IL VIAGGIO DI VIGGIO PIETRO VIGGIANI

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1 1. La Notizia 10 luglio 2003 Viggio, sei stato assegnato a un progetto in Medio Oriente, Emirati Arabi se non sbaglio. La scioccante comunicazione del capo in una torrida sera dell estate milanese. Otto di sera, si stava per concludere un altra pallosissima giornata di lavoro. Il fine settimana alle porte, pronto a volare a Londra per seguire un corso di formazione. Ormai da mesi la noia aveva preso il sopravvento. Il lavoro non era più capace di fornirmi gli stimoli degli anni precedenti. Pressante l esigenza di cambiare progetto, aria, città: una vera e propria anima in pena. Con l avvicinarsi dell estate e delle vacanze d agosto, già organizzate, vivevo in attesa di settembre, per poi lanciarmi nel cambiamento. Non serviva aspettare tanto, il nuovo progetto richiedeva disponibilità immediata; una comunicazione suonata più come un aut aut che come un ti piacerebbe andare? Ti chiamerà a breve il manager assegnato al progetto, mi liquidò in breve il mio capo. In attesa della chiamata, la mente iniziò a viaggiare ingarbugliandosi tra mille riflessioni: Ma ndò vai, lì ci stanno i talebani, so tutti musulmani impazziti, come reagirà mia madre che, anziché vedere il figlio riavvicinarsi a Roma, lo vede allontanarsi sempre di più verso mete sconosciute e rischiose? 7

2 Già la vedevo barcollare davanti a tale notizia, come quando mi vide illo tempore rientrare a casa con un nuovo look (testa rasata a zero) reso necessario dalla precoce caduta di capelli! La telefonata non si fece attendere troppo, dieci minuti e: Ciao Viggio, sono Corrado il tuo nuovo manager... Descrisse velocemente i contenuti del progetto: si trattava di lavorare in giro per diversi paesi del Medio Oriente (Emirati Arabi, Yemen, Qatar e Siria) tra luglio 2003 e aprile Luoghi fino ad allora sentiti solo in riferimento alle tristi vicende legate al terrorismo islamico. Ancora non ho deciso dove lavorerai, ne parleremo direttamente lì, dobbiamo essere ad Abu Dhabi il 18 luglio, ci manteniamo in contatto nei prossimi giorni. Così ci congedammo. Le ultime parole di Corrado mi buttarono nello sconforto: il giorno dopo sarei partito per Londra, per poi tornare a Milano dopo qualche giorno, organizzare il trasloco di tutto ciò che avevo accumulato in quattro anni nella città della moda, della finanza e degli aperitivi, per salire su un aereo e andare dove? Ad Abu Dhabi! Mi feci forza, piantare delle grane sarebbe stato controproducente e poi, in fin dei conti, volevo cambiare aria, no? Conscio di ciò che lasciavo, non sapevo però a cosa andavo incontro; l istinto suggeriva di lanciarmi. A capofitto. Vai Viggio, vai!!!. Non restava che avvisare familiari e amici più cari, comunicare la notizia e trovare un po di sostegno. I commenti furono i più disparati: da quello di mia madre avevi detto che saresti tornato presto a Roma, che avresti messo la testa a posto e ti saresti sposato al vai negli Emirati per diventare petroliere, così diventi ricco e mi mantieni di mia sorella. Dopo un paio di giorni lo sapevano tutte le persone a me più vicine, compresa la ragazza frequentata nelle ultime settimane e alla quale avevo ripetuto che si stava avvicinando il mio rientro nella capitale! Ma de che! come si dice a Roma, stavo andando dall altra parte del mondo! Quel giovedì passai la nottata fissando il soffitto della casa milanese, un pezzo di vita che stavo per lasciare. Sì, proprio lo splendido appartamento nel centro di Milano, mia dimora per quattro anni. Se quei muri avessero potuto parlare... Ero arrivato in terra longobarda a quasi ventisei anni con appena un anno di esperienza lavorativa alle spalle, tante ambizioni e carico di entusiasmo: grande occasione professionale e personale. Dopo aver trascorso infanzia, adolescenza e gioventù coccolato tra le pareti domestiche, mi distaccavo per un lungo periodo da casa e dalla famiglia per andare a vivere da solo. Quanto avevo sognato l indipendenza! Affascinato dalla prospettiva di condurre una vita in totale autonomia, era giunto il momento di pensare alla mia crescita. Non potevo più fare affidamento su mammà per i pranzi, le cene e i bucati o su papà per sbrigare piccole faccende burocratiche (di multe ne ho sempre prese tante!). Tutto sarebbe dipeso da me e da come avrei organizzato la permanenza a Milano. Trovai casa subito, vicino all ufficio, solo tre fermate di metro. Milano, l opposto di Roma: efficiente, pulita, stakanovista, e cara da morire. La mattina, oltrepassando il portone di casa, m imbattevo in flussi umani che in modo meccanico e ordinato si dirigevano verso il luogo di lavoro. 8 9

3 Percorrevo lentamente i pochi metri che separano il portone del palazzo dalla fermata della metropolitana, incuriosito dal movimento perpetuo cominciato già dalle prime luci del giorno. Si camminava con passo rapido e a testa bassa; chi leggeva il giornale, chi mangiava una brioche, la città, alle otto di mattina era già in pieno fermento. Ricordo con simpatia la prima volta che mi trovai ad attraversare la strada per raggiungere la fermata di Crocetta: semaforo rosso per i pedoni e due folte schiere di persone ai bordi del marciapiede, scalpitanti in attesa del verde. Quasi dovessero scattare per percorrere i cento metri alle Olimpiadi. Ancora pieno della calma mattutina romana non aspettavo il verde come gli altri, ero concentrato a osservare ciò che accadeva intorno. Al via libera per i pedoni, mi trovai trasportato da numerose decine di persone in fuga verso la metro o il tram. Non potei far altro che attraversare con la stessa rapidità, come se due energumeni mi avessero sollevato da terra (cosa non molto difficile vista la mia statura) prendendomi da sotto le braccia e trasportato senza che potessi opporre resistenza. Dalla parte opposta giungeva una seconda schiera con passo similmente rapido. Si andava verso lo scontro frontale : nessuno preoccupato di urtare gli altri, o di stendere una vecchietta non allenata fisicamente per reggere tale ritmo e velocità. Milano si presentò così: frenetica ma ordinata, in grado di dettare i ritmi della giornata. Sbalorditiva la puntualità e la frequenza dei mezzi di trasporto: la metro passava quasi ogni minuto, nessun dramma se perdevi il treno, nelle ore di punta il servizio era impeccabile con brevi attese rese piacevoli dai video di passerelle del prêt à porter proiettati sulle mura delle stazioni. A Roma, invece, l attesa era eterna, nessuna idea di quando il treno sarebbe passato. Guai a perderlo: l arrivo a destinazione inevitabilmente avrebbe subito un ritardo. La puntualità dei trasporti pubblici milanesi fu quindi una lieta sorpresa. E pensare che a Roma, fin dai tempi del liceo, vivevo l arrivo del mezzo pubblico come l attesa per una battaglia: coltello tra i denti e muscoli ben in vista. Quando le porte si aprivano bisognava spingere e se necessario tirare giù qualcuno per farsi spazio, come solo Fantozzi riusciva a fare. Abile nel ritagliarmi lo spazio minimo per giungere a destinazione, aiutato dalla modesta statura e da una tenacia tanto efficace da indurre il mio amico e collega Giampo a etichettarmi come Nano bastardo. Proprio a Giampiero, napoletano incrociato a Roma sul lavoro, toccò la mia stessa sorte: Milano. In Padania i due terroni divennero inseparabili, pronti a sostenersi in caso di difficoltà. Assegnati allo stesso progetto, condividemmo l appartamento per combattere la solitudine. Primi mesi belli e intensi, la città iniziava a piacermi e io iniziavo a piacere ai milanesi. I colleghi del progetto provenivano da diverse parti d Italia, ben assortiti e convinti che bisognasse lavorare tanto, ma poi anche divertirsi. Tra i personaggi degni di nota, una collega romana dal nome emblematico: Luciana Patacchioni. Diventò subito la Patacchioni, per alcuni Lulù. Spontanea e promotrice della cucina sana e dei cibi al naturale, a ogni rientro a Roma per il fine settimana, permetteva alla madre di riempirle le valigie di cibi freschi e genuini. Convinta di essere un ottima cuoca, curava il cibo con affetto materno tant è che il suo coinquilino, una sera, la trovò davanti al fornello che scambiava due chiacchiere con il ragù: Guarda come t ho fatto bono, guarda che colore... brava Lulù, brava Lulù

4 Non assaggiai mai nessuna delle sue ricette, perché ero arrivato a Milano intenzionato a buttare giù la pancia. Se Lulù usava fare scorte alimentari e, non contenta, sul comodino a fianco al letto teneva pure un congelatore stracolmo di prodotti surgelati, io mi accontentavo di yogurt e insalate. Lulù divenne presto un assidua compagna di viaggio: il weekend a Roma per farci coccolare dalla famiglia, il lunedì all alba ambedue puntuali al check-in di Fiumicino. Per un anno vissi il rientro a Milano con grande stress: lei sempre lì ad aspettarmi per affidarmi uno dei suoi bagagli pieni di cibarie. Per carità di Dio, guai se malauguratamente una delle costosissime borse in pelle griffata fosse stata imbarcata nella stiva tra i bagagli dei comuni passeggeri: il contenuto era troppo prezioso per rischiare di perderlo o rovinarlo! Caro Viggio, ti toccava sempre imbarcarti con due bagagli, suscitando proteste e occhiate maligne. In una mano l immancabile computer portatile, nell altra una ventiquattrore femminile dagli odori forti e tipici dei Castelli Romani. Un paio di episodi rendono ancora meglio l idea del personaggio. Al check-in pretendeva, e otteneva, un posto vicino al mio. Appena imbarcata, si addormentava sulla mia spalla ronfando fino a Milano. Una mattina però, durante il breve volo, sobbalzò farfugliando parole indecifrabili e ripiombò tra le braccia di Morfeo. L aereo non fece in tempo ad atterrare che accese il telefonino per chiamare il fidanzato: A Vincè, un guaio, stamattina in tutta fretta me sò scordata de prenne i fagiolini dar frigorifero. Fai na cosa, chiama mì madre e chiedile se se conservano fino a settimana prossima che me li porto a Milano, artrimenti magnateli te! Un altra volta un tassista, caricando i nostri bagagli, trattò con poca delicatezza una sua valigia. Lo guardò malissimo e con tono di rimprovero tuonò: Aò, faccia piano che lì ce stanno le arance! Milano rappresentò anche la nascita di una vera amicizia con Giampo, ragazzone alto dalla faccia rotonda e gli occhialetti, capelli ricci e crespi. Era solito affossarsi nella sedia con le braccia penzoloni; per questo fu battezzato Caccamo, personaggio di Mai dire Gol allora in voga. Persona brillante: piacevole quando si facevano due chiacchiere davanti a un bicchiere di vino, divertentissimo nelle occasioni più ludiche. La condivisione dell appartamento mi permise di ammirare anche la sua componente bambinesca: nottate passate a fare sfide calcistiche alla Playstation dalla quale non riusciva proprio a separarsi. Prendemmo presto l abitudine di bere l aperitivo nel tardo pomeriggio, un evento cult a Milano; il Negroni divenne uno dei nostri migliori amici, in sua compagnia la serata spiccava il volo. E come non menzionare Maurizio, detto Er Cicoria per la barba lunga e ruvida! Presenza mastodontica dalla doppia personalità: silenzioso e lavoratore durante la settimana, nel weekend, supportato da numerosi drink, ingranava la quarta. Il sabato sera padroneggiava in una discoteca del Bergamasco. Le conoscenze influenti gli garantivano un tavolo con secchi di champagne e vassoi di freschissime fragole. E guai a non raggiungerlo. Circondato di belle ragazze, ballava come un matto vaneggiando frasi del tipo: Questa sera ballo con sciabole e ventagli, che attestavano un livello alcolico ben al di sopra dei parametri di guardia. Le sue esternazioni rimasero impresse anche ai miei amici di Roma in gita a Milano durante un weekend. Dopo 12 13

5 una cena in cui svuotò una bottiglia di ottimo rhum, ci dirigemmo verso Bergamo, tutti nella macchina di Maurizio. In prossimità di Porta Romana, distratto dalla musica da Buddha Bar, tamponò una vettura. Scese con fare minaccioso, si avvicinò al povero ragazzo, sì e no ventenne, che non aveva fatto alcun cenno di protesta e gli intimò: Uè pirla, stai calmo. Rilassati, fai dello yoga! A mia sorella si presentò dicendo: Sono Maurizio, scusami se ogni tanto sono un personaggio un po virtuale! Dopo un altra serata all ormai mitico Bobbadilla, di ritorno verso Milano con la mia vettura, a un semaforo rosso mi accodai a una station wagon; al verde, non si mosse e lasciò che scattasse nuovamente il rosso. Preoccupato, mi affiancai: Er Cicoria, in uno stato di totale alienazione, si era addormentato, piegato sul cruscotto della macchina con il faccione schiacciato sul finestrino! Con un colpo insistente di clacson lo svegliai, e lui come un gatto sornione mi salutò andandosene... Eh sì Maurizio, sei veramente un personaggio virtuale! Sul piano lavorativo Milano mi aveva forgiato e formato, grazie al contributo degli eccellenti colleghi incontrati nei diversi progetti. Instaurai ottimi rapporti umani e professionali, ma nell ultimo anno una serie di circostanze e di comportamenti non mi piacquero: mancanza di rispetto e colpi bassi mi fecero desiderare un cambiamento. La rottura ormai creata, le insoddisfazioni erano evidenti come la mancanza di stimoli; immaginavo di essere riposizionato, ma mai avrei pensato di andare a finire ad Abu Dhabi. Quella notte fu un continuo flash-back dei quattro anni milanesi, un ripercorrere tutti gli eventi salienti. Il mio viaggio iniziò quella notte stessa, stilando un bilancio della fantastica esperienza prossima alla conclusione: sicuramente positivo. Non sapevo cosa mi aspettava con il nuovo progetto; forse l occasione giusta per ritrovare l entusiasmo perso, quegli stimoli che ormai da mesi cercavo di rivitalizzare senza successo. 11 luglio Arrivai a Londra il weekend antecedente l inizio del corso, appositamente per passarlo con una cara amica romana trapiantata da anni nella City: la Novellona, bellissima ragazza bionda, più nordica che mediterranea, giunta in Inghilterra per caso. Durante la preparazione della tesi di laurea, fu convocata a Londra per un colloquio di lavoro. Titubante sul da farsi a pochi giorni dalla discussione accademica, riuscii a convincerla che avrebbe perso inutilmente una ghiotta occasione. Detto fatto: dopo neanche un mese dalla laurea era già cittadina inglese, con un lavoro in tasca. Questo evento consolidò il nostro rapporto di amicizia: ci incontravamo due, tre volte all anno tra Londra, Milano e Roma. La trovai pimpante e saltellante come al solito a Victoria Station, già informata sulle mie ultime vicissitudini: Viggio, questa è una grande occasione, ti giri il mondo a spese dell azienda, non sei contento? Sarà un esperienza unica, vedrai. Gli scherzi del destino: a distanza di anni mi stava restituendo il favore, toccava a lei questa volta evidenziare i lati positivi dell esperienza che mi attendeva

6 Il suo entusiasmo mi trasmise una buona dose di tranquillità, sufficiente per affrontare il weekend londinese. Tempo un ora e già sorseggiavamo cuba libre all interno del The Collection intrattenendo conversazioni con una varietà multirazziale di suoi amici. Quale migliore occasione per riprendere confidenza con l inglese? Mamma mia, che fatica, spesso non capivo una parola! La combinazione alcool e mix di slang fu devastante: iniziai a ballare attorniato da ragazze di tutte le nazionalità, già proiettato in una realtà internazionale. Per tamponare i buchi dello stomaco, mi trovai in piena notte ad azzannare un kebab a Notting Hill. Sempre più presente il mondo arabo! Chissà perché, tra tutti i fast food e bar di Londra, capitammo proprio in quello. Il weekend trascorse piacevolmente, con la mente libera dai pensieri delle ultime ventiquattro ore. Meno piacevole la settimana di corso seguito poco e male, perennemente al telefono con Corrado per i motivi più disparati: dal rinnovo del passaporto, all aggiornamento del curriculum, all organizzazione della partenza. Il primo giorno di corso, presentandomi al resto dei partecipanti, una ragazza russa di nome Natalia sobbalzò sulla sedia sentendomi nominare gli Emirati Arabi. Se le russe sono famose per essere alte, bionde e con un fisico mozzafiato, lei era l esatto contrario tanto da meritarsi il soprannome di Caciotta. L appellativo fu coniato questa volta dal collega Rino dopo averla ammirata, in una spiaggia di Dubai, con un bikini che ne esaltava la pelle bianca mozzarella e gli abbondanti rotoli di ciccia. I giorni antecedenti la partenza fui raggiunto dalla telefonata di un collega, Marco, triestino particolarmente eclettico, conosciuto durante un progetto in cui finire di lavorare alle undici di sera rappresentava la normalità. L abitudine di aggiungere l intercalare sai a ogni sua affermazione, Ciao sai, grazie sai, cosa facciamo stasera sai, notte sai, gli valse la nomina di Marco Sai. Calmo e serioso di giorno, verso sera, stanco delle nottate infinite, iniziava a prendere a sberle e a parolacce il computer su cui lavorava, mentre io afferravo il megafono che si trovava nell ufficio per invitare i ritardatari a evacuare l edificio. Al telefono mi comunicò la sua nuova assegnazione: Abu Dhabi. Almeno avrei avuto una presenza amica! Per problemi legati al rinnovo del passaporto rientrai a Roma con un giorno di anticipo, non senza aver prima salutato Milano. Era tutto pronto, non c erano più scuse, lunedì 21 luglio l aereo era già in pista: il futuro petroliere iniziava per davvero il suo viaggio. Mi accompagnarono i miei genitori, tristi e angosciati nel salutare il figlio in partenza verso una meta non priva di rischi e preoccupazioni. Mi si strinse il cuore, ma ormai me ne ero fatto una ragione: Abu Dhabi arrivo! 16 17

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