In Italia il ministro dell Industria, Scajola, si chiede come superare il referendum che ha bandito dalla penisola le centrali atomiche. Tutte parole, finora. Fino a che non si arriva qui, su quest isola del Baltico che solo un rigagnolo separa dalla costa finlandese. Ciò che conta, a Olkiluoto, non sono i grandi cubi rossi di OL1 e OL2, ma l enorme buco alle loro spalle dentro cui, dal maggio scorso, si muovono i trattori e dal quale cominciano ad innalzarsi i pilastri di cemento che reggeranno OL3. Olkiluoto 3 non è solo una centrale grande da sola come le altre due messe insieme. È, soprattutto, la prima centrale atomica che viene costruita, da dieci anni a questa parte, in Occidente, sull una o l altra delle sponde dell Atlantico. Nel 2009, se i programmi saranno rispettati, Olkiluoto 3 comincerà a produrre elettricità. L impatto è quello di un messaggio, un manifesto: il nucleare c è, e ne abbiamo bisogno. In realtà i primi a giocare al ribasso, a negare a Olkiluoto 3 il carattere di una pietra miliare, di una svolta epocale a favore del nucleare, sono i finlandesi. All Associazione delle industrie dell energia, a Helsinki, Pekka Tiusanen nega che si tratti di una nuova strategia: «Fatti i conti, tenendo conto delle previsioni di aumento della domanda nazionale di energia, con OL3 la quota del nucleare sul totale rimarrà più o meno quella di adesso, fra il 27 e il 30 per cento». Al ministero dell Industria Riku Huttunen, che segue specificamente la divisione Energia nucleare, spiega che la decisione non ha niente a vedere con l attuale crisi dei mercati petroliferi. «Governo e Parlamento hanno approvato la centrale nel 2002, quando, anzi, i prezzi di gas e petrolio erano favorevoli». Alla base della scelta, continua Huttunen, l obiettivo di assicurare un mix equilibrato delle fonti di energia e, soprattutto, di restringere la dipendenza dall estero della Finlandia, che è priva di risorse proprie. Huttunen non lo dice, ma per estero, qui, si intende la Russia che, ancora oggi, soddisfa più del 40 per cento della domanda complessiva di energia (petrolio compreso). E anche se Huttunen, come qualsiasi buon finlandese, non lo ammetterebbe mai ad alta voce non c è niente in Finlandia che dia più fastidio e ansia che dipendere dai russi. Un miglior mix di approvvigionamento energetico e una minore dipendenza dall estero sono, tuttavia, le parole d ordine che in questi giorni risuonano da un capo all altro d Europa e Huttunen e i suoi colleghi non possono negarsi il compiacimento di aver anticipato i tempi. Nello scenario della via finlandese al 439 NEL MONDO È il numero delle centrali nucleari operanti nel mondo Gli impianti forniscono il 17 per cento dell energia elettrica mondiale Parla il presidente della Foundation on Economic Trends Rifkin. L unica strada sicura è l idrogeno «D ire che le ultime dichiarazioni del presidente Bush rappresentano una svolta della politica energetica americana significa fare dell umorismo». È secco e tagliente il giudizio di Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends e profeta dell era dell idrogeno: il rilancio, da parte della Casa Bianca, del nucleare e delle rinnovabili come alternativa al petrolio non lo convince. Eppure Bush ha usato un espressione che pochi avrebbero pensato di sentirgli pronunciare: «L America è intossicata dal petrolio». Non sono parole troppo pesanti per un semplice lifting politico? «Bush cerca di fronteggiare una situazione che gli sfugge di mano proprio mentre le elezioni di mid term si avvicinano: la sua popolarità ha raggiunto il minimo, la crescita economica rallenta, il prezzo della benzina cresce. In queste condizioni era necessario tentare qualcosa di spettacolare. Ma questa amministrazione americana è storicamente condizionata dalle lobby dei combustibili fossili e del nucleare. Se si vanno a vedere i fatti concreti, si scopre che la Casa Bianca non spende una parola sull efficienza energetica e riduce i fondi per la ricerca sul solare, sull eolico e sulle biomasse a 2 milioni di dollari all anno: un terzo del costo dello stadio di baseball di Washington. È una presa in giro». Sul nucleare però Bush ha lanciato un messaggio di rilancio molto chiaro. «In questo momento l attività della lobby nucleare è fortissima: stanno spingendo in Europa, in Asia e in America. Ma se si vuole fare il nucleare bisogna dire con chiarezza che le tasse devono aumentare perché è un industria che per sopravvivere ha bisogno di forti finanziamenti pubblici: è troppo cara per un mercato liberalizzato». Si può anche decidere che, essendo l energia un bene strategico, occorre uno sforzo pubblico. «Anche se è una contraddizione non indifferente per i teorici della liberalizzazione estrema dell economia, si può decidere di mettere da parte il mercato e ricorrere agli aiuti di Stato. A questo punto però sorgono altri due problemi. Il primo è che l uranio è una risorsa scarsa: potrebbe finire prima del petrolio. Riconvertire il sistema energetico mondiale tarandolo su una materia prima limitata quanto quella che si vuole abbandonare non è una scelta lungimirante». E il secondo problema? «La tecnologia nucleare ha superato i 60 anni. All inizio, quando si progettavano le prime centrali, si diceva che c erano dei problemi di sicurezza, che c erano dei problemi di trasporto delle scorie, che c erano dei problemi di smaltimento dei rifiuti radioattivi, ma che con il tempo e con gli investimenti in ricerca tutti questi problemi sarebbero stati superati. Da allora è passato più di mezzo secolo e nel frattempo, nonostante il ANTONIO CIANCIULLO Jeremy Rifkin fiume di denaro speso, non solo quei problemi sono sempre lì, irrisolti, ma nel frattempo si sono aggravati. Oggi il nucleare è la più irresponsabile delle scelte anche perché tutto il ciclo di lavorazione dell uranio, dalle centrali ai siti di stoccaggio, rappresenta un target ideale per i terroristi. E non si tratta solo di considerazioni accademiche: due mesi fa il governo australiano ha arrestato un gruppo di terroristi che stavano per mettere in atto il piano d attacco a una centrale nucleare». Lei boccia il nucleare senza appello ma anche i rischi legati al sistema energetico attuale sono altissimi. «È vero. Il prezzo del barile di petrolio è destinato a raggiungere i 100 dollari. E la moltiplicazione degli episodi climatici estremi, dagli uragani alle alluvioni, fa capire a tutti che la exit strategy dal petrolio è urgente. Due mesi fa su Science è stata pubblicata una ricerca che mostra come non ci sia mai stata tanta anidride carbonica in atmosfera negli ultimi 650 mila anni. Siamo di fronte a un bivio in cui si decide il futuro della nostra specie. Da una parte c è la vecchia strada che ci porta a proseguire dritti verso il disastro. Dall altra c è la strada del cambiamento: le fonti rinnovabili che danno energia pulita e consentono di accumulare l idrogeno necessario a ripulire le città dallo smog». C è chi considera questo progetto un utopia. E in alcuni casi, ad esempio il fotovoltaico, le fonti rinnovabili non sono competitive. «Siamo nella fase nascente di queste tecnologie. Non ci sono differenze significative con le difficoltà che hanno accompagnato l inizio delle due grandi rivoluzioni industriali basate sul carbone e sul petrolio. L opinione pubblica è favorevole, la società civile è disponibile, il mondo scientifico è pronto per questo terzo salto. Quello che manca è la leadership politica». Che ruolo può avere l Italia in questo progetto? «Per l Italia è una grande occasione. Il vostro paese può diventare l Arabia saudita delle fonti rinnovabili: avete sole, vento, biomasse agricole, idroelettrico, geotermia. Potete essere al centro di un Europa che apre una nuova era economica basata sulle rinnovabili e sull idrogeno e in grado di creare milioni di posti di lavoro». Per ora i passi in questa direzione sono molto timidi anche a livello europeo. «Nel 2002 l Unione europea ha dato semaforo verde all investimento di quasi due miliardi di euro per la creazione della piattaforma tecnologica per l idrogeno. E nel settembre scorso, a Bruxelles, 50 eurodeputati di tutti i gruppi politici, guidati da Vittorio Prodi, eletto nelle liste della Margherita e fratello dell ex presidente della Commissione, si sono impegnati a sostenere il manifesto per l idrogeno verde, quello ottenuto da fonti rinnovabili. Dopo l euro, l energia pulita può essere per l Europa il motore di unità e di crescita».

3 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33 FOTO ROGER RESSMEYER/CORBIS Repubblica Nazionale 33 05/02/2006 nucleare c è, però, un terzo elemento, a prima vista inaspettato: l ecologia. Il dibattito sul rilancio del nucleare ha profondamente lacerato, quattro anni fa, governo e partiti. Ma sempre meno, dicono i sondaggi, l opinione pubblica. Nel 2001, riferisce Tiusanen, i finlandesi si dividevano a metà, fra favorevoli e contrari al nucleare. Oggi il 41 per cento è a favore e solo il 27 per centro contro. È Kyoto a far impallidire il ricordo di Cernobyl. «La gente riferisce Hanna Tuominen, dell Agenzia di sviluppo degli enti locali della regione di Olkiluoto si rende conto che il nucleare non contribuisce all effetto serra». È uno slittamento di prospettiva che fa a pugni con parole d ordine radicate nel movimento ecologista, ma può indicare che l atteggiamento generale dell opinione pubblica verso il nucleare non è più scontato. I finlandesi (contrari all adesione alla Nato, proprio perché dispone di armi atomiche) sono stati pronti a distinguere fra usi civili e militari dell atomo. E a premiare i rischi dell effetto serra sul ricordo degli orrori di Cernobyl. Probabilmente, anche facendo di conto. Perché Kyoto costa. Un preoccupato Tiusanen sottolinea che, anche con la nuova centrale, nel 2012 la Finlandia sarà in debito di 11 milioni di tonnellate di anidride carbonica, rispetto agli impegni sottoscritti: «Al costo attuale di 20 euro a tonnellata dice Tiusanen equivale a oltre 200 milioni di euro». Più ancora dei sondaggi, comunque, vale quello che è avvenuto davvero sul posto. Come i nuclearisti italiani non immaginerebbero neanche nei loro sogni più selvaggi, i comuni interessati, anziché approntare blocchi stradali, hanno ingaggiato una dura lotta per assicurarsi la centrale. «Per fortuna dice Hanna Tuominen abbiamo vinto noi. Ci porta 5 mila posti di lavoro, benedetti in una regione dove la disoccupazione oscilla fra il 12 e il 18 per cento. E anche una bella fetta di tasse immobiliari». Tutto ciò non sarebbe stato possibile se il rilancio finlandese del nucleare non si fosse preoccupato di rispondere a due quesiti chiave. Il primo sono le scorie. La legge prevede che la sistemazione dei residui radioattivi avvenga a cura e a spese dei proprietari delle centrali. Con pagamento in anticipo. Il governo, spiega Huttunen, calcola ogni anno il costo di questo smaltimento (compreso il costo di smantellamento futuro delle centrali) e ne impone l accantonamento in un apposito fondo: «Abbiamo in cassa, oggi, 1,4 miliardi di euro. Se chiudessimo domani tutte le centrali, sarebbe tutto già pagato». Per mettere dove i residui radioattivi? In un area, sempre a Olkiluoto, dove verranno stivate (a 500 metri di profondità) tutte le scorie prodotte sia dalle tre centrali dell isola, sia delle altre due nell est della Finlandia. Il secondo quesito è la sicurezza. E la risposta, dice il direttore del progetto, Martin Landtman, «sono mura belle spesse e profonde». Il nuovo reattore sarà protetto da una doppia cupola di cemento, sufficiente a reggere lo schianto di un jet. Anche i sistemi di sicurezza (quattro strutture gemelle, in modo da I CANTIERI È il numero delle centrali nucleari in costruzione soprattutto in Asia, ma dei nuovi impianti sei sono in costruzione da oltre 20 anni averne una sempre in grado di funzionare) sono posizionati in modo da non poter essere colpite contemporaneamente dall impatto di un aereo. All altro capo, cioè in fondo, un guscio di metallo e cemento è studiato per raccogliere, contenere, espandere e raffreddare una eventuale fusione del nucleo, tipo Cernobyl. Naturalmente, 11 settembre e Cernobyl sono gli incidenti che ti aspetti, mentre, ammette Landtman, «il problema con l energia atomica è quello che non ti aspetti». La sicurezza, insomma, è inevitabilmente destinata a restare una scommessa. Anche sulle scorie, peraltro, quella finlandese non è una ricetta buona per tutti gli usi. La Finlandia ha un sottosuolo stabile, a prova di terremoto, una garanzia non esportabile. Mentre, in caso di rilancio generalizzato del nucleare, le scorie diventerebbero un problema planetario: uno studio del Mit di Boston calcola che il mondo avrebbe bisogno, ogni 3-4 anni, di un deposito dell ampiezza di quello sotto le Yucca Mountains, che il governo americano non è ancora riuscito a varare. Il rischio maggiore, tuttavia, è che guardare a Olkiluoto porti a sovrapporre la risposta nucleare ai pro Il nuovo reattore sarà protetto dal rischio dello schianto di un jet e dell eventuale fusione del nucleo. Ma la sicurezza resta inevitabilmente una scommessa I PAESI Sono gli stati che nel mondo producono energia elettrica con le centrali nucleari. I primi nella corsa furono Usa e Gran Bretagna (1951). Poi arrivò l Urss blemi posti, qui ed ora, dalla crisi dell energia. I finlandesi hanno cominciato a discutere la centrale nel 1999 e la produzione inizierà, salvo intoppi, nel Partire ora con un progetto di centrale significa averne l elettricità nel 2016, quando la situazione del petrolio, del gas o delle nuove tecnologie del carbone potrebbe essere assai diversa da quella di oggi. E la via del nucleare è una di quelle in cui le conversioni a U non sono possibili. Un impianto come Olkiluoto 3 ha un costo di 3 miliardi di euro e dovrà funzionare al 90 per cento della capacità per i prossimi 60 anni. Altrimenti diventerebbe un baratro mangiasoldi. È la sua condanna. Ecco perché l energia atomica non è un giocatore come gli altri al tavolo dell energia: come il contrabbasso in un complesso jazz è quella che dà sempre il tempo a tutti. Il suo premio è che il combustibile costa una frazione infinitesimale, un ventesimo del costo complessivo. Costruire una centrale a gas di uguale potenza costerebbe un quarto, a carbone la metà, ma il combustibile può arrivare a due terzi del costo complessivo. In altre parole, una centrale atomica costa costruirla, una centrale a gas o a carbone alimentarla. Nel primo caso, quello che conta sono i tassi d interesse, nel secondo i costi del combustibile. Due anni fa, lo studio del Mit dichiarava il nucleare non competitivo, a meno di sussidi pubblici o di una tassa sull anidride carbonica 3-5 volte superiore ai valori attuali. Oggi, con il boom del prezzo del gas, probabilmente, dicono gli esperti, una centrale atomica è economicamente competitiva, ma potrebbe non esserlo più fra sei mesi. Il problema è che, per non diventare un disastro finanziario, deve restare competitiva almeno per i anni necessari a ripagare il prezzo dell investimento. Sono degli scommettitori arrischiati, allora, i finlandesi? Niente affatto. Olkiluoto, come spiega Landtman, «non ha un rischio di mercato». I proprietari delle centrali sono le stesse industrie della carta o della metallurgia, nonché le varie municipalità, che consumeranno la sua produzione. A prezzo di costo. In altre parole, si assicurano forniture stabili a prezzi stabili. Olkiluoto, dal canto suo, si garantisce un mercato stabile e sicuro: se i suoi proprietari andassero a cercare elettricità altrove, perderebbero nei conti della centrale quello che avrebbero guadagnato altrove in energia più a buon mercato. Non è una situazione facilmente ripetibile: Steve Thomas, dell università di Greenwich, la paragona a quella di un monopolio dove i prezzi sono controllati e adeguati ai costi. In questo caso, sostiene, i finanziatori (tre quarti dell investimento per Olkiluoto è stato rastrellato sul mercato internazionale) hanno probabilmente concesso tassi favorevoli, intorno al 5 per cento. Gli stessi investitori, aggiunge, di fronte ad una centrale in un mercato deregolato, chiederebbero tassi assai più alti, il per cento. Uno pensa a Cernobyl e alle scorie, ma il futuro del nucleare è, almeno altrettanto, nei salotti delle banche.

4 34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 il fatto Satira pericolosa Vietato toccare Allah, Maometto e l autorità religiosa. Ma in tutti gli altri campi, nei paesi islamici, l umorismo disegnato sta guadagnando terreno. Nel mirino i nemici di sempre, Stati Uniti e Israele, ma anche le tirannie di casa, la loro corruzione e la mancanza di libertà Lo slalom fra i tabù dei vignettisti arabi ELENA DUSI Repubblica Nazionale 34 05/02/2006 OCCIDENTE E ISLAM Sopra, tre tavole di Imad Hajjaj. La prima ironizza sul dito puntato contro arabi e musulmani dopo l 11 settembre. Nella seconda si scherza su un matrimonio celebrato nell era dei metal detector. Nella terza si fa umorismo sul peso di Sharon sui destini del mondo, quello arabo in particolare TAVOLE FATALI Sopra, due vignette di Naji al-ali, il disegnatore palestinese assassinato nel 1987 a causa delle sue denunce contro la corruzione degli uomini di Arafat. Il protagonista delle sue tavole si chiama Handala Un unico tabù: non toccare l islam. Per il resto la satira nel mondo arabo non si ferma davanti a niente. I nemici di sempre, Israele e gli Stati Uniti, si guadagnano decine di caricature pungenti ogni giorno, con qualche fuoripista antisemita o anche solo di cattivo gusto. Ma è sul fronte della politica interna che i pallettoni della satira molto più di qualunque articolo riescono a bucare la barriera della censura e a centrare i regimi tirannici. Corruzione, ipocrisia, mancanza di libertà, povertà, ottusità del potere, soggezione agli Usa, terrorismo: nessun articolo li ha attaccati con tanta veemenza come le vignette di cui ormai quasi tutti i giornali arabi quotidiani, settimanali o pubblicazioni sul web sono forniti. In questo senso si può parlare della satira come di una delle punte di lancia del riformismo nel Medio Oriente. «I vignettisti hanno più margine di libertà» conferma Imad Hajjaj, palestinese, uno degli autori più prolifici di oggi, che lavora fra l altro per il quotidiano londinese in lingua araba Asharq al- Awsat. «Possiamo usare simboli, doppi sensi. Possiamo ricorrere alle espressioni dialettali. Siamo in grado di dare alle nostre caricature una prospettiva molto aggressiva. Piena di umorismo, certo, ma molto aggressiva». E se in un paese occidentale capita che a cadere per una causa siano più spesso i giornalisti, in Medio Oriente nella lista delle morti violente compare anche una manciata di disegnatori satirici. Il più famoso, il palestinese Naji al-ali, prese una revolverata in pieno volto a Londra, il 22 luglio del 1987, dopo aver condannato in migliaia di tavole Arafat e la sua corte corrotta. Ma a decretare la sua condanna a morte fu più probabilmente una vignetta che alludeva all amicizia fra il rais e la sua biografa ufficiale, la giornalista egiziana Rashida Muhran. Per quel disegno due anni prima Naji Al-Ali era stato costretto a rifugiarsi a Londra. «I cinesi prosegue Hajjaj dicono che un immagine vale mille parole. È verissimo. Le vignette sono semplici da leggere e hanno la magìa dell ironia: breve, concentrata, divertente. Tutto questo è doppiamente vero nel terzo mondo, dove abbiamo tassi di analfabetismo altissimi e tante persone che non amano leggere. Molti sono costretti a parlare di politica solo in privato, per paura di repressioni. In queste condizioni un vignettista può diventare una star, e le sue caricature possono essere riprodotte sugli striscioni delle manifestazioni di piazza». Negli anni Ottanta accadeva proprio questo con Naji al-ali e il protagonista dei suoi disegni: Handala. Era un ragazzino palestinese scalzo e malvestito. Appariva sempre di spalle, costernato di fronte alle scene di corruzione della leadership palestinese, all incapacità di tenere testa a Israele nelle trattative, alle divisioni e alla povertà del suo popolo. Il suo nome ricorda un erba dal sapore amarissimo. Qui i disegnatori - dice Imad Hajjaj, uno degli autori più prolifici del Medio Oriente - sono più liberi dei giornalisti In posti con molti analfabeti e molta gente che non ama leggere la vignetta dà un informazione breve, concentrata, divertente In queste condizioni noi possiamo anche diventare delle star Oggi la lista dei personaggi-bersaglio si è arricchita. Il leader egiziano che impedisce al suo popolo di votare (è accaduto nelle legislative di dicembre), le fazioni palestinesi dipinte come tanti bebè che si azzuffano fra loro (con il commento «dov è papà?»), l ottuso governante che sfoglia un manuale di democrazia (peccato che lo stia impugnando capovolto). «Avete visto che noi governi sopravanziamo i popoli in fatto di riformismo?», dice un tiranno in sella a una tartaruga mentre un cittadino rimane incatenato senza poter muovere un passo, in una vignetta pubblicata dal quotidiano giordano ad-dustur nel giugno del In Arabia Saudita, al-yaum ha ritratto una semplice bottiglia: al suo interno i popoli protestano e urlano slogan, ma il tappo con su scritto potere assoluto garantisce che il movimento non defluisca. Manca il nome di Mubarak, ma il riferimento è evidente nella tavola in cui «un vecchio leader che è rimasto in carica cinquant anni» con le fattezze di Satana arringa la folla: «Amici miei, il diavolo che conoscete è sempre meglio di quello ignoto», dice. A pubblicare questa vignetta è stato il quotidiano del Bahrain Akhbar al-khalij a settembre del 2005, in occasione delle elezioni presidenziali in Egitto. Anche il terrorismo merita una netta condanna, nelle vignette arabe. Per citare solo alcune delle caricature più recenti, il fenomeno è dipinto come una piovra che estende i suoi tentacoli sul pianeta, come la morte che con la falce taglia le vite dei bambini, come un serpente, un pugnale che colpisce gli arabi alle spalle, una figura satanica che dà fuoco al mondo. In questo opinione pubblica, governi arabi e cancellerie occidentali vanno d accordo. Ma è un eccezione, perché nella satira araba soffia fortissimo il vento dell anti-americanismo. Imad Hajjaj ha disegnato per Asharq al-awsat una mano americana che tende una sedia sottile

5 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35 Tawfik.Quell ironia è figlia della sconfitta Repubblica Nazionale 35 05/02/2006 e sgangherata (la democrazia) a una corpulenta signora (il mondo arabo). «Prego madame», dice lo zio Sam, facendo presagire il collasso. Spiega Shujaat Ali, disegnatore politico del sito Internet di al-jazira: «I sentimenti anti-americani sono una realtà nel mondo arabo, non siamo noi vignettisti a inventarli. Come per qualunque giornalista, il nostro lavoro cerca la realtà al di là delle rappresentazioni che il potere ci offre. Dopo, sta alla nostra professionalità trasmettere un messaggio equilibrato. Non esageratamente violento, ma nemmeno morbido. I lettori si allontanano subito da un disegnatore accondiscendente». Alla base dei ritratti poco accattivanti riservati agli Stati Uniti non ci sono solo la guerra in Iraq o la questione palestinese. «Gli Usa sostiene Hajjaj hanno appoggiato per decenni i nostri dittatori corrotti, li hanno riforniti di fucili e carri armati che sono stati usati per ucciderci». Solo davanti alla religione non c è licenza artistica che valga. Lo sanno l iraniano Manushehr Karimzadeh, condannato a dieci anni di carcere nel 1993 per aver dipinto un personaggio vagamente somigliante a Khomeini e il quotidiano Arab Times: la sua sede fu devastata dagli integralisti nel 1996 dopo la pubblicazione di una vignetta con un fedele che prega e la linea di Allah che suona occupata. Per il resto, la satira in forma di musica, letteratura, teatro e vignette è pane quotidiano in Medio Oriente. «Nel mondo arabo spiega Hajjaj la maggior parte dei media è estremamente formale, controllata dal governo, noiosa, lontana anni luce dalla gente. Per questo i lettori, che hanno fame di libertà, si rivolgono a forme alternative di comunicazione: i piccoli quotidiani, il teatro satirico, alcuni siti Internet che trasformano molti dei nostri problemi quotidiani in umorismo. Se non abbiamo la possibilità di cambiare la realtà, che almeno ci lascino riderci su. Non è solo una consolazione, è anche una sfida». I grandi magazzini In alto, un anziano arabo chiede alla commessa: Scusi, ho solo dieci lire in tasca, qual è la cosa più economica qui dentro?. La ragazza risponde: Di sicuro la cosa più economica sei tu. La vignetta è di Imad Hajjaj, che pubblica i propri lavori sul sito La tortura Qui sopra, una vignetta del palestinese Imad Hajjaj che ironizza sulle immagini dei maltrattamenti dei detenuti iracheni nel carcere di Abu Ghraib Valutazione di Importanti Strumenti Musicali a Milano il 15 Febbraio a Roma il 16 Febbraio a Ginevra il 13 Febbraio a Lugano il 14 Febbraio Lo specialista degli strumenti musicali Philip Scott sara in Italia e in Svizzera per delle valutazioni gratuite di strumenti ad arco in previsione delle aste primaverili che avranno luogo a Londra. Per informazioni si prega di contattare: Cecilia Grilli tel fax cecilia.grilli@bonhams.com GUIDO RAMPOLDI N ella nuova ironia araba Younis Tawfik, scrittore iracheno da tempo in Italia, vede in controluce «amarezza, delusione». Un senso di sconfitta. Di morte. «Ricorrono immagini malinconiche. La colomba della pace ferita, sgozzata. La morte della terra araba, le lacrime dell amata, la crisi dell identità araba. E il senso d un dominio altrui, cui si accompagna un auto-sarcasmo, come a dire: siamo ridotti proprio male!». Quando nasce questo timbro cupo, desolato? «Negli ultimi anni, direi soprattutto a partire dal Ma diventa più forte dopo l occupazione dell Iraq, quando si sposa all idea d un Occidente egoista, ingiusto, indifferente agli arabi. È un po un ritorno al senso di sconfitta che investì gli arabi dopo la guerra del 1967». Ma la vera novità non è forse una capacità di ironizzare su stessi? «Senza dubbio l autocritica è cresciuta molto e oggi direi che è un atteggiamento comune ai popoli arabi. S è fatta più ragionata, più serena. E più serrata. Arriva quasi all auto-accusa quando allude alle complicità di cui al-qaeda gode nella religione e nella politica. C è un programma della tv irachena, per esempio, che ironizza parecchio sul terrorismo e sulle figure che stanno dietro al terrorismo. Però in quegli sketch anche l idea di democrazia suscita un ironia forte. Lo stesso motivo torna in altri programmi arabi, dove l ironia diventa tagliente». Un ironia figlia della delusione? «Sì. Per esempio lo sketch che ora le racconto. A notte fonda un padre di famiglia torna a casa ubriaco; urla, canta a squarciagola; abbassa la voce, gli dice la moglie, i bambini dormono; e lui: siamo in democrazia, faccio quel che voglio, non è questa la libertà? Questa povera gente ha fatto tanta fatica per portarcela con sacrifici e rischi e vuoi che non la usiamo. Il senso è: qui tutti parlano di democrazia ma i più non hanno capito cosa sia davvero, non sono pronti». Un altra novità non da poco potremmo chiamarla: la fine della deferenza. Neppure il potere adesso è totalmente al riparo dai cartoonist arabi. Cos è successo? «Dopo l occupazione dell Iraq i regimi arabi hanno avuto paura di perdere il controllo della situazione. Così hanno deciso di lasciare agli umori popolari qualche valvola di sfogo. In Egitto, in Marocco, in Libia, perfino in Arabia saudita, ormai si può dire di tutto o quasi. Certo, quando si arriva al re o al rais i toni devono essere più cauti. Ma al di sotto, si può. Perciò spesso i ministri diventano parafulmini di un irritazione generale diretta più in alto». Si sarà accorto che da noi è diffuso uno stereotipo per cui l arabo, se non è un selvaggio o un forsennato, comunque è privo di ironia. Cos è l ironia nella cultura araba? «Un genere letterario antico e di solito misconosciuto. Già nell ottavo secolo il teatro arabo prevedeva un ruolo specifico per l attore che era un po giullare e un po cantante. E questa figura spesso era delegata a mettere alla berlina figure religiose o politiche. La cosa più sorprendente è la paura che questi attori incutevano ad importanti cariche pubbliche». Erano così influenti? «Potevano perfino rovinare carriere. Un testo del nono secolo dopo Cristo racconta la messinscena che costò il trasferimento al giudice supremo d uno dei quartieri in cui era divisa Bagdad. L autore era un attore comico. Costui prima giocò una beffa al giudice dentro la moschea dove quello teneva udienza, e poi la raccontò al pubblico nella rappresentazione teatrale. Il giudice finì in un altra città per fuggire allo scandalo». E il clero islamico tollerava questi affronti o si faceva scudo della fede per proibire l ironia? «Nel periodo del suo massimo splendore l islam non tentò mai di uccidere il sorriso. I primi comics arabi, se possiamo chiamarli così, risalgono al 1100 dopo Cristo, all apogeo dell impero arabo-islamico, quando apparvero i Maqamat, cioè una raccolta di storie ironiche, in prosa rimata o in poesia, illustrate dall artista che fondò la prima scuola di pittura miniaturistica nella storia dell islam, al-wasiti. Dai Maqamat nacquero vari generi di letteratura ironica. E a quel tempo c erano comici che andavano negli ospedali per fare ridere i malati con lo scopo di farli guarire, qualcosa che in Occidente abbiamo scoperto di recente». Quand è che l islam ha perso il sorriso? «Con la dominazione ottomana, dal quattordicesimo secolo in poi. Lì comincia una decadenza che sprigiona un islam cupo, triste, pessimista. Ma anche in quel periodo si diffondono capolavori come Le Mille e una notte, che includono racconti ironici. Ve n è uno, splendido, che narra di un giullare gobbo. Un ricco sarto si convince d averlo ucciso e cerca con la moglie di sbarazzarsene gettando il corpo nella proprietà del vicino, un cristiano; e questi a sua volta fa lo stesso col vicino ebreo. Si chiama La storia del gobbo. Ha una morale implicita: gli uni e gli altri non sono diversi. Il gobbo rappresenta le questioni scomode di cui ciascuno cerca di liberarsi scaricandole sul vicino». E oggi? Qualunque cosa si pensi della reazione suscitata dalla pubblicazione in Danimarca di vignette su Maometto, si direbbe che l islam fondamentalista non abbia alcuna speranza di trovare un compromesso con l ironia. «È impossibile: i fondamentalisti temono l ironia. Il loro scopo è quello di creare una società che viva nella paura del giorno del Giudizio di Dio, e individui che desiderino la morte come mezzo per incontrare Dio. Per quella gente la vita è dolore e il corpo deve soffrire per meritare l aldilà. L ironia è agli antipodi di questa ideologia penitenziale. Eppure l islam non è questo, se stiamo alle scritture. Vi sono brani riferiti al profeta, che lo descrivono mentre ride fino a mostrare i molari. E altri raccontano di sua moglie Aisha, che si affaccia nel cortile della moschea dove di lì a poco canteranno e balleranno attori abissini». Che le pare del modo in cui i cartoonist italiani raccontano gli arabi, i musulmani? «Spesso si avverte sia la paura che incutiamo, sia il desiderio di esorcizzarla ridicolizzando quel presunto nemico. Ma quando le caricature rappresentano noi musulmani come assetati di sangue, come sodali di Bin Laden, questo indubbiamente fa male, ferisce».

6 36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 la memoria Inediti d autore All alba del 18 aprile di cento anni fa il famoso scrittore e sua moglie Charmian furono svegliati dalla scossa che distrusse San Francisco. Un ora dopo erano in marcia per uno straordinario reportage giornalistico e fotografico. Ora le immagini, mai pubblicate prima, sono state ritrovate e stanno per essere messe in mostra Repubblica Nazionale 36 05/02/2006 ALBERTO FLORES D ARCAIS SAN FRANCISCO Il 18 aprile 1906 era un mercoledì. Alle 5 e 12 del mattino Jack London e Charmian (la sua seconda moglie) stavano tranquillamente dormendo nella loro casa di Glen Ellen quando la terra iniziò a tremare: una prima scossa, forte abbastanza per essere sentita nell intera baia di San Francisco, e poco dopo una seconda, questa volta terribile, a seminare il panico per cinquanta lunghissimi secondi in tutta la California. Un Big One che venne sentito lungo l intera costa del Pacifico, dal sud dell Oregon ai sobborghi di Los Angeles, e che all interno arrivò a lambire le contee semideserte del Nevada. L epicentro fu San Francisco. Alla vigilia si era addormentata sulle note della Carmen cantata da Enrico Caruso, in una di quelle serate destinate a passare alla storia della città. Alla Grand Opera House si erano date convegno la crema della ricchezza e del potere californiano, per uno di quei social event da ricordare con orgoglio: «Io c ero». Nel giro di poche ore quella memoria venne cancellata. Colpita da una scossa di magnitudo 8,5 Richter, San Francisco si risvegliò dentro un incubo, le pittoresche strade a saliscendi che sussultavano, piccole case e grandi palazzi che venivano giù come fossero di cartapesta. E il peggio doveva venire, e arrivò sotto forma di un incendio che per giorni sconvolse la città, incenerendo interi quartieri e provocando la morte di centinaia di persone. Alle sei del mattino Jack e Charmian erano già in groppa ai loro cavalli lanciati al galoppo verso il Beauty Ranch, sogno campestre ancora in costruzione. Dalla stalla semidistrutta, guardando verso Santa Rosa e San Francisco potevano vedere i fumi che si levavano alti nel cielo. Bastò uno sguardo e la decisione fu presa: partire. Inizia così il breve ma intenso viaggio che porterà uno dei più celebri autori della letteratura popolare americana attraverso le creste della Sonoma County, giù fino a San Francisco e Oakland, poi di nuovo a nord verso Fort Bragg e Santa Rosa, per tornare a San Francisco. Un viaggio che Jack London racconterà sulle colonne di Collier s, il settimanale fondato da Peter Collier nel 1888, pioniere di quel investigative journalism che Theodore Roosevelt definì poco amichevolmente muckraking journalism, il giornalismo di denuncia. Durante quel viaggio la scrittura non fu l unica attività di London e della moglie (che tenne aggiornato il suo diario, dove il 18 aprile campeggia in rosso la scritta «earthquake!»). Per l autore del Tallone di ferro, sensibile alle nuove frontiere che le moderne macchine offrivano al nascente fotogiornalismo da lui già sperimentato a Yokohama e in Corea ai tempi della guerra russo-nipponica (1904) il terremoto del secolo fu anche l occasione per scattare centinaia di foto. Che per un secolo sono rimaste sepolte (e inedite) negli archivi del California State Parks, un piccolo tesoro di cui solo in pochi sapevano. Adesso, in occasione del centenario del terremoto e dell incendio che distrusse Frisco nel momento del suo maggiore splendore, la California Historical Society ha preparato una mostra sulle foto dello scrittore che verrà inaugurata il 9 febbraio: Jack London and the Great Earthquake and Firestorms of A quel tempo London era all apice della sua fama. «La popolarità sua e di sua moglie Charmian era paragonabile a quella di una odierna stella del cinema o di una rockstar», spiega Stephen Becker, il gioviale e attivo direttore della California Historical Society, mentre gira da una stanza all altra per controllare che tutto proceda con ordine. «Di quelle foto neanch io conoscevo l esistenza, e sono uno che la storia e la vita di Jack London l ha studiata». Becker racconta come è nata l idea della mostra. Da quando, «qualche anno fa», Philip L. Fradkin (che della mostra è il curatore) si imbatté quasi per caso nelle foto; alle lunghe trattative con il California State Parks che conservava i negativi; fino alla straordinaria bravura di Philip Adam, il fotografo della Chs che da quei negativi invecchiati e rovinati è riuscito a ridare vita a straordinarie foto in bianco e nero. Jack London, le foto del Big One Quando parla di Jack London and the earthquake, Phil Fradkin che è il maggiore studioso del terremoto di San Francisco oltre che autore di libri di storia della California, professore a Stanford e Berkeley, e vincitore di un premio Pulitzer con il Los Angeles Times non nasconde un po di delusione. Lo scrittore («che io ammiro, sia ben chiaro») decise infatti di scrivere per il Collier s solo per una questione di denaro: «Era pagato dieci cent a parola, il massimo che un giornale all epoca si potesse permettere. Per quel reportage incassò 240 dollari che gli servivano per finire i lavori dello Snark, la barca con cui voleva fare il giro del mondo e che finì invece per solcare solo il Pacifico». Il fotografo Adam, quando ebbe in mano i negativi, pensava che London avesse usato una macchina fotografica da pochi soldi, magari una di quelle Eastman Kodak che nel primo decennio del secolo scorso avevano reso la foto- Il creatore di Zanna Bianca allora era celebre come una rockstar La rivista Collier s pagò il suo articolo dieci cent a parola grafia un hobby accessibile a molti: «Ma quando ho iniziato a lavorare con i negativi mi sono reso conto che le foto dovevano essere state fatte con una macchina decisamente più costosa». Una volta stampate le foto, il risultato colpì anche un professionista come lui. «Mi disse subito: non sapevo che Jack London fosse un fotografo così bravo. E anche a un profano come me il risultato fu subito evidente: quelle foto sembravano fatte da un fotografo vero», racconta Stephen Becker. Philip Fradkin entra nel dettaglio: «Quelle foto non sono state scattate nel giorno del terremoto, ma quando Jack e Charmian fecero ritorno a San Francisco dopo il viaggio a nord, a Santa Rosa, nella Sonoma County e a Mendocino. Se ci dicono qualcosa di nuovo sul terremoto? Quelle di San Francisco direi di no, ma se guardiamo a tutte le foto del viaggio allora quella di Jack London diventa una testimonianza unica su cosa è stato il terremoto nei dintorni, nelle campagne, su come ha cambiato la storia della California del nord. Un esempio per tutti: le foto che lo scrittore ha scattato a Santa Rosa, una città che in proporzione ha avuto molti più danni e più morti di San Francisco». Becker mostra orgoglioso la prima foto, già in cornice, che insieme a altre decine si potrà ammirare nella sede della California Historical Society al 678 di Mission Street, pochi blocchi di distanza dalla casa natale di London. Poi, quasi di nascosto, tira fuori mettendosi dei guanti quasi fosse un operazione chirurgica l unico memorabilia appartenente allo scrittore di cui la Society è in possesso: una fiaschetta da whisky. A pochi giorni dall inaugurazione nella sala ci sono ancora i pannelli della mostra che ha appena chiuso i battenti, sulla San Francisco anni Sessanta dei figli dei fiori : «Ma quella è un altra storia».

7 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA CALIFORNIA HISTORICAL SOCIETY. All rights reserved DAL 9 FEBBRAIO IN RASSEGNA Nelle pagine, sette scatti del reportage di Jack London sul terremoto che distrusse San Francisco e le città vicine il 18 aprile Al centro, la pagina del diario di Charmian London con la scritta in rosso Earthquake (terremoto) e, subito sotto, Charmian e Jack London. Tutte le foto saranno esposte dal 9 febbraio al 10 giugno 2006 nella mostra Jack London and the Great Earthquake and Firestorms of 1906 allestita alla The California Historical Society, 678 Mission Street, San Francisco. Presidente della Chs, Stephen Becker; curatore Philip L. Fradkin; restauratore e stampatore delle foto Philip Adam M è rimasta solo questa casa il fuoco sarà qui fra 15 minuti Repubblica Nazionale 37 05/02/2006 JACK LONDON L articolo che segue è la sintesi del reportage scritto da London in qualità di corrispondente speciale del Collier s e venne titolato: La storia di un testimone oculare I l terremoto che ha scosso San Francisco ha fatto crollare centinaia di migliaia di dollari di muri e caminetti. Ma il devastante incendio che è seguito ha carbonizzato centinaia di milioni di dollari di edifici (...) Non c è precedente nella storia di una moderna città imperiale distrutta in maniera così completa. San Francisco non c è più. Non rimane nulla, se non i ricordi e una frangia di case ai margini dell abitato. La zona industriale è stata spazzata via. La zona degli affari è stata spazzata via. La zona sociale e residenziale è stata spazzata via. Le officine e i magazzini, i grandi negozi e gli edifici dei quotidiani, gli alberghi e i palazzi dei nababbi non ci sono più. Rimane soltanto quella striscia di case ai limiti della città, di quella che un tempo era San Francisco (...) Dopo appena un ora dal terremoto, il Ecco il racconto di un eccezionale testimone oculare: Un ora dopo il terremoto, il fumo dell incendio si vede a cento miglia fumo dell incendio di San Francisco era una torre spettrale visibile a cento miglia di distanza. E per tre giorni e tre notti, questa torre spettrale ha fluttuato nel cielo, arrossando il sole, oscurando il giorno e riempiendo la terra di fumo (...) Il terremoto è arrivato mercoledì alle cinque e un quarto del mattino. Un minuto dopo, le fiamme già si innalzavano verso il cielo. Gli incendi sono cominciati in una dozzina di quartieri diversi. Non c era niente per fermare le fiamme, non c era organizzazione, non c era comunicazione (...) Le strade erano piene di gobbe e di buche, ricoperte dai detriti dei muri crollati. Le rotaie erano piegate in angoli perpendicolari e orizzontali. Le linee telefoniche e telegrafiche erano fuori uso. E le tubature dell acqua erano scoppiate. Tutti gli abili accorgimenti e sistemi di protezione inventati dall uomo erano stati messi fuori combattimento da uno strattone della crosta terrestre durato venti secondi (...) Per incredibile che possa sembrare, la notte di mercoledì, mentre l intera città crollava in pezzi, è stata una notte tranquilla (...) Di fronte alle fiamme, per tutta la notte, decine di migliaia di persone rimaste senza casa sono fuggite. Alcuni erano avvolti in coperte. Altri si portavano dietro fagotti di lenzuola con dentro gli oggetti più cari. A volte un intera famiglia era attaccata a una carrozza o a un carro merci ricolmo dei loro averi. Passeggini per bambini, vagoni giocattolo e carrettini venivano usati come mezzi da trasporto, mentre tutti gli altri si trascinavano dietro un baule. Eppure tutti erano gentili. Imperava la cortesia più totale. Mai, in tutta la storia di San Francisco, i suoi abitanti sono stati gentili e cortesi come in questa notte di terrore. L ultima cosa che abbandonavano erano i loro bauli, e molti uomini robusti sono arrivati a finirsi su quei bauli. Le colline di San Francisco sono ripide e quei bauli sono stati trascinati su per queste colline miglia dopo miglia. Dappertutto vedevi bauli con stesi sopra i loro proprietari esausti, uomini e donne. Linee di soldati venivano schierate di fronte all incedere delle fiamme. E un isolato dopo l altro, man mano che le fiamme avanzavano, i soldati arretravano. Uno dei loro compiti era continuare a far muovere le persone che si tiravano dietro i bauli. Queste creature sfinite, scosse dalla minaccia delle baionette, si sollevavano e scalavano a fatica l impervio selciato, fermandosi per la stanchezza ogni due o tre metri (...) È stato a Union Square che ho visto un uomo offrire mille dollari per un tiro di cavalli. Gli avevano affidato una carrozza piena zeppa di bauli accatastati uno sopra l altro, di qualche albergo. Era stata trasportata fino a lì, in un posto che era considerato sicuro, e i cavalli erano stati portati via. L incendio si era impadronito di tre lati della piazza e cavalli non ce n erano. In quel momento, accanto alla carrozza, io esortavo un uomo a scappare per salvarsi. Aveva fiamme tutto intorno. Era anziano e camminava sulle stampelle. Mi ha detto: «Oggi è il mio compleanno. Ieri sera avevo trentamila dollari. Ho comprato cinque bottiglie di vino, pesce raffinato e altre cose per la mia cena di compleanno. Non ho fatto nessuna cena e tutto quello che possiedo sono queste stampelle». Sono riuscito a convincerlo del pericolo che correva e ha cominciato ad allontanarsi zoppicando. Un ora dopo, da lontano, ho visto la pila di bauli della carrozza bruciare allegramente in mezzo alla strada (...) Giovedì mattina, alle cinque e un quarto, appena ventiquattro ore dopo il terremoto, mi sono messo a sedere sui gradini di una villetta a Nob Hill. Insieme a me erano seduti giapponesi, italiani, cinesi e negri, un piccolo campione dei relitti cosmopoliti abbandonati dal naufragio della città (...) Nella nostra direzione, da est e da sud, avanzavano due imponenti pareti di fiamme. Entrai nella casa, accompagnato dal proprietario. Era tranquillo, allegro e ospitale. «Ieri mattina», mi ha detto, «avevo seicentomila dollari. Stamattina l unica cosa che mi è rimasta è questa casa. Fra quindici minuti non avrò più neanche questa». Mi ha indicato una grande vetrina. «Questa è la collezione di porcellane di mia moglie. Questo tappeto su cui ci troviamo è un regalo. Costa quindicimila dollari. Provi questo pianoforte. Senta questa nota. Ce ne sono pochi così. Le fiamme saranno qui fra un quarto d ora». Per tutto il giorno di giovedì e per tutta la notte di giovedì, per tutto il giorno di venerdì e per tutta la notte di venerdì l incendio ha continuato ad infuriare (...) È stato giovedì notte, su Van Ness Avenue, che i pompieri sono riusciti a bloccare l incendio (...) San Francisco in questo momento è come il cratere di un vulcano, intorno al quale sono piantate la tende di decine di migliaia di rifugiati. Soltanto al Presidio ce ne sono almeno ventimila. Tutte le città e i paesi circostanti straboccano di senzatetto, assistiti dai comitati di soccorso. I profughi vengono trasportati gratuitamente dalle ferrovie dovunque chiedano di andare, e si calcola che più di centomila persone abbiano già abbandonato la penisola su cui sorgeva San Francisco. Il governo ha la situazione sotto controllo e, grazie ai soccorsi offerti immediatamente da tutti gli Stati Uniti, non c è nessun rischio di carestia. Banchieri e uomini d affari hanno già cominciato i preparativi per ricostruire San Francisco. (Traduzione di Fabio Galimberti)

8 Repubblica Nazionale 38 05/02/2006

9 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 le storie Universi paralleli Uomini-tenaglia, amanti che si fondono in coccodrilli, uova che volano, alberi capovolti: una vita fantastica che non si vede, chiosata in una scrittura che non si legge È il Codex Seraphinianus, pubblicato 25 anni fa da Franco Maria Ricci e poi esploso su Internet. Ora il suo autore, Luigi Serafini, lo festeggia e lo racconta LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39 L Enciclopedia dell altro mondo PINO CORRIAS ROMA Luigi Serafini non sta né in cielo né in terra, ma in fondo a un corridoio nero, dentro a una stanza di pareti verdi, dove le sedie pendono dal soffitto. Pattina tra gli alfabeti, e gioca con le nuvole, come i personaggi di inchiostro di Raymond Quenaeu, quello dei Fiori blu. In una lontana notte surrealista, durata trenta mesi, ha immaginato una scrittura che (forse) non si legge e un mondo che (forse) non si vede, con uomini che diventano tenaglie, uova che volano, alberi capovolti, zoologia vegetale, insetti e coccodrilli. Ne ha fatto una Enciclopedia fantastica, spiazzante e inservibile che assomiglia al mondo reale quanto un sogno assomiglia al mistero dei miraggi. Da 25 anni abita dentro a quel mistero. E adesso lo festeggia. Si chiama Codex Seraphinianus, è un mondo bidimensionale, una sequenza di invenzioni colorate, pubblicato nel 1981 tra i volumi luccicanti di Franco Maria Ricci che ammirava i mondi fantastici di Jorge Luis Borges e li declinava in caratteri Bodoni. Da quei tempi nero&oro il Codex (che affascinò Italo Calvino e che Federico Zeri definì un incanto eccentrico) è entrato nella leggenda dei piccoli universi paralleli. Le circa trentamila copie che da allora circolano nel mondo, sono introvabili. Ma hanno lasciato una scia indelebile, che smaterializzandosi si è ricomposta nel passaparola della Rete. Decine di siti nel mondo riproducono le sue tavole a colori e le sue pagine fitte di calligrafia inventata e perciò leggermente inclinata verso l abisso. C è addirittura un ex crittografo della Marina militare americana, tale Jim Marshall, che nel suo sito sostiene di aver trovato la chiave del Codex: digitando qualunque parola nella finestra interattiva, Ricordo il giorno in cui tutto cominciò Mi chiama un amico: passo a prenderti e andiamo al cinema E io, senza sapere perché, gli dico: no, resto a casa, devo fare un Enciclopedia Metto giù il telefono e inizio a disegnare compare la traduzione in lingua serafinica. E c è un sito canadese che oltre a mostrare le ascendenze magiche delle tavole, conferma ai suoi navigatori che Luigi Serafini esiste davvero, abitava un tempo in Italia, ha molto viaggiato e probabilmente vive ancora oggi in un punto qualunque del pianeta. Luigi Serafini, 56 anni, occhi sottili, sorriso, capelli lunghi e grigi, ha effettivamente viaggiato. Il punto qualunque del pianeta in cui abita è il Pantheon che si vede da tutte le finestre della sua casa romana. La sua casa è una versione semplificata del Codex. Contiene quadri seicenteschi riversati su alluminio e ricolorati a smalto, cervi azzurri con corna luminose, schermi al plasma, zebre e altri erbivori in plastica dentro a grandi teche di vetro. E un pianoforte nero a coda, circondato da poltrone gonfiabili, abbandonato otto anni fa dalla sua penultima fidanzata. Serafini viene da Duchamp e passa per Topor. Ha lavorato nel gruppo Memphis con Ettore Sottsass. Ha progettato case in marmo con colonne blu e cristalli colorati. Dipinge digitale e inventa a olio. Il Codex è nato senza ragioni e senza scopo, nel corso di una specie di infallibile trance cominciata per caso e durata due anni e mezzo. «Mi ricordo il giorno e la circostanza», racconta Serafini. Un pomeriggio del 1976: «Mi chiama un amico e mi dice: passo a prenderti che andiamo al cinema. E io senza sapere bene perché gli dico: no resto a casa, devo fare un Enciclopedia. E quando metto giù il telefono, comincio davvero a disegnare. Comincio da un uomo, poi un cacciavite, una foglia, un ingranaggio. E scrivo, riga dopo riga, didascalie immaginarie, scivolando in automatico: segni danzanti e pause bianche Una tavola dopo l altra, senza sbagliare mai, per giorni, settimane, mesi». Creando una scrittura che è come acqua sul vetro, trasparente, ma non penetrabile, che ci fa sentire nel modo esatto descritto da Calvino, «sempre a un pelo dal poter leggere». Scrittura che fa finta di spiegarci le forme inspiegabili dei disegni, a loro volta generati da metamorfosi fantastiche, dove «l anatomico e il meccanico si fondono, l umano e il vegetale si completano». Naturalmente il Codex non ha alcuna traduzione plausibile se non quelle che lo sguardo gli attribuisce. Ma almeno una chiave esiste. È la storia della sua storia. Le molto divertenti avventure di Luigi Serafini. Che nasce architetto di case immaginarie, ma poi diventa artista e viaggiatore di tre viaggi, come tre onde del destino, l America, l Oriente, l Africa. Cominciando dal primo biglietto aereo della sua vita, anno 1971, destinazione New York, via Amsterdam. «Partivo da una vita molto polverosa, famiglia borghese, liceo agli Scolopi, niente colori. All improvviso mi esplodono davanti i canali luccicanti di Amsterdam e poi le verticali della santa America, con le sue nervature elettriche e anche lisergiche, Timothy Leary, gli autobus Greyhound, Chicago, le comuni hippy, le utopie abitative, Fourier, le cupole geodetiche di Paolo Soleri. Tutto era eccitante, nuovo, come se il mondo ricominciasse davanti ai miei occhi, rifiorisse, mutasse proporzione e luce, comprese le tristi strade dell Alabama dove da tre anni era stata abolita la segregazione». Dopo gli oceani d America, la rotta terrestre verso Oriente, l Ararat, e poi seguendo l Eufrate e il Tigri fino all antica Babilonia. Il sole, il deserto, lo spazio. Tutto a forzare, per contrasto, i confini della vita ordinaria e a scardinarli per sempre. Così Serafini finisce Architettura e apre uno studio di una stanza e mezza in piazza di Spagna, finestra davanti alla cupola della chiesa Sant Andrea delle Fratte del Borromini, con un socio che nel tempo libero cattura ragnatele, le stende su tele bianche e le immobilizza con il fissativo. Poi viene l Africa. Dove tutti i misteri del colore si sciolgono e i mondi si moltiplicano e le metamorfosi si intrecciano. «Conosco a Roma un nero enorme, elegantissimo, ricchissimo, trafficante di diamanti. Mi dice che ha un terreno a Brazzaville, nell ex Congo francese, e mi offre di disegnargli la villa. Io accetto, lui sparisce. Ricompare sei mesi dopo. Si è trasferito a Abidjan, in Costa d Avorio. Mi spedisce un biglietto aereo. All aeroporto trovo una limousine. Mi consegnano un altro biglietto, e un visto». A Brazzaville ci sono militari ovunque e una piccola guerra in corso tra filo cinesi e filo sovietici con elicotteri in volo, cibo e musica nelle strade, e pallottole danzanti. Va a visitare il terreno che è coltivato ad arachidi e ci sono zebre in lontananza. Sale su una piroga per risalire il fiume Congo. Quando approda, viene circondato e arrestato da una pattuglia in mimetica. Finisce da solo in una grande cella, dove arriva un colonnello a interrogarlo, con gli occhiali a specchio. Si ritrova nei panni inspiegabili di un architetto romano che gira in piroga dentro a una guerra e lavora a ville inesistenti. «In effetti era tutto così surreale, così folle, che neanche mi spavento, ma rido. Rido talmente che mi prendono per matto e invece di fucilarmi fanno dei controlli sulla mia identità. Così compare una specie di console italiano che in realtà è un ingegnere dell Agip, simpatico, milanese, che garantisce per me. Esco dal sogno, entro nella sua Mercedes». Quando sbarca in Italia è per l appunto il 1976 e dal disordine di tutte le vite e di tutte le forme che ha visto in transito, un giorno gli nasce «questo bisogno testamentario di lasciare un segno per sempre». Il per sempre è il Codex. Più di trecento tavole, un migliaio di disegni, nessun significato. Dice: «Mi piaceva l idea di giocare con la vita, di assecondare le continue trasformazioni dell uomo e della natura. L idea di non limitarmi a cambiare il mondo, come si diceva nelle piazze di allora, ma addirittura a inventare un altro da principio». Lo finisce a metà del Impiega altri due anni a trovare un editore abbastanza pazzo da pubblicare un libro che costa dieci volte più di qualunque altro libro e che in compenso non si legge. «Quando arrivai da Franco Maria Ricci racconta mi sentivo come un salumiere esausto che gira con il suo prosciutto di marmo e cerca di venderlo a fette». Ricci (invece) gli compra tutte le tavole. E poi le pubblica in due volumi, con cofanetto di seta nera, gioiello tipografico che su ebay, oggi, viaggia tra i 15 e i 20mila euro. Il Codex inizia a navigare, approda con nuove edizioni in mezza Europa. Poi il buio. Fino alla nuova luce della Rete, il labirinto digitale che perfeziona il labirinto di Serafini. «E perfezionandolo lo conclude dice 25 anni dopo, come se fosse stato progettato apposta». Per raccontarci l irraccontabile, per mostraci l invisibile. Per convincerci a ricominciare sempre, dopo la fine. TESORI INTROVABILI In pagina, alcuni disegni del Codex Seraphinianus, che pubblichiamo per gentile concessione di FMR-Art è. Del volume, venticinque anni fa, furono stampate circa trentamila copie: volumi preziosi diffusi in tutto il mondo

10 40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 i luoghi Borghi letterari Siamo a Marradi, l abitato al confine fra Emilia e Toscana nel quale il poeta visse, trattato come un matto. Da qui si incamminava, a piedi, per Firenze, dove vendeva ad amici e nemici le copie dei Canti Orfici stampate in proprio. E qui oggi si celebra la memoria di un genio incompreso, la cui esistenza è ancora avvolta nel mistero Il paese barbaro di Dino Campana Repubblica Nazionale 40 05/02/2006 ELENA STANCANELLI MARRADI Marradi è un paese bilingue. Basta fermarsi a chiedere un informazione per accorgersene, scambiare due parole con chi ti pesa un chilo di marroni tirato su a manciate dalle cassette di legno ai lati della strada. Qualcuno parla toscano, qualcuno romagnolo. Il fiume Lamone divide il paese a metà. Forse la lingua dipende dal lato in cui sei nato, penso sporgendomi dal parapetto. Sono cigni, chiedo io per dimostrare la mia demenza cittadina e attaccar discorso con la donna che mi osserva. Papere. È toscana, ha il volto bello e avvizzito come una castagna. Per convincermi dell esistenza di dio mi offre un geranio rosso, che strappa da un vaso. Chi l ha fatto questo? E le stelle? Non so, dico io. L ha fatto dio. Ma io non ci credo, dico. Zitta, mi fa, parla piano che ti sente! Chi mi sente? Rispondi, chi l ha fatto il mondo? Non lo so, big bang, reazioni chimiche, scintille? Ma quali scintille! Lo conosce Dino Campana, le chiedo io per evitare dio. La donna tace, mi guarda. Lo chiamavano il matto, borbotta tra sé, ma invece era un poeta. Mia madre abitava a Campigno, e gli dava da mangiare. Una minestra, un bicchiere di vino. Lui dormiva in una specie di stalla, e quando aveva fame andava dalla mia mamma. Un giorno lei gli regalò dei vestiti. Parlava da solo, si lavava nel fiume e dormiva per terra. Ma era un poeta. Un paese bilingue, dove l ostinazione toscana si unisce alla visionarietà dei romagnoli, Campigno è a pochi chilometri da lì, più in alto. Non è niente, poche case inerpicate, la strada si ferma, scompare, giri la macchina e torni indietro: finito. Quando dai suoi viaggi avventurosi veniva rimpatriato per vagabondaggio, Campana si ritirava quassù, nel «paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del caos». C è una lapide che lo ricorda, una colonia di gatti, una fonte. Il Centro studi campaniani Enrico Consolini è vicino al fiume Lamone, a Marradi. Cerco una copia dei Canti orfici nell edizione del 1914, quella curata dal poeta e stampata dalla tipografia di Federico Ravagli, grazie a una sottoscrizione tra i concittadini patrocinata dall amico Luigi Bandini. Due lire e cinquanta a testa, per 44 generosi marradesi. Il contratto, esposto al centro studi dove vengo accolta dall appassionato e gentile Franco Scalini, prevede la stampa di mille copie, ma non è sicuro che le abbiano stampate davvero. Campana le ordinava a blocchi, poi le metteva nella borsa e le portava a piedi fino a Firenze (sono circa sessanta chilometri). Le vendeva ai clienti delle Giubbe Rosse, agli amici e ai nemici letterati fiorentini. Su ogni volume aggiungeva versi, ne cancellava altri, strappava addirittura pagine quando riteneva che l acquirente non le meritasse. Della copia che vendette a Marinetti, alla consegna non rimase che la copertina. Oggi conosciamo l esistenza di una sessantina di questi volumetti dalla copertina gialla e i caratteri incerti. Uno sta alla biblioteca Marucelliana di Firenze e uno dovrebbe essere qui, a Marradi. Ma non c è. Cioè, c è ma non è esposto, per motivi di sicurezza. Al suo posto mi offrono un anastatica, ma ovviamente non è la stessa cosa. Nel caso di Dino Campana la mitologia del libro in quanto oggetto, il feticismo della pagina, precede e addirittura in molti casi sovrasta l amore per il suo contenuto. Colpa delle avventure del manoscritto de Il più lungo giorno, una delle storie più affascinanti e strazianti della letteratura italiana del Novecento. I suoi concittadini lo temevano anche perché in qualche modo ne intuivano il talento Campana scrisse il suo libro, l unico, «la sola giustificazione alla mia esistenza» come lui stesso lo definì, nel silenzio delle montagne. Quassù, sull Appennino, nella barbarica terra dalla quale partiva e dove sempre tornava. Passeggiava e ricordava, si smarriva dentro di sé. In questo come in molto altro emulo, e ugualmente affetto, del suo grande maestro e ispiratore Nietzsche. «Dovremo vedere le Alpi», scriveva a Sibilla Aleramo (che pazzamente amò, nascosti in un paese minuscolo chiamato Casetta di Tiara), «Nietzsche scendeva di là al mare con la sua sfida». Anche con la scrittrice passeggiò, e dietro questi passi, e tutti gli altri del suo girovagare di fugitivus errans, lo segue Giovanni Cenacchi, in un libro struggente, preciso e inevitabile per chi voglia conoscere la vita, e quindi la poesia di Campana. I monti Orfici di Dino Campanasi intitola, ed è un curioso saggio e una guida in dieci passeggiate, Edizioni Polistampa, con una presentazione di Emanuele Trevi. Cenacchi consiglia di mettersi in cammino in autunno, quando le giornate, ancora abbastanza lunghe, sono ammorbidite nei colori e nel clima. Il libro, che Campana scrisse a mano su un quaderno dalla copertina chiara e i fogli pesanti, si intitolava appunto Il più lungo giorno. Lo portò a Papini, perché lo leggesse. Questi lo consegnò a Soffici, perché lo confortasse nel giudizio positivo. Era il 1913, e da allora il libro scomparve. Campana ne fu devastato. Dal quel dolore nacque l edizione marradese del 1914, che ebbe il nuovo titolo di Canti Orfici. Un paio di anni fa lessi per caso che quel manoscritto sarebbe stato battuto all asta. Era stato infatti ritrovato, nel 1971, assai dopo la morte del poeta (avvenuta nel 1932 nel manicomio di Castel Pulci) e dopo la malfamata edizione di Vallecchi, farcita di altre poesie sparse e correzioni che fecero infuriare il già furioso Campana. Gli eredi lo vendevano e il manoscritto era a disposizione dei compratori nelle sale di Sotheby s, in piazza Navona. Andai con un amico, meno credibile di me, ma fingemmo ugualmente di volerlo comprare. Un uomo gentile lo estrasse da una teca di vetro e me lo consegnò in mano. Su un tavolo coperto di velluto lo sfogliai a lungo. Più precisamente: lo accarezzai. C è una macchia marrone in alto a destra, un addizione segnata in viola sopra una delle pagine, alcune righe cancellate con un tratto di penna. Ma non c è la pazzia. La scrittura è serena e ordinata, doma. La grafia di Dino Campana, a disposizione in una edizione anastatica pubblicata anch essa dal centro studi di Marradi, è la testimonianza inattaccabile di quanto siano dementi le pretese di spontaneismo, naiveté, impulsività che qualcuno attribuisce alla sua poesia. Come tutta l arte, l arte pura direbbe lui stesso, i suoi Canti sono ciò che resta dopo un lavoro enorme che traduce l emozione in una forma passando attraverso la tecnica. Fatica, contenzione, lima, questo trapela dal manoscritto de Il più lungo giorno, che oggi riposa alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, dove è consultabile. Non fummo io e il mio amico, infatti, a comprarlo, ma la Fondazione Cassa di Risparmio. Grazie anche all attenzione di Giuseppe Matulli, ex sindaco di Marradi e attuale vice-sindaco di Firenze, e alla disattenzione, pare, dell Università di Bologna che confuse la data e si presentò all asta con un giorno di ritardo. Anche Marradi, naturalmente, si candidò a ospitare il manoscritto. Ma riportarlo in paese, avrebbe significato esiliarlo di nuovo. Forse aveva ragione il povero Campana quando si legava le scarpe con lo spago e si incamminava verso Firenze. Raggiungere il paese con la macchina è in-

11 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41 fatti impresa per stomaci forti. E scendendo da Faenza è anche peggio. Marradi è inaccessibile, appartiene a un tempo barbaro che pretende lentezza e non ammette seduzione. È un luogo fatto di roccia, ombre, nebbie, dominato da una rocca affettuosamente battezzata il Castellone. Risalente più o meno all anno mille, il Castellone è un grosso molare che sporge sulle gengive verdi della collina. Ebbe il suo momento di gloria a metà del Cinquecento, quando Cosimo I de Medici lo conquistò, avendone individuato l importanza strategica. È ancora Matulli a indicarmi un buffo aneddoto narrato da Niccolò Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Stremati dal lungo assedio ai Veneziani che non intendevano lasciare il castello, i Fiorentini avevano deciso di andarsene. Ma quel mattino, mentre dismettevano l accampamento, videro arrivare indisturbata una vecchia che raccontò loro che anche i Veneziani, proprio quel mattino, se n erano andati. I fieri Fiorentini, entrarono quindi senza alcuna resistenza in paese, ma mandarono in patria un dispaccio che millantava un aspra battaglia e una vittoria valorosa. Fin quando si fosse difesa, Marradi sarebbe stata inviolabile. Pochi anni dopo Cosimo decise che era Castrocaro l avamposto migliore contro i Romagnoli dello Stato Pontificio, e fece costruire la bellissima fortezza di Terra del Sole. Marradi e il suo castello furono lasciati al loro destino. E poi, contro il dono del manoscritto al paese, c è sempre l antica polemica del legame tumultuoso che opponeva il poeta a i suoi concittadini. Campana si sentiva perseguitato e si lamentava. «They were all torn and cover d with the boy s blood...». Per questo Sebastiano Vassalli, autore tra l altro del celebre romanzo La notte della cometa, ispirato alla biografia del poeta, non ha mai smesso di inveire contro i marradesi. E contro Sibilla Aleramo, la «dannunziana», responsabile a suo dire dell ultimo, definitivo tracollo psichico di Campana. Ma la Aleramo, che amò sbagliando (come sempre si ama) è morta, mentre i Dino Campana Il vecchio castello che ride sereno sull alto La valle canora dove si snoda l azzurro fiume Che rotto e muggente a tratti canta epopea E sereno riposa in larghi specchi d azzurro: Vita e sogno che in fondo alla mistica valle Agitate l anima dei secoli passati: Ora per voi la speranza Nell aria ininterrottamente Sopra l ombra del bosco che la annega Sale in lontano appello Insaziabilmente Batte al mio cuor che trema di vertigine MARRADI Da QUADERNO ( ) marradesi si difendono, e contrattaccano. Franco Scalini, nel Centro studi campaniani, mi mostra una lettera di Luigi Bandini, l amico, pubblicata nel bel Campana dal vivo a cura di Pedro Luis Ladròn de Guevara Mellado, raccolta di scritti e testimonianze. Maniaca, scrive Baldini nel 1938, questa ossessione di Campana che io stesso ignoravo. Lo ritenevano pazzo, è vero, irresponsabile, ma non lo perseguitavano i marradesi. Lo temevano piuttosto, e in un certo modo lo rispettavano anche, perché «lo sentivano superiore». Scalini mi ricorda la sottoscrizione per l edizione Ravagli, e il carteggio tra la mamma del poeta e la Aleramo, sintomo di un attenzione che addirittura se ne infischiava delle regole morali. I marradesi ne sopportavano le stravaganze perché in modo misterioso ne intuivano il talento. Ognuno ha il suo vocabolario, sul quale ritorna a studiare. Il mio è Amarcord, di Fellini. Mi sembra che dentro ci sia tutto, dell Italia ma anche della vita, dell amare e del tempo. Ci penso mentre mi infilo a malincuore nei banchi di nebbia che cancellano le curve, scendendo a Firenze. Penso sempre al toro bianco di Amarcord, quando sono nella nebbia. E da lì alla pazzia. Solo i grandi narratori russi hanno saputo raccontare il segreto della pazzia così bene. Quei dannati bestemmiatori intrisi di dio, quelle forze oscure che reagiscono al buio del dolore illuminando a sorpresa un salotto, un aula di tribunale. Campana cantava, sono in molti a raccontarlo. Tirava fuori l armonica e intonava canzoni imparate in giro per il mondo. Non c è un paese, o un tempo che possa accogliere la poesia, legittimarla. Il poeta è un clandestino e Campana lo sapeva, e da clandestino ha vissuto qua e là. Quando tornava nelle sue montagne, una donna o un altra gli preparava una minestra. Marradi, o Recanati, o la Charleville di Rimbaud, anguste e feroci, sono solo le incolpevoli gabbie di un circo dell anima, la cui smania non può, non deve essere placata. LE CARTE Dino Campana: Sotto: il foglio di carta con La Chimera poesia scritta dal poeta di Marradi e il manoscritto Il più lungo giorno GLI INEDITI La poetessa Sibilla Aleramo in una foto posata Sotto: una pagina inedita di Dino Campana recuperata da Gabriel Cacho Millet

12 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 Esce in Italia Dio vive a San Pietroburgo, un libro del giovane scrittore Tom Bissel che racconta come la nazione imperiale abbia dilapidato quel patrimonio di simpatia e attrazione che l aveva accompagnata, tra vicende alterne, fino all 11 settembre E come il marchio Usa sia entrato nel tunnel di una crisi di cui è difficile vedere lo sbocco Repubblica Nazionale 42 05/02/2006 VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON Il bambino che vendeva i morti davanti all Hotel Rex neppure doveva essere nato quando quegli uomini erano morti davvero. «Dogtag, sir, dogtag, sir, pliiiiis, one dollar, dogtag», mi inseguiva sulla piazza dell Operà di Saigon, poi sotto i tamarindi e i ficus giganti di via Nguyen Hue tintinnando le piastrine di riconoscimento strappate ai morti, che i soldati chiamano così perché somigliano a quelle che si appendono al collare dei cani. Probabilmente tutte false, le piastrine. Ma i morti, invece, tutti veri. No, thank you, no dogtags. Yes pleeeease! No, yes, no, yes, due per un dollaro, nooo-oooo, yes. Ma te ne vuoi andare? Gli intimai scocciato in italiano e il bambino si gelò. «You no american?», mi chiese. No, io no american, io italian. Pfffft, si sgonfiarono le spalle minuscole. Io «no like Europe», mi disse con aria di sfida, io «love America». E il bambino che vendeva due morti americani per un dollaro corse via scocciato, a cercare un americano vero che uscisse da quell Hotel Rex dove per vent anni si erano accampati i visi pallidi della Cia a pianificare la morte di almeno due milioni dei suoi padri. Per decenni avevo girato il mondo sempre presentando alla gente per strada, ai burocrati delle ufficialità, agli intellettuali intervistati, a tutti, la mia italianità. Avevo esibito all occhiello la mia storia di europeo come un passepartout di complicità istantanea contro quei gringos, yanquis, gai-jin nasi lunghi, amerikans go home, troppo invadenti, ricchi e boriosi. Ero dovuto arrivare nella Saigon, o Ho Chi Minh come fingono di chiamarla, per scoprire nel 1995, nel ventennale della «gloriosa liberazione e riunificazione del Vietnam», il più inaspettato dei luoghi dove tutti sognavano soltanto il ritorno dell America e gli americani: i venditori ambulanti di pho, di zuppa, come i camerieri dei ristoranti, le compagne entraineusescon lo spacco alto nella gonna dell aodai di seta, gli scugnizzi che spacciavano le piastrine dei soldati morti e i modellini di Phantom costruiti con le lattine della Pepsi. Fu il fatto che lì, all ombra di mangrovie, ficus e tamarindi, gli americani avessero perduto una guerra per la prima volta nella loro storia e si fossero lasciati dietro dogtags a renderli simpatici, addirittura a farli rimpiangere? Era invece il sogno più concreto di vedere arrivare il cavaliere della Nike, Phil Knight, con le sue fabbriche di scarpe a 25 centesimi di salario al giorno, a farli desiderare? Non può essere una coincidenza il fatto che il solo luogo che io conosca dove non abbia incontrato nessun anti-americano sia l unico dove finora gli americani abbiano perduto una guerra. Essere americani oggi, dopo quel grido del «siamo tutti americani» lanciato da Le Monde l 11 settembre del 2001, è diventato ancor più difficile e sicuramente più pericoloso. Un tempo si rischiava lo scippo in via del Corso e il bidone davanti a Fontana di Trevi. Oggi rischi la gola e la testa mozzata. Presentarsi alle frontiere e negli hotel con il libretto blu notte e l aquila in oro stampata sulla copertina provoca sempre più spesso, in Asia, in America Latina, in Africa e nella enorme mezzaluna verde dell Islam che si estende dall Atlantico alle Filippine, occhi al cielo, sbuffi, teste scosse, sguardi di compatimento o, peggio, sguardi di odio. Un esperto di sicurezza e di antiterrorismo mi consigliò di viaggiare sempre con tutti e due i miei passaporti, quello euroitaliano e quello americano, caso mai qualche apprendista martire decidesse di cambiare rotta all aereo, ed esibire sempre quello europeo. Siamo diventanti antipatici. Se persino il Presidente che parla con Dio ha dovuto nominare un sottosegretario di stato, la signora Karen Huges esperta di pubbliche relazioni, con la missione impossibile di «migliorare l immagine degli Stati Uniti» nel mondo islamico vasto programma trattandosi di un miliardo e mezzo di persone concordi soltanto nel detestare il Grande Satana e il demonietto israeliano si rafforza la sensazione che decenni di Usis, Usia, Radio Free Europe, stupende bibliote- La corsa all immigrazione negli States non è mai stata così affollata e i college sono pieni di studenti stranieri che, viaggi studio, borse Fullbright, uffici stampa, feste all ambasciata e pacchi lanciati dagli elicotteri stiano perdendo la battaglia per i cuori e le menti del mondo. Persino nell Italia fedele nei decenni, destra come sinistra, si devono organizzare lugubri manifestazioni pro America, nei giorni delle Torri, e costruire fanzine di tifosi Usa in Internet, per ricordare il sacrificio dei soldati Ryan, la copertura strategica per contenere l Urss, il piano Marshall, gli aiuti. Tanto sfoggio di amore per l aquila americana sembra la classica dichiarazione d amore non petita e imposta dal dubbio, ben noto a tutte le coppie, che l amore sia finito. Siamo pasticcioni, incolti, zotici capaci di ordinare il cappuccino con i bucatini all amatriciana e di pasteggiare con la Coca Cola davanti a un cotechino, come scoprì inorridito l oste di un famoso ristorante bolognese che offrì la cena gratis a condizione che quei violentatori dell insaccato promettessero di non tornare mai più nel suo locale. Il branding, come dicono gli esperti di marketing, il marchio America che portava una immediata connotazione positiva, ora impone un rovesciamento di opinioni, uno sforzo di rimessa a fuoco. Guardate, non è vero che l America non è vero che Bush vuole sangue per il petrolio non è vero che la gente stramazzi per strada perché non ha l assicurazione sanitaria non è vero che Bush sia un somaro. Sta diventando faticoso, Il mondo degli Americani Nessuno sorride al soldato Ryan ISRAELE. Pacifisti israeliani in piazza ai tempi della prima Guerra del Golfo TURCHIA. Scontri con la polizia in un corteo antiamericano ad Ankara nell aprile 2003 REUNION. Scritta contro gli Usa a St.Denis, a Reunion, isola francese nell Oceano indiano FRANCIA. Corteo di studenti francesi a Parigi contro la guerra in Iraq Eppure nei sondaggi internazionali crescono l ostilità e l odio anti-yankee, anche negli altri Paesi del continente la fatica del bambino olandese davanti agli undici forellini nella diga, difendere e spiegare. Amici europei di insospettabili credenziali borghesi, moderate e occidentali mi guardano strano quando dico di avere preso la cittadinanza Usa, ma chi te l ha fatto fare, ma che cosa ci hai trovato, bella roba i tuoi americani. La vaga e generica invidia per il «beato lei che sta in America» che per anni aveva commentato sotto gli ombrelloni i bisticci tra i miei figli in inglese americanizzato sulle spiagge italiane, è diventato un sorrisetto di compatimento, l immancabile «ma che ci siete andati a fare in Iraq?», ma «ora farete anche la guerra in Iran», «ma come avete fatto a eleggere uno come Bush»? «The ugly american» degli anni Cinquanta, il prepotente pasticcione che voleva esportare se stesso in Asia (tutto va e poi ritorna, anche in America), è diventato l incarnazione di tutto ciò che non piace di noi stessi, nel mondo contemporaneo, il consumismo insensato, lo shopping ossessivo, la tv spazzatura, il cibo frankenstein, la devastazione del pianeta, la addiction alla forza, la forca, l ipocrisia, quella rozzezza che i russi chiamano nekulturny, che è qualcosa di peggio che il semplice ignorante. Il soldato che lanciava libertà e Lucky Strike dai carri Patton, è divenuto il sorridente automa che diffonde hamburger otturacarotidi super size di McDonald s. Li odiamo, perché siamo diventati come loro, perché hanno vinto.

13 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43 IN USCITA A sinistra, la copertina di Dio vive a San Pietroburgo. Nella foto grande, un celebre scatto di Robert Capa in Sicilia dopo lo sbarco degli americani alla fine della Seconda guerra mondiale il racconto Il testo che segue è uno stralcio del racconto d apertura di Dio vive a San Pietroburgo, scritto dal giovane narratore americano Tom Bissel, pubblicato in Italia da Einaudi e in uscita nelle prossime settimane. Il volume raccoglie sei storie di americani che, all estero, si scontrano con una nuova realtà: il mondo, che pareva aver assorbito la cultura di cui gli Stati Uniti sono la massima espressione, si rivela ancora diviso fra logiche contrastanti e inconciliabili. Questo primo racconto, intitolato Morte sfidata, ha per protagonisti due giornalisti occidentali, un inglese e un americano (Graves e Donk), in Afghanistan durante la guerra contro i Taliban. Dopo un incidente stradale i due sono accolti in un misterioso villaggio. Da cui Donk parte alla ricerca dell erba miracolosa in grado di curare la malaria dell amico. Ed è proprio nel corso dell escursione che avviene uno strano incontro. L uomo a cavallo si avvicinò occhi azzurri, giovane e trionfante Repubblica Nazionale 43 05/02/2006 Si vedono ragazzi gridare morte all America in ogni angolo di mondo indossando cappellini dei Boston Red Sox e uniformi della National Hockey League. Ci sono più studenti (finti) di Harvard in India che a Harvard. La mia nuora americana rimase sbalordita nel vedere che sulla Riviera Ligure le era impossibile trovare una t shirt, una felpa, un cappello ricordo che non scimmiottasse qualcosa di americano. «Gli americani sono Persone del Caos che credono di essere Persone dell Ordine» fa dire Tom Bissel al protagonista del suo racconto Morte Sfidata, diversi da quello che credono di essere o percepiti diversamente da come loro credono di presentarsi. «Come fa se lei si ammala quando viaggia fuori dall America?», mi domandò premurosa una elegante matrona della buona società di Kansas City che mi ospitava durante una convention politica. «Abbiamo eccellenti stregoni», le risposi e non sono certo che lei avesse percepito il mio sarcasmo. «Ma perché ci odiano?», si chiedeva Bush nelle ore dopo le Torri, ponendosi una domanda sentita da una gente che crede, che vuole sinceramente essere amata, e guardata come la nazione che Dio, per ragioni non chiare, dovrebbe «benedire» più del Lussemburgo, di Malta o della Lapponia. «Perché odiano la libertà», era la sua risposta involontariamente offensiva per tutte le nazioni del mondo non certo meno libere degli Stati Uniti. Perché prendono noi a bersaglio, sarebbe dovuta essere la domanda e la risposta sarebbe stata più onesta: perché in fondo al suo cuore ogni persona che diventa americana, come tutti qui lo sono diventati, è persuasa che ognuno dei sei miliardi di terrestri sia, o sarebbe se fosse lasciato libero di essere, un piccolo americano represso. Non esiste forma di presunzione più alta che pensare che tutti sognino di essere come te. E non esiste dunque forma di delusione più bruciante che lo scoprire che non è vero. La corsa all immigrazione, a piedi attraverso il Rio Grande, nei container soffocanti, o con difficili visti, non è mai stata così affollata. Siamo in trecento milioni, oggi, irregolari esclusi. I college ospitano più studenti stranieri di quanti ne avessero prima del 9/11. Ventidue delle trenta migliori università del mondo sono qui, negli Usa. Ma nei sondaggi internazionali, crescono l odio o l ostilità per l America, persino nel suo continente dove, per un Canada che elegge un presidente filo-yankee, l America Latina si rifugia a sinistra come mai era accaduto. Saremo dunque costretti, noi, i nemici con il libretto blu, a fare come facevo quando negli anni Ottanta attraversavo la frontiera russo-polacca con auto targata Urss e incollavo ritratti giganti di Papa Wojtyla al parabrezza e al lunotto per evitare le pietre dei contadini? Dovrò, viaggiando, incollare uno sticker sul passaporto come si vedono sui paraurti della macchine, «non prendetevela con me, io ho votato per Kerry», o vigliaccamente sarò costretto come Pietro a rinnegare tre volte la mia nuova patria, per salvarmi la pelle fissando l occhietto nero di un AK47? No, non credo che lo farò, perché ormai è diventato inutile. Si può «morire da italiano», come fece quel pover uomo, ma Quattrocchi, Baldoni, i giornalisti italiani uccisi sui fronti delle guerre volute da Washington, dimostrano che il grido retorico dell 11 settembre era reale: siamo davvero diventati tutti americani. Tranne che in Vietnam. FOTO ROBERT CAPA / MAGNUM - CONTRASTO TOM BISSEL B arba Nera, che ora si era appeso il kalashnikov in spalla, iniziò a tirare giù dall asino le sacche e le borse di plastica della Marlboro. Donk stava per dire qualcosa quando vide che Barba Nera si raddrizzò impettito e guardò allarmato verso est, cercando istintivamente il fucile senza però toglierselo di spalla. Prima che Donk riuscisse anche solo a girare la tesa, sentì lo scalpiccio di un cavallo che si avvicinava, seguito da un nitrito rauco. Sul cavallo c era un soldato. Si avvicinò lentamente, fermandosi a metà strada tra Donk e Barba Nera, la cui mano si bloccò mentre cercava di prendere il fucile. Il soldato guardò Donk, poi l asino morto, dopo di che li raggiunse e fece un giro intorno al cadavere dell animale. Poi lanciò un occhiata a Barba Nera, ma solo dopo aver tracciato un orbita completa. «Salaam», disse il soldato, mentre le orecchie del cavallo si piegavano indietro, chiaro segno di sconforto alla vista del cugino ammazzato. «Salaam», replicò Barba Nera abbassando la mano. Il soldato era americano. Indossava una mimetica color sabbia ricoperta di chiazze verdine e onde marroni. Le cinghie verde oliva dello zaino gli tracciavano due linee verticali sul petto. Un altra cinghia più spessa gli stringeva la vita, e altre due erano fissate attorno alla coscia, dove, inguainata in un fodero mimetico, c era una pistola 9 mm. Su una spalla aveva l ingombrante imbottitura nera del control pad della radio terra-aria e il CB agganciato alla vita. Sul capo sfoggiava un pakul afgano, un po esagerato pensò Donk, e attorno al collo aveva la stessa sciarpa bianca che Donk aveva comprato a Kunduz. Galoppò fino a Donk, giovane e trionfante coi suoi occhi azzurri, il naso a patata e il mento appena accennato. Sicuramente un sudista, ne dedusse Donk. Era chiaro che era uno di quei soldati di cui Donk aveva soltanto sentito parlare, ragazzi delle Forze speciali che da cavallo comandavano intere guarnigioni di guerriglieri, che puntavano i laser nelle tane scavate nelle montagne dalle canaglie per guidare le bombe degli F/A-18, e che spazzavano via intere culture e lingue al loro passaggio. Si diceva che alcuni dei ragazzi fossero qui già dal 14 settembre. Muoversi da soli era contro la dottrina delle Forze speciali, e Donk immaginò di essere ingrandito, proprio in quel momento, dallo zoom digitale del binocolo di un altro uomo delle Forze speciali che sicuramente li stava osservando da un altura o magari si era nascosto dietro le rocce lì vicino. «Signore», disse il soldato a Donk. «Lei è americano?». Donk tirò fuori le mani dalla tasca della felpa e si alzò. «Sì». L uomo strizzò gli occhi e guardò Donk dall alto del suo cavallo. Aveva un aura severa, inavvicinabile, come il bagliore del sole su una lamiera. «È ferito?». «Cosa?». Il soldato si batté la mano sopra l occhio. «No», disse Donk, toccandosi nello stesso punto e, con un sobbalzo, pentendosene immediatamente. «Non è niente. Un incidente in macchina». «Signore, è da un po che vi seguo. E vi devo chiedere un paio di cose: uno, cosa ci fate qui, e due, perché i vostri uomini sparano in questo modo in una zona ostile?». «Hanno giustiziato il nostro asino», disse Donk. «Non ho ben capito per quale ragione. E poi non sono i miei uomini. Sono gli uomini del generale Ismail Mohammed». Il cavallo arretrò di qualche passo, con gli enormi muscoli levigati che scivolavano su e giù sotto un manto marrone lucido come budino al cioccolato. L uomo, immobile come un centauro, non aveva tolto gli occhi di dosso a Donk neanche per un attimo. «Questo non spiega cosa ci facciate qui». «Sono un giornalista. Il mio amico è rimasto al villaggio del generale Mohammed, come le ho detto. Sta molto male. Sono venuto qui in cerca di erba». L uomo lo guardò fisso. «Mi scusi, signore, ma quella roba qui si trova a ogni angolo. Non c è alcun bisogno di venire fin...». «No, non marijuana. Erba. Un tipo speciale di erba». «Ah, capisco...» disse. «Senta, dimentichi quel che le ho detto. Mi può aiutare?». «Signore, in realtà non ho direttive al riguardo». «Non ha cosa?». «Direttive, signore. Non posso parlare con i media». Donk ammirava da sempre i militari dell esercito, soprattutto i militari giovani, per le loro menti incredibilmente innocenti. «Non sono in cerca di un intervista. Il mio amico ha la malaria. È rimasto al villaggio del generale Mohammed. Sta morendo». «Signore, l avverto che queste montagne non sono sicure per i civili. Sono piene di nemici. E non voglio sembrarle troppo fiscale ma in realtà non sono autorizzato a usare questa radio se non per dare ordine di procedere con le incursioni aeree. Stiamo disinfestando, signore, e le raccomando caldamente di fare ritorno al villaggio». «Dov è il suo ufficiale in comando?». «A Mazar-i-Sharif, signore». «Il tenente Marty, o sbaglio?». L uomo fece una pausa. «Non sono autorizzato a dirglielo, signore». «Senta, ha dei medicinali contro la malaria? Degli antibiotici? Qualsiasi cosa. Mi creda, è un emergenza». L uomo tirò le redini. Il cavallo si girò con tutta la pesantezza tipica della sua specie e si mise in marcia. Donk non se ne stupì. «È solo perché i reporter in Vietnam ve l hanno messo nel culo, eh?» gli urlò dietro. Allora sappia che avevo circa sei anni quando è caduta Saigon. E lei forse non era neanche nato...». L uomo si fermò e si voltò indietro. «Lasci questa zona, signore. Subito».

14 44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 la lettura Stampa popolare Kate Moss, David Beckham, Sven Goran Eriksson, i leader liberali: sono solo le ultime vittime dei giornali britannici che vendono milioni di copie trasformando il gossip in notizia. Siamo entrati nella redazione di News of the World Tabloid, lo scandalo in prima pagina ENRICO FRANCESCHINI LONDRA Le confessioni di Kate Moss sulla cocaina? Le prove che Madonna ha un amante? Oppure un altro lurido scandalo di sesso sadomasochismo, prostituzione, omosessualità, va bene tutto tirato fuori dall armadio di un politico? O magari, ancora meglio, un pettegolezzo nuovo di zecca sulla famiglia reale? O altrimenti qualcosa su David Beckham, che funziona sempre? Devono essere pressappoco questi i pensieri nella mente dei redattori che, fascio di giornali sotto braccio, bicchiere di carta col caffè fumante in mano, s infilano sotto un cielo grigio in una moderna palazzina a due passi dal Tamigi, la sede del News of the World, ciascuno probabilmente rimuginando sulla possibilità di scovare la sensazionale notizia da prima pagina per il prossimo numero. È martedì. Dopo due giorni di meritato riposo, il più diffuso tabloid domenicale del Regno Unito, quasi quattro milioni di copie vendute, è pronto a ricominciare la caccia allo scoop: non sono neanche le nove del mattino, ma l open space della redazione brulica già di reporter che sfogliano quotidiani, scrutano videoterminali, telefonano. Alle nove in punto il direttore, Andy Coulson, 37 anni, occhialini trendy, camicia rosa e battuta pronta, convoca la prima riunione della settimana: «Siamo il giornale britannico dell anno», dice accogliendo i colleghi nel suo ufficio, con un allusione al premio assegnato la primavera scorsa tra le polemiche al News of the World dall Associazione della Stampa, «e intendiamo rimanerlo. Perciò diamoci dentro, ragazzi». Non è un modo di dire. Con l eccezione di un paio di caporedattori di mezza età, la cinquantina di uomini e donne del suo staff sono o perlomeno sembrano ragazzi, come Ryan Sabey, l astro nascente, il venticinquenne autore di una sfilza di esclusive che gli hanno valso il titolo di Young journalist of the year. Nessuno di loro ha l aspetto e i modi dei leggendari cronisti di una volta, quelli che finivano le serate nei pub di Fleet street col sigaro in bocca e la cravatta slacciata, la categoria di pennivendoli senza scrupoli immortalata da un indimenticabile film di Billy Wilder, Prima pagina, e da un delizioso romanzo di Evelyn Waugh, Scoop (L inviato speciale nella traduzione italiana). Ma in effetti le due generazioni si somigliano più di quanto non appaia. Quando Coulson, l odierno direttore del News of the World, afferma che «l essenza del nostro giornale è raccontare alla gente delle storie la domenica mattina, storie eccitanti, avvincenti, formidabili, storie che la gente non conosceva sabato sera quando è andata a dormire», non suona troppo diverso da Lord Copper, il direttore del Beast (La Bestia), fittizio quotidiano tabloid del romanzo di Waugh, mentre riassume i segreti del mestiere al novellino che sta spedendo a fare il corrispondente di guerra in Africa: «Ciò che il giornalismo inglese desidera per primo, per ultimo e in ogni momento, sono notizie. Si ricordi che i patrioti sono nel giusto e vinceranno, e il Beast è dalla loro parte. Ma devono vincere al più presto. Il pubblico inglese non nutre interesse per una guerra che si trascina a lungo in maniera inconcludente. Qualche vittoria risolutiva, qualche clamoroso atto di valore dei patrioti, e un pittoresco ingresso nella capitale. Questo è quanto il Beast si aspetta dalla guerra». Di storie eccitanti, e di notizie che non si trascinano a lungo in maniera inconcludente, il News of the World ne ha pubblicate una scorpacciata nei centosessant anni della sua storia. Nato nel 1843 come primo giornale popolare della domenica, ossia espressamente rivolto alla classe lavoratrice, ha ispirato nel corso del tempo una serie di imitatori, dal Daily Mirror al Daily Express, dal Mailal Sun (di cui oggi è di fatto l edizione della domenica), arrivando a vendere la cifra spropositata di otto milioni di copie; poi è entrato in declino, ma è rinato nel 1984 con l arrivo di un nuovo editore, l australiano Rupert Murdoch, che acquistandolo cominciò la sua espansione internazionale. Fu Murdoch a imporre al News of the World il formato tabloid, e quindi, stroncando i sindacati, il trasferimento dalla storica via della stampa, Fleet street, ai sobborghi, dove poco alla volta lo hanno seguito tutti gli altri giornali. Ed è nella nuova sede alle spalle del Tower Bridge che, incitato da Murdoch, il News of the World è ridiventato la «fabbrica degli scoop», scoperchiando i vizi privati di star dello show-business, campioni dello sport, leader politici e membri della famiglia reale, spesso con metodi disapprovati dalla stampa più autorevole, «quella con tirature da ridere al confronto delle nostre» si compiace di sottolineare il direttore. L amante segreta di Beckham. La relazione extra-coniugale del ministro degli Interni Blunkett. Le maldicenze della principessa del Kent su Carlo e Camilla. Lo scherzetto giocato a Sven Goran Eriksson da un giornalista travestito da sceicco. E così via, una domenica dopo l altra. Il metodo del News of the World, naturalmente, non suscita unanimi consensi, per alcune buone ragioni. La prima è che i suoi scandali da prima pagina spesso li compra a peso d oro. E non lo nasconde nemmeno: «Paghiamo meglio di chiunque altro per notizie esclusive, proteggiamo sempre le nostre fonti», avverte un riquadro sul sito Internet del giornale, fornendo numeri di telefono e indirizzo a chiunque abbia segreti da spifferare: un sistema sfruttato pure dalla concorrenza (io stesso ho ricevuto una volta la telefonata di un tabloid londinese disposto a sborsare «una fortuna» per qualche segreto su Berlusconi offerta respinta, anche perché non ne conosco), ma che il News of the World ha portato ai massimi termini, pagando si dice quasi 500mila euro per le confidenze di Rebecca Loos, ex-segretaria e amante spagnola di Beckham, uno scoop che ha fatto salire d un balzo la tiratura di mezzo milione di copie. Un altra frequente accusa è che, invece di News of the World (Notizie del Mondo), dovrebbe chiamarsi Screws of the World (Scopate del Mondo), poiché a quelle dedica essenzialmente gran parte delle sue pagine. Una terza critica è che, per indurre i vip a dichiarazioni eclatanti, li attira in elaborate trappole: come quella ordita da Mazher Mahmood, il cronista di origine araba, capo del team investigativo del News of the World, che ha invitato Eriksson da Londra a Dubai, alloggiandolo in un albergo a cinque stelle e fingendosi un ricchissimo sceicco, per indurre in tentazione con successo l allenatore della nazionale inglese. Non il massimo dell etica giornalistica, si direbbe. Eppure Andy Coulson, il direttore, obietta. «È vero, paghiamo per ottenere certi scoop, ma non sempre per realizzarli bastano i soldi. Il reporter che ha scoperto l infedeltà coniugale di Beckham ha lavorato tre mesi senza scrivere una riga, prima di fare centro. È vero, talvolta ce ne sbattiamo della privacy. Ma la famiglia reale, per fare un esempio, va trattata come tutti gli altri, e i coniugi Beckham, per farne un altro, usano il loro amore da fiaba come un prodotto di marketing, senonché è un prodotto fasullo ed è lecito smascherarlo. Inoltre esistono regolamenti e leggi contro la diffamazione: noi stiamo attenti a rispettarli, se qualcuno ritiene che li violiamo, ci denunci. È vero, infine, che storie di sesso e trappole per far parlare a ruota libera i vip sono tra i nostri ingredienti preferiti. Ma non sono gli unici. Conduciamo attive campagne contro il bullismo nelle scuole e contro la pedofilia. Pubblichiamo ogni settimana notizie in esclusiva, non la solita risciacquatura di piatti sporchi della giornata, come fanno i cosiddetti quotidiani di qualità. Quanto al nostro finto sceicco, Mazher Mahmood, con le sue trappole ha fatto sbattere più di centotrenta criminali in prigione. Insomma, non siamo perfetti, ma ci sono cose di cui possiamo essere orgogliosi. E non mi riferisco solo al giornale che dirigo, ma a tutti i tabloid, alla stampa popolare britannica, che fa per il suo pubblico più di qualsiasi altro giornale nel resto del mondo. Abbiamo con i lettori un legame che altrove non esiste. Siamo il cuore della società. Siamo giornali vivi e vivaci. Tutti questi sono buoni motivi per celebrare». Viene in mente, a proposito di celebrazioni, una delle ultime feste di compleanno di Coulson, quando a soffiare con lui sulle candeline, in un club di Londra, c erano tra gli altri Rebecca Wade, direttrice del Sun, e Piers Morgan, direttore del Mirror. Tre giovani direttori di tre tabloid, grandi amici nella vita, feroci rivali nel mestiere. Dopo la torta, Rebecca ricevette una telefonata e cominciò a scribacchiare freneticamente su un tovagliolo. Puntando lo sguardo, con un brivido, Morgan capì che quegli appunti contenevano lo scoop del giorno. Allungando una mano, mentre Rebecca si era momentaneamente distratta a parlare con Coulson, lui le fregò il tovagliolo. Ma all ultimo istante Rebecca se ne accorse e lo agguantò con la punta delle dita: nel silenzio improvviso della tavolata, rimasero lì a litigarselo uno con l altra, insultandosi. «Fare un grande scoop, su una grande storia, su un grande giornale», commenta Neville Thurlbeck, reporter veterano del News of the World, «diciamo la verità, non è quello che sognano tutti i giornalisti?». LA STORIA LA NASCITA Il primo è stato, nel 1843, il News of the World. Poi sono arrivati il Daily Mail (1896), il Daily Express (1900) e il Mirror (1903) IL FORMATO I giornali popolari adottarono appunto il formato tabloid, più piccolo rispetto a quello dei quotidiani di qualità GLI EDITORI All inizio erano gli aristocratici Northcliffe, Beaverbrook e Astor. Poi negli anni 80 sono arrivati Maxwell e Murdoch

15 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45 LE VENDITE I quotidiani nazionali negli anni 50 toccarono i 15 milioni di copie al giorno (25 la domenica). Oggi sono 12 milioni (13 la domenica) GLI SCOOP Tra gli obiettivi ci sono personaggi dello sport, dello spettacolo e della politica. Ma resta alta l attenzione sui membri della famiglia reale Lo sport crudele del tiro al potente Repubblica Nazionale 45 05/02/2006 JOHN LLOYD LONDRA La tradizione di far sembrare stupidi i ricchi e i potenti è viva nella maggior parte dei paesi, ma è particolarmente forte in Gran Bretagna. Ed è nei tabloid qualcosa di specificamente britannico che questo sport nazionale pare assumere la sua forma più avanzata. I tabloid britannici non possono essere pienamente compresi né apprezzati a meno di considerarli un genere tutto particolare di racconto morale. Essi decantano i piaceri dell uomo e della donna comune e tali piaceri includono il sesso. Così i tabloid riportano molte fotografie di belle donne pressoché nude e, meno di frequente, di gradevoli uomini quasi nudi. Il piacere più grande, però, è quello che con una parola tedesca può essere definito shadenfreude, il piacere che si prova per il male altrui. I tabloid giocano un match scaltro e incessante con i ricchi e i potenti della Gran Bretagna e del mondo intero: ne esaltano la ricchezza, la bellezza, il potere, l influenza e il fascino, e cercano di conseguenza di umiliarli. Talvolta tutto questo si verifica soltanto una volta, di solito perché le vittime un tempo fortunate non si riprendono più. In altri casi, invece, la vittima specialmente se è davvero ricca, potente o bella, e se ha un buon agente e un buon addetto alle pubbliche relazioni si riprende del tutto e sarà ancora una volta raffigurata come se tutto le andasse bene, per essere poi nuovamente presa di mira e demolita ancora una volta. Talvolta tutto questo si limita ad essere una semplice e sottile provocazione. Pochi giorni fa Brad Pitt, la stella del cinema, è arrivato a Londra accompagnato dalla moglie Angelina Jolie, che è incinta. Si è tinto di nero i capelli, di norma biondi, per la parte che deve interpretare in una nuova pellicola. Il Sun ne ha pubblicato la foto, accompagnata dal seguente titolo, contenente un giro di parole in slang: «Brad, that hairstyle is the pitts», ovvero all incirca «Brad, quella capigliatura è orribile». Sono poche le chance che Pitt se ne sia risentito: al contrario, potrebbe benissimo essere stato il suo assistente alle pubbliche relazioni ad avvertire i giornali con lo scopo di dare la massima pubblicità possibile al suo cliente e al suo nuovo film. Ma ecco un altro esempio, sempre recente, né leggero né tanto meno semplice punzecchiatura. Mark Oaten è membro del parlamento per il Partito democratico liberale, il terzo partito britannico per importanza, che ottiene circa il 20 per cento dei voti. Il leader di questo partito, Charles Kennedy, ha presentato le sue dimissioni dopo che è stato reso noto, questa volta dalla televisione e non ad opera dei tabloid, che è un ubriacone. Oaten, insieme ad altri tre, si era fatto avanti candidandosi a nuovo presidente del partito. Poi, poche settimane dopo, News of the World ha rivelato che egli ha frequentato in parecchie occasioni un prostituto omosessuale, pagandolo per fare cose che il giornale ha definito essere «troppo disgustose per venir pubblicate in un giornale destinato alle famiglie». Oaten si è immediatamente ritirato dalla corsa alla successione a Kennedy. Alcuni giorni dopo, un altro aspirante ancora alla leadership del partito, Simon Hughes, ha concesso un intervista nella quale ha rivelato di aver avuto rapporti omosessuali (oltre che eterosessuali). Si è subito ipotizzato che egli abbia fatto tale dichiarazione per evitare che questa notizia fosse svelata dai tabloid, o perché gli era giunta notizia che un tabloid aveva scoperto la sua vita sessuale segreta, oppure perché ha creduto che potesse presto arrivarci. Il caso dei Democratici liberali è un chiaro esempio del potere che detengono i tabloid britannici. Anche se la rivelazione che Kennedy ha «un problema con l alcol» è stata fatta dalla televisione, i tabloid già da molto tempo cercavano di pubblicare la notizia e vi avevano fatto allusione svariate volte. Le ambizioni di Oaten nei riguardi della posizione di leader forse la sua intera carriera politica sono state del tutto compromesse da quanto è stato rivelato: probabilmente Hughes è stato costretto a fare le sue imbarazzanti ammissioni nel timore che gli potesse accadere la stessa cosa. E così i tabloid hanno giocato un ruolo di tutto rilievo nelle fortune quanto meno nel breve periodo di una forza politica britannica di primo piano, e lo hanno fatto unicamente in termini che niente hanno a che vedere con la politica. Ciò che è stato messo in questione nelle storie che sono state pubblicate o che si è minacciato di pubblicare su Kennedy, Oaten e Hughes non aveva niente a che vedere con le loro opinioni politiche, la loro politica o la loro performance. Riguardava solo ed esclusivamente la loro vita privata. In nessun altro paese di primo piano la natura della vita privata è altrettanto pubblica quanto lo è in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti gli standard giornalistici sono tali che soltanto le riviste scandalistiche come il National Inquirer pubblicherebbero mai rivelazioni sulla vita sessuale di qualcuno a meno che i dettagli intimi della vicenda non siano resi pubblici allo scopo di influenzare in qualche modo l opinione pubblica, come avvenne per la relazione tra il presidente Bill Clinton e Monica Lewinsky. Ovviamente, c è molta ipocrisia in merito a ciò che può essere considerato «l atteggiamento dell opinione pubblica». In Francia l ordinamento giuridico limita fortemente ciò che può essere detto della vita privata dei personaggi pubblici tanto che per esempio non si è mai data notizia dell esistenza di una figlia illegittima del presidente François Mitterand, notizia rivelata soltanto alla sua morte. In Italia, come in America, la vita sessuale dei personaggi pubblici è esibita e discussa nelle riviste scandalistiche, mai tuttavia nei quotidiani seri. In Germania, anche se il tabloid Bild gioca spesso a dare scandalo, non si riuscirà mai ad eguagliare l incredibile determinazione dei tabloid britannici, specialmente del Sun di proprietà di Rupert Murdoch e della sua edizione domenicale, il News of the World. Questi giornali, insieme ai loro contendenti, il Dailye il Sunday Mirror, fungono quasi da strumento moralizzatore dei personaggi pubblici britannici, raccogliendo assiduamente allusioni, voci e scandali su chiunque partecipi alla vita pubblica, da utilizzare poi non appena tutte le dicerie possono essere confermate (e talvolta anche quando non possono esserlo). L epoca d oro per i tabloid è stata la lunga fase di rottura del matrimonio tra il principe Carlo e la principessa Diana. Si è trattato di un epoca d oro perché Diana era bella, famosa in tutto il mondo e dava scandalo incessantemente. Inoltre la famiglia reale non ha mai intentato causa ai tabloid, rifiutandosi sia di confermare sia di smentire le varie storie, una strategia teoricamente concepita a propria salvaguardia, ma che di fatto ha consentito ai giornali di scrivere tutto quello che volevano, senza timore di finire un giorno in tribunale. Diana ha reso famosi i tabloid britannici, ne ha aumentato la tiratura e la diffusione, ha reso milionari alcuni scrittori specializzati sulla famiglia reale e ha umiliato la famiglia reale britannica. Dopo di allora niente ha funzionato altrettanto bene per i tabloid, e ciò nonostante essi hanno fatto del loro meglio. L ultima grossa storia pubblicata ancora una volta dal News of the World su Sven Goran Eriksson, l allenatore della nazionale di calcio inglese, secondo gli standard dei tabloid è sicuramente buona. Mazher Mahmood un uomo che deve la propria pessima fama alle sue rivelazioni e che è talmente odiato da alcuni di coloro che ha messo allo scoperto da aver bisogno di guardie del corpo private 24 ore su 24 scrive per il giornale Investigations Editore si è camuffato da ricco sceicco di Dubai per avvicinare Eriksson. Gli ha detto di essere interessato ad assumerlo a una cifra esorbitante per fargli allenare la squadra di calcio del suo Paese. Eriksson si è dimostrato più che disposto a parlare: si è portato appresso il suo agente e il suo avvocato e nel corso di lunghe ore di conversazione con lo sceicco, ha tradito segreti, ha svelato pettegolezzi su famosi giocatori, ha suggerito allo sceicco di comperarsi tutta la squadra dell Aston Villa che gioca in serie A e di nominarlo presidente, concludendo con la rivelazione che tre squadre in vetta alla classifica sono corrotte. L episodio si è concluso come di prammatica: con la vittoria del giornale. Eriksson dovrà lasciare il proprio posto di allenatore in anticipo sulla scadenza prevista. Nel corso di una breve intervista che ha rilasciato, ha accusato i tabloid di avergli reso la vita impossibile. News of the World ha pubblicato quanto emerso dalla sua indagine durata sei mesi in due puntate distinte, entrambe su più pagine. Eriksson esce da tutta questa storia come uno sciocco, il meglio che si possa dire, e comunque, al peggio, pronto a tradire i datori di lavoro e i suoi giocatori. Le vittime di questo tipo di rivelazioni appaiono sempre in cattiva luce, perché sono inchiodate nel pieno della loro lussuria, della loro cupidigia o della loro arroganza. In altre parole, sono colte in atteggiamenti umani, e per questi punite. Nel grande gioco crudele che giocano col mondo i tabloid britannici, i famosi, i ricchi e i potenti oltre a tutti coloro che bramano diventarlo sono braccati, acciuffati e messi alla berlina, dopo essere stati pubblicamente torturati. Il governo ha messo al bando la caccia con i cani, giudicata uno sport crudele, ma non ha il coraggio di fare altrettanto con i tabloid, che praticano lo sport più crudele in assoluto. (Traduzione di Anna Bissanti)

16 46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 Esce il 18 febbraio nelle sale Truman Capote: A sangue freddo, la pellicola - diretta da Bennett Miller - che racconta i cinque anni della tormentata avventura cronistico-letteraria dello scrittore conclusasi con la pubblicazione del suo libro più vero. Cinque anni di processi per gli assassini di una famiglia di agiati agricoltori, cinque anni di ansia creativa che cambiarono la sua vita Truman Capote NATALIA ASPESI Come sembrano lontani i tempi di gloria di Truman Capote (mi hanno avvertito che si pronuncia Capòdi), e non solo perché negli anni Sessanta uno scrittore poteva diventare una star ricca e popolare (nella cafè society ma anche tra i camionisti), quanto oggi un ignoto dell Isola dei Famosi, ma perché pareva giusto che qualcuno dedicasse cinque anni a un reportage, a un inchiesta, quando adesso cinque ore sembrano già uno spreco. Certo il giornalismo attraversava il suo periodo aureo, e negli Stati Uniti Tom Wolfe e Norman Mailer trascinavano i lettori nei labirinti affascinanti del New Journalism, mentre il minuscolo, mondano, inquieto, infelice Capote inventava con A sangue freddo la non-fiction novel, il romanzo verità, il giornalismo costruito con le tecniche del racconto, la cronaca attentamente documentata ma reinventata dalla scrittura letteraria. Capote è morto più di vent anni fa, il 25 agosto 1984, un mese prima di compiere sessant anni, nella casa di un amica a Los Angeles, distrutto dall alcol, dalle droghe, dall infelicità; al suo biografo Gerard Clarke aveva detto: «Nessuno saprà quanto A sangue freddo mi sia costato. Mi ha scarnificato sino al midollo delle ossa. Mi ha quasi ucciso. Credo che in un certo senso mi abbia ucciso davvero. Prima di cominciarlo ero una persona stabile, almeno relativamente. Dopo mi è accaduto qualcosa. Non posso dimenticare, particolarmente l impiccagione, alla fine. Orribile!». Di quei cinque anni di attesa snervante, di quella fatica, di quello strazio, racconta il film Capote, diretto da Bennett Miller, che esce in Italia il 18 febbraio con un titolo più esplicativo, Truman Capote: A sangue freddo. E contemporaneamente l editore Frassinelli ripubblica la ricca biografia di Clarke, cui il film si ispira, che è del È stata una scelta cinematografica temeraria, da parte del regista e dello sceneggiatore Dan Futterman, quella di limitare la storia al tempo della stesura di un libro con i tormenti del caso, che di solito risultano noiosissimi e prevedibili con l autore che si prende la testa tra le mani, cammina in su e in giù e strappa dalla macchina da scrivere i fogli, li appallottola e li getta nel cestino (il dramma creativo con computer non è stato ancora artisticamente affrontato). Invece i risultati sono affascinanti, emozionanti e la critica americana ha osannato il film per l austera bellezza, la grazia poetica, la profondità etica, e quei colori foschi, quasi in bianco e nero, come era il bel film che nel 1967 Richard Brooks trasse da A sangue freddo. La N. Y. Review of Books ha definito «meravigliosa» l interpretazione del protagonista Philip Seymour Hoffman, finora grandissimo caratterista in ruoli sciagurati, come in Happiness, Il grande Lebowsky, Magnolia. Ha vinto il Golden Globe come miglior attore, è candidato all Oscar, come lo sono il film, il regista, lo sceneggiatore e l attrice non protagonista Katherine Keeler, (l amica Nelle). Truman Capote aveva 35 anni quando lesse sul New York Times un trafiletto che raccontava di un orribile delitto avvenuto a Holcomb, una cittadina del Kansas: un intera famiglia di agiati agricoltori, i Clutter, padre, madre, due figli adolescenti, erano stati brutalmente assassinati in casa loro, forse per rapina. Era il 16 novembre 1959 e lo scrittore, dopo il successo di Colazione da Tiffany, era ormai una celebrità: era «piccolo, gonfio, smorto, con questa voluminosa testa da feto imbarazzante, (tante volte descritta anche con malanimo), e quella vocetta agra che passava dall aggressivo al perentorio secondo l ambiente sociale», come lo descrive Alberto Arbasino nella raccolta mondadoriana di romanzi e racconti di Capote. Viaggiava ovunque, Miserie e gloria di un mito da film Prima di cominciare questo libro ero una persona stabile almeno relativamente specie in Italia, era circondato dalle più belle donne della società mondana, che lui chiamava «i miei cigni» e con cui divideva la gioia del pettegolezzo, era ricevuto dai Kennedy alla Casa Bianca, dai Guinness, dagli Agnelli, dai Paley, pranzava da Cecil Beaton, a Londra, con la regina madre o la principessa Margaret «molto noiosa». Viveva con un suo compagno vecchiotto e snobbato dalla Beautiful People, lo scrittore e ballerino Jack Dunphy. Capote partì per il Kansas con un amica d infanzia, Nelle Harper Lee, che avrebbe vinto il premio Pulitzer con il romanzo e poi film Il buio oltre la siepe, e l idea era di scrivere un articolo per il New Yorker sulle reazioni di una piccola comunità colpita da un delitto così atroce. Gli assassini furono identificati e catturati alla fine di dicembre, ed erano due giovani ex carcerati, il biondo Dick Hickock dal viso sfigurato da un incidente d auto, e il bruno Perry Smith dalle gambe deformate da una qua- IL RITRATTO Truman Capote visto da Tullio Pericoli. Sopra, una foto dello scrittore in Urss nel 1955

17 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47 L ALBUM DI FAMIGLIA In alto a sinistra, Lillie Mae, madre dello scrittore; accanto, Truman Capote con il padre nel 1932 Qui a fianco con Myrtle Bennett, sua governante e amica a Palm Springs Le foto di queste pagine sono tratte dal libro Truman Capote: A sangue freddo di Gerald Clarke, edito da Frassinelli, pagine 485, 18 euro si mortale caduta dalla moto. Il processo iniziò il 22 marzo 1960, il 29 si concluse con la condanna a morte, l esecuzione fu fissata per il 13 maggio. Il film dedica poche scene a quei cinque mesi di cronaca, cinque mesi che passarono veloci anche nella vita di Capote, che se ne era andato con Jack in Spagna sulla Costa Brava. La sua personale tragedia cominciò subito dopo, con la prima sospensione della sentenza: «Scrivere il libro non è stato difficile, quanto viverci sempre. Tutta la dannata faccenda, un giorno dopo l altro. È stato semplicemente straziante, tanto angosciante, debilitante, e triste». Il film si snoda nel crescere di questa ansia, di questa disperazione, ad ogni sospensione della sentenza, anno dopo anno, appunto per cinque anni: sino alle prime ore del 14 aprile del 1965, quando nel penitenziario di Lansing, prima Dick, poi Perry, lui presente, furono impiccati. Finalmente, con quelle quattro gambe penzolanti sopra la botola, A sangue freddo, poteva concludersi ed essere pubblicato, e diventare, come l autore prevedeva e pretendeva, il best seller che l avrebbe reso ancora più famoso e ricco. Finalmente? Come raccontano sia la biografia che il film, in quei lunghi anni di nevrotica attesa, lo scrittore era andato a visitare i due condannati, rinchiusi in celle separate nel raggio della morte: aveva trovato loro nuovi avvocati, mandato regali, scambiato lettere, soprattutto aveva cercato di farli parlare, con una certa spietata dolcezza, a sangue freddo, per il suo libro ancora incompiuto. In qualche modo gli sembrava di specchiarsi in Perry. Racconta Clarke: «La statura bassa era solo una delle molte analogie sconvolgenti. Entrambi avevano avuto la madre alcolizzata, il padre assente e le famiglie d adozione. Perry era stato bersaglio di scherno perché era mezzo indiano e bagnava il letto, Truman era stato preso in giro perché Tra film, inediti e nuove edizioni dei suoi romanzi Il ritorno del genio trasgressivo AMBRA SOMASCHINI Quello che negli Stati Uniti è stato battezzato il secondo Truman Show, in Italia comincia la settimana prossima e durerà fino a Natale. Due film, due libri, reading, incontri, moda, effervescenza sul web. Il ritorno repentino di Truman Capote è un business mediatico e modaiolo perché è un ritorno giocato sulla seduzione. Dalla montatura nera degli occhiali Persol al papillon in stile Giacomo Balla rivisitato da Biagiotti, ai pantaloni morbidi di Armani. «Capote ha rappresentato qualcosa di molto più grande rispetto a ciò che è stato realmente» sottolinea Bennett Miller, regista di Capote. Si parte dalla ricostruzione della sua vita. E si parte il 10 febbraio con la presentazione di Truman Capote: A sangue freddo biografia scritta da Gerald Clarke per Carrol & Graf (da noi Frassinelli). Il libro verrà distribuito alle anteprime del film omonimo (Sony) in sala dal 18 febbraio con un Philip Seymour Hoffman che si è «mimetizzato, identificato con l autore» sostiene il critico del New York Times. «Se the Genius ieri scandalizzava, oggi non scandalizza più osserva Anna Pastore, editor Frassinelli è la sua vita trasgressiva, la sua ostentata omosessualità a legare stretto il mondo dei Sessanta con quello del 2006». I lettori appassionati invece potranno ritrovare lo scrittore nelle riedizioni Garzanti di A sangue freddo e Musica per camaleonti, in attesa di Summer Crossing, l inedito che andrà in libreria a fine aprile. Il testo che l autore avrebbe voluto distruggere è stato stampato un anno fa dalla Random House. «Il manoscritto è stato ritrovato tra i documenti conservati in un box e messi in vendita da Sotheby s nel 2004 da una parente della governante dello scrittore», ha spiegato l editor Usa Gina Centrello. La storia di una ragazza ricca con un fidanzato povero nel dopoguerra a New York. Garzanti ha già organizzato la distribuzione delle prime 50mila copie nelle librerie. Il secondo film, negli Usa dal prossimo novembre, uscirà da noi a Natale: Have you heard con Gwyneth Paltrow nei panni della cantante Peggy Lee e Toby Jones in quelli di Capote. Poco prima della uscita della pellicola comparirà nelle librerie un volume di lettere dello scrittore edito da Archinto. «È la forza della scrittura a riagganciare lo spirito di Capote al mondo attuale afferma Oliviero Ponte di Pino, editor Garzanti perché il suo modo di mescolare realtà e narrativa ha cambiato la letteratura per sempre». effeminato». «Era come se», dice lo scrittore nel film, «fossimo nati nella stessa casa e io fossi uscito dalla porta principale, e lui da quella di servizio». Eppure quei due assassini dovevano morire, per soddisfare le sue ambizioni letterarie: senza la loro morte, «la morte dolorosa di due uomini che aveva aiutato, consigliato, il libro non poteva uscire». Il dilemma era insolubile ma quando la Corte suprema respinse l ultimo appello dei condannati, gelidamente, crudelmente Capote scrisse a un amica. «Sono rimasto deluso tante volte che oso a stento sperare. Ma incrocia le dita». Il film dai lunghi silenzi si addentra lentamente nei comportamenti e nei pensieri di Capote per esplorare un profondo quesito morale e letterario: che non riguarda la liceità della pena di morte (lo scrittore era contrario, ma non lo fu in questo caso), ma sino a dove può spingersi il rapporto tra lo scrittore e il suo soggetto. Nel caso di Capote, sino all estrema crudeltà che lo accomuna agli assassini, di volere a tutti i costi la loro morte e di negarsi sino all ultimo momento, per poi assistere all esecuzione. «Non c è niente che avrei potuto fare per salvarli», dice alla fine, piangendo, lo scrittore. E Nellie gli risponde: «Forse no, ma la verità è che non hai voluto». Nel 1966, quando il libro fu pubblicato, Capote era ormai invecchiato, ingrassato, alcolizzato, e non riuscì più a completare un libro. Sognava di diventare il Proust americano, ma quella che avrebbe dovuto diventare la sua Recherche, Preghiere esaudite, si arenò a qualche capitolo. Quello intitolato La Cote basque (un celebre ristorante di New York) fu pubblicato nel novembre del 1975 su Esquire, e fu l inizio della sua rovinosa caduta. Raccontava con lo stile di una tragedia tutti i pettegolezzi più sordidi del bel mondo che lo aveva accolto e viziato, corna, uxoricidi, alcolismi, ricatti, volgarità, gaffe, brutture: con nomi fittizi ma perfettamente riconoscibili. Fu uno scandalo amaro e subito il piccolo adulato genio eccentrico nell aspetto e nei modi divenne un reietto, un «sudicio rospetto». La rivista New York pubblicò in copertina una vignetta che rappresentava un barboncino francese con la facciotta rotonda e gli occhiali di Capote che azzanna gli invitati di una festa con la scritta «Capote morde le mani che l hanno nutrito». Tutte le porte delle grandi magioni, anche di quelle italiane dove era sempre stato molto invitato, gli furono sbattute in faccia, pure il suo grande amico Cecil Beaton lo radiò. Ann Woodward, a cui nel racconto, col nome di Ann Hopkins, viene attribuito l assassinio del marito, si suicidò con i barbiturici. In Musica per camaleonti, uno dei personaggi, TC, grida. «Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono un omosessuale. Sono un genio». In fondo, quei ricchi che lo abbandonavano, che un tempo gli avevano suscitato soggezione e invidia, lui li aveva sempre disprezzati. Qualcuno tentò di dissuaderlo a pubblicare un testo che avrebbe indignato gente amica e lui rispose: «No, sono troppo stupidi, non capiranno chi sono».

18 48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 i sapori In cucina Da protagonista delle merende di una volta, in versione dolce o salata con aggiunta di zucchero o acciughe, a vittima predestinata dei regimi dietetici. Così oggi il primo derivato del latte ha perso il suo appeal e la sua genuinità Riscoprirlo si può ma bisogna soprattutto imparare a distinguerne compattezza e qualità Burro L alterna fortuna del più antico partner del pane LE TIPOLOGIE Alimentare È il grasso in panetti ottenuto separando con la centrifuga (o per affioramento) parte solida e liquida sia della crema sia del siero di latte vaccino. La legge autorizza entrambe le modalità, senza che sia presente alcuna differenza in etichetta Aromatizzato Viene lavorato con aglio, erbe, spezie. I più celebri hanno nomi francesi, simbolo di una cucina storicamente declinata su burro e salse: Marchand de Vin, Bercy, Maitre d Hotel Sono impiegati per ammorbidire e insaporire le carni alla griglia Di capra È quasi sempre una produzione a latte crudo (la sterilizzazione uht dà un sapore forte). Bianco per l assenza di beta-carotene delicato, meno grasso di quello vaccino e più digeribile, viene utilizzato anche nei casi di intolleranza ai latticini Di panna cruda Prodotto tra primavera e inizio autunno nei pascoli alpini con dicitura obbligatoria in etichetta è ricchissimo di vitamine liposolubili e di beta-carotene Si prepara lavorando la panna fresca di giornata nella zangola (botticella di legno d abete) Salato Diffuso nel Nord Europa, viene prodotto in due versioni: semisalato (demi-sel, tra 0.5 e 3 grammi per etto) e salato (salé, più di 3 grammi per etto) Il più pregiato, a latte crudo, arriva dalla Normandia ed è lavorato con fleur de sel, la prima raccolta del sale LICIA GRANELLO Il grasso della discordia. La coda dell inverno ci fa ancora rabbrividire. Voglia di cibi che scaldino cuore e palato. Il comfort food il cibo dell infanzia, morbido, conosciuto è figlio del grande freddo. E il burro è in cima alla lista. Malgrado l olio, di semi o extravergine poco importa, abbia cento calorie abbondanti in più per etto, il burro ci sembra più grasso (e ingrassante), più legato alla cucina dei mesi a bassa temperatura. Questione di sensazioni, ricordi, dna gastronomico, se è vero che intere generazioni sono cresciute, tra la fine degli anni Cinquanta e l inizio dell era delle merendine, con il medesimo menù: pane e burro a colazione, pane e burro a merenda. Senza fatica, senza allergie, con il solo problema di trovare il giusto compagno di tanta bontà: zucchero, cacao, marmellata. Dita allegramente sporche e palato gongolante. Allora, non c era distinzione di stagioni. Pane e burro sempre, estate e inverno. Oggi lo misuriamo col bilancino del farmacista, perseguitati dall incubo delle placche di grasso (arteriosclerosi), dannazione della nostra quotidianità alimentare. Eppure, anche il burro può vantare una sua dignità nutrizionale. Favorisce la crescita e lo sviluppo grazie all azione della vitamina A, musa protettrice delle mucose (e quindi nemica delle infezioni). Aiuta la calcificazione con la vitamina D, recentemente promossa anche come antitumorale. In più, gli acidi grassi a catena corta anche se fanno parte di grassi prevalentemente saturi sono facilmente digeribili anche dai bambini. E negli Usa stanno sperimentando una sostanza caratteristica del burro, il cetilmiristoleato, nelle terapie di artrite e artrosi. Certo, va preso a piccole dosi. E soprattutto, per fare bene deve essere buono. Come se fosse facile Il guaio del burro italiano è figlio di una legge che lo considera un coprodotto (meglio, sottoprodotto) del formaggio e autorizza la lavorazione sia a partire da crema di latte, sia da siero (residuo della lavorazione del formaggio) senza l obbligo di specificarlo in etichetta. Così, quando andiamo a comprarlo, nessuno può garantirci la materia prima: panna, siero, un misto dei due? Il colore sarà naturale il betacarotene dei fiori o addizionato? E che panna: esausta dopo la caseificazione non nella percentuale di grasso, sopra l 80 per cento obbligatorio per legge, ma nella qualità o intatta? Come se non bastasse, veniamo fuorviati dall opzione burro di qualità, che identifica semplicemente il burro da affioramento metodo di lavorazione abituale nelle aziende produttrici di Grana Padano e Parmigiano Reggiano non certo un valore aggiunto in tema di bontà. Abbiamo imparato a difenderci da cascine, vallate fiorite e secchi di legno artistico, variamente disegnati sulle confezioni, mentre sono una buona garanzia di qualità le definizioni a latte crudo (in Veneto), di montagna (Lombardia e Piemonte), di affioramento (Val d Aosta). Ma soprattutto, il burro buono si fa riconoscere dal vivo. Va toccato, prendendone un cubetto tra pollice e indice. Dev essere consistente ma non colloso. L aspetto è uniforme, compatto, lucido, il colore paglierino più o meno carico (a seconda della stagione), l odore fragrante, il profumo di erba e panna fresca spiccato. In bocca è cremoso, denso, persistente. Cotto, dopo chiarificazione, regala un sentore delicato di nocciola alla più golosa delle cotolette. Aggiunto, dopo acidificazione, al risotto, dà un impagabile freschezza aromatica Se non vi sentite troppo datati, tagliate una fetta di buon pane e spalmatelo di burro. I più arditi, ci appoggino sopra un acciuga sott olio. La regressione all infanzia sarà felicemente perfetta.

19 DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49 itinerari Carlo Fiori Guffanti, ex ricercatore della Bocconi convertito sulla via del formaggio d alpeggio È uno dei più colti e prestigiosi affinatori italiani e membro della giuria del premio Caseus, che promuove la cultura casearia di chef e ristoratori Isigny sur mer (Francia) Una delle prime cittadine liberate nel giugno 1944 nel cuore della Normandia, regione benedetta per le produzioni enogastronomiche, dal Camembert al Calvados. La cooperativa locale produce tre tipi di burro, tra i più buoni del mondo DOVE DORMIRE DE FRANCE 13 rue Demagny Tel Camera doppia da 60 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE FLEUR DE THYM Le Calvaire, St. Pierre de Semilly Tel Chiuso sabato a pranzo, domenica sera e lunedì DOVE COMPRARE COOPERATIVE LAITIERE ISIGNY-SAINTE MERE 2 rue du Docteur Boutrois tel Dogliani (Cn) È uno dei centri più suggestivi delle Langhe, diviso tra il Borgo a fondovalle e il Castello di estrazione medioevale. A pochi chilometri, Beppino Occelli produce burro e formaggi d alpeggio. Durante i mesi caldi,il burro è fatto con panna cruda DOVE DORMIRE AGRITURISMO CASCINA MARTINA Località Martina III n.12 Tel DOVE MANGIARE IL VERSO DEL GHIOTTONE Via Demagistris 5 Tel Chiuso lunedì e martedì, menù da 30 euro DOVE COMPRARE OCCELLI AGRINATURA Regione Scarrone 2 Farigliano Tel Morbegno (So) La porta della Valtellina, celebre fin dal Medioevo come centro turistico e termale, è circondata da montagne e pascoli. L Azienda Fiorida produce formaggi di mucca, capra e burro d alpeggio, tutti certificati biologici DOVE DORMIRE HOTEL MARGNA Via Margna 36 Tel Camera doppia da 60 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE OSTERIA DEL CROTTO Via Pedemontana 22 Tel Chiuso domenica, menù da 20 euro DOVE COMPRARE LA FIORIDA BIONATURA VALTELLINA Via Lungo Adda, Mantello Tel BURRO CHIARIFICATO È il modo più sano per la cottura perché aumenta la resistenza al calore. Da un kg di burro si ottengono 650 gr di burro chiarificato ma la quantità d uso richiesta si dimezza Mettere il burro in un tegame a bagnomaria in acqua appena sotto il punto di bollitura Cuocere per un ora, fin quando sarà evaporata l acqua emulsionata nel burro e la caseina sarà precipitata in forma solida Filtrare con una garza bagnata Riporre in un vaso scuro in frigorifero BURRO ACIDO Il segreto più goloso per mantecare il risotto. Si utilizza a fine cottura, aggiungendo un cubetto ghiacciato per porzione e fuori dal fuoco insieme al Parmigiano, montando il risotto con la frusta Far sudare una cipolla, due grani di pepe,due chiodi di garofano, alloro e un cucchiaio di burro Sfumare con 40 cl di aceto bianco di vino e far bollire fino a ridurre a metà Aggiungere 60 cl di vino bianco e ridurre a 2/3 Aggiungere 1 kg di burro e cuocere a fiamma bassa per un quarto d ora Le tonnellate di burro prodotte in Italia 758 Le calorie per etto di burro 25I litri di latte necessari per fare un chilo di burro LA MARGARINA Promossa e venduta come alternativa vegetale e dietetica al burro, in realtà contiene esattamente lo stesso carico calorico Negli ultimi anni, il processo di lavorazione (idrogenazione parziale) è finito sotto accusa perché i grassi idrogenati bloccano l eliminazione dell eccesso di colesterolo, inducendo pesanti patologie cardiovascolari GLI IRRINUNCIABILI Malgrado negli ultimi anni la cucina italiana si sia emancipata dalle influenze della tradizione gourmande francese, privilegiando l uso dell extravergine, esistono piatti per cui la scelta del burro resta irrinunciabile. A cominciare dalle ricette del nord Italia, dove il burro è maestro: i tagliolini piemontesi (tajarin) al tartufo, il risotto, la cotoletta alla milanese (cotta nel burro chiarificato), la polenta concia, gli asparagi alla parmigiana. Burro d obbligo anche per le paste-base della pasticceria sfoglia, frolla, brisée e per la regina delle salse: la besciamella due enormi filoni di pane Finalmente Gandalf spinse via piatto e boccale aveva mangiato con una montagna di burro, miele e mascarpone, e bevuto almeno un litro di idromele e tirò fuori la pipa JRR TOLKIEN DA IL SIGNORE DEGLI ANELLI Da dietro pile di piatti in tragitto, o di bacinelle di maionese, o cataste d asparagi da cui sbrodolava giù burro sciolto sul lucido; perseguiti poi tutti, tutt a un tratto, da improvvise trombe marine di risotti, verso la proda salvatrice CARLO EMILIO GADDA DA LA COGNIZIONE DEL DOLORE E il formaggio di bue sfidò l olio CORRADO BARBERIS B urro: dal greco bou-tyros, formaggio di bue o, per rispettare sesso e natura, di vacca. Di qui una conclusione gastronomica: se è un formaggio, è da spalmare sul pane. Fu nel darsi alla fabbricazione di panini al burro che i tumultuosi galli cisalpini si rassegnarono al predominio romano. Fu nel vederla imburrare una fetta che il giovane Werter si innamorò di Carlotta. È dal burro di brussa, ossia di siero anziché di panna, che gli alpigiani valdostani ricavano di che impastare fragranti biscotti: quasi un bel muretto di pasta per contenere i marosi di quegli intimi sapori. Ed è da pane, infine, il burro giallo e sapido che Luciano Castellani, storico leader della razza reggiana dal mantello formentino, ha da qualche tempo affiancato all ormai celebre parmigiano delle vacche rosse. Innovazione tira novità. Quale condimento il formaggio di bue non sempre ha avuto la vita facile. La gastronomia mediterranea era all olio. Plutarco elogia l eroismo di Cesare che mangiò senza batter ciglio gli asparagi al burro offertigli da un capo gallo. Sulle aquile di Roma l olio risalì al nord, poi subentrò la Chiesa. Un cibo grasso come il burro era da non tollerare in Quaresima: buono comunque per lucrarne indulgenze, assai frequenti al tempo di Lutero, indignato anche perché le importazioni di olio mettevano in pericolo le finanze degli stati nordici. Ai protestanti il burro, ai cattolici l olio? Sia pure, ma senza dimenticare che è stata la cattolicissima Irlanda a marchiare per la prima volta i barili di burro esportato da Cork, anticipando in pieno Settecento le attuali Dop europee. Probabilmente la pessima qualità dell olio esportato decretò il successo nordico del burro. Nel manuale francese Taillevent (1380) solo due ricette lo prevedono. Esso dilaga invece nell Opera di Bartolomeo Sacchi, cuoco di Pio V (1570). Di incerta origine bolognese, ma sicuramente padano, Sacchi risentiva di usi alimentari che fino a non molti anni fa hanno diviso in due l Italia gastronomica: burro al nord, olio al sud. Anche qui senza esagerare, però. In una Pasqua degli anni Trenta (dell Ottocento, ovviamente) Gioacchino Belli indugia a rimirare le vetrine dei pizzicagnoli romani attorno a Piazza della Rotonda, oggi Pantheon. In una appare «un Cristo e una Madonna di butirro/drent a una bella grotta di salame». C è sempre chi non ha badato a spese per solennizzare le feste. Con qualche iperbole, l unità d Italia fu una vittoria del burro sull olio e del burro settentrionale su quello meridionale, costretto talora a nascondersi nel cavo di quei meravigliosi formaggetti di pasta filata detti appunto burrini. A Catania e Siracusa il burro lombardo batteva un prezzo assai più alto, rispetto al locale. Tanto può la fama. Col miracolo economico il consumo raddoppiò, fino a due chili e mezzo pro capite, poi venne la paura del colesterolo. Ciò non toglie che chi, a Parma, ordina i famosi tortelli con le erbette, rimanga male se il burro in cui questi nuotano non ha il volume di un brodo. L autore è presidente dell Istituto nazionale di sociologia rurale

20 50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 FEBBRAIO 2006 AURELIO MAGISTÀ La rivoluzione arriva in salotto: il ricco e il povero abitano insieme, quasi una nuova frontiera della democrazia attraverso le cose. Perché se un tempo gli oggetti costosi, lussuosi, difficili da trovare erano destinati ai pochi in cima alla piramide del benessere, oggi il ribaltone è compiuto. Cose ricche e cose povere si trovano addosso alla stessa persona o nella stessa casa, dove ricco e povero non descrivono tanto la qualità materiale, ma il prezzo delle cose. Non si tratta di una moda, ma di un profondo cambiamento delle abitudini e dei comportamenti di consumo, che apparentemente racconta la conquista di un benessere più generale e diffuso, ma nasconde molto di più. Infatti, malgrado l innegabile estensione del benessere, la crisi degli ultimi anni semmai, penalizzando il ceto medio, ha di nuovo distanziato i veri ricchi da tutti gli altri. Quindi, esibire un arredo costoso in un contesto domestico relativamente poco costoso, potrebbe essere interpretato come il bisogno di riscattare la complessiva modestia con un dettaglio di lusso. Ma la disinvoltura con cui si combinano Ikea e Lalique, per citare due esempi separati da un abisso in termini di prezzo, sottolinea la decadenza della funzione sociale dei marchi: non compro più Gucci perché rafforza il mio status o dimostra la mia appartenenza a una determinata classe, ma perché mi piace. E ancor più: coniugando con indifferenza il ricco e il povero esprimo una personalità forte e poco influenzabile, riaffermo me stesso contro le convenzioni sociali. È il melting pot dei beni di consumo, inscritto nell epoca in cui sono entrate in vigore le nuove regole di una globalizzazione che ha significato incrocio e meticciato culturale anle tendenze Case moderne Oggetti lussuosi e pezzi design accostati a mobili acquistati dal rigattiere, una sola lampada esclusiva al fianco di un divanetto in plastica: la rivoluzione tra le mura domestiche si compie nella scelta del particolare, un indizio di stile che vince su tutto Dettagli DI DESIGN CLASSICO Linee geometriche per la poltroncina Wassily disegnata nel 1925 da Marcel Breuer FATTO A MANO Si chiama Chambord, è il tappeto in pura lana vergine con lavorazione a mano, con contrasto cromatico e motivi floreali. Dalla collezione Aleph di Driade Repubblica Nazionale 50 05/02/2006 VARIAZIONI SUL TEMA Semplice vetro o cristallo, l effetto prezioso resta immutato. Vetro per il vaso rosso (a destra) battezzato Lifting e prodotto da Ivat; cristallo sfumato per quello giallo (qui sopra) della collezione Curios di Lalique

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